Le clausole di revocabilità
- capitolo XVI -
Le clausole di revocabilità
di Saverio Bartoli
Avvocato in Firenze
e di Daniele Muritano
Notaio in Empoli
1. La cosiddetta ‘‘revoca’’ del negozio di destinazione da parte del disponente
A) Premessa
Com’è stato osservato(1), la dottrina tende ad utilizzare il termine ‘‘revoca’’ del negozio di desti- nazione con riguardo a due fenomeni fra loro affatto eterogenei, cioè - da un lato - la dichiarazione del disponente successiva a quella volta a porre in essere il negozio di destinazione e mirante ad impedirne il perfezionamento (o comunque, nel caso di testamento(2), l’efficacia ab initio), dall’altro lato la dichiarazione del disponente successiva a tale perfezionamento e mirante ad impedire l’ul- teriore esecuzione del negozio (e, dunque, a far cessare il vincolo di destinazione).
All’istituto della revoca nella sua prima accezione è dedicata la successiva lettera B), mentre nella sua seconda accezione(3)esso viene esaminato nella successiva lettera C).
B) La revoca che impedisce il perfezionamento (o comunque l’efficacia ab initio) del negozio
Nel caso di negozio testamentario, la revoca del medesimo sarà possibile al disponente in ogni tempo, ex art. 587 primo comma c.c. (4)
Quanto poi al negozio di destinazione inter vivos, occorre premettere che, secondo un autore(5), la norma di riferimento dovrebbe essere l’art. 15 primo comma c.c., dettato in tema di fondazione: da tale premessa detto autore desume, pertanto, che il disponente (in virtù - parrebbe - dell’appli- cazione analogica della norma sopra citata) potrebbe revocare il negozio di destinazione finché non sia iniziata l’attività del gestore volta a dare esecuzione al medesimo.
Com’è stato osservato(6), però, la suddetta operazione ermeneutica appare di dubbio fondamento, anche in considerazione del fatto che non è affatto pacifico(7)che la “meritevolezza” degli interessi da realizzare richiesta dall’art. 2645-ter c.c. coincida con quelle finalità di interesse pubblico che, almeno tradizionalmente(8), sono richieste in tema di fondazione.
Sembra pertanto preferibile ritenere, facendo leva su principi di ordine generale, che il tema della revoca del negozio in esame sia intimamente connesso (così come, in pratica, afferma la dottrina dominante) a quello della sua struttura contrattuale o meno(9).
Ove ci si ponga nell’ottica del negozio unilaterale, vi è chi ha ritenuto(10)(sostanzialmente traendo spunto dall’art. 1411 secondo comma c.c.) che la revoca sarebbe possibile finché il beneficiario non abbia dichiarato di voler profittare di esso.
La tesi però non persuade(11), perché parrebbe deviare senza apparente ragione dai principi generali in tema di negozio unilaterale: una volta che la dichiarazione del disponente è stata emessa (se il negozio unilaterale ex art. 2645-ter c.c. non è recettizio) ovvero è giunta all’indirizzo del destinatario (se esso invece è, come pare più plausibile, recettizio(12)), il negozio parrebbe ormai, infatti, perfetto ed efficace (e, come tale, non revocabile dal disponente).
Appare pertanto preferibile la tesi di chi(13), sulla scorta dell’art. 1334 c.c., ritiene che in tal caso la revoca sia possibile solo finché la dichiarazione negoziale del disponente non sia giunta all’indirizzo del beneficiario.
Se poi ci si ponga nell’ottica contrattuale, e quindi si attribuisca alla dichiarazione del disponente la natura di proposta, si dovrà ritenere(14)che costui possa revocarla solo finché il contratto non si sia perfezionato secondo le regole generali di cui agli artt. 1326 ss. c.c.(15), fermo che dovrà previamente individuarsi(16)il soggetto avente il ruolo di controparte del disponente e, quindi, di destinatario della sua proposta.
C) La revoca che impedisce l’ulteriore esecuzione del negozio
Come si è osservato in altra sede(17), secondo il diritto inglese un trust non è revocabile dal disponente, salvo che costui si sia riservato nell’atto istitutivo, inserendo un’apposita clausola il potere di revocarlo.
