Problematiche fiscali in materia di vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
- capitolo XIX -
Problematiche fiscali in materia di vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
di Daniele Muritano
Notaio in Empoli
e di Adriano Pischetola
Notaio in Perugia
1. Una premessa
Non ci si può approcciare alle problematiche fiscali afferenti la materia al vaglio senza aver sgomberato il campo da qualche possibile sovrastruttura ideologica o, se si vuole riguardare il tema in discussione da un punto di osservazione diverso e ri-costruttivo, se non si fondano alcune premesse concettuali che poi devono condurci gradualmente a trattare quelle problematiche, tentando, ovviamente, di rinvenire qualche soddisfacente soluzione.
In questa prospettiva appare evidente (ma per quanto detto sopra risulta anche estremamente utile e proficuo precisarlo sotto un profilo metodologico) che l’analisi condotta in queste note attiene solo alla fattispecie - per così dire - ‘pura’ di vincolo di destinazione, quella che cioè emerge dalla linee essenziali e dall’inquadramento stringato che dell’istituto ha fornito il legislatore ex art. 2645- ter c.c.
Soprattutto non ne costituiscono oggetto quelle fattispecie che - in una elaborazione almeno approssimativa fatta dello strumento giuridico al vaglio dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008 - vengono considerate ‘assimilabili’ (alla fattispecie ‘pura’), sia pure solo quanto al trattamento fiscale: intendendo qui riferirsi alle ipotesi - tutte definite dall’Amministrazione quale fattispecie integranti vincoli destinativi - della costituzione di un trust, della stipula di un negozio fiduciario, della costituzione di un fondo patrimoniale o della costituzione da parte di una società, di un patrimonio destinato ad uno specifico affare (ex art. 2447-bis c.c.).
Ma ciò, si badi bene, non perché non si riconosca che in senso lato e generico anche in dette particolari figure negoziali si possa verificare una destinazione vincolata ad una specifica finalità, quanto perché esse sono soggette - per espresso riconoscimento fattone dall’Amministrazione - a discipline, anche fiscali, affatto diverse tra loro, dovendo avere in giusta e debita considerazione qualificativa la specificità di ognuna di esse.
Basti pensare al trust e a quell’ “unica causa fiduciaria” che secondo l’Amministrazione giustificherebbe l’applicazione - quanto alle imposte indirette - dell’imposta sulle successioni e donazioni anche qualora l’atto istitutivo non comporti trasferimento di alcun bene o diritto (ad es. nel cd. trust ‘autodichiarato’).
O ancora basti pensare al cd. ‘negozio fiduciario’ e alla difficoltà di considerare che in un vincolo di destinazione ‘puro’ ex art. 2645-ter c.c. si riscontrino - sempre e in ogni caso - quelle stesse circostanze (il trasferimento o meno della titolarità dei beni e diritti attuati mediante siffatto negozio e la particolare natura dei beni e diritti oggetto di negoziazione fiuduciaria, oltre che la stipula di un ineludibile ‘pactum fiduciae’) che - sempre per quanto l’Amministrazione ritiene nell’ambito delle imposte indirette - conducono all’applicazione o meno di un’imposta (di successione e donazione) piuttosto che di altra (di registro), salvo a verificare se questa a sua volta sia dovuta in misura fissa o proporzionale.
Tutto ciò conduce a prendere le distanze dalle fattispecie ‘assimilabili’ (peraltro conclusivamente e talora tautologicamente già definite e disciplinate sul piano fiscale nella cit. circolare n. 3E/2008 cui qui si rimanda) e, al contrario, a concentrare la riflessione, sotto la prospettiva che qui ci occupa, solo sulla fattispecie che - abbiamo definito solo per convenzione - ‘pura’.
