Le clausole di surrogabilità dei beni
- capitolo XIII -
Le clausole di surrogabilità dei beni
di Saverio Bartoli
avvocato in firenze
e di Daniele Muritano
Notaio in empoli

L’art. 2645-ter c.c. menziona, quale oggetto iniziale del negozio, i beni immobili ed i beni mobili registrati, mentre successivamente la norma precisa che sono oggetto del fondo destinato (in quanto «possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione … solo per debiti contratti per tale scopo») non solo i beni oggetto dell’apporto iniziale (‘‘i beni conferiti’’), ma anche i ‘‘frutti’’ che successivamente siano stati prodotti da detti beni (i quali - evidentemente - avranno per lo più natura di beni mobili non registrati(1) ).

Occorre subito evidenziare che una siffatta tecnica normativa presenta punti di evidente somiglianza con quella utilizzata in tema di fondo patrimoniale: cfr. infatti, quanto all’oggetto iniziale, l’art. 167 c.c., che parla di «immobili, mobili registrati e titoli di credito»(2), nonché, quanto all’oggetto ‘‘sopravvenuto’’, gli artt. 168 secondo comma c.c., che impone di impiegare i frutti dei beni costituiti in fondo per i bisogni della famiglia, e 170 c.c. che prevede l’esecutabilità - per debiti familiari e per debiti extrafamiliari nei confronti di soggetti di buona fede - non solo dei ‘‘beni’’ inclusi nel fondo, ma anche dei loro ‘‘frutti’’.

È assai discusso(3) se possano o meno costituire oggetto della destinazione anche beni e diritti diversi da quelli espressamente previsti dall’art. 2645-ter c.c.

Secondo un diffuso orientamento(4) la risposta dovrebbe essere positiva, purché si tratti di beni aventi natura tale da rendere possibile l’effettuazione della pubblicità del vincolo ai fini della sua opponibilità ai terzi: ciò in quanto - a dire di tali autori - la norma sarebbe formulata in modo tale da lasciar desumere la pacifica ammissibilità, a monte, della generale figura del negozio di destinazione(5).

A tale riguardo, l’orientamento in esame menziona le partecipazioni in società di capitali(6), le partecipazioni in società di persone iscritte nel Registro delle imprese(7), i titoli di credito(8), ivi inclusi quelli dematerializzati(9), le universalità di mobili(10), le aziende(11), i marchi, i brevetti e le opere cinematografiche(12) ed addirittura i beni mobili in generale(13).

Trattasi di un tentativo di interpretazione estensiva della norma analogo(14) a quello che è stato effettuato in tema di fondo patrimoniale con riferimento al già menzionato art. 167 c.c., allorché si è sostenuto(15) che potrebbero esserne oggetto anche le quote di srl in quanto esse rientrano fra i ‘‘titoli di credito’’ di cui parla detta norma(16) e per esse esiste un sistema di pubblicità legale rappresentato dal Registro delle imprese(17).

Non a caso, alcuni dei fautori della suddetta lettura estensiva dell’art. 2645-ter c.c.(18) argomentano l’ammissibilità di un negozio di destinazione su quote di Srl facendo leva sul testo dell’art. 2470 terzo comma c.c. introdotto dalla riforma del diritto societario, secondo il quale «se la quota è alienata con successivi contratti a più persone, quella tra esse che per prima ha effettuato in buona fede l’iscrizione nel Registro delle imprese è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore».

Come si è accennato(19), il fondamento concettuale su cui parrebbe basarsi, esplicitamente ovvero implicitamente, l’interpretazione estensiva dell’art. 2645-ter c.c. qui in esame è essenzialmente quello secondo il quale l’art. 2645-ter c.c., lungi dall’introdurre ex novo nell’ordinamento la figura del negozio di destinazione opponibile ai terzi, altro non avrebbe fatto che dare una conferma di diritto positivo all’ammissibilità di tale negozio se volto a realizzare interessi meritevoli di tutela (ammissibilità che sarebbe desumibile dal sistema, e precisamente dall’art. 1322 c.c.), introducendo una norma espressa dedicata alla trascrizione di quello avente ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati.

Non meno diffusa appare, però, la tesi secondo la quale solo i beni menzionati dall’art. 2645-ter c.c. possono essere oggetto del negozio ivi previsto(20), la quale trova riscontro anche in un obiter dictum contenuto in una decisione di merito(21) e si fonda essenzialmente sulle argomentazioni che seguono.

In primo luogo, si afferma che l’art. 2645-ter c.c. non si limita a prevedere la trascrivibilità del negozio di destinazione, ma ne fornisce la nozione e ne descrive gli effetti, sì che pare innegabile la sua natura non solo di norma sulla trascrizione, ma anche di norma sostanziale.

Appare pertanto probabile - se ne desume - che, al di fuori di quanto espressamente consentito dall’art. 2645-ter c.c., riprenda vigore la riserva di legge in tema di patrimoni separati di cui all’art. 2740 secondo comma c.c. (riserva di legge che parrebbe rendere la nuova norma insuscettibile di una lettura estensiva o analogica) e che, pertanto, mancando una norma sostanziale su cui fondare un negozio di destinazione mobiliare, ne dovrebbe risultare precluso l’effetto di separazione patrimoniale.

Né la tesi estensiva parrebbe poter trovare conforto - si prosegue(22) - nel riferimento ai ‘‘frutti’’ contenuto nell’ultimo periodo dell’art. 2645-ter c.c., poiché anche con riguardo al fondo patrimoniale - pur essendovi norme (gli artt. 168 secondo comma e 170 c.c.) che dichiarano inclusi nel medesimo anche i frutti dei beni inizialmente conferiti - l’opinione del tutto dominante è dell’avviso (come si è visto in precedenza(23) ) che non possano essere conferiti in detto fondo destinato beni di natura diversa da quelli indicati nell’art. 167 c.c.

Come è stato osservato(24), ove si aderisca alla tesi secondo la quale il negozio ex art. 2645-ter c.c. può avere ad oggetto solo immobili o mobili registrati, emergono ulteriori profili di divergenza del negozio di destinazione rispetto al trust, i quali ne comportano, altresì, una minor competitività rispetto a quest’ultimo istituto; a ben guardare, fra l’altro, ciò può affermarsi anche laddove si sposi, invece, la tesi estensiva, poiché si è visto in precedenza(25) come i fautori della medesima tendano, per lo più, a non giungere fino al punto di ammettere che possa essere oggetto di tale negozio qualunque bene mobile (ivi incluso il denaro).

In primo luogo, infatti, è noto che può costituire oggetto di trust qualunque bene suscettibile di valutazione economica(26): circostanza questa non da poco, in ispecie ove si consideri che attualmente la gran parte della ricchezza è - appunto - quella di natura mobiliare.

Occorre poi evidenziare che, se con il negozio di cui all’art. 2645-ter c.c. fosse impossibile destinare beni diversi dagli immobili e dai mobili registrati ed in particolare somme di denaro, l’istituto risulterebbe afflitto da quello stesso limite operativo che caratterizza il fondo patrimoniale(27).

Se, infatti, l’immobile oggetto del negozio di destinazione viene, ad esempio, alienato a titolo oneroso(28) e la controprestazione ricevuta non ha ad oggetto un bene idoneo - ex art. 2645-ter c.c. - a costituire oggetto del fondo (come accade, ad esempio, se si tratta di denaro), durante tutto il periodo compreso fra la riscossione della somma ed il reimpiego della medesima da parte del gestore per l’acquisto di un bene idoneo ad essere a propria volta oggetto del fondo (cioè un bene immobile o mobile registrato) detta somma non parrebbe beneficiare della separazione patrimoniale (cioè parrebbe non essere oggetto del fondo destinato di cui faceva parte l’immobile alienato) e sembrerebbe quindi - a rigore - aggredibile anche dai creditori sorti da rapporti estranei al fine della destinazione.

Sarà, infatti, il bene acquistato con il ricavato dell’alienazione il nuovo oggetto del fondo e costituirà, pertanto, onere del gestore quello di pubblicizzare nei modi di legge (onde poterlo efficacemente opporre ai terzi) l’avvenuto ‘‘trasferimento’’ del vincolo del fondo dal bene alienato al bene acquistato(29).

