Le clausole di cessazione del vincolo
- capitolo XVIII -
Le clausole di cessazione del vincolo
di Saverio Bartoli
Avvocato in Firenze
e di Daniele Muritano
Notaio in Empoli
1. La scadenza del termine
L’art. 2645-ter c.c. prevede espressamente solo un’ipotesi di cessazione del vincolo, cioè la scadenza del termine.
L’art. 2645-ter c.c. si limita ad affermare che il negozio può durare, al massimo, per 90 anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria.
Appare sostanzialmente pacifico(1) che la norma debba esser interpretata nel senso che, se beneficiario è un soggetto diverso da una persona fisica, la durata massima del negozio sarà di 90 anni, mentre in caso contrario essa potrà, alternativamente, essere di 90 anni o pari alla durata della vita del beneficiario.
La scelta del legislatore, pertanto, appare analoga a quella effettuata nell’art. 979 c.c. in tema di durata massima del diritto di usufrutto, ricorrendo anche con riguardo al negozio di destinazione - com’è stato osservato(2) - l’esigenza di non ‘‘svuotare’’ la proprietà del suo contenuto economico in perpetuo, o comunque per un periodo lunghissimo.
Nel caso in cui il disponente abbia previsto una durata eccedente i 90 anni, pertanto, la clausola sarà affetta da nullità e, ai sensi degli artt. 1339 e 1419, secondo comma c.c., sarà sostituita di diritto dalla previsione imperativa contenuta nell’art. 2645-ter c.c.(3)
È stato inoltre ipotizzato(4) che, laddove il negozio non indichi durata alcuna, essa potrebbe essere fissata dal giudice avuto riguardo alle finalità del negozio, sì da evitarne la nullità: tesi, questa, che appare però opinabile(5) , non potendosi in alcun modo desumere dalla norma in esame l’esistenza di un siffatto potere giudiziale.
Un autore(6) si è, altresì, domandato che cosa accada nel caso in cui il beneficiario muoia prima della scadenza temporale della destinazione fissata dal disponente, ritenendo che i suoi eredi possano subentrargli nella titolarità della posizione beneficiaria, salvo che ciò sia incompatibile con l’assetto di interessi voluto dal disponente (cioè salvo che - in altri termini - la posizione beneficiaria debba ritenersi strettamente personale), nel qual caso la destinazione cesserà (parrebbe per impossibilità sopravvenuta).
L’autore citato fa, al riguardo, l’esempio del decesso del disabile beneficiario, affermando che esso comporterà la fine della destinazione salvo che si verifichi l’improbabile eventualità che il suo erede sia, altresì, disabile, e quello del decesso del beneficiario di un negozio di destinazione finalizzato allo svolgimento dell’attività di impresa, ritenendo che in tal caso la destinazione potrà senz’altro proseguire a vantaggio dei suoi eredi.
Com’è stato osservato(7) , la tesi dell’autore citato fissa un principio generale del tutto condivisibile, poiché all’evidenza spetta al disponente, nell’esercizio della sua autonomia privata, stabilire nel negozio se la morte del beneficiario comporti o meno la cessazione anzitempo della destinazione.
Si è altresì affermato(8) che non convincono del tutto, invece, gli esempi pratici utilizzati da detto autore per chiarire la propria tesi: nel caso della morte del disabile, infatti, il subentro del suo erede parimenti disabile parrebbe possibile solo se così abbia espressamente previsto il disponente (in tal modo escludendo che la posizione beneficiaria sia stata da egli attribuita al defunto intuitu personae); quanto, poi, al decesso del beneficiario di un negozio di destinazione finalizzato allo svolgimento dell’attività di impresa, a parte i plausibili dubbi sull’ammissibilità di un negozio siffatto(9) , la conclusione secondo la quale la destinazione proseguirebbe senz’altro a favore dei suoi eredi non appare generalizzabile, poiché da quanto previsto nel negozio stesso dal disponente ben potrebbe risultare il contrario.
Com’è stato osservato(10) , alla luce di quanto fin qui osservato, a prima vista il negozio di destinazione parrebbe differenziarsi dal trust anche in punto di disciplina della durata e sotto un duplice profilo.