Ma un’altra premessa va qui necessariamente articolata, se si vuole garantire un approccio alle problematiche sul tappeto scevro da condizionamenti ideologici, dando per acquisiti almeno due principi (apparentemente chiari e condivisibili ma la cui pregiudizialità alle riflessioni che si svolgeranno di seguito non può essere messa in discussione pena il fallimento del loro stesso obiettivo), e cioè che:
1) il legislatore - anche a fini fiscali - deve aver pensato che l’effetto ineludibile di ogni vincolo costituito ex art. 2645-ter c.c. sia quello ‘destinativo’ o se si vuole ‘selettivo’ e non certo quello traslativo e/o costitutivo di un diritto (reale od obbligatorio che sia)(1): ciò che conta è ‘destinare’ determinati beni o diritti al perseguimento di finalità meritevoli (lucrando delle valenze assicurate dalla norma circa la non esperibilità delle azioni esecutive da parte di creditori ‘non legittimati’), e non trasferire o meno tali beni o diritti perché la destinazione si avvii a compimento. Il che, in particolare sul piano fiscale, si accompagna all’assoluta irrilevanza del patrimonio ’destinato’ o ’selezionato’, in quanto tale, all’interno dell’unico patrimonio generale di un determinato soggetto (disponente/conferente e/o un terzo titolare del bene o del diritto affetto dal vincolo destinativo), senza alcuna riferibilità ad un soggetto passivo di qualsivoglia imposta autonomo rispetto ai soggetti titolari del bene o del diritto vincolato, neanche ricorrendo ad una fantomatica ‘fictio iuris’ (come invece è accaduto per certi versi per il trust(2));
2) le imposte previste dal nostro legislatore nell’ambito della imposizione indiretta sono preordinate a colpire i ‘trasferimenti’ della ricchezza (e non la loro semplice ‘destinazione’ sia pure vincolata), salvo a verificare se tali spostamenti patrimoniali rinvengano la loro causa efficiente in fatti e/o circostanze che denotino la gratuità o la non-gratuità (se non la onerosità).
Infine si perdoni il taglio decisamente operativo del presente contributo che suppone (senza ignorarla, intuitivamente) la trattazione in altre sedi delle questioni teoriche ad esso connesse, ma che proprio per le problematiche che qui ci occupano è sembrato essere più congruo alla loro soluzione.
2. Il vincolo di destinazione e le imposte dirette
Il vincolo di destinazione produce un ‘reddito imponibile’ riferibile ad un soggetto passivo d’imposta?
Decisiva ai fini della soggezione alla imposizione diretta è la titolarità di redditi in qualche prodotti o collegati al vincolo.
Ora è evidente che se dal vincolo scaturisce soltanto l’impegno, nudo e crudo, per un soggetto (che ne sia proprietario o che lo diventi successivamente poco importa) di attuare e rispettare una certa destinazione impressa al bene (ad es. si destina un certo immobile a favore di un ente culturale come sede di un museo), non si produce alcun nuovo ’reddito’ né in capo al titolare del bene o diritto vincolato (che anzi subisce una limitazione nel godimento dello stesso) né in capo al soggetto beneficiario della destinazione vincolata. Infatti non tutte le situazioni di vantaggio anche economicamente apprezzabili costituiscono ‘reddito’ ai sensi del Tuir n. 917/86.
Si verificano i presupposti per la tassazione delle ‘utilità’ scaturenti dalla destinazione?
Diversa, intuitivamente, è la posizione - a fini fiscali - del soggetto beneficiario della destinazione per la tassazione delle ‘utilità’ che si possono ritrarre da un bene (specie se immobile) oggetto di vincolo. Pensiamo anche - e in particolare - ai ‘frutti civili’ di cui è capace il bene stesso (canoni di locazione o di noleggio di un bene di per sé già fruttifero prima del vincolo o che diventi fruttifero in seguito alla concessione in godimento a titolo oneroso).
In tal caso sarà determinante la qualifica del diritto vantato sul bene dal soggetto beneficiario della destinazione vincolata, di guisa che - se in una con detta destinazione - il beneficiario risulterà rispondere ai profili soggettivi di cui all’art. 26 del Tuir (è quindi il soggetto proprietario o titolare del diritto di enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale), dovrà assolvere innanzitutto alle imposte che colpiscono il reddito fondiario (come in ogni ordinaria ipotesi di titolarità immobiliare) e, se risulterà concesso in godimento oneroso il bene vincolato, anche a quelle sui ‘frutti’ percepiti.
Ma se il beneficiario della destinazione non fosse titolare di alcun diritto reale sul bene vincolato, ergo non resta che pensare che sia titolare solo di un diritto di credito (per il rispetto e l’attuazione della destinazione impressa dal destinante) o comunque di una situazione giuridica complessa ‘colorata’ da evidenti profili di ‘relatività obbligatoria’. In tal caso pare legittimo che le utilità scaturenti dalla concessione in godimento oneroso di un immobile (con destinazione vincolata) possano essere attratte a tassazione - a carico del beneficiario stesso - attraverso il meccanismo impositivo di cui all’art. 67 comma 1 lett. h, del Tuir che appunto colpisce - quale reddito diverso se realizzato da soggetto non esercente attività commerciale o professionale - appunto «i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall’affitto, locazione, noleggio o concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili …»(3).
Pare quindi evidente che nella figura negoziale che ci occupa - in riferimento ai redditi prodotti dai beni o diritti vincolati - l’opzione del legislatore fiscale è completamente diversa da quella espressa in relazione al trust, i cui redditi, come è noto, se i beneficiari sono individuati, sono qualificati ‘redditi da capitale’ e vengono ai medesimi beneficiari imputati in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 44 e 73 del Tuir; laddove, in mancanza di beneficiari individuati, i redditi sono imputati all’ ‘ente’ trust in quanto tale e sono soggetti ad Ires.
Alla destinazione vincolata è possibile ricollegare la generazione di plusvalenze imponibili?
Fatta la debita premessa che - intuitivamente - si potrà e dovrà argomentare in tal senso solo laddove la costituzione del vincolo destinativo comporti il trasferimento di beni e/ o diritti dal disponente a terzi e che essa avvenga a fronte di un ‘corrispettivo’(4)(non dubitandosi che la neutralità della causa giustificativo del vincolo ne sopporti anche una qualificazione in termini di onerosità e non di sola gratuità), la fattispecie non diverge da quelle ordinariamente ritenute imponibili.
Va qui solo precisato che la plusvalenza non discende certo dal tipo di destinazione impressa ma solo dal trasferimento del bene o diritto vincolato che si accompagni a quella destinazione e che pertanto - quanto meno per le persone fisiche o per la destinazione che comunque non afferisca un bene utilizzato in regime d’impresa dal destinante - la destinazione stessa, in sé, non potrebbe mai essere apprezzata quale presupposto generativo di plusvalenza imponibile.
Peraltro questa indubitabile assioma conosce, nel Tuir, una eccezione quanto ai beni utilizzati in regime d’impresa (diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa). Stabilisce infatti l’art. 86 comma 1 lettera c, del Tuir che genera plusvalenza imponibile la destinazione di siffatti beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa (società o ente commerciale), dovendo aver riguardo per computare la plusvalenza così generatasi (ai sensi del comma 3 art. 86) alla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni: in tal caso, pertanto, prescindendo dalla causa onerosa o gratuita della destinazione stessa.
Analogamente, ai sensi dell’art. 85, comma 2, del Tuir, verrà considerato ricavo (indipendentemente dalla percezione di alcun corrispettivo) il valore normale di beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa in quanto risultino soggetti ad una destinazione impressa dall’ imprenditore/disponente, estranea all’esercizio imprenditoriale.
E stesso regime si desume, quanto all’imposizione diretta del reddito d’impresa in generale, dall’art. 58 del Tuir a tenore del quale «Le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito anche se i beni vengono destinati … a finalità estranee all’esercizio dell’impresa».
Quale la prospettiva da cui riguardare il fenomeno destinativo in riferimento alla sfera patrimoniale del beneficiario della destinazione?
Sempre con riferimento alla imposizione di cui si discute, il beneficio destinativo di regola non costituisce fatto generativo di presupposto d’imposta.
Ma, anche qui, va fatto un distinguo.
Ciò perché il programma destinativo si potrebbero concludere con un’attribuzione a favore di terzi soggetti, che acquisiscano la titolarità di un bene o di un diritto medio-tempore soggetto a destinazione vincolata (pensiamo alla destinazione dell’immobile abitativo di proprietà di uno dei conviventi more uxorio ad abitazione comune e, una volta cessata la convivenza, o, verificatosi un certo evento, all’attribuzione dell’immobile a favore dei figli nati dalla loro unione).
Orbene, qualora l’attribuzione avvenga a favore di persone fisiche, nulla quaestio; ma laddove essa si perfezionasse a favore di soggetti operanti in regime d’impresa, va tenuto presente che costituiscono sopravvenienze attive (e quindi componenti reddituali positive) ex art. 88 comma 3 lett. b, del Tuir anche i «proventi … in natura conseguiti a titolo di contributo o liberalità».