Il suddescritto limite operativo che, per le ragioni esposte, rischia di caratterizzare il negozio ex art. 2645-ter c.c., non si verifica, invece, nel caso di alienazione a titolo oneroso di un bene oggetto di trust, in quanto detto tipo di patrimonio separato (solo che il trustee rispetti - ad esempio accendendo un conto corrente intestato al trust o, come pare preferibile(30), a se stesso come trustee di quel trust - il suo obbligo di non confondere i beni fungibili in trust con i suoi personali beni fungibili) può - come si è detto - avere ad oggetto qualunque bene suscettibile di valutazione economica.

Nel trust, in altri termini, si verifica sempre (in stretta aderenza al brocardo «pretium succedit in locum rei; res succedit in locum pretii») il fenomeno della cosiddetta ‘‘surrogazione reale’’, che consiste nella sostituzione del bene alienato con il suo corrispettivo (a dispetto della sua eventuale natura di bene fungibile) e di quest’ultimo con il bene che venga grazie ad esso successivamente acquistato, senza che venga meno (a patto che - s’intende - siano espletate le formalità pubblicitarie di volta in volta necessarie, avuto riguardo alla natura del bene, per opporre ai terzi l’esistenza del vincolo su di esso) l’effetto della separazione patrimoniale connesso all’esistenza di beni in trust.

Resta adesso da chiedersi, stante la stretta inerenza del tema con quello della surrogazione reale, se sia o meno configurabile, in capo al gestore dei beni destinati ex art. 2645-ter c.c., un obbligo di reimpiegare il ricavato della loro eventuale alienazione per finalità inerenti alla destinazione stessa (in particolare, per l’acquisto - con quanto residui dal soddisfacimento delle correnti esigenze della destinazione - di un bene idoneo a sostituire quello alienato quale oggetto del negozio di cui all’art. 2645-ter c.c.).

La sussistenza di un obbligo siffatto potrebbe, all’evidenza, ovviare in certa misura al suaccennato possibile limite operativo dell’istituto, cioè all’eventuale inidoneità della somma riscossa a seguito dell’alienazione del bene a rimpiazzare quest’ultimo all’interno del patrimonio destinato.

Tale tipo di problematica si è posto, com’è noto, anche in tema di fondo patrimoniale, poiché la disciplina relativa a tale istituto non contiene alcun riferimento al reimpiego.

Con riguardo a tale istituto, l’opinione prevalente(31) ritiene di dare alla questione risposta positiva (ché diversamente opinando si consentirebbe ai coniugi di “svuotare” agevolmente il fondo destinato, così vanificando la ratio stessa dell’istituto), pur se si è precisato(32) che l’eventuale violazione dell’obbligo di reimpiego non inciderà sulla validità ed efficacia dell’atto compiuto, ma avrà conseguenze meramente obbligatorie, nel senso che farà insorgere in capo ai coniugi gestori l’obbligo di risarcire il danno e costituirà idoneo presupposto per la loro rimozione dall’amministrazione del fondo(33).

Le medesime conclusioni (esistenza dell’obbligo di reimpiego a carico del gestore; conseguenze meramente obbligatorie - salvo ipotesi eccezionali(34) - della sua violazione) appaiono doversi estendere anche al nuovo istituto di cui all’art. 2645-ter c.c., norma quest’ultima parimenti muta sul punto: essa, infatti, prevede soltanto che «i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione» (trattasi di norma analoga a quella contenuta nell’art. 168 secondo comma c.c. e, all’evidenza, esprimente un concetto ben diverso da quello del reimpiego).

In estrema sintesi e per concludere, pertanto:

a. essendo dubbio se l’atto di destinazione possa o meno avere ad oggetto anche beni diversi da quelli (immobili e mobili registrati; frutti civili e naturali dei medesimi) espressamente previsti dall’art. 2645 ter c.c., non è certa la piena efficacia operativa di una clausola dell’atto istitutivo prevedente la sistematica surrogazione reale dei beni alienati per fini inerenti alla destinazione con i beni costituenti il corrispettivo dell’alienazione stessa(35);

b. appare idonea ad attenuare l’ipotetica non completa efficacia operativa della clausola sub a) l’esistenza, a carico del gestore, di un obbligo di reimpiego nel senso in precedenza esplicitato, obbligo che (pur se desumibile dal sistema normativo) sarà opportuno menzionare in un apposita clausola nell’atto istitutivo(36);

c. appare difficile ipotizzare che l’eventuale inadempimento dell’obbligo di reimpiego possa inficiare la validità del negozio compiuto dal gestore.


(1) Com’è stato opportunamente precisato [L. SALAMONE, Destinazione e pubblicità immobiliare. Prime note sul nuovo art. 2645-ter c.c., in AA.VV., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile a cura di M. Bianca, Milano, 2007, p. 152 e 155; in senso analogo, con riguardo al fondo patrimoniale, C.M. BIANCA, Diritto civile. Vol. 2: La famiglia. Le successioni (II° ediz.), Milano, 2001, p. 134], però, l’inclusione dei frutti (siano essi civili o naturali) nel fondo destinato non si verifica automaticamente, cioè per il solo fatto che trattasi di beni prodotti da un bene vincolato; né argomento in contrario può desumersi dall’art. 821 c.c., il quale, del resto, si limita ad affermare che, nel momento stesso della loro venuta ad esistenza, i frutti appartengono al proprietario del bene capitale che li ha prodotti. Occorrerà, pertanto, che la volontà di rendere i suddetti frutti oggetto della destinazione risulti da un atto opponibile ai terzi, atto che, nella normale ipotesi in cui tali frutti abbiano natura di beni mobili, sarà rappresentato da una scrittura munita di data certa, come si desume sia dall’art. 2915, primo comma, c.c. (cui del resto l’art. 2645-ter c.c. rinvia), sia più in generale dall’art. 1707 c.c. Nel caso in cui i frutti siano costituiti da somme di denaro (si pensi ai canoni rivenienti dalla locazione dell’immobile destinato), la pubblicità del vincolo di destinazione ad essi relativi a richiederà, altresì, che ne sia evitata la materiale confusione con il patrimonio personale del gestore: ciò avverrà mediante l’istituzione di un apposito conto corrente intestato al soggetto gestore non in proprio, ma nella sua qualità di gestore dei beni destinati con l’atto di destinazione di cui si farà menzione nell’intestazione stessa (esempio di possibile intestazione del conto corrente: «Mario Rossi, nella sua qualità di gestore dei beni destinati con l’atto di destinazione denominato “Famiglia Rossi”). Appare preferibile evitare, invece, di intestare il conto corrente a nome de “L’atto di destinazione denominato “Famiglia Rossi”», poiché il negozio ex art. 2645-ter c.c. non dà vita - S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, Milano 2011, p. 47 - a un soggetto di diritto distinto dalla persona del gestore (per analoghe considerazioni in tema di trust cfr. nota 30). Analoga cautela, peraltro, si ritiene debba essere adottata anche nel caso dei frutti oggetto di fondo patrimoniale (cfr. T. AULETTA, «Riflessioni sul fondo patrimoniale», in Fam. pers. succ., 2012, p. 326).

(2) L’originario dettato della norma, risalente al codice civile del 1942, menzionava solo gli immobili ed i titoli di credito e la Relazione al Re - T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il codice civile - Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, nota 4 a p. 106 - giustifica tale restrizione di oggetto «perché solo per essi è possibile organizzare un sistema di pubblicità, necessario nell’interesse di terzi». L’aggiunta dei beni mobili registrati è dovuta alla legge n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia.

(3) Sul tema v. amplius S. BARTOLI, op. cit., p. 136 e ss. e bibliografia ivi citata.

(4) Cfr. ad esempio R. QUADRI, «L’art. 2645-ter c.c. e la nuova disciplina degli atti di destinazione», in Contr. e impr., 2006, p. 1726-1727; S. MEUCCI, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, p. 163, 318 e 523 e ss.; G. PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv. dir. civ., 2006, p. 161 e ss., § 5; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006, p. 34.