L’eventuale esercizio del potere di revoca fa sì che il trust cessi di produrre i suoi effetti, sia pure ex nunc(18), e che il trustee debba trasferire i beni in trust al disponente ovvero, se egli sia deceduto, ai suoi successori mortis causa.
Appare dunque possibile inserire in un trust interno regolato dalla legge inglese una clausola secondo la quale il disponente può revocare il trust e, dal nostro punto di vista civilistico, essa parrebbe avere, alternativamente, natura di condizione risolutiva meramente potestativa ovvero di clausola prevedente un potere di recesso.
Né ostano all’inserimento di tale clausola nell’atto istitutivo ragioni inerenti al nostro ordinamento interno, per le ragioni che sinteticamente qui si espongono(19).
La condizione risolutiva meramente potestativa non ricade, per costante giurisprudenza(20), nel divieto posto, per quella sospensiva, dall’art. 1355 c.c., mentre la possibilità di prevedere un potere di recesso è sancita dall’art. 1373 c.c.
Nè il discorso muta nel caso in cui il trust interno revocabile abbia natura liberale: appare infatti plausibile ritenere che il tradizionale principio d’irrevocabilità della donazione (presente nell’art. 1050 del c.c. del 1865, ma espunto dall’art. 769 del c.c. vigente) non abbia più spazio nell’ordi- namento attuale e da ciò consegue la probabile ammissibilità, in un trust liberale, tanto di una condizione risolutiva meramente potestativa quanto di una clausola di recesso.
L’effetto irretroattivo della clausola di revocabilità, d’altro canto, appare conforme alle possibili implicazioni sia dell’avveramento della condizione risolutiva (vista la previsione dell’art. 1360 c.c.), sia dell’esercizio del potere di recesso (visto quanto prevede l’art. 1373 secondo e quarto comma c.c.).
Con riferimento all’atto di destinazione occorre, pertanto, chiedersi se sia ammissibile una clausola con la quale, come può accadere nel diritto inglese dei trusts, il disponente si riservi un siffatto potere di revoca: la risposta affermativa di taluni autori(21)merita di essere condivisa, per le ragioni sopra esposte in tema di trust interno.
Appare infatti difficilmente condivisibile (non essendo supportata da alcuna previsione normativa in tal senso) la tesi di chi(22), sia pure dubitativamente, adombra che il negozio (da tale autore visto come negozio unilaterale) possa esser revocato dal disponente anche dopo che il beneficiario abbia dichiarato di volerne profittare, così implicitamente ipotizzando che detta revoca sia possibile ex lege(23).
Non può, comunque, escludersi che un atto di destinazione revocabile a piacimento dal disponente sia fonte di problemi di diversa natura, analogamente a quanto potrebbe accadere per un trust interno revocabile.
È noto, infatti, che quest’ultima figura, denotando un persistente controllo del disponente sui beni vincolati (a dispetto di quanto esige, invece, l’art. 2 della Convenzione), corre il serio rischio(24)di essere riqualificata come mero mandato conferito al trustee (poiché affetta da simulazione relativa ovvero erroneamente qualificata dal disponente come trust) o, addirittura, di esser dichiarata nulla per simulazione assoluta, con ben immaginabili rovinose conseguenze sul piano non solo civi- listico, ma anche fiscale(25).
2. La cessazione dell’atto di destinazione per iniziativa unilaterale di soggetti diversi dal disponente
Se appare pacifico(26) che il negozio possa cessare per un’iniziativa unilaterale del beneficiario (il quale in sostanza manifesti la sua volontà di recedere e/o di rinunziare al diritto a suo tempo acquistato) se nel negozio viene inserita una clausola in tal senso, non è chiaro se un siffatto potere spetti al beneficiario anche in difetto di tale clausola, così come accade nel diritto dei trusts(27).
Nel silenzio al riguardo dell’art. 2645-ter c.c., non può escludersi la soluzione negativa, ritenendo dunque che il beneficiario, una volta acquisita la posizione beneficiaria (cioè una volta che, a prescindere dalla natura contrattuale o unilaterale che si voglia attribuire al negozio di desti- nazione(28), egli l’abbia accettata), non possa successivamente rinunziarvi(29).
