Sottrazione di beni alla riscossione d’imposte e scelta del notaio in merito alla stipula dell’atto dispositivo. Una questione ancora da approfondire
- capitolo XX -
Sottrazione di beni alla riscossione d’imposte e scelta del notaio in merito alla stipula dell’atto dispositivo. Una questione ancora da approfondire
di Ernesto Briganti
Professore Ordinario di Diritto Privato Università degli Studi di Napoli “Federico II”
1. Atti dispositivi “fraudolenti” e (verifica della) condotta penalmente rilevante
La delicata posizione del notaio nei confronti degli atti di disposizione dei beni e della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte richiede ulteriori riflessioni e approfondimenti(1) , sollecitati dal preoccupante moltiplicarsi di sentenze(2) che statuiscono la fraudolenza dell’atto dispositivo (principalmente di quello costitutivo di un fondo patrimoniale) per quei soggetti che siano debitori di imposte (che la disposizione indica espressamente) nei confronti dello Stato, la cui rilevanza penale sembrerebbe configurarsi per il mero fatto della verifica oggettiva della contestuale presenza di debiti fiscali e del fondo patrimoniale. Occorre precisare che si tratta di un reato di pericolo concreto, benché il testo normativo non vi faccia espresso riferimento(3) .
Del resto da tempo si è aperto (per effetto di quelle pronunce), un vivace dibattito tra gli interpreti ‘laici’ e gli operatori del diritto i quali, nelle problematiche della pratica quotidiana, si trovano al cospetto della delicata scelta tra il ricevere l’atto dispositivo o il rifiutare la prestazione, paventando il rischio - più o meno fondatamente - di un (in)diretto coinvolgimento nella più ampia vicenda di rilevanza penale.
Il dibattito si è recentemente arricchito di uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato(4) nel quale si svolge una attenta disamina della questione indagata e si operano le opportune distinzioni con riferimento alla posizione del notaio e al possibile coinvolgimento del professionista, ai sensi dell’art. 110 c.p., nell’apporto del contributo ‘causale’ della sua opera ai fini della realizzabilità della fattispecie penale incriminatrice e, dunque, della sua punibilità, sia in termini penalistici, sia in termini (civilistici, di risarcimento del danno e) deontologici.
Soprattutto, da ultimo, alcune osservazioni e riflessioni - che vogliono indurre ad una più accorta rimeditazione della complessa questione - hanno incontrato, come vedremo meglio in seguito (infra, § 4), il convincente apporto argomentativo della recente giurisprudenza della Cassazione penale.
L’art. 11 del D.lgs. n. 74 del 2000(5) può, innanzitutto, suscitare non pochi dubbi di costituzionalità alla luce della verifica della tassatività(6) e della determinatezza della sua stessa formulazione, che «rende indefiniti e labili i confini della norma»(7) .
Invero, se la locuzione “atti simulati” non desta particolari difficoltà ricostruttive(8) (essendo chiara sia la nozione in termini giuridici, sia la sua inevitabile estensione anche a quella c.d. simulazione soggettiva che si esprime nell’interposizione fittizia di persona), la formula “altri atti fraudolenti” si presenta sufficientemente ampia e generica(9) se è vero che, da un lato, non riesce ad indicare quale sia la condotta concreta che impinge nel divieto e, dall’altro, lascia al giudice - nella registrazione della condotta penalmente reprensibile - una discutibile ed estesa attività di interpretazione che, anche alla stregua di un giudizio ex post(10) - ormai privo della prognosticità della valutazione che coinvolge in re ipsa l’attività notaio - rischierebbe di risolversi costantemente nel giudizio di colpe-volezza del disponente (ed in estensione, col senno di poi ed il ricorso all’art. 110 c.p., del notaio).
2. Fattispecie prevista dall’art. 11 D.lgs. n.74/2000 e modello di concorso di persone nel reato ex art. 110 c.p.
La fattispecie descritta dall’art. 11 dovrebbe, peraltro, adeguatamente comporsi con l’art. 110 c.p. in riferimento al concorso di persone nel reato, ed all’uopo sovviene il dubbio - sufficiente nelle trame penalistiche delle condotte a sollecitare lo svolgimento di più approfondite riflessioni stante il principio di non colpevolezza, espressione di civiltà giuridica e costituzionalmente garantito - sulla stessa applicabilità di questo modello alla condotta sanzionata da quella disposizione(11) .