Qualora pertanto l’attribuzione finale del bene già oggetto di destinazione a favore di tali soggetti possa essere qualificata - in senso lato - come ‘contributo o liberalità’ (e sempre tenendo in debito conto il fatto che l’utilizzo di dette espressioni da parte del legislatore fiscale non è fatto, come spesso accade, in forma e con valenza tecniche), non si potrebbe negare l’applicazione dell’art. 88 citato in una fattispecie così delineata.
3. Il vincolo di destinazione e le imposte indirette
Qual è il dato normativo rilevante per le imposte indirette?
Il tramite normativo della imposizione indiretta del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. è rappresentato, come noto, dall’art. 2 comma 47 del D.l. n. 262/2006 (convertito in legge n. 286/2006) ove si re-istituisce «l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001».
Senza questo anello di ricongiunzione non sarebbe stato possibile attrarre nell’alveo dell’imposta de qua la figura negoziale al vaglio.
E ciò nonostante tale ricostruzione normativa non appare del tutto soddisfacente, come meglio emergerà nel prosieguo delle presenti note, quanto allo scopo di fornire un’adeguata definizione del trattamento fiscale (soprattutto nell’ambito dell’imposizione indiretta).
Quali i criteri ‘dettati’ dall’Amministrazione finanziaria?
L’amministrazione finanziaria, con un documento di prassi improntato alla massima semplificazione (e proprio per questo non esente da critiche)(5)ha dettato taluni criteri - per così dire - ‘pratici’ per enucleare dal quadro normativo complessivo, in cui si è andata inscrivere la fattispecie qui in commento, quelle che essa ritiene le ‘linee-guida’ al fine di pervenire all’applicazione delle imposte indirette afferenti le varie forme di destinazione negoziale vincolata.
La summa divisio, operata dall’amministrazione, è incentrata sulla presenza o meno di effetti traslativi’: se tali effetti si producono, si graviterebbe nell’orbita dell’imposta sulle successioni e donazioni; se non si producono, si graviterebbe in quella dell’imposta di registro: e ciò in quanto - spiega l’amministrazione - la prima delle due imposte (sulle successioni e donazioni) presuppone un ‘trasferimento’ di beni e diritti.
Una critica ai criteri
Ma la disarmante semplicità del ragionamento dell’estensore della circolare n. 3E/2008 in effetti è piuttosto foriera di applicazioni deviate e devianti del dato normativo fiscale e soprattutto si arresta ad una prima elementare analisi di ‘uno solo’ degli effetti scaturenti da una fattispecie destinativa (qui ci riferisce solo a quella ‘pura’ in senso stretto come innanzi precisato e premesso), e cioè dell’effetto ‘trasferimento’. Non si precisa (né pare che ci si debba dare cura di precisare) se tale trasferimento debba essere quello tipico e coessenziale alla sua soggezione all’imposta sulle successioni e donazioni, e cioè un trasferimento in grado di generare per il beneficiario un arricchimento stabile e definitivo(6), o se al contrario possa essere anche un trasferimento solo ‘funzionale’ o strumentale all’attuazione del programma destinativo impresso dal disponente (apparendo intuitivo in questo secondo caso che non si possa attrarre nell’alveo dell’imposta di donazione un trasferimento che non arreca accrescimento patrimoniale a carico del soggetto sul quale grava anzi l’onere e l’impegno a dare esecuzione alla finalità destinativa).
Inoltre dal documento di prassi sopra ricordato e dagli orientamenti assunti in genere dall’amministrazione in sede di applicazione delle imposte indirette su atti destinativi ‘puri’ ex art. 2645-ter c.c. non viene nemmeno dato risalto al fatto che la tassazione del trasferimento (sia pure soltanto funzionale all’attuazione del programma destinativo) si aggiungerebbe (costituendone una inutile se non illegittima duplicazione(7)) alla ulteriore tassazione che colpirebbe il definitivo (e stavolta effettivo) trasferimento del bene (già soggetto alla destinazione impressa dal disponente) al momento in cui viene a compimento quel programma.