(5) Per questo tipo di impostazione si vedano, in particolare, i contributi di G. PALERMO, [Autonomia negoziale e fiducia (breve saggio sulla libertà di forme), in Studi in onore di P. Rescigno, V, Milano, 1998, p. 339 e ss.; «Sulla riconducibilità del “trust interno” alle categorie civilistiche», in Riv. dir. comm., 2000, p. 133 e ss.; «Contributo allo studio del trust e dei negozi di alienazione disciplinati dal diritto italiano», in Riv. dir. comm., 2001, p. 391 e ss.; «Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione», in AA.VV., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, in Quaderni romani di diritto commerciale a cura di B. Libonati e P. Ferro-Luzzi, Milano, 2003, p. 243 e ss.; Configurazione dello scopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell’assetto di interessi, in AA.VV., La trascrizione …, cit., p. 73 e ss.] e U. LA PORTA (Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994; «L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.», in Riv. not., 2007, p. 1069 e ss.). Su questo tema v. amplius S. BARTOLI, op. cit., p. 24 e ss. e bibliografia ivi citata.

(6) M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 34; G. PETRELLI, op. cit., § 5.

(7) M. MANULI, «L’art. 2645-ter. Riflessioni critiche», in Vita not., 2007, p. 395, il quale precisa che in tal caso il negozio comporta una modifica dei patti sociali, come tale da iscrivere nel Registro imprese ex artt. 2300 c.c., 2315 c.c. e 2 D.lgs. n. 228/2001.

(8) R. QUADRI, op. cit., 1726-1727; G. PETRELLI, op. cit., § 5.

(9) M. MANULI, op. cit., p. 394-395.

(10) G. DORIA, Relazione introduttiva, in AA.VV., Atti del convegno Le nuove forme di organizzazione del patrimonio. Dal trust agli atti di destinazione. Roma 28-29 settembre 2006, reperibile sul sito www.economia.uniroma2.it, § 2; C. PRIORE, «La categoria dell’atto negoziale di destinazione: vecchie e nuove prospettive», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Atti dei Convegni di Rimini in data 1 luglio 2006 e di Catania in data 11 novembre 2006, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano 2007, p. 188-189.

(11) G. DORIA, op. cit., § 2.

(12) G. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645- ter c.c.», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi …, cit., p. 146.

(13) R. QUADRI, op. cit., p. 1727, sia pure dubitativamente; G. PALERMO, Configurazione dello scopo …, cit., p. 75 e 78-79, il quale afferma che il vincolo è opponibile anche nel caso di «atti concernenti beni mobili non registrati, purché aventi data certa». Ove si ritenga di aderire a tale impostazione, per la pubblicità del vincolo relativo a somme di denaro non costituenti “frutti” dei beni destinati varrà quanto si è esposto nella nota 1.

(14) Così S. BARTOLI, op. cit., p. 138 e ss.; G. PETRELLI, op. cit., § 5.

(15) M.L. CENNI, Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, vol. III, Regime patrimoniale della famiglia a cura di F. Anelli - M. Sesta, Milano 2002, p. 574 e ss.; in giurisprudenza Trib. Milano 5 maggio 2001, in www.federnotizie.org, numero del settembre 2002 della rivista on line.

(16) Argomento questo che è, all’evidenza, irrilevante nella presente sede, poiché l’art. 2645-ter c.c. non menziona, a differenza dell’art. 167 c.c., i titoli di credito.

(17) In senso contrario Trib. Forlì 23 ottobre 2006 inedita, decisione emessa all’esito di un procedimento disciplinare a carico di un notaio che aveva rogato un atto costitutivo di fondo patrimoniale avente ad oggetto - appunto - quote di Srl, secondo la quale esse sono «non qualificabili come titoli di credito ma come beni immateriali»; Trib. Milano 8 luglio 1998, in www.federnotizie.org, numero del novembre 1998 della rivista on line; più in generale, l’opinione del tutto dominante afferma che possono essere oggetto del fondo patrimoniale soltanto i beni espressamente previsti dall’art. 167 c.c.: T. AULETTA, op. ult. cit., p. 106; A. GALASSO - M. TAMBURELLO, Del regime patrimoniale della famiglia, I, in Comm. del cod. civ. a cura di A. Scialoja - G. Branca, Bologna-Roma, 1999, p. 172.

(18) M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 34; S. MEUCCI, op. cit., p. 524-525.

(19) Nota 5.