Appare comunque evidente come la questione sia di scuola nei non infrequenti casi in cui il negozio abbia causa liberale e/o di mantenimento, essendo infatti improbabile che il beneficiario abbia interesse a prendere un’iniziativa siffatta.
Vi è anche chi ha ipotizzato(30), infine, che il negozio possa cessare ad iniziativa del solo gestore, se contenga una clausola in tal senso.
3. La pubblicità della cessazione dell’atto di destinazione nelle ipotesi esaminate in precedenza
Riterrei che, nelle ipotesi in esame, debba provvedersi alla pubblicità mediante un’annotazione a margine dell’originaria trascrizione dell’atto di destinazione, così come accade per l’avveramento della condizione risolutiva(31).
Non appare, infatti, possibile applicare estensivamente l’art. 2668 c.c., poiché le ipotesi di cancel- lazione della trascrizione da esso previste (domande giudiziali cui non segue una sentenza di acco- glimento; condizioni sospensive avveratesi; condizioni risolutive mancate; termini iniziali scaduti; contratti preliminari il cui effetto prenotativo viene meno prima della scadenza del termine ex art. 2645-bis terzo comma c.c.) sono difficilmente assimilabili a quelle qui in esame.
(1) S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, Milano, 2011, p. 352 e e ss.
(2) A patto - s’intende - che si ritenga ammissibile un atto di destinazione testamentario (sul relativo dibattito v. amplius S. BARTOLI, op. cit., p. 61 e ss). In senso contrario recentemente Trib. Roma 18 maggio 2013, inedito.
(3) Appare evidente come soltanto in questo contesto si ponga il problema dell’eventuale inserimento, nell’atto di destinazione, di una clausola di revoca- bilità dello stesso da parte del disponente. Per completezza, si evidenzia come esuli dall’indagine condotta nel testo il tema della revocazione ex artt. 800 e e ss., c.c. dell’atto di destinazione per ingrati- tudine o sopravvenienza di figli. Tale istituto (costi- tuente una peculiare ipotesi di revoca della donazione, prevista dalla legge: A. TORRENTE, La donazione a cura di U. Carnevali e A. Mora, in Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da A. Cicu - F. Messineo, Milano, 2006, p. 672 e e ss.), stante il tenore dell’art. 809, primo comma c.c. parrebbe applicabile (S. BARTOLI, op. cit., p. 357-358; G. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, p. 147) all’atto di destinazione avente causa liberale (e, dunque, natura di donazione indiretta: S. BARTOLI, op. cit., p. 60-61) e non ricadente fra quelli che l’art. 805 c.c. dichiara esenti da detta revoca. Esso produrrà, rela- tivamente ai beneficiari ed agli eventuali loro aventi causa, quegli effetti che sono descritti negli artt. 807, 808 c.c., 2652 n. 1 e 2690 n. 1 c.c. Parimenti estraneo all’indagine condotta nel testo è il tema dello “scioglimento” dell’atto di destinazione in virtù dell’accordo in tal senso fra i soggetti coinvolti nel negozio (si ricorda che nei trusts regolati dalla legge inglese, per effetto della regola Saunders v. Vautier, lo scioglimento anticipato e` possibile, invece, previo consenso dei soli beneficiari “absolutely entitled” (cioè titolari di diritti certi nell’an e nel quantum, pur se eventualmente sottoposti a termine iniziale) e capaci d’agire, essendo irrilevante la volontà del disponente e quella del trustee: cfr. S. BARTOLI, op. cit., p. 295-296). Tale accordo, secondo taluno, dovrebbe esser stipulato fra disponente, gestore e beneficiario [cfr. G. PETRELLI, «La trascrizione degli atti di desti- nazione», in Riv. dir. civ., 2006, p. 161 e ss., §§ 12 e 18; R. QUADRI, «L’art. 2645-ter c.c. e la nuova disciplina degli atti di destinazione», in Contr. impr., 2006, p. 1747-1749; C. FRATTA PASINI, «Il nuovo art. 2645-ter del codice civile (le preoccupazioni del mondo bancario)», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi …, cit., p. 63], mentre per altra opinione esso vedrebbe quali parti (pur quando esistesse un terzo gestore) solo il disponente ed il beneficiario [C. PRIORE, «Redazione dell’atto di destinazione: struttura, elementi e clausole», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi …, cit., p. 190-191; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006, p. 39; A. LANCIANI, «Vincoli di destinazione (art. 2645-ter c.c.). Redazione del contratto: problemi e possibili clausole», in Riv. not., 2007, p. 310- 311; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 260; A. GAMBARO, «Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui», in Trusts, 2007, p. 172-173, il quale precisa che, una volta deceduto il disponente, i suoi eredi non potrebbero stipulare tale accordo in sua vece, sì che il negozio potrebbe cessare solo per altra causa]; ritiene ammissibile una siffatta ipotesi di cessazione del negozio, pur senza precisare fra quali soggetti il relativo accordo debba esser stipulato, anche A. DI SAPIO, «Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.», in Dir. fam., 2007, p. 1297. Appare forse da preferire la seconda delle tesi esposte: se il consenso del disponente appare, infatti, postulato dalla sua generale legittimazione (espres- samente sancita dall’art. 2645-ter c.c.) ad agire nell’in- teresse della destinazione, non è sicura la necessità di quello del gestore, essendo egli interessato soltanto a ricevere comunicazione della stipula dell’accordo prevedente la cessazione anticipata del programma destinatorio (nello stesso senso cfr. A. GAMBARO, op, cit., p. 172). Non può, però, escludersi che finisca per prevalere la prima tesi, che in definitiva applica un principio (quello dello scioglimento per mutuo consenso ex art. 1372, primo comma, c.c.) desunto dal nostro diritto dei contratti. Resta il fatto che la presenza del gestore alla stipula dell’accordo prevedente la cessazione anticipata del programma destinatorio appare, se non necessaria, quanto meno opportuna: essendo egli titolare dei beni destinati, infatti, a seguito della cessazione del programma destinatorio dovrà ritrasferiti al disponente e, se non possa o voglia farlo, costringerà il quest’ultimo ad avviare nei suoi confronti un’azione di cognizione ordinaria ai sensi dell’art. 2932 c.c., volta a ottenere mediante sentenza l’attuazione coattiva del suo obbligo inadempiuto di trasferire.
(4) A. DE DONATO, Il negozio di destinazione nel sistema delle successioni a causa di morte, in AA.VV., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, a cura di M. Bianca, Milano 2007, p. 50.
(5) U. LA PORTA, «L’atto di destinazione di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.», in Riv. not., 2007, p. 1105.
(6) S. BARTOLI, op. cit., p. 353.
(7) In estrema sintesi, è discusso (per il relativo dibattito v. amplius S. BARTOLI, op. cit., p. 160 e ss.) se tale “meri- tevolezza” coincida con la mera liceità o se la norma richieda un quid pluris rispetto ad essa (quid pluris che, dai fautori di quest’ultima impostazione, viene però individuato in modo non univoco e per taluno - F. GAZZONI, Osservazioni, in AA.VV., La trascrizione dell’atto …, cit., p. 214 e ss. - coinciderebbe con l’interesse pubblico).
(8) Si deve ormai tener conto, infatti, dell’avvento dell’art. 1, terzo comma, del D.P.R. n. 361 del 2000, il quale per il riconoscimento delle fondazioni parrebbe accontentarsi della possibilità e liceità dello scopo: cfr. A. ZOPPINI, «Riformato il sistema di ricono- scimento delle persone giuridiche», in Corr. giur., 2001, p. 296; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 16-17; M. MAGGIOLO, «Il tipo della fondazione non riconosciuta nell’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.», in Riv. not., 2007, p. 1150-1151 e 1153; G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei Registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, p. 330. Nel senso, invece, che per le fondazioni continuerebbe ad esser richiesto, anche dopo l’entrata in vigore della norma citata, il perseguimento di un fine di pubblica utilità, M.V. DE GIORGI, «La riforma del procedimento per l’attribuzione della personalità giuridica agli enti senza scopo di lucro», in St. iuris, 2000, p. 501.