Si pensi all’ipotesi in cui venga trasferito da un soggetto a favore di altro soggetto (attuatore) un immobile, destinando i frutti civili ritraibili dalla sua utilizzazione onerosa a favore dei nipoti minorenni del disponente con contestuale previsione di un trasferimento a loro favore solo al raggiungimento della maggiore età del più giovane tra essi. È intuitivo che in tal caso l’attuatore non accede ad alcun arricchimento patrimoniale stabile e definitivo a suo favore, anzi assume solo l’onere e l’impegno di provvedere all’attuazione della destinazione; sicché l’unica disposizione oggetto di imposizione lecita e possibile sarebbe quella portante il trasferimento definitivo a favore dei beneficiari ‘finali’ (per adottare un’espressione cui spesso si ricorre nell’ambito dei trust).
A ciò aggiungasi che anche ragioni di ordine costituzionale (quali quelle legate alla capacità contributiva ex art. 53 Cost. che a sua volta è fondamento e giustificazione di ogni precetto normativo in campo fiscale) impediscono di ritenere legittima l’applicazione dell’imposta prevista dal TU n. 346/90 qualora il trasferimento a favore dell’attuatore abbia - come di regola ha - solo funzione e valenza strumentale alla esecuzione del disegno destinativo predisposto dal disponente e non faccia emergere alcuna potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento.
Né va sottaciuto che la permeabilità causale della fattispecie destinativa ex art. 2645-ter c.c. - pur a dispetto della sua assimilazione a fini fiscali ad altre fattispecie liberali o almeno gratuite - potrebbe lecitamente tollerare che la destinazione impressa dal disponente con correlativo trasferimento del bene vincolato avvenga nell’ambito di una fattispecie segnata da prevalenti o addirittura esclusivi profili di onerosità (come nell’ipotesi in cui il disponente si determinasse a costituire un vincolo destinativo a fronte di un corrispettivo o di una controprestazione richiesta all’attuatore); e nessuno dubita che in siffatta fattispecie l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni potrebbe configurarsi come un vero e proprio assurdo giuridico e fiscale, una sorta di ‘monstrum’ originato da una interpretazione meramente letterale del disposto di cui all’art. 2 comma 47 innanzi ricordato(8).
Quale la ‘giusta’ chiave di lettura?
Quanto sopra esposto induce, allora, ad adottare una chiave di lettura del dato normativo fiscale (e al contempo delle posizioni concettuali sostenute dall’Agenzia delle entrate) che tenga in debito conto il sistema fiscale complessivo (non ultime le istanze di rango costituzionale di cui si diceva) vuoi la specificità delle singole imposte da applicare volta a volta alla fattispecie in cui può articolarsi il negozio destinativo ex art. 2645-ter c.c., verificando sul piano degli effetti concreti se e quali imposte poter applicare.
Indicazioni ‘riassuntive’ per l’applicazione delle imposte indirette
In termini generali pertanto (e solo per serbare quel taglio operativo cui si è accennato nelle premesse di queste note) si può dire che nella fattispecie destinativa ‘pura’ ex art. 2645-ter c.c.:
a. in mancanza di un trasferimento a favore di chicchessia, e quindi solo con riguardo al vincolo destinativo impresso dal disponente, è dovuta l’imposta di registro in misura fissa ordinariamente prevista per gli atti privi di contenuto patrimoniale (articolo 11 della Tariffa, parte prima, allegata al testo unico concernente l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), nonché l’imposta ipotecaria in misura fissa, dovendo comunque procedersi alla pubblicità nei registri immobiliari del vincolo costituito sul bene (come coerentemente ritiene anche l’A.F. nella citata circolare n. 3/E e come più diffusamente precisa nella circolare n. 5/T del 7 agosto 2006 cui qui si rimanda); non sarà dovuta invece alcuna imposta catastale non verificandosi alcuna mutazione nella titolarità del bene (se immobile) o del diritto reale immobiliare ‘vincolato’;
