L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. - Presentazione
L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
Presentazione
di Guido De Rosa
Notaio in Bergamo
Poco più di sei anni fa, l’art. 39-novies della legge 23 febbraio 2006, n. 51, introducendo nel codice civile l’art. 2645-ter, ha sancito l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione, derivante dalla trascrizione di atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un arco temporale definito, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322 c.c. secondo comma.
I notai italiani hanno seguito con interesse il dibattito dottrinale, le decisioni della giurisprudenza di merito, le circolari dell’Agenzia delle entrate e del territorio, le riflessioni sui rapporti tra destinazione e trust, ricavandone una valutazione nel complesso positiva, ma condizionata da alcuni interrogativi sui “punti critici” per lo più derivanti da una normazione giudicata “incompleta”.
Prima d’ora la Commissione civilistica del Consiglio Nazionale non si era pronunciata, anche se la Fondazione del Notariato ha dedicato alla destinazione più di una iniziativa, e, con ogni probabilità tornerà ad occuparsene ben presto, anche in seguito alla diffusione di questo studio. La convinzione che è emersa nella Commissione più di ogni altra è che il Notariato fino ad oggi non abbia fatto ricorso alla destinazione (o ne abbia fatto ricorso in ipotesi assai limitate) più che altro per la mancanza di indicazioni attendibili e analitiche sui possibili ambiti di applicazione e sulle tecniche redazionali alle quali fare riferimento. Non pochi quesiti sono giunti all’Ufficio Studi sull’argomento.
Nella prima parte dello studio, la Commissione ha voluto fornire risposte ai quesiti più ricorrenti, analizzando (in modo sintetico, utilizzando una terminologia finalizzata alla comunicazione informativa):
- il significato del termine “destinazione”;
- il rapporto tra la liceità e la meritevolezza dell’interesse perseguito;
- le ricadute sul piano della validità e dell’opponibilità ai terzi;
- gli aspetti redazionali;
- l’attuazione dell’interesse perseguito.
La sinteticità delle risposte risponde, come s’è detto, ad un’esigenza di chiarezza e di facilitazione nella lettura, che trova un bilanciamento negli approfondimenti più analitici (saggi), contenuti nella seconda parte dello studio, ai quali si può fare riferimento per una ricostruzione più selettiva e argomentata di alcuni tra i temi di maggior rilievo. Ad essi accennerò, indicando autori ed argomenti, segnalando alcuni passaggi, rinviandovi alla lettura integrale.
Il Prof. Alcaro, dell’Università di Firenze, si è occupato degli effetti strumentali dell’atto di destinazione, sostenendo la non necessità di un trasferimento della proprietà, e occupandosi del “momento attuativo”, affermando che l’effetto della destinazione è indice essenzialmente del collegamento fra patrimonio e attività.
Il prof. Amadio, dell’Università di Padova, si è occupato di un delicato argomento, sul quale, in Commissione si sono avute contrapposizioni e discussioni animate: il rapporto tra liceità e meritevolezza, e le ricadute sull’attività notarile. Le sue conclusioni sono riportate in seguito.
Il Prof. Scognamiglio, dell’Università di Roma - Tor Vergata, ha trattato del peculiare rapporto esistente tra la destinazione e il principio generale di cui all’art. 2740 c.c. («il significato sistematico dell’introduzione dell’art. 2645-ter si coglie soprattutto ove si consideri … che, laddove tutte le tecniche di segregazione patrimoniale fin qui note all’ordinamento erano agganciate a schemi di interessi rigorosamente tipizzati, risulta ora rimessa all’autodeterminazione del disponente l’individuazione degli interessi da perseguire per mezzo di quelle tecniche») e della necessaria altruità dell’interesse (decisiva «la scelta normativa nel senso di attribuire la legittimazione ad agire per la realizzazione dello scopo, oltre che al destinante, anche a qualunque interessato»).
Il Prof. Macario, dell’Università di Roma 3, approfondisce da diversa angolazione ed in modo rigoroso il rapporto tra destinazione e 2740 c.c. soffermandosi sui rimedi giudiziari esperibili a tutela del creditore del disponente («In sintesi, se la vicenda della destinazione patrimoniale, così come più in generale degli affidamenti fiduciari, è osservata dal punto di vista della responsabilità patrimoniale, appare plausibile ritenere che le azioni invalidanti dell’atto non costituiscano lo strumento corretto da utilizzare per la tutela del creditore, mentre per altro verso si rivela l’irrazionalità della tutela invalidante dell’atto, così come si rivela irrazionale ritenere, in termini generali, vietate e dunque nulle le limitazioni della responsabilità concordate pattiziamente, in quanto pregiudizialmente ritenute illecite o contrarie all’ordine pubblico (non potendosi produrre l’efficacia reale, che le parti vorrebbero, in pregiudizio dei creditori), essendo invece più che sufficiente, ma soprattutto coerente con il sistema, limitarne gli effetti sul piano meramente obbligatorio»).
Il collega Prof. Fusaro (Università di Genova) si è occupato del rapporto tra destinazione e fondo patrimoniale, trattando, tra l’altro, il delicato tema della sovrapponibilità delle due figure («Invero la dottrina si trova divisa di fronte al quesito relativo alla sovrapponibilità del nuovo strumento al vecchio, assegnando all’atto di destinazione finalità tali da ricalcare quelle del fondo patrimoniale. A supporto della tesi più liberale si sottolineano le opportunità dischiuse da tale impiego, in ragione della maggiore flessibilità e rarefazione di regole imperative; in senso contrario, si dubita circa l’aggirabilità dei limiti legali, sia impiegando questo strumento laddove la legge non ne prevede alcuno (per i conviventi), sia ottenendo per suo tramite una protezione patrimoniale superiore rispetto a quella garantita dagli istituti tipici (per i coniugi), osservandosi che il negozio di destinazione non può essere strumento per eludere la disciplina legale né può trovare spazio nell’ambito di applicazione della figura tipica»).
I colleghi Krogh e Valeriani hanno analizzato le vicende modificative ed estintive del vincolo (presentando così l’ambito della loro indagine: «Da quest’angolo prospettico, è utile un’indagine diretta a verificare se i requisiti richiesti dall’art. 2645-ter per la nascita del vincolo di destinazione debbano essere attuali per tutta la durata del vincolo stesso, se sia possibile (e da chi) modificare il contenuto e la durata del vincolo, se sia possibile (e da chi) far cessare il vincolo stesso e con quali effetti nei riguardi del costituente il vincolo (che il legislatore definisce “conferente”), del beneficiario e degli altri terzi interessati. Occorrerà inoltre verificare quando e in che misura eventi esterni possano influire sull’efficacia del vincolo»).
La prof.ssa M. Bianca (Università di Roma “La Sapienza”) ha messo a disposizione un suo saggio, già pubblicato sulla Rivista di diritto civile, che è sembrato utile accludere nella conclusione dello studio.
I riferimenti bibliografici sono stati ripresi in una “bibliografia ragionata”, opera della prof.ssa Bianca (Università di Roma, La Sapienza) con la collaborazione del prof. Macario, nella quale i vari argomenti sono stati nuovamente messi in rilievo con l’indicazione dei testi e degli autori che li hanno sviluppati.
È sembrato utile, infine, proporre un riferimento esemplificativo, una minuta (estensore notaio Valeriani) nella convinzione che i notai sapranno farne buon uso, e comprenderanno che ogni fattispecie ha le sue peculiarità e che nessun “modello preconfezionato” riuscirà a sostituirsi alle valutazioni, alle scelte, ai suggerimenti che contraddistinguono la funzione di adeguamento.
Proprio la complessità di un adeguamento riferito ad una pluralità di fattispecie non omogenee, con indicazioni sul momento attuativo tutte da regolare nell’atto pubblico in assenza di riferimenti normativi dettagliati, ci ha convinto a proporre una minuta e a riflettere collegialmente in commissione su alcuni aspetti redazionali, avvalendoci del contributo di autorevoli docenti universitari.
Tutto ciò ha richiesto molto tempo, una serie di incontri nell’arco di due anni, nei quali sono inevitabilmente emerse sensibilità diverse e punti di vista non coincidenti.
È prevalsa, comunque, la volontà comune di dare risposte, spesso non facili, ma necessarie, specialmente in anni come questi in cui la crisi economica esalta la volontà di protezione del patrimonio.
Volontà comprensibile, ma non sufficiente ad incidere nei rapporti con i terzi, se non è collegata ad un interesse lecito, meritevole di tutela, che giustifichi - nei rapporti esterni - l’effetto segregativo.
Il punto di incontro nel quale la Commissione si è riconosciuta nel rapporto tra liceità e meritevolezza è stato efficacemente illustrato nel saggio del prof. Amadio le cui conclusioni sono qui di seguito riportate:
«Nell’avviare l’analisi, si è enunciata la convinzione che la meritevolezza ex art. 2645-ter non coincida con quella di cui all’art. 1322, cpv. E che, per tanto, la selezione degli interessi rilevanti ai fini dell’applicazione della prima norma, sconti il confronto con un criterio più restrittivo di quello della mera liceità, sufficiente all’operare della seconda.
Ciò potrebbe indurre l’interprete, e ancor più il notaio chiamato ad applicare lo strumento, a pensare che in tal modo esso veda limitata la propria sfera di applicazione, al tempo stesso imponendo un controllo di meritevolezza assai difficile da compiere preventivamente. E che viceversa, abbassando la soglia al livello della “non illiceità”, lo spazio così riconquistato dall’autonomia negoziale riconduca il ruolo del notaio entro confini più noti e rassicuranti. Non potendosi negare che la valutazione di non contrarietà alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, si fonda su parametri ben più sicuri e facilmente accertabili.
In realtà, quale che sia la tesi che si ritenga di assumere in ordine al criterio selettivo degli interessi meritevoli, in prospettiva notarile il dubbio decisivo attiene alle conseguenze dell’immeritevolezza (cioè di un esito negativo del relativo giudizio), e al soggetto cui tale giudizio dev’essere affidato.
Anche qui la disparità di opinioni è tale, che riesce difficile persino individuare un orientamento prevalente.
Volendo esprimere una sensazione, potremmo dire che l’alternativa che si è venuta delineando in dottrina, tra nullità dell’atto e mancato prodursi dei suoi effetti forti (opponibilità ai terzi e sepa-razione patrimoniale), può sciogliersi solo in base alla diversa accezione di meritevolezza, che si decida di accogliere:
- se la si identifica con la liceità, è pensabile (in suo difetto) un esito in termini di invalidità radicale dell’atto;
- se viceversa della meritevolezza si assume un significato pregnante sul piano assiologico [per cui anche un interesse lecito non può, per ciò stesso, ritenersi meritevole della tutela forte di cui alla norma in esame] l’esito negativo del giudizio inciderà non tanto sulla validità dell’atto, quanto sul prodursi degli effetti peculiari, in cui quella tutela si sostanzia.
Messe a confronto con la funzione notarile, le due prospettive conducono a esiti opposti, in ordine al ruolo, cui il notaio dovrebbe essere chiamato:
a. laddove il giudizio si traduca in una mera valutazione di liceità, esso potrà a ragione ritenersi ricompreso nel controllo di legalità dell’atto, cui il pubblico ufficiale è ordinariamente chiamato;
b. se viceversa della meritevolezza debba giudicarsi in termini di peculiare qualificazione dell’interesse sul piano etico-assiologico, resterà esclusa la possibilità di fondare tale giudizio
- o su un divieto espresso di ricevere l’atto che intenda realizzarlo,
- o sulla sua manifesta contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume, cioè sui normali indici di liceità dell’interesse medesimo.
In altri termini: se la meritevolezza si colloca (come in questa sede si sta ipotizzando) su un piano diverso e ulteriore rispetto alla mera liceità, quegli indici diventano inutilizzabili al fine di valutarla: ma per ciò stesso vengono meno gli unici parametri idonei (secondo l’opinione del tutto consolidata) a fondare una responsabilità del notaio, e a consentirgli, per converso, di rifiutare il proprio ministero.
Aver costruito quello sulla meritevolezza come giudizio più pregnante rispetto al controllo di liceità, consente, in definitiva, di escludere tanto la competenza del pubblico ufficiale a svolgerlo, quanto la possibilità di rifiutare il proprio ministero, in ragione di un suo esito negativo: la sussistenza di un interesse lecito, anche se “immeritevole” (nel senso che qui si è tentato di illustrare), sarà infatti sempre sufficiente a salvare la validità dell’atto, e la sua efficacia inter partes, anche se risulterà inidoneo a rendere la destinazione opponibile ai creditori (sub species di separazione patrimoniale) e ai terzi aventi causa.
E di questa inopponibilità il notaio (non come pubblico ufficiale, ma) in qualità di professionista, dovrà rendere edotto il disponente.
Esclusa dunque la competenza del notaio, e a maggior ragione quella dei conservatori (data la tassatività delle ipotesi di legittimo rifiuto di cui all’art. 2674, c.c.), un controllo pregnante di meritevolezza (come quello richiesto dalla tesi - qui suggerita - che non la identifica con la semplice liceità) va gioco forza affidato, come mostra di ritenere la prevalente opinione, al giudice.
Controllo necessariamente successivo, ma in ciò non diverso da analoghe valutazioni cui l’atto di autonomia privata è soggetto (si pensi, per tutti, all’esempio della frode alla legge)».
La Commissione ha unanimemente convenuto che si debba escludere l’applicazione dell’art. 28 della legge notarile (alla luce del dettato dell’art. 27 della medesima legge che impone la prestazione professionale al notaio) in tutte le ipotesi in cui l’atto di destinazione sia sorretto da un interesse lecito ancorché riconosciuto non meritevole di tutela in un successivo vaglio giudiziario.
Lo studio indica con chiarezza le aree di sicura applicabilità dell’atto di destinazione e prende posizione rispetto alle figure affini, in particolare rispetto al fondo patrimoniale (affermando l’applicabilità dell’art. 2645-ter c.c. per il perseguimento di interessi non coincidenti con “i bisogni della famiglia”, ma ad essi affini, quali quelli generati dalla convivenza, dal sostegno ai singoli componenti della famiglia, anche allargata, o agli interessi scaturenti dalla crisi del rapporto coniugale).
Lo affidiamo alla vostra lettura, consapevoli dei limiti, nella convinzione di aver dato un’indicazione di apertura, se si vuole di coraggio, utile non tanto al notariato, quanto al genuino e veritiero perseguimento di interessi che l’ordinamento sicuramente protegge.
N.B.: I “saggi” e la “bibliografia ragionata” citati nella presentazione dal not. De Rosa sono consultabili sul sito del Consiglio Nazionale del Notariato Banca Dati Notarile Angelo Gallizia – Studio n. 357/2012/C del 13 settembre 2012.
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