(9) In estrema sintesi (e tralasciando la peculiare ipotesi dell’atto di destinazione in cui beneficiaria è la Pubblica Amministrazione: per essa A. RUOTOLO, «Gli interessi riferibili a pubbliche amministrazioni», in AA.VV., Negozio di destinazione: percorsi …, cit., p. 296 e ss.; S. BARTOLI, op. cit., p. 76-77 e 84), l’atto di desti- nazione autodichiarato (cioè in cui disponente e gestore sono il medesimo soggetto) secondo un primo orientamento (cfr. F. GAZZONI, op. cit., p. 217 e 221-227; G. GABRIELLI, Vincoli di destinazione, cit., 334- 335; G. BARALIS, op. cit., p. 145-146; A. LANCIANI, op. cit., p. 293-294 e 310), avrebbe natura di contratto fra disponente e beneficiario. All’interno del detto orien- tamento, si discute poi in ordine alle modalità di perfezionamento del contratto in questione: se da un lato, infatti, vi è chi sostiene che esso si perfeziona secondo gli ordinari principi (cioè ex artt. 1326 e ss. c.c.) ovvero, laddove esso implichi obbligazioni per il solo disponente, ex art. 1333 c.c. (così G. BARALIS, op. cit., p.145-146), dall’altro lato vi è chi esclude in ogni caso la possibilità di un perfezionamento ex art. 1333 c.c. in quanto la natura liberale del negozio postu- lerebbe l’accettazione espressa del beneficiario (così F. GAZZONI, op. cit., p. 224, il quale opinabilmente esclude che il nuovo negozio possa esser privo di connotazione liberale). La tesi dominante ritiene, però, che il negozio di destinazione autodichiarato sia un negozio unilaterale (S. BARTOLI, «Riflessioni sul “nuovo” art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», in Giur. it., 2007, p. 1300-1301; A. MORACE PINELLI, op. cit., p. 224 e ss.; U. LA PORTA, op. cit., p. 1110-1111; R. QUADRI, op. cit., p. 1722-1724; G. PETRELLI, op. cit., § 3; 2; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 11-12). Quanto, poi, all’atto di destinazione prevedente un terzo gestore individuato dal disponente, ferma l’assoluta incertezza esistente in ordine alla situazione giuridica del gestore (ma appare plausibile ritenere che costui - se non gli viene conferito un mero mandato - divenga titolare, analo- gamente al trustee, di una proprietà strumentale all’attuazione dello scopo: per il relativo dibattito v. amplius S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione …, cit., p. 86 e ss.), si tende a ritenere che si tratti di un contratto fra disponente e gestore (R. QUADRI, op. cit., p. 1722- 1724; G. PETRELLI, op. cit., § 3; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 13 e 32). Per il tema della natura contrattuale o meno dell’atto di destinazione v. amplius S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 75 e ss.
(10) G. PETRELLI, op. cit., § 18; A. GENTILI, «Destinazioni patrimoniali, trust e tutela del disponente», in AA.VV., Atti del convegno Le nuove Forme di organizzazione del patrimonio. Dal trust agli atti di destinazione. Roma 28-29 settembre 2006, reperibile sul sito www.economia. uniroma2.it, § 6.1; A. MORACE PINELLI, op. cit., p. 227 e 260.
(11) S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 354.
(12) Sulla questione relativa al carattere recettizio o meno della dichiarazione del disponente, ove si ritenga che l’atto di destinazione sia un negozio unila- terale, cfr. S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 81 e ss.
(13) G. BARALIS, op. cit., p.146; C. PRIORE, op. cit., p. 186- 187.
(14) G. BARALIS, op. cit., p. 145-146; implicitamente G. PETRELLI, op. cit., p. § 18.
(15) Ma vedi anche nota 9.
(16) Nota 9.
(17) S. BARTOLI - D. MURITANO, Le clausole dei trusts interni, Torino, 2008, p. 49 e ss.; S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 354 e ss.
(18) M. LUPOI, L’atto istitutivo di trust, Milano, 2005, p. 46.
