Formazione e tipicità del notaio. Da Giustiniano all’età della restaurazione
Formazione e tipicità del notaio.
Da Giustiniano all’età della restaurazione
di Giorgio Tamba
già Direttore Archivio di Stato di Bologna
Nel tema assegnato - la formazione del notaio in rapporto alla sua tipicità, così sciogliendo l’endiadi del titolo - ho il compito di tracciare le linee nel lungo periodo. Cercherò di sintetizzare, lasciando a Francesco Gibboni il grave compito di trattarne dall’unità d’Italia ad oggi.
L’inizio è, ovviamente, nella codificazione di Giustiniano. Avallando la prassi di ricorrere all’attività di scrittori esperti (tabelliones) per la stesura di atti di privati, Giustiniano ne aveva definito le caratteristiche: liberi professionisti, qualificati dall’appartenenza a una corporazione, un Collegio riconosciuto dallo Stato, ma non inserito nella struttura pubblica e aveva regolamentato le formule atte ad assicurare alle loro scritