Notariato e ricerca scientifica: dal trust alla destinazione un percorso da ultimare
Notariato e ricerca scientifica: dal trust alla destinazione un percorso da ultimare
di Maurizio D’Errico
Presidente Consiglio Nazionale del Notariato
La creatività, frutto della ricerca, in tutte le discipline scientifiche ed umanistiche, e così nel diritto, richiede l’analisi del contesto di riferimento e delle sue criticità e, successivamente l’elaborazione di un perfezionamento. La calibrazione, senza sosta, di ciò che potrebbe essere a ciò che è, ha portato il Notariato dai primi studi sul trust ad una progressiva valutazione di meccanismi di diritto interno che affrancassero il giurista dal riferimento a norme straniere, mutevoli ed in balia della vincolatività del precedente giurisdizionale. La semplice uniformità del corso dell’agire sociale non poteva evitare una riflessione attenta sulla validità e sull’efficacia delle soluzioni di diritto straniero.
Nel 2007, il Consiglio Nazionale, con la pubblicazione del volume I trust interni e le loro clausole, ha effettuato un’attenta ricognizione “laica” dello “stato dell’arte” in materia di trust, con particolare attenzione a prassi e giurisprudenza, fornendo ai notai anche una ricca modellistica di clausole. Nell’introduzione a quel testo i colleghi Ernesto Quinto Bassi e Federico Tassinari davano conto dei rilevanti problemi di responsabilità notarile che possano emergere a seguito di un approccio libero alla materia.
Ogni indagine relativa ai problemi applicativi del trust interno presuppone una chiarificazione sulla nozione. Per trust “interno” la dottrina che ha coniato tale figura ha inteso il «trust i cui elementi soggettivi e obbiettivi siano legati ad un ordinamento che non qualifica lo specifico rapporto come trust (nel senso accolto dalla Convenzione), mentre esso è regolato da una legge straniera che gli attribuisce tale qualificazione».
Come è chiaro dalla nozione prima citata, il trust interno è una fattispecie che la dottrina ricava da una peculiare interpretazione della Convenzione de L’Aja. È infatti sin troppo evidente che il trust interno non esisterebbe e non sarebbe mai esistito senza la Convenzione de L’Aja.
E proprio questa sua genesi ne ha condizionato l’essenza.
La riflessione sul legame indissolubile tra la nozione di trust “interno” e l’accoglimento di una certa interpretazione della natura della Convenzione de L’Aja è la premessa indispensabile per affrontare i problemi applicativi del trust interno.
È apparso infatti singolare come il trust interno, anche se concepito quale trust su elementi oggettivi e soggettivi interni e quindi italiani, dovesse essere assoggettato ad una legge straniera. La ragione è che il trust interno nasce nel pensiero della dottrina, non come istituto del diritto interno, ma come un prodotto della interpretazione della Convenzione de L’Aja quale convenzione di diritto uniforme.
Chi al contrario, ha da sempre sostenuto che la Convenzione de L’Aja avesse natura di convenzione di diritto internazionale privato, non ha creduto nell’esistenza stessa del trust “interno”.
E non è mancato chi, pur sostenendo che la Convenzione deL’Aja avesse natura di convenzione di diritto internazionale privato, ha creduto in uno schema tipizzato sdoganato dalla Convenzione, nel quale il rinvio alla legge straniera non determina una connotazione del trust sulla base della legge scelta, che invero mantiene la sua identità di trust convenzionale, cioè disciplinato dalla Convenzione de L’Aja. La legge di ratifica, in quanto legge formale ordinaria, attribuisce alla struttura della Convenzione de L’Aja, oggetto della ratifica, un grado nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento giuridico italiano pari a quello della legge stessa. Al di fuori della gerarchia delle fonti si colloca, invece, la legge applicabile che ha il valore, essenzialmente, di predisposizione regolamentare. Di qui la riconducibilità della legge regolatrice ad una classificazione di tipo regolamentare, in quanto fonte esterna richiamabile in via di relatio, priva della capacità di attuare una situazione modificativa dell’ordinamento italiano, ma esclusivamente diretta al funzionamento del rapporto senza poter incidere sotto l’aspetto genetico.
Diversa operazione culturale è stata condotta da chi, già nell’ordinamento italiano e quindi nella nostra disciplina, ha riconosciuto l’esistenza di un modello di trust, questo si di diritto interno e disciplinato dalle norme del nostro ordinamento. Tale trust non sconterebbe, come invece il trust interno, i disagi e i costi dell’applicazione di una legge straniera, ma sarebbe assoggettato alle regole già presenti nel nostro ordinamento.
Ulteriore operazione culturale è quella di chi, non credendo al trust interno, né credendo all’esistenza già nel nostro ordinamento del trust all’italiana, ritiene ancora oggi necessaria una legge ad hoc per introdurre il trust nell’ordinamento giuridico.