(20) G. OBERTO, «Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust: analogie e differenze», in Contr. impr. eur., 2007, p. 408-409; M. LUPOI, Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, con formulario, Milano, 2010, p. 428; S. BARTOLI, «Riflessioni sul “nuovo” art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», in Giur. it., 2007, p. 1301 e ss.; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 257 e ss.; F. GAZZONI, Osservazioni, in AA.VV., La trascrizione …, cit., p. 239-240; A. ZOPPINI, Prime (e provvisorie) considerazioni sulla nuova fattispecie, in AA.VV., La trascrizione …, cit., p. 100; M. GRAZIADEI, in S. BARTOLI - M. GRAZIADEI - D. MURITANO - L.F. RISSO, I Trusts interni e le loro clausole a cura di E.Q. Bassi e F. Tassinari, Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, 2007, p. 225.

(21) Trib. Reggio Emilia (decr.) 26 marzo 2007, in Trusts, 2007, p. 421.

(22) Lo rileva S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 1302, sulla scia di quanto si afferma (T. AULETTA, op. ult. cit., p. 106-107) in tema di fondo patrimoniale; ma in senso contrario cfr. S. MEUCCI, op. cit., 163 e nota 417 a p. 523; G. ANZANI, «Atti di destinazione patrimoniale: qualche riflessione alla luce dell’art. 2645-ter c.c.», in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, p. 401.

(23) Nota 17.

(24) S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 1302.

(25) Note da 6 a 13.

(26) Trattasi di un punto pacifico: cfr. ad esempio M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 4-5.

(27) Sui limiti operativi del fondo patrimoniale rispetto al trust cfr. S. BARTOLI, «Il problema della conversione del fondo patrimoniale in trust: osservazioni a margine di due recenti vicende giudiziarie», in Trust, 2003, p. 393 e ss.

(28) S’intende: senza che ciò comporti violazione della destinazione, ché l’alienazione abusiva pone il diverso problema del contemperamento fra l’esigenza di tutela dei beneficiari e quella di tutela dell’eventuale affidamento incolpevole dell’avente causa dal gestore infedele, argomento per il quale cfr., in questo stesso volume, R. QUADRI, «La circolazione del bene destinato», nonché S. BARTOLI - D. MURITANO, Le clausole dei trusts interni, Torino, 2008.

(29) Sull’esigenza di tale ulteriore pubblicità cfr. altresì G. BARALIS, op. cit., p. 154; R. QUADRI, «L’art. 2645-ter c.c. …», cit., p. 1745; U. LA PORTA, «L’atto di destinazione …», cit., p. 1106- 1107. Ciò, fra l’altro, avrebbe incidenza sul termine di prescrizione dell’azione revocatoria (ordinaria o fallimentare) eventualmente esperibile nei confronti del disponente, il quale inizierebbe a decorrere nuovamente. Analoghe conclusioni parrebbero poi imporsi, nell’ipotesi di distruzione dell’immobile destinato, per la somma incassata dal gestore a titolo di indennizzo in virtù dell’eventuale esistenza di una polizza assicurativa.

(30) Secondo l’opinione assolutamente dominante, infatti, il trust non è un soggetto di diritto distinto dalla persona del trustee: cfr. in dottrina M. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008, p. 10; M. GRAZIADEI, Diritti nell’interesse altrui. Undisclosed agency e trust nell’esperienza giuridica inglese, Trento, 1995, p. 385-386; A. GAMBARO, «Problemi in materia di riconoscimento degli effetti dei “trusts” nei paesi di “civil law”», in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 101; R. MONTINARO, Trust e negozio di destinazione allo scopo, Milano, 2004, p. 32 e ss.; in giurisprudenza l’antica Cass. Napoli 29 marzo 1909, in Giur. it., 1909, I, 1, p. 649 e ss. nonché Trib. Velletri 29 giugno 2005, in Trusts, 2005, p. 577 e ss., Trib. Voghera 25 febbraio 2010, in Trusts, 2010, p. 278. Per l’ammissibilità di una pubblicità del vincolo effettuata “a nome del trust” cfr. invece Trib. Torino 10 febbraio 2011, in Trusts, 2011, p. 627 e Not., 2011, p. 408 e ss., che, però, contradditoriamente, esclude anch’essa la soggettività del trust. Né pare possibile obiettare che il trust è ormai soggetto di diritto dal punto di vista tributario (l’articolo 1, commi da 74 a 76, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha, infatti, esteso ad esso l’imposta tipica delle società, degli enti commerciali e non commerciali, cioè l’Ires, all’uopo modificando l’art. 73 del Tuir n. 917/86): trattasi, infatti, di una mera fictio juris messa in atto dal legislatore fiscale per le finalità settoriali da esso perseguite. Per l’esclusione della soggettività dell’atto di destinazione ed analoghe considerazioni in tema di pubblicità del vincolo (da effettuarsi “a nome del gestore nella sua qualità” e non “a nome dell’atto di destinazione”) cfr. nota 1.