L’art. 110 c.p. si presenta, invero, quale norma generale per estendere la punibilità anche a coloro che hanno, con il relativo apporto ‘causale’ (non importa qui distinguere se materiale o morale), contribuito alla realizzazione della condotta illecita, ampliando le condotte assurte alla soglia della rilevanza penale anche a quelle non espressamente previste dalla specifica norma incriminatrice e che, per ciò stesso, rischierebbero di rimanere prive di sanzione (cd. condotta atipica); rischio, peraltro, puntualmente evitato mediante il riferimento generale dell’art. 110 c.p.
Questo modello di contestazione penale non sembra, però, riproporsi per la condotta di cui all’art. 11 del D.lgs. n. 74/2000, se è vero che la norma, nel disciplinare (e sanzionare) espressamente e soltanto il disponente, autore dell’alienazione simulata ovvero degli atti fraudolenti, lascia intendere (con evidenza) che il legislatore, sebbene si sia prefigurato l’intervento (quale condotta insuperabile e necessaria per la realizzazione della fattispecie) di un ‘terzo’ (co-agente), che si rendesse acquirente ovvero (in qualche modo) assegnatario del bene fraudolentemente disposto, abbia tuttavia ritenuto di sanzionare esclusivamente il primo, confinando nella sfera dell’irrilevanza penale il contributo (si ribadisce: necessario) causale del secondo. In altri termini, l’art. 11 descrive puntualmente la condotta penalmente rilevante di uno specifico soggetto (di colui che compie l’atto dispositivo), qualificabile in termini di reato proprio(12) , sebbene la disposizione sia grammaticalmente riferita a ‘chiunque’: dalla piana lettura emerge con evidenza che per configurare la fattispecie incriminata, occorre essere ‘contribuente’, debitore di specifiche imposte e per un determinato importo minimo.
Dall’analisi della condotta necessaria, così come descritta dall’art.11, si evince che il reato in questione sia riconducibile alla categoria dei reati plurisoggettivi, i quali si qualificano in ragione del contributo causale altrui che si individua non quale mero aiuto e/o sviluppo ulteriore della condotta soggettiva, già di per sé integrante l’ipotesi di reato, bensì quale frazione di una più ampia fatti-specie la cui rilevanza penale prevede necessariamente il contributo di un altro soggetto (c.d. concorso necessario o reato necessariamente plurisoggettivo)(13) .
In assenza del contributo di un altro soggetto (nel caso specifico, dell’acquirente o dell’assegnatario), il reato, dunque, non si configura affatto.
Acquisizione pacifica nella dottrina penalistica, almeno nei profili di individuazione, è poi la distinzione tra reati plurisoggettivi propri e impropri, così differenziandosi le ipotesi in cui ad entrambi i soggetti coinvolti dalla condotta incriminata è contestata una responsabilità penale, con la conseguenza di assoggettare a pena tutti i co-agenti (associazione a delinquere, rissa, duello, ecc.), da quelle in cui il legislatore ritiene penalmente rilevante la condotta di un solo agente della condotta necessariamente plurima ai fini dell’integrazione del reato, escludendo dalla rilevanza la condotta dell’altro soggetto, pur necessario - si ripete ancora - ai fini della configurazione della condotta penalmente sanzionata.
Ebbene, l’art. 11, nel descrivere la condotta penalmente rilevante, si riferisce espressamente alle ‘alienazioni simulate’ e al compimento di ‘atti fraudolenti’, fattispecie che meritano - prescindendo qui dalla questione se anche i comportamenti materiali siano idonei ad integrare il reato(14) - il necessario contributo di almeno un altro soggetto (acquirente), affinché quel fatto penalmente rilevante si produca(15) .
Il reato di cui all’art. 11, in assenza di questo ulteriore apporto, non si registrerebbe neppure in termini concreti. Un’alienazione, quantunque simulata, senza acquirente ovvero un atto di disposizione fraudolenta senza un beneficiario sono un non-senso logico, prima che giuridico.