Premesso infatti che, in base all’art. 8 § secondo lettera f della Convenzione de L’Aja 1 luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento(11) , è la legge regolatrice del trust a disciplinarne la durata, si potrebbe concludere nel senso che il negozio ex art. 2645-ter c.c.:
a. non può durare in perpetuo, a differenza di quanto è previsto per il trust da talune leggi regolatrici(12) ;
b. ha una durata massima la quale non può eccedere i 90 anni, mentre la durata massima dei trusts a tempo determinato varia a seconda della legge regolatrice prescelta, potendo essere sia inferiore che superiore a quella di 90 anni.
Con riguardo ai trusts interni, però, la prudenza parrebbe consigliare all’interprete una più meditata riflessione sulle suddette conclusioni.
Per quanto, infatti, sia diffuso il convincimento che sia possibile istituire un trust interno di durata eccedente i 90 anni o addirittura perpetuo semplicemente scegliendo per esso una legge regolatrice che lo consenta(13) , occorre evidenziare(14) come non possa escludersi che, sotto tale profilo, l’art. 2645-ter c.c. (la cui sopra esposta ratio appare animata da indubbie esigenze di ordine pubblico) si ponga quale nuova norma imperativa che anche un trust interno (visto il tenore dell’art. 15 della Convenzione) deve rispettare(15) .
2. Altre ipotesi di cessazione
La dottrina(16) ha individuato ulteriori cause di cessazione del vincolo, quali l’avvenuto raggiungimento o la sopravvenuta impossibilità del fine, l’avveramento di una condizione risolutiva, lo scioglimento per iniziativa unilaterale del disponente(17) , la revocazione ex artt. 800 e ss. c.c.(18) , lo scioglimento per iniziativa del solo beneficiario o del solo gestore(19) , l’accordo in tal senso fra i soggetti coinvolti nel negozio(20) .
Vi è stato anche chi(21) ha ipotizzato l’estinzione del vincolo per riunione ex post nel medesimo soggetto della qualità di disponente e di (unico) beneficiario.
Com’è stato osservato(22) , la tesi appare senz’altro condivisibile nel caso di negozio di destinazione in cui disponente e gestore concidono, mentre in quello prevedente il trasferimento dei beni vincolati ad un terzo gestore ciò parrebbe potersi affermare solo ove si acceda, a monte, alla tesi dell’inammissibilità di un negozio di destinazione in cui il disponente è, altresì, l’unico beneficiario (trattasi della cosiddetta “autodestinazione”(23) ), ovvero se, pur sposando la tesi contraria, la prosecuzione del programma destinatorio risulti incompatibile con il verificarsi di un evento siffatto(24) .
Vi sono poi autori che ritengono ammissibile la risoluzione del negozio per inadempimento del gestore(25) ovvero per eccessiva onerosità(26) .
Com’è stato osservato(27) , però, la risoluzione per inadempimento del gestore parrebbe da escludersi, perché una siffatta cessazione del vincolo finirebbe per ledere i beneficiari del medesimo(28) : in tali casi, pertanto, parrebbe ben più appropriato sostituire il gestore e richiedergli il risarcimento dei danni.
Per analoghe ragioni(29) parrebbe, altresì, da escludere la risoluzione per eccessiva onerosità: se quindi si verificano i presupposti di fatto indicati dall’art. 1467 c.c., appare più plausibile ipotizzare che il gestore possa dimettersi dall’ufficio e farsi sostituire da altro soggetto.
3. La pubblicità della cessazione del vincolo
La cessazione del vincolo dovrà essere adeguatamente pubblicizzata, in particolare nel caso in cui abbia a oggetto beni immobili.
Il tipo di formalità pubblicitaria dipenderà dalla configurazione originaria dell’atto di destinazione: esso potrebbe essere sorto come atto unilaterale, con coincidenza tra disponente e gestore o come atto con cui i beni sono stati trasferiti dal disponente a un gestore terzo per la realizzazione del fine di destinazione.
Sembrerebbe, inoltre, possibile che a seguito della cessazione del vincolo di destinazione i beni debbano essere trasferiti a terzi (ad esempio quando la destinazione serve a realizzare una liberalità).
In quest’ultimo caso la formalità pubblicitaria consisterà, quando il vincolo ha ad oggetto beni immobili, nella trascrizione da eseguirsi “contro” il gestore e “a favore” dei beneficiari.