(31) Cfr. in dottrina A. DI SAPIO, «Fondo patrimoniale: l’alienazione dell’unico bene costituito, l’estinzione per esaurimento, lo scioglimento (volontario), il Lar familiaris ed il mito di Calipso», in Dir. fam., 1999, p. 831 e ss.; T. AULETTA, op. cit., p. 292 e ss.; F. CARRESI, Del fondo patrimoniale, in AA.VV., Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro - Oppo - Trabucchi, t. I, parte prima, Padova, 1977, p. 356; in giurisprudenza Trib. Genova (decr.) 26 gennaio 1998, in Vita not., 1999, p. 81 e Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 215; Trib. Lecco (decr.) 1 ottobre 2002, in Riv. not., 2003, II, p. 448; App. Bari (decr.) 15 luglio 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 200; Trib. Trani (decr.) 3 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 201; Trib. Milano 1 marzo 2000, in www.federnotizie.org, numero del marzo 2001 della rivista on line; Trib. Modena (decr.) 7 dicembre 2000, Trib. Modena (decr.) 6 giugno 2001, Trib. Min. Emilia Romagna (decr.) 7 marzo 2001 e App. Bologna sez. min. (decr.) 2 ottobre 2001, in Not., 2002, p. 27 e ss. In senso contrario cfr. invece in dottrina G. GABRIELLI, «Le autorizzazioni giudiziali nella disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi», in Riv. dir. civ., I, 1981, p. 48 e ss.; A. RUOTOLO, «Ipotecabilità dei beni del fondo patrimoniale per scopi estranei ai bisogni della famiglia», studio n. 1695 della Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, 21 luglio 1997, in CNN strumenti, 1 - 15 luglio 1997, 0570, 2.3; in giurisprudenza Trib. Lecco (decr.) 5 dicembre 2002, in Riv. not., 2003, II, p. 449; Trib. Trani (decr.) 3 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, p. 201; Trib. Min. Perugia 25 gennaio 2003, in Dir. fam., 2004, p. 126.

(32) A. DI SAPIO, op. cit., p. 834 e ivi nota 109.

(33) La medesima dottrina ha precisato - cfr. A. DI SAPIO, op. cit., p. 834 e ivi nota 109 - che unica eccezione a tale principio generale vi sarà nel caso in cui il Tribunale, nell’autorizzare il compimento dell’atto, abbia previsto che il reimpiego del ricavato dell’alienazione nel modo indicato costituisca condizione dell’alienazione stessa.