Il legislatore, nel descrivere la condotta penale, si riferisce all’alienazione, inevitabilmente configurando l’intervento dell’acquirente che, appunto, acquisti - sebbene simulatamente - il bene dal disponente, senza tuttavia procedere ulteriormente nell’estendere la sanzionabilità penale della condotta di quest’ultimo anche al contributo necessario di quello.
Sostenere la recuperabilità alla rilevanza penale anche di quest’ultimo costituirebbe una palese violazione dell’art. 25 Cost., come tale censurabile innanzi alla Corte costituzionale, perché si vorrebbe coinvolgere nella configurazione di un reato, senza la copertura della relativa disposizione incriminatrice, anche un’ulteriore condotta, là dove emerge - con evidenza - l’assenza di ogni intenzione del legislatore in tal senso.
In altri termini «la circostanza che la condotta, per quanto necessaria, non sia expressis verbis assoggetta a pena, sottintende una precisa scelta legislativa a favore dell’impunità; a ritenere diversamente, si finisce invero col disattendere il principio del nullum crimen sine lege»(16) . La legge intende punire soltanto colui che riveste la qualifica di contribuente ed a cui esclusivo carico si pone l’obbligo di non tenere la condotta vietata (il compimento degli atti dispositivi(17) ): soltanto il disponente è espressamente dichiarato punibile; non l’acquirente. L’interprete non è autorizzato ad estendere una sanzionabilità che il legislatore ha a suo carico espressamente escluso: osterebbero, primariamente, il principio ora riferito ed il complementare divieto di applicazione analogica nell’ambito penale.
Nondimeno, come si dice, la punibilità del co-agente, potrebbe rientrare in gioco allorché si procedesse a sanzionarlo mediante il ricorso al modello del concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p. In senso contrario si è obiettato, con argomentare che qui si condivide, che «[l]a soluzione negativa … pare la più adeguata, perché conforme al principio di legalità e basata su due solidi argomenti. In primo luogo sulla funzione incriminatrice ex novo che l’art. 110 del codice penale svolge nei confronti delle condotte atipiche, non potendo esso applicarsi alla condotta tipica del concorrente necessario (perché già prevista quale elemento costitutivo della fattispecie), trattandosi altrimenti di un’ipotesi di estensione analogica in malam partem dell’art. 110. In secondo luogo sulla voluntas legis di esentare da pena tali condotte, desunta dalla loro tipizzazione (seppur implicita, nel caso di specie) e dalla correlativa mancanza di una espressa sanzione»(18) .
3. La scelta del notaio in merito alla stipula e il rischio di un (in)diretto coinvolgimento nella più ampia vicenda di rilevanza penale
L’ipotesi ricostruttiva, che potrebbe apparire suggestiva, risulta peraltro confermata nei fatti dall’analisi delle vicende concrete che hanno interessato le decisioni giurisprudenziali sopra indicate, nelle quali è stata rilevata e sanzionata penalmente la sola condotta del disponente, in nulla estendendo - mediante il ricorso all’art. 110 c.p. - la condotta illecita al soggetto terzoacquirente simulato o fraudolentemente d’accordo nella realizzazione della fattispecie incriminata. Si possono vieppiù estendere le considerazioni, da un lato, al principio di libera disponibilità dei beni propri da parte di colui che risulta titolare della legittimazione a disporre, quale potere costituzionalmente garantito, e, dall’altro, all’obbligo del notaio di prestare il suo ministero ex art. 27 L.N., tralasciando ogni considerazione sulla pure incidente disciplina dell’azione revocatoria(19) . Servendosi del ricorso all’argomentazione per absurdum, tanto cara all’arte greca della retorica, aderire all’opinione secondo cui il notaio che fosse soltanto a conoscenza della ‘simulazione’ ovvero della ‘fraudolenza’ dell’atto a lui richiesto (senza che sia necessario dimostrare altresì il dolo specifico nel partecipare alla condotta illecita; dolo specifico espressamente richiesto per il soggetto agente(20) ) sarebbe per ciò stesso (o con probabilità elevatissime, che diventano insopportabili certezze nelle conclusioni che provassero ad ipotizzare l’automaticità della sua condanna) inevitabilmente coinvolto ex art. 110 c.p. nel reato di cui all’art. 11, perché si dimostrerebbe un apporto (di un contributo) causale che sarebbe, di contro, in re ipsa(21) significherebbe gravare il pubblico ufficiale di responsabilità, con le relative conseguenze penali, del tutto inaccettabili e prive delle sufficienti argomentazioni a sostegno di una sì grave conclusione.