Nel caso in cui, invece, l’atto non preveda il trasferimento del bene destinato a terzi, occorrerà pubblicizzare la mera cessazione del vincolo, da eseguirsi con la trascrizione “contro” il gestore e “a favore” del disponente in caso di destinazione prevedente il trasferimento dei beni a un terzo; e con l’annotazione nel caso di destinazione sorta mediante atto unilaterale.
Su quest’ultimo punto, va osservato che oltre a coloro che affermano che la cessazione del vincolo debba essere effettuata mediante annotazione a margine della trascrizione del negozio(30) , esistono anche opinioni secondo cui occorrerebbe, invece, cancellare la trascrizione(31) .
Pare invece preferibile la tesi per cui la pubblicità debba essere effettuata mediante annotazione a margine della trascrizione del negozio (nel nostro caso si tratterà della dichiarazione unilaterale, che sarà stata trascritta soltanto “contro” il disponente), così come accade per l’avveramento della condizione risolutiva(32) .
Non pare infatti possibile applicare estensivamente l’art. 2668, poiché le ipotesi di cancellazione della trascrizione in esso previste non sembrano assimilabili alla cessazione del negozio di destinazione.
Analogamente dovrà provvedersi per il caso di revoca della destinazione(33) .
(1) G. PETRELLI, «La trascrizione degli atti di destinazione», in Riv dir. civ., 2006, p. 161 e ss. § 6; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, L’atto notarile di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006, p. 33.
(2) G. PETRELLI, op. cit., § 6.
(3) G. PETRELLI, op. cit., § 6; R. QUADRI, «L’art. 2645-ter c.c. e la nuova disciplina degli atti di destinazione», in Contr. e impr., 2006, p. 1727-1728.
(4) R. QUADRI, op. cit., p. 1728.
(5) S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione del diritto di famiglia e delle persone, Milano, 2011, p. 185-186.
(6) R. QUADRI, op. cit., p. 1749-1750.
(7) S. BARTOLI, op. cit., p. 186.
(8) S. BARTOLI, op. cit., p. 186-187; G.M. RICCIO, L’art. 2645-ter del codice civile e la disciplina degli atti di destinazione, in AA.VV., Le unioni di fatto, il cognome familiare, l’affido condiviso, il patto di famiglia, gli atti di destinazione familiare (art. 2645-ter c.c.), in Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza, Trattato teorico-pratico diretto da G. Autorino Stanzione, vol. V, Torino, 2007, p. 493-494.
(9) Il tema non può essere approfondito in questa sede: si rinvia pertanto a M. MALTONI, «Gli atti di destinazione e l’attività d’impresa», in questa stessa opera; S. BARTOLI, op. cit., p. 172 e ss. e ampia bibiografia ivi citata.
(10) S. BARTOLI, op. cit., p. 187 e ss.
(11) D’ora in avanti, per brevità: la Convenzione.
(12) Per un’ampia elencazione di leggi che consentono la perpetuità di un trust cfr. M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 396-397.
(13) M. LUPOI, L’atto istitutivo di trust, Milano, 2005, p. 228-229 e 494; ID., Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, Milano, 2010, p. 125-126; G. PETRELLI, Formulario notarile commentato, vol. III, t. I, Milano 2003, p. 996.
(14) Cfr. S. BARTOLI, «Riflessioni sul “nuovo” art. 2645-ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust», in Giur. it., 2007, p. 1299 e nota 93 a p. 1304; S. BARTOLI - D. MURITANO, Le clausole dei trusts interni, Torino, 2008, nota 10 a p. 111, 201 e ss. e 237.
(15) Sulla generale questione dell’incidenza o meno dell’art. 2645-ter c.c. sulla disciplina del trust interno si rinvia a S. BARTOLI, «Gli effetti della ratifica», § 2.2, in questo stesso volume.
(16) G. PETRELLI, «La trascrizione …», cit., §§ 12 e 18; M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 38-39; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 260- 261; S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione …, cit., p. 358 e ss.
(17) Sul tema S. BARTOLI - D. MURITANO, «Le clausole di revocabilità», in questo stesso volume.
(18) Sul tema S. BARTOLI - D. MURITANO, op. ult. cit., nt. 3, in questo stesso volume.