(34) Si pensi all’ipotesi (che trae spunto da quanto si è detto alla nota 33) in cui il legale rappresentante di un soggetto incapace sia stato autorizzato dal giudice alla stipula di un atto di destinazione avente ad oggetto un immobile di proprietà dell’incapace e di cui unico beneficiario è l’incapace stesso. Se il provvedimento giudiziale in questione prevede che il gestore dovrà richiedere un’autorizzazione giudiziale ad hoc laddove l’immobile debba essere alienato per le mutate esigenze abitative dell’incapace (e dunque allo scopo di reperire altro immobile), potrebbe accadere che l’autorizzazione alla vendita imponga il reimpiego del prezzo nell’acquisto di altro immobile quale condizione della vendita stessa. Si precisa comunque che l’esempio in questione postula l’ammissibilità della cosiddetta “autodestinazione” (cioè di un atto di destinazione in cui disponente e beneficiario sono il medesimo soggetto), fattispecie che in realtà è di controversa ammissibilità (e lo stesso può dirsi in tema di trusts interni): vi è infatti difficoltà, in casi del genere, ad individuare una causa del negozio che sia distinguibile dall’intendimento di conseguire l’effetto della separazione patrimoniale. Per la tesi positiva cfr. in dottrina U. LA PORTA, op. ult. cit., p. 1095 e 1100; G. PETRELLI, op. cit., §§ 7 e 8. Trattasi di un approccio ermeneutico che appare affine a quello adottato dalla dottrina inglese in tema di trust, essendo in tale contesto pacifico (cfr. A. UNDERHILL - D. HAYTON, Law relating to trusts and trustees, Londra - Dublino - Edimburgo, 2003, p. 273; M. GRAZIADEI, op. ult. cit., p. 289) che il disponente possa essere l’unico beneficiario del trust, pur se non manca chi (cfr. M. LUPOI, op. ult. cit., p. 5) evidenzia come siffatti trusts «sforzino fino al limite i principi giuridici dell’istituto» e, nella prassi, siano in definitiva rari. L’impostazione dottrinale che pare prevalente esclude, invece, l’ammissibilità dell’autodestinazione (cfr. R. QUADRI, op. cit., p. 1735-1736 e 1755; G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei Registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, p. 334; A. MORACE PINELLI, op. cit., p. 246-247; S. MEUCCI, op. cit., p. 162; A. GAMBARO, «Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui», in Trusts, 2007, p. 170-171; P. SPADA, «Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi …, cit., p. 124; F. GAZZONI, op. cit., p. 224-225; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 29). Con specifico riferimento all’autodestinazione posta in essere da soggetti incapaci cfr. in dottrina, per l’ammissibilità, A. DI SAPIO, «I trust interni autodestinati: misura negoziale complementare o alternativa alle misure legali di protezione delle persone prive di autonomia», in Trusts, 2010, spec. p. 26-27; M. MANULI, op. cit., p. 407-409; in senso contrario cfr. R. QUADRI, op. cit., p. 1735-1736 e 1755; L.F. RISSO - D. PARISI, «Trust istituito da un minore nel suo esclusivo interesse», in Trusts, 2009, p. 374 e ss., 377 e ss.; è un dato di fatto, però, che numerosi provvedimenti di volontaria giurisdizione abbiano autorizzato siffatte fattispecie di autodestinazione: Trib. Bologna - Giudice tutelare (decr.) 3 dicembre 2003, in Trusts, 2004, p. 254 e, quanto all’atto istitutivo, p. 477 e ss.; Trib. Grosseto - sez. dist. di Orbetello - Giudice Tutelare (decr.) 29-30 luglio 2008, in Not., 2009, p. 40; Trib. Modena - sez. dist. di Sassuolo - Giudice Tutelare (decr.) 11 dicembre 2008, in Trusts, 2009, p. 177 e 324; Trib. Modena - sez. dist. Sassuolo Giudice Tutelare (decr.) 27 maggio 2009, inedito e Trib. Modena (decr.) 18 novembre 2009, inedito; Trib. Modena - Giudice Tutelare (decr.) 11 agosto 2005, in Trusts, 2006, p. 581 e 635; Trib. Bologna - Giudice Tutelare (decr.) 23 settembre 2008, in Trusts, 2008, p. 631 e Trib. Bologna (decr.) 11 maggio 2009, in Trusts, 2009, p. 543. Per il dibattito relativo all’autodestinazione v. amplius S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione …, cit., p. 226 e ss. e 740 e ss., con ampia bibliografia.

(35) Questo potrebbe essere il tenore della clausola in questione: «Sono beni destinati ... anche i beni e diritti acquistati per mezzo di beni destinati o quale corrispettivo dell’alienazione o dell’impiego di beni destinati».

(36) Questo potrebbe essere il tenore della clausola in questione: «Nel caso in cui il gestore alieni beni destinati per realizzare il fine della destinazione, il corrispettivo dell’alienazione dovrà da egli essere reimpiegato senza indugio, detratto quanto necessario per far fronte alle spese correnti, nell’acquisto di altro bene idoneo a costituire oggetto della destinazione, pubblicizzando l’esistenza del vincolo su di esso nei modi previsti dalla legge a seconda della natura del medesimo».

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