b. in presenza di un trasferimento a favore dell’attuatore (sia pure al solo scopo di consentire l’attuazione della finalità destinativa impressa al bene o al diritto vincolati, ma senza ulteriore attribuzione a terzi beneficiari ‘finali’(9)), si ritengono dovute in ogni caso da parte dell’Agenzia delle entrate l’imposta sulle successione e donazioni (in riferimento al rapporto di parentela o di coniugio eventualmente esistente tra il disponente e il soggetto destinatario del trasferimento/ attuatore), nonché l’imposta ipotecaria e catastale secondo i criteri impositivi ordinari (laddove, come sopra si è rilevato, andrebbe verificato se effettivo arricchimento patrimoniale si è prodotto nella sfera giuridico-patrimoniale dell’attuatore e se il vincolo destinativo venga impresso nell’ambito di una fattispecie essenzialmente gratuita o essenzialmente onerosa, optando per l’applicazione dell’imposta di donazione solo ove quell’arricchimento si verifichi - e di regola non si verifica - e al contrario per l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa(10)ove si reputi che arricchimento non c’è stato in quanto il bene o il diritto vincolati sono stati utilizzati dall’attuatore solo per dare compimento alla destinazione impressa(11));
c. in previsione di un trasferimento ulteriore a favore dei beneficiari ‘finali’, l’Agenzia reputa che tale successiva attribuzione del bene o diritto vincolati è soggetta “ad autonoma imposizione, a seconda degli effetti giuridici, indipendentemente da ogni precedente disposizione” (laddove è intuitivo che tali effetti dovrebbero essere di certo incisi - ma essi soli! - con l’imposta di donazione in quanto si realizza proprio e solo in questa ipotesi il relativo presupposto, e cioè l’arricchimento patrimoniale stabile e definitivo dei beneficiari finali cui la sua applicazione è subordinata; restando dovute secondo gli ordinari criteri impositivi l’imposta ipotecaria e catastale).
(1) Sembra pertanto non potersi condividere quel pensiero di recente emerso nella giurisprudenza di merito (v. Tribunale di Reggio nell’Emilia 7-22 giugno 2012. Giudice estensore dr. Fanticini leggibile sul Web all’indirizzo http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/ archivio/7364.php) che invece considera coessenziale alla figura negoziale al vaglio l’effetto del trasferimento dal disponente ad altro soggetto del ben e/o diritto vincolato.
(2) Sul regime fiscale ex art. 73 del Tuir (approvato con D.P.R. n. 917/86), ove si statuisce che sono soggetti all’Ires i trust aventi o meno ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali v. P. COPPOLA, «La disciplina fiscale del trust in materia di imposte dirette: le difficoltà di conciliare le attuali soluzioni normative alle molteplici applicazioni dell’istituto», in Rass. trib., 2009, 3, p. 647 e ss.
(3) Nel senso espresso nel testo circa l’applicazione delle imposte dovute sulle utilità così realizzate nei confronti del beneficiario della destinazione (non titolare di diritto reale) cfr. L. DEL FEDERICO, «Trust interno e regime fiscale degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi del nuovo art. 2645-ter del codice civile», in Il fisco, 2006, 20, p. 3077 e ss; nonché A. VOZZA, «Il regime fiscale degli atti di destinazione (ex art. 2645- ter del codice civile)», in Il fisco, 2007, 14, p. 1-1976.
(4) Dagli artt. 67 e 68 del Tuir emerge con chiarezza che l’atto generativo di plusvalenza debba essere una «cessione a titolo oneroso» e che non esista plusvalenza tassabile in assenza di un «corrispettivo».
(5) Ci riferiamo alla circ. n.3/E del 22 gennaio 2008.
(6) Cfr. in dottrina per tutti G. GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008, p. 124 per il quale «l’accrescimento patrimoniale del destinatario o comunque un suo vantaggio apprezzabile d’identica natura è una componente necessaria della disciplina relativa al tributo, perché l’atto gratuito in tanto è tassabile - conformemente al testo normativo - in quanto determini un trasferimento di ricchezza, almeno nella forma di un’utilità percepibile ed economicamente significativa». Ecco la ragione per cui il comodato ‘gratuito’ - ad esempio - si ritiene di regola che esuli dall’ambito applicativo dell’imposta di successione e donazione cfr. sul punto Studio CNN n.168/2006T leggibile all’indirizzo http://www.notariato .it/Notariato/StaticFiles/Studi_e_approfondimenti/168.pdf; nonché G. GAFFURI op. cit., p. 126. Inoltre è bene ricordare come in dottrina (A. FEDELE, Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve delle successioni e donazioni diretto da P. Rescigno coordinato da M. Ieva, Padova, 2010, p. 596 e 611, che richiama L. GATT. L., La liberalità, I, Torino, 2002, p. 167 e ss.) si sottolinea che il concetto di ‘trasferimento di beni e diritti’ (rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di donazione) vada riferito non già ad un solo atto in se pure recante l’effetto traslativo, ma ad un complesso di effetti giuridici riconducibili alla nozione di attribuzione o di ‘effetto liberale’, che comportano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio e correlato decremento di un altro.