(19) Sul tema S. BARTOLI - D. MURITANO, op. ult. cit., § 2, in questo stesso volume.
(20) Sul tema S. BARTOLI - D. MURITANO, op. ult. cit., nota 3, in questo stesso volume.
(21) A. LANCIANI, «Vincoli di destinazione (art. 2645-ter c.c.). Redazione del contratto: problemi e possibili clausole», in Riv. not., 2007, p. 310-311.
(22) S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione …, cit., p. 360- 361.
(23) Su questo tema cfr. S. BARTOLI - D. MURITANO, op. ult. cit., nota 34, in questo stesso volume; S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 226 e ss. e 740 e ss., con ampia bibliografia.
(24) Al fine di evitare che la coincidenza soggettiva disponente-gestore-beneficiario determini la cessazione automatica del negozio di destinazione, sarà opportuno inserire nell’atto clausole che espressamente disciplino tale eventualità. Ad esempio, laddove il disponente sia anche gestore e beneficiari siano il disponente medesimo e altro soggetto, si potrebbe prevedere che, se il disponente diviene altresì (ad esempio: per morte del terzo beneficiario) l’unico beneficiario, la destinazione rimanga “quiescente” per un certo termine, trascorso il quale, in mancanza di nomina di un gestore diverso dal disponente o di un ulteriore beneficiario in aggiunta al disponente, essa esaurirà i propri effetti. La clausola relativa alla necessità di nomina di un nuovo gestore potrebbe essere così formulata: «La destinazione esaurisce i propri effetti, inoltre, nel caso in cui, sopravvenuta la morte di ... (il beneficiario diverso dal disponente, n.d.r.), il disponente rivesta ancora l’ufficio di gestore e non provveda alla nomina di un nuovo gestore entro il termine di ... giorni da tale data». La clausola relativa alla nomina di altro beneficiario potrebbe essere così formulata: «La destinazione esaurisce i propri effetti, inoltre, nel caso in cui, sopravvenuta la morte di ... (il beneficiario diverso dal disponente, n.d.r.) il disponente non provveda alla nomina di un ulteriore beneficiario entro il termine di ... giorni da tale data». Si potrebbe prevedere, infine, onde evitare la cessazione del vincolo, che ferma restando la posizione di beneficiario del disponente, egli cessi automaticamente dall’ufficio di gestore. La clausola potrebbe essere così formulata: «Il gestore rimane nell’ufficio fino al verificarsi di uno dei seguenti eventi: a) ...; b) morte di ... (il beneficiario diverso dal disponente, n.d.r.)».
(25) A. GENTILI, «Destinazioni patrimoniali, trust e tutela del disponente», in AA.VV., Atti del convegno Le nuove forme di organizzazione del patrimonio. Dal trust agli atti di destinazione. Roma 28 – 29 settembre 2006, reperibile sul sito www.economia.uniroma2.it, § 5.2.
(26) A. LANCIANI, op. cit.., p. 307-308. In questo caso, ovviamente, sarebbe il gestore a poter risolvere il negozio.
(27) S. BARTOLI, «Riflessioni …», cit., p. 1305; ID., Trust e atto di destinazione …, cit., p. 349 e ss.; analogamente S. MEUCCI, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, nt. 364 a p. 501.
(28) Non a caso, del resto, l’art. 1 ultimo comma della legge di San Marino n. 43 del 2010 sull’affidamento fiduciario espressamente prevede che «Il contratto non è soggetto a risoluzione, salvo il caso di impossibilità sopravvenuta».
(29) S. BARTOLI, Trust e atto di destinazione …, cit., p. 361.
(30) Circolare Agenzia del territorio n. 5 del 7 agosto 2006, in M. BIANCA - M. D’ERRICO - A. DE DONATO - C. PRIORE, op. cit., p. 97 e ss.
(31) G. PETRELLI, op. ult. cit., § 12; G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei Registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, p. 339.
(32) G. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2007, p. 155 (con riferimento alla pubblicità dell’ipotesi di revoca del negozio da parte del disponente); S. BARTOLI, op. ult. cit., p. 363.
(33) Cioè con la trascrizione o con l’annotazione, secondo che la destinazione sia sorta con contratto o atto unilaterale.
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