Si potrebbe giungere, per continuare nel paradosso, che se quella qui contestata fosse la soluzione da accettare, si dovrebbe concludere che il reato di cui all’art. 11 - almeno ove la disposizione avesse ad oggetto diritti immobiliari - non potrebbe neppure configurarsi se è vero che il notaio, richiesto della stipula, mediante una mera attività di indagine della volontà delle parti (alla quale è tenuto ai sensi dell’art. 47 L.N.), riuscirebbe ad apprendere e, dunque, a ‘sapere’ la situazione in cui versa il disponente(22) ; con la conseguenza che egli dovrebbe sempre astenersi dal redigere l’atto per il quale avesse ricevuto espressa richiesta. Il reato di cui all’art. 11 - ove relativo a beni immobili - sebbene astrattamente configurabile, diverrebbe, dunque, impossibile in concreto: il notaio si dovrebbe astenere - pena il suo coinvolgimento (qui dato in ipotesi che, tuttavia, non si vuol concedere) nella più ampia condotta penale - dal redigere l’atto per il fatto stesso che, indagando la volontà delle parti, avrebbe appreso elementi sufficienti per venire a conoscenza che l’alienazione sia simulata e/o fraudolenta, impedendo conseguentemente la stessa configurabilità in termini concreti della condotta illecita.
Un simile argomentare collocherebbe il professionista nelle acque perigliose di Scilla e Cariddi ovvero, fuor di metafora, tra l’art. 47 L.N. e l’art. 11 in oggetto. Affermare che il notaio sarebbe coinvolto in un concorso ex art. 110 c.p. ogniqualvolta fosse (soltanto) a conoscenza (senza la dimostrazione dell’ulteriore dolo specifico(23) e della volontà partecipativa al disegno criminoso) della simulazione e/o fraudolenza dell’atto a rogarsi significherebbe pervenire a queste conclusioni: il notaio che roga l’atto per il quale, negli svolgimenti degli accertamenti processuali, non emergesse la dimostrazione della sua pregressa conoscenza degli elementi che qualificano la condotta penale del disponente, conseguirebbe di certo il risultato del mancato coinvolgimento penale, ma all’un tempo rischierebbe (con un rischio attuale e concreto) il rilievo deontologico di non aver adeguatamente indagato la volontà delle parti (rectius: del disponente); indagine che, qualora svolta (proprio questo potrebbe essere il rilievo contestato), gli avrebbe consentito (con quella certezza che il giudizio ex post consente sempre di conseguire), di apprendere della simulazione e/o fraudolenza e così di non procedere alla stipula del contratto. All’opposto, il notaio che avesse diligentemente svolto, ai sensi della legge notarile e nei profili deontologici, l’attività investigativa delle volontà, avrebbe senz’altro potuto acquisire la conoscenza di quegli elementi che l’art. 11 individua per la rilevanza penale della fattispecie, con l’inevitabile conseguenza del suo coinvolgimento, a titolo di concorso, laddove procedesse alla stipula dell’atto e per il fatto stesso della stipula(24) .
4. Necessità di sottoporre ad una più meditata verifica - anche alla luce del convincente apporto argomentativo della recente giurisprudenza della Cassazione penale - quelle conclusioni che sembrano ipotizzare una “automaticità” nella determinazione della condotta penalmente sanzionata, a titolo di concorso, del professionista che riceve l’atto dispositivo
Tali riflessioni incontrano il convincente apporto argomentativo della recente giurisprudenza della Cassazione penale(25) che, persistendo sulla necessità dell’accertamento anche dell’elemento psicologico del dolo specifico, esclude (espressamente censurandola) ogni automaticità deduttiva, nel senso della punibilità, di quei ragionamenti che nella mera verifica oggettiva della stipulazione di un negozio dispositivo ovvero nella mera commissione di un atto materiale provassero a individuare la configurazione della fattispecie penalmente rilevante di cui all’art. 11, così giungendo ad ipotizzare un dolo in re ipsa(26) .
Occorre, dunque, sottoporre ad una più meditata verifica quelle conclusioni(27) che sembrano ipotizzare un salto logico tra l’individuazione dei presupposti necessari alla configurabilità, a titolo di concorso, della responsabilità penale del notaio che redigesse l’atto pubblico di disposizione del bene (o dei beni) del contribuente-debitore (così apportando il necessario contributo causale alla configurazione del reato) e le conseguenze, in termini di punibilità in concreto, che si è creduto di poter trarre ovvero, quantomeno, per l’automaticità con la quale queste andrebbero rilevate al professionista alla mera registrazione oggettiva di quelli; si introdurrebbe nell’ordinamento giuridico, in maniera surrettizia (quanto inaccettabile), un’inversione dell’onere probatorio che sarebbe tanto più insopportabile quanto più si avverte la violazione dei principi generali di civiltà giuridica di un ordinamento democratico(28) .
Per un verso si afferma che «la fattispecie criminosa prevede … ai fini della punibilità che il notaio ‘sappia e voglia’» così specificamente individuando i due elementi fondanti la responsabilità penale: a) la ‘consapevolezza’ che: l’atto sia simulato o sia fraudolento; che sussista un debito tributario a carico del soggetto che aliena simulatamente o dispone fraudolentemente dei propri beni; che il debito sia riferito alle imposte indicate dalla disposizione; che esso sia superiore alla soglia di euro 50.000,00; b) la ‘volontà’ di contribuire con la propria condotta alla realizzazione dell’evento illecito ‘facendo proprio’ il fine dell’autore del reato.
Per l’altro verso, immediatamente in seguito, si afferma - così, almeno sembra, sovrapponendo i due elementi (consapevolezza e volontà) poc’anzi tenuti debitamente distinti, invocandosi una verifica sulla ricorrenza di entrambi - che «verosimilmente, per il notaio che ‘sa’, il volere ed il ‘contributo causale’ può ritenersi ‘in re ipsa’ nella stipulazione dell’atto notarile, salvo eventuali casi di coercizione (fisica e morale) della volontà del professionista».
La vicenda è estremamente delicata anche perché le conclusioni (che fin da ora si intende speci-ficare come non definitive) oltre ad evidenti incidenze negli sviluppi di una rinnovata politica del Notariato da svolgersi senz’altro alla stregua di un concreto interesse alla legalità sostanziale nell’attuazione degli interessi dei privati nell’orizzonte dell’ordinamento giuridico, si collocano sul crinale di elementi la cui individuazione specifica potrebbe ingenerare non poche problematiche.
E, tuttavia, l’automaticità con la quale si ritiene di coinvolgere, a titolo di concorso, il notaio(29) che ‘sa’ e per la sola circostanza che, sapendo, abbia proceduto alla stipula dell’atto, deve qui essere sottoposta a rilettura critica, là dove giunge a sovrapporre la ‘consapevolezza’ (il sapere) alla ‘volontà’ (e, dunque, al dolo specifico, che è elemento necessario per lo stesso agente, affinché possa essere incriminato), finendo per presumere (sic!) - piuttosto che sottoporre a serrata dimostrazione probatoria - l’intento del professionista di contribuire alla realizzazione del reato e per ritenerlo responsabile per (la sola e) l’oggettiva stipulazione dell’atto.
Il dolo specifico, espressamente richiesto e tutto da dimostrare per l’agente-contribuente, sarebbe invece presunto nel notaio che ‘sa’ e per il solo fatto che ‘sa’, sì da pericolosamente sovrapporre gli elementi della fattispecie incriminatrice, con lesione evidente del principio di legalità, costituzionalmente protetto e garantito(30) .
Senza considerare, poi, che i giudizi di simulazione e/o fraudolenza dovranno essere effettuati dal notaio con i fattori di cui dispone in una valutazione che, per un verso, sconta l’approssimazione (per quanto razionalmente controllabile) dell’anteriorità e, per l’altro, non beneficia degli ampi strumenti investigativi che avrà a disposizione il giudice nell’analisi ex post della vicenda concreta.