(19) V. amplius S. BARTOLI - D. MURITANO, op. cit., p. 50 e 33 e ss.
(20) Cass. n. 9840/1999, in Giur. it., 2000, p. 1161 e Cass. n. 2497/2004.
(21) G. PETRELLI, op. cit., § 18; A. LANCIANI, op. cit., p. 310- 311; G. BARALIS, op. cit., p. 146, che però ipotizza un effetto ex tunc di una siffatta revoca.
(22) A. DI MAJO, Il vincolo di destinazione tra atto ed effetto, in AA.VV., La trascrizione …, cit., p. 114-115.
(23) Cosi` come accade nel diritto dei trusts di taluni degli Stati degli USA, in cui vige una regola opposta a quella propria del diritto inglese, in quanto il trust è revocabile, salva contraria previsione dell’atto isti- tutivo: M. LUPOI, L’atto istitutivo di trust, cit., p. 45; ID., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008, p. 37.
(24) S. BARTOLI - D. MURITANO, op. cit., p. 50 e ss., per i quali - appunto - «Il problema posto dal trust revo- cabile … parrebbe, in realtà, essere di diversa natura. Occorre infatti a questo punto considerare due norme della Convenzione: da un lato l’art. 2, paragrafo primo, per il quale affinché possa parlarsi di trust occorre che i beni siano stati ‘‘posti sotto il controllo’’ del trustee (e che, pertanto, il disponente abbia perduto tale controllo); dall’altro lato l’art. 2, ultimo paragrafo, per il quale ‘‘il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà ... non è necessariamente incompa- tibile con l’esistenza di un trust’’. Dal combinato disposto di queste norme si evince pertanto che, se è lecito al disponente attribuirsi diritti e/o poteri da esercitare in relazione al trust da egli stesso istituito, tale fenomeno non può spingersi fino ad un punto tale che, nel caso concreto, possa ritenersi che egli non ha affatto perso il controllo sui beni in trust. Si entra così nella delicata e sfuggente tematica - che va risolta caso per caso e non può esser approfondita nella presente sede - relativa all’individuazione del discrimine fra controllo lecito e controllo illecito del disponente sul trust. In estrema sintesi, laddove nel caso concreto possa ritenersi che il disponente eserciti un illecito controllo sul trust, quest’ultimo corre il rischio di essere riqualificato in termini di mero mandato o, addirittura, di esser dichiarato nullo per simulazione, così in ambo i casi venendosi a vani- ficare l’originario intento negoziale del disponente. Tanto premesso ..., l’istituzione di un trust revocabile appare seriamente esposta al rischio suddetto, con tutte le implicazioni, sia civilistiche che fiscali, che ne conseguono. La plausibilità di una conclusione siffatta appare, del resto, suffragata dall’atteg- giamento assunto dalla nostra Amministrazione finanziaria in due risposte ad altrettanti interpelli. Nel primo caso, si trattava di un trust (denominato ‘‘Gli Aquiloni’’) in cui il disponente: a) rivestiva, altresì, l’ufficio di guardiano ed in tale veste era dotato di potere di veto su tutti gli atti di straordinaria ammi- nistrazione del trustee; b) poteva nominare o revocare i successivi guardiani; c) aveva il potere di impedire al trustee sia di accettare conferimenti in trust da parte di terzi, sia di sostituire i beni in trust, sia di variare gli investimenti o la struttura investitrice. L’Agenzia delle entrate, posta di fronte ad un negozio siffatto, con la sua risposta ad interpello del 24 settembre 2002 (in Trusts, 2003, p. 319: n.d.r.) ha ritenuto di dover riquali- ficare il trust come mandato con rappresentanza. In una seconda occasione, si trattava di un trust in cui il disponente: a) era altresì l’unico beneficiario; b) poteva revocare il trustee; c) aveva diritto alla totalità del reddito prodotto dall’unico bene in trust - rappre- sentato da una quota di accomandante in una Sas - senza che al trustee competesse discrezionalità alcuna al riguardo. Anche in questo caso l’Agenzia delle entrate, con la sua risposta ad interpello del 1 ottobre 2002 (in Trusts, 2003, p. 473: n.d.r.) ha riqualificato il trust come mandato con rappresentanza. Pur se taluni degli argomenti utilizzati dalle due summenzionate risposte ad interpelli appaiono non persuasivi [Non si comprende infatti, nel primo caso, perchè debba desumersi che il disponente non abbia perso il controllo sui beni in trust dal fatto che egli può nominare o revocare i guardiani. Analogamente, nel secondo caso la circostanza che il disponente possa revocare il trustee appare irrilevante...], esse ben testi- moniano quello che sarebbe il probabile atteg- giamento dell’Amministrazione finanziaria - e presu- mibilmente anche di un giudice civile - se posti di fronte ad un trust revocabile: in un siffatto trust, infatti, il controllo del disponente sui beni sarebbe ancora più marcato». L’Amministrazione finanziaria ha successivamente anche inasprito il suo atteg- giamento negativo nei confronti dei trust, ampliando oltre ogni ragionevolezza le ipotesi in cui, a suo avviso, il disponente conserverebbe il controllo dei beni in trust e dunque quest’ultimo sarebbe, in definitiva, fittizio: circolare dell’Agenzia delle entrate n. 61/E del 27 dicembre 2010 (in Trusts, 2011, p. 206 e ss.), la quale, sulla scia di quella (concernente l’emersione delle attività illecitamente detenute all’estero) n. 43/E del 10 ottobre 2009 (in Trusts, 2010, p. 104 e ss.), afferma quanto segue: «… sono da ritenere inesistenti in quanto interposte le seguenti tipologie di trust: - trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, gene- ralmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi; - trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario; - trust in cui il disponente (o il benefi- ciario) risulti, dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso; - trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando sé stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”); - trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attri- buzioni di patrimonio dal trustee; - trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indi- cazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato; - trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari; - trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati; - ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come indi- viduato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche sempli- cemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari». Per una serrata critica a detta circolare, D. MURITANO, «Le condizioni dell’Agenzia delle entrate per la rilevanza fiscale dei trust interni: osservazioni critiche», in Trusts, 2011, p. 263 e ss.
(25) Sul tema cfr. altresì M. LUPOI, Istituzioni …, cit., p. 37, 39, 69 e ss. e 187.
(26) G. PETRELLI, op. cit., § 18; A. LANCIANI, op. cit., p. 310- 311.
(27) Si veda, ad esempio, con riguardo al tema generale della rinunzia alla posizione beneficiaria successiva all’accettazione della medesima, la sect.10A della Trusts Jersey Law 1984, come modificata, da ultimo, nel 2012: «(1) Despite the terms of the trust, a beneficiary may disclaim, either permanently or for such period as he or she may specify, the whole or any part of his or her interest under a trust if he or she does so in writing. (2) Paragraph (1) applies whether or not the beneficiary has received any benefit from the interest. (3) Subject to the terms of the trust, if the disclaimer so provides it may be revoked in accordance with its terms». Cfr. altresì M. LUPOI, op. ult. cit., p. 43.
(28) Cfr. nota 9.
(29) Occorre comunque chiedersi se il negozio possa contenere clausole che “modulino” la facoltà di rinunziare, consentendo, ad esempio, una rinunzia o persino una “sospensione” temporanee. Queste facoltà potrebbero essere previste in un negozio di destinazione prevedente l’erogazione di redditi o altre utilità in favore di uno più beneficiari. Rinunzia e sospensione non vanno - a nostro avviso - confuse, perché producono effetti diversi rispetto al reddito tratto dai beni destinati: la rinunzia, infatti, fa sì che il reddito spettante al rinunziante muti la sua natura e divenga capitale (spettando, quindi, ai beneficiari di quest’ultimo); la sospensione determina, invece, un accantonamento del reddito, che rimane sempre destinato al beneficiario che ha esercitato tale facoltà.
(30) G. PETRELLI, op. cit., § 18.
(31) Nello stesso senso, con riferimento alla pubblicità dell’ipotesi di revoca del negozio da parte del disponente, G. BARALIS, op. cit., p. 155.
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