(7) Basta leggere l’art. 168 del Tuir (che esprime un concetto generale e comune ad ogni ambito impositivo) sul divieto delle doppie imposizioni: «La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi».
(8) Secondo autorevole dottrina (A. FEDELE, op. cit., p. 593 e ss.), la stessa previsione della categoria negoziale dei ‘vincoli di destinazione’ nell’ambito degli atti soggetti ad imposta di successione e donazione (operata dal comma 47 art. 2 cit.) risulterebbe incompatibile con qualsiasi ricostruzione della ratio di siffatta imposta e dei suoi presupposti; cfr. sul punto anche Studio CNN n. 58/2010/T approvato il 21 gennaio 2011 dalla Commissione studi tributari (estensori S. Cannizzaro - T. Tassani), reperibile sul web all’indirizzo http://www.notariato.it/ it/primopiano/studi-materiali/diritto-tributario-2.html.
(9) Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un atto di destinazione senza “beneficiari finali”, con il quale, cioè, un determinato bene viene vincolato per la realizzazione di uno scopo di tipo scientifico, culturale, caritatevole, assistenziale, ecc., e non sia previsto alcun trasferimento (finale) di ciò che residua dopo tale utilizzazione a favore di un soggetto diverso dal disponente.
(10) Né sarebbe plausibile l’applicazione di siffatta imposta di registro in misura proporzionale (magari con una delle aliquote previste dalla Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86) in quanto la detta imposta è soggetta anch’essa ai criteri fondamentali regolamentari del generale sistema impositivo fondato sul principio di capacità contributiva, di cui s’è detto nel testo; quindi in assenza anche qui di un ‘trasferimento’ che comporti incremento patrimoniale (sia pure stavolta a titolo oneroso) o comunque in assenza di prestazioni aventi contenuto patrimoniale, e quindi in presenza di un effetto di mera ‘segregazione’ del bene o del diritto vincolato (sia pure nell’ambito del patrimonio di un soggetto diverso dal disponente), si dovrebbe argomentare per l’applicazione della solo imposta di registro in misura fissa ordinariamente prevista per la registrazione di atti privi di contenuto patrimoniale (ex art. 11 della Tariffa), analogamente a quanto avviene in ipotesi di costituzione di un fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 167 c.c. senza ‘ulteriori’ effetti traslativi;
(11) Già dai primi commentatori della novella recata dal D.l. 262/2006 era stato ritenuto che in mancanza di alcun arricchimento patrimoniale non si possa ritenere applicabile l’imposta sulle successioni e donazioni, in quanto difetterebbe «una manifestazione di capacità economica, in assenza di un profilo traslativo», così D. STEVANATO, «La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni: prime riflessioni critiche», in Corr. trib., 2007, 3, p. 251. È stato altresì osservato dalla dottrina (S. ZAGÀ, «L’applicabilità ai vincoli di destinazione ed ai trust della (re)istituita imposta sulle successioni e donazioni», in Dir. prat. trib., 2010, 5, p. 2 - 1067 e ss.) che «deve ritenersi irrilevante, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, la circostanza che il vincolo di destinazione sia costituito su di un bene che rimane nel patrimonio del disponente (una sorta di vincolo di destinazione “autodichiarato”) ovvero che tale vincolo sia costituito nel patrimonio di un soggetto diverso dal disponente e, cioè, che il disponente trasferisca tale bene nel patrimonio di un terzo con contestuale apposizione sullo stesso di un vincolo di destinazione» e ciò in quanto «… la (re)istituita imposta sulle successioni e donazioni dovrebbe trovare applicazione soltanto nel caso in cui la confluenza dei beni oggetto di destinazione in un patrimonio separato sia funzionale al trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di determinati beneficiari diversi dal soggetto disponente, in quanto - si è detto - l’imposta di successione e donazione è dovuta esclusivamente sui ... trasferimenti di beni e diritti ..., ex art. 1, Tus ...».
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