L’insieme di questo quadro è apparso fin dall’inizio complesso e con margini di opinabilità. Il Consiglio Nazionale, già nel 2003, a conclusione dei lavori della Commissione propositiva coordinata da Concetta Priore, ha cominciato a riflettere sull’articolazione del patrimonio e sulla destinabilità di singoli beni a scopi specifici. La proposta di legge presentata da Antonio Pepe (Progetto di legge n. 3972-XIV Legislatura) è il frutto di lunghe discussioni e di un produttivo confronto tra Notariato e mondo politico.
Nella sua relazione il Collega Pepe nota come «la compatibilità del trust con il nostro ordinamento giuridico appare, tuttavia, dubbia, come evidenziato da autorevole dottrina e dagli elementi emersi dalla approfondita istruttoria operata nella scorsa legislatura dalla VI Commissione finanze della Camera dei deputati in sede di esame di alcun proposte di legge concernenti il trust e le società fiduciarie.
In ogni caso, il trust, proprio perché proveniente da un’altra tradizione giuridica, presenterebbe il rischio di risultare di applicazione non agevole e diretta per i soggetti interessati, soprattutto se di modeste disponibilità economiche, vanificando gli obiettivi sociali posti alla base della disciplina che si intende introdurre. La presente proposta di legge, invece, intende privilegiare la definizione di una disciplina che, pur essendo per molti aspetti profondamente innovativa, appare sicuramente coerente con il nostro sistema civilistico e fiscale e, quindi, di più immediata e agevole fruibilità per i soggetti interessati.
La rilevanza costituzionale del valore primario che la certezza dei diritti e la sicurezza del loro trasferimento ha nel nostro sistema ordinamentale ha spinto il Notariato a lavorare per la codificazione di una destinazione negoziale opponibile ai terzi. L’opinabilità dei meccanismi applicativi e di compatibilità del trust disciplinato dalla Convenzione con l’ordinamento italiano, dopo la novella del 2006, ha visto in ogni caso ampliata l’offerta che il diritto mette a disposizione dei privati. Tutti i soggetti che vivono il diritto in uno spazio uguale, in una società oramai “plurale”, devono poter trovare risposte alle proprie esigenze.
La dottrina notarile ha sempre svolto una funzione propulsiva nell’avvicinare la prassi alla realtà sociale.
Il Notariato, tra l’indifferenza e la resistenza di molti, prima della legge 27 febbraio 1985, n. 52 e anche prima della sentenza della Suprema Corte del 16 novembre 1976, n. 4232 (est. Carnevale) si è battuto per affermare la possibilità per le associazioni non riconosciute di effettuare acquisti immobiliari, operando la relativa trascrizione a proprio nome.
Nella prassi notarile c’era anche il problema della trascrivibilità del preliminare di vendita e poi ancora il problema delle anstalten, strutture giuridiche del Liechtenstein caratterizzate dall’unipersonalità.
La funzione promozionale del notaio nelle vicende applicative del diritto ha fornito, di volta in volta, soluzioni sicure.
Già nel 1972 il prof. Lipari, in un intervento alla Scuola Barese del Notariato, aveva affrontato il tema del rinnovamento del diritto privato e dell’evoluzione della funzione del notaio.
Notaio non forza trainata dall’interpretazione giurisprudenziale, ma egli stesso forza trainante del diritto, così da anticipare gli orientamenti giurisprudenziali e sollecitare i necessari adeguamenti legislativi.
Oggi, con il controllo notarile di legalità degli atti delle società di capitali (art. 32, legge 16 novembre 2000, n. 340) si sta creando una “giurisprudenza notarile”, formante dell’ordinamento; il controllo omologatorio notarile, in applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118
Cost.), è stato per tutto il Notariato un successo e, nella generalità dei casi, è stato completo, profondo e puntuale; in questa prospettiva il rapporto di colleganza tra notai e la rete che ne deriva, in uno spirito di efficiente organizzazione, sono stati vincenti. Il Notariato, con le varie Commissioni del Consiglio Nazionale, ha fornito al singolo notaio orientamenti interpretativi che, pur non
18 essendo vincolanti, costituiscono un punto di riferimento e una forma di elaborazione di principi uniformi in materia di società.
A noi, notai, sta a cuore tra la prospettiva sociologica e quella giuridica, la seconda e, in tale cerchio, nell’interpretazione di una norma la sicurezza operativa.
Il bagaglio di cultura finalizzato alla tecnica redazionale e, così, l’applicazione della propria conoscenza al fare sono il linguaggio proprio del Notariato; la regola naturale di ogni ricerca deve essere sempre la sua fruibilità operativa e deve essere volta a facilitare l’operare quotidiano del notaio, con l’affidabilità nota degli studi del Consiglio Nazionale che deve, comunque, anche costruire il nuovo; ha un sicuro valore simbolico che lo studio della Fondazione si chiuda con il progetto sul contratto fiduciario.
È proprio muovendo dalla ricerca scientifica e dall’amore per la ricerca che, partendo dal trust, attraversata la destinazione patrimoniale (che continuerà a mantenere un ruolo rilevante nelle tecniche negoziali di separazione patrimoniale), guardiamo ora al contratto fiduciario come parte finale di un cammino ventennale.
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