5. L’approfondimento della complessa questione - che evidentemente incide anche sugli sviluppi di una rinnovata politica del Notariato - può chiarire, nel fissare la soglia di rilevanza penale della condotta, che “l’automaticità” della valutazione va superata con un corretto giudizio sull’attività svolta dal professionista nella sua complessità, al fine di accertare quel necessario ulteriore elemento della volontà di partecipazione alla realizzazione della condotta illecita (dolo specifico)
Queste riflessioni, evidentemente, non vogliono essere intese come precostituenti, né porsi quali strumentalizzazioni interpretative per il ‘salvacondotto’ di ogni professionista(31) che, con la sua condotta attiva e propiziatoria, abbia finanche indotto la parte disponente a rendersi responsabile del reato del quale anch’egli finirebbe per rispondere a titolo di concorso, magari consigliando al soggetto, che a lui si rivolgesse, di porre in essere il divisato disegno criminoso. Vogliono, tuttavia, porsi quale punto di partenza, quasi come una provocazione, per (almeno) indurre più approfonditi pensieri relativamente a quell’automaticità nell’individuazione della condotta penalmente sanzionata del notaio, tali da consentire una più accorta rimeditazione delle divisate conclusioni ed evitare quella consequenzialità tra il ‘sapere’ del notaio - acquisito mediante lo svolgimento della sua corretta indagine professionale - e la responsabilità penale per aver proceduto alla stipula dell’atto dispositivo. D’altra parte, il riferimento al dolo specifico aggrava (o, meglio, sposta in avanti) l’individuazione della soglia di rilevanza penale della condotta, richiedendo l’art. 11 non soltanto la stipula di una alienazione simulata, ma anche la conseguita certezza che la medesima sia posta in essere «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte …» (dolo specifico).
L’auspicio è di promuovere una più accorta riflessione che alla (più volte indicata) automaticità della valutazione sostituisca un più specifico giudizio che valuti, nella sua complessità ed alla stregua dei concreti elementi di specificazione, l’intera attività posta in essere dal notaio nella vicenda dispositiva, al fine di verificare quel necessario ulteriore elemento della volontà di partecipazione alla realizzazione dell’evento illecito. Verifica che non si ritiene possa esaurirsi nella oggettiva rilevazione della stipula di un atto, ancorché simulato.
(1) E. BRIGANTI, «Atti di disposizione dei beni e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. La posizione del notaio», Editoriale del Notariato, 2012, 6, p. 625 e ss.
(2) Cass. pen., 16 ottobre 2012, n. 40561, in Rass. trib., 2013, p. 277 e ss., con commento di G. D’ANGELO, «Costituzione di un fondo patrimoniale e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte», ove espressamente si qualifica la condotta in termini di reato di pericolo, sì che «la lesione del diritto di credito del fisco non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori»; Cass. pen., 25 giugno 2012, n. 37415: «il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è reato di pericolo eventualmente permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a mettere in pericolo l’adempimento dell’obbligazione tributaria»; Cass. pen., 4 aprile 2012, n. 21013; Cass. pen., 10 novembre 2011, n. 1843; Cass. pen., 29 settembre 2011, n. 42156; Cass. pen., 18 maggio 2011, n. 36290; Cass. pen., 5 maggio 2011, n. 23986; Cass. pen., 9 febbraio 2011, n. 19595; Cass. 27 ottobre 2010, n. 40481; Cass. pen., 10 giugno 2009, n. 38925; Cass. pen., 4 giugno 2009, n. 36838, in Dir. prat. trib., 2010, 651 e ss., con commento di F. SOLA, «La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte tra certezze normative e vacillazioni giurisprudenziali»; Cass. 22 aprile 2009, n. 25147.
(3) La dottrina è assolutamente concorde: per tutti, E. MUSCO - F. ARDITO, Diritto penale tributario, Bologna, 2013, p. 314; M. ROMANO «Il delitto di sottrazione fraudolenta di imposte (art. 11 D.lgs. 74/2000)», in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 3, p. 1007 (per i relativi riferimenti si rinvia a G. D’ANGELO, op. cit., p. 284 ed ivi nota 19), con la conseguenza che il giudice dovrà accertare la sussistenza, ai fini della configurazione della fattispecie criminosa, del verificarsi dell’eventopericolo; diversamente, quindi, rispetto a quelle ipotesi di reato di pericolo astratto e di pericolo presunto, figure che la dottrina penalistica ha contribuito ad elaborare.
(4) Approvato dalla Commissione studi civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 15 marzo 2012, n. 149/2012/C.
(5) L’art. 11, comma 1, D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”), espressamente dispone: «1. È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente e compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni».
(6) G. FLORA, «D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto a norma dell’art. 9 della L. 25 giugno 1999 n. 204” », in Leg. pen., 2001, p. 26.
(7) Così E. MUSCO - F. ARDITO, op. cit., p. 312 e ss. i quali osservano che «l’estrema indeterminatezza del sintagma normativo, tale da potervi includere ogni tipologia di atto che comporti un indebolimento delle garanzie patrimoniali del contribuente, rende indefiniti e labili i confini della norma tanto da far sorgere il dubbio circa la sua compatibilità con il principio di determinatezza della fattispecie».
(8) La simulazione è sia quella assoluta sia quella relativa; gli atti non devono necessariamente configurarsi come negoziali, essendo idonei anche gli atti meramente materiali (comportamenti e condotte). Cfr. Cass., 6 marzo 2008, n. 14720, nella quale la simulazione soggettiva viene considerata idonea a configurare gli “atti fraudolenti” previsti dalla norma in una fattispecie di vendita simulata mediante stipula di un apparente contratto di sale and lease back.
(9) Cfr., Cass. 16 maggio 2012, n. 25677: «la disposizione dell’art. 11 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che concerne il reato di sottrazione fraudolenta di beni al pagamento di imposte, nell’individuare la condotta illecita del reato contempla accanto a uno specifico atto, rappresentato dalla “vendita simulata”, un’ulteriore, non tassativa, serie di atti la cui illiceità appare risiedere nel carattere fraudolento degli stessi, intendendosi per atto fraudolento, nella terminologia del legislatore, ogni comportamento che formalmente lecito, analogamente alla vendita di un bene, sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio, di inganno o di menzogna concretamente idonea a conseguire l’evento del reato, ovvero comportamenti improntati ad astuzia o scaltrezza, tali da eludere le cautele e gli accorgimenti predisposti dalla persona offesa a tutela delle proprie cose». Provano a ridimensionare l’ampiezza semantica, se non la genericità e/o vaghezza concettuale della ‘fraudolenza’: G. FLORA, op. cit., che richiama una maggiore attenzione ai ‘parametri oggettivi’; G. D’ANGELO, op. cit., p. 278 e ss.
(10) Insistono, condivisibilmente, sulla necessaria valutazione prognostica della condotta che si pretende colpevole Cass. pen., 16 ottobre 2012, n. 40561, cit.; Cass. pen., 12 ottobre 2011, n. 46212; Cass. pen., 27 ottobre 2010, n. 40481.
(11) Cfr. E. BRIGANTI, op. cit., p. 626.
(12) Così anche F. SOLA, op. cit., 656.
(13) G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1996.
(14) E tralasciando altresì l’eventuale interpretazione di tutti quegli atti dispositivi unilaterali.
(15) Un’alienazione, benché simulata, senza l’acquirente ovvero una disposizione mediante atti fraudolenti senza un beneficiario, appaiono anche logicamente irrealizzabili.
(16) G. FIANDACA - E. MUSCO, op. cit.
(17) Elemento, peraltro, non sufficiente alla formulazione dell’incriminazione, dovendosi necessariamente provare altresì il dolo specifico del disponente; lo ribadisce da ultimo Cass. 16 ottobre 2012, n. 40561, cit., ove si sostiene che «non è mai stata affermata la superfluità di un’indagine dell’elemento psicologico, ossia della volontà dell’agente di sottrarsi al pagamento delle imposte che superino la soglia prevista, né si è mai ritenuto che bastasse la costituzione del fondo patrimoniale, in grado di recare pregiudizio alla garanzia, tanto da rendere in re ipsa il dolo richiesto».
(18) E. VAGNOLI, «Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte», in Rass. trib., 2004, p. 1317 e ss.
(19) E. BRIGANTI, op. cit., p. 627.
(20) Lo ribadiscono recentemente Cass. 16 ottobre 2012, n. 40561, cit.; Cass. 28 giugno 2012, n. 28567, in Notariato, 2012, p. 587: «al fine della configurazione del reato di fraudolenta sottrazione del bene al pagamento delle imposte previsto dall’art. 11 del D.lgs., n. 74/2000 non basta l’elemento oggettivo della simulazione della dell’alienazione dei beni, essendo necessario che detta simulazione sia posta in essere al fine specifico di sottrarre i beni alla procedura di riscossione coattiva delle imposte».
(21) Si crede di intendere qui nel senso che il notaio sarebbe coinvolto per il fatto stesso di essere nella condizione mentale di conoscenza e di aver proceduto alla rogazione dell’atto simulato o fraudolento.
(22) Salvo ad ipotizzare l’assoluta e completa reticenza delle parti al riguardo: evento tutt’altro che impossibile e/o peregrino nel concreto svolgimento dei fatti, ma che nondimeno si rivelerebbe di estrema (se non di insuperabile) difficoltà per il notaio in termini di riscontri probatori.
(23) Dolo specifico e attenta delimitazione degli elementi di specificazione dell’azione penalmente rilevante rappresentano il monito della dottrina: G. FLORA, op. cit.
(24) E. BRIGANTI, op. cit., p. 627.
(25) Il riferimento è ancora a Cass. 16 ottobre 2012, n. 40561, cit. della quale, per la chiarezza espositiva conviene riportare direttamente: «è necessario accertare che nell’operazione posta in essere sussistano gli elementi costitutivi del reato di sottrazione fraudolenta: il processo di merito deve individuare quali siano gli aspetti dell’operazione economica che dimostrino la strumentalizzazione della causa tipica negoziale o, se si vuole, l’abuso dello strumento giuridico, posto in essere al solo scopo di evitare il pagamento del debito tributario e quindi la sua portata fraudolenta»; pronuncia che poi, nella vicenda concreta, ritiene correttamente espletate la verifica della sussistenza del dolo specifico (sulla base di gravi e concordati fatti e circostanze provate nelle sentenze di merito) senza basarsi sulla mera rilevazione dell’atto dispositivo fraudolento.
(26) Prova a ridimensionare l’elemento richiesto della consapevolezza dell’imposizione tributaria e del debito fiscale, quale elemento integrativo del dolo specifico, G. D’ANGELO, op. cit., p. 278.
(27) Alle quali, invece - se non c’inganniamo - giunge il predetto studio del CNN in data 15 marzo 2012.
(28) Ancora avvalorati da Cass. 16 ottobre 2012, n. 40561, cit. ove si afferma come non sia «ipotizzabile l’inversione dell’onere della prova sul presupposto che la creazione del patrimonio separato (nella vicenda concreta si trattava della costituzione di un fondo patrimoniale) rappresenti di per sé l’elemento materiale della sottrazione del patrimonio del debitore». Solo apparentemente contraria, Cass. pen., 10 giugno 2009, n. 38925, cit.
(29) Peraltro, dal riscontro concreto di tutte le sentenze analizzate, non è mai emerso che il notaio che aveva stipulato l’atto dispositivo - che poi, in esito al giudizio, sarebbe stato giudicato fraudolento - sia mai stato coinvolto con la sua responsabilità civile, penale e/o (ancor più) deontologica.
(30) E. BRIGANTI, op. cit., p. 628.
(31) Sulla responsabilità del dottore commercialista rispetto al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, v. L. TROVER, «La responsabilità del professionista a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta: la Cassazione non scioglie i dubbi interpretativi», in Riv. dott. comm., 2004, p. 401 e ss.; L. TROVER - A. INGRASSIA, «Il nuovo delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte alla prova del Trust», in Riv. dott. comm., 2009, p. 370 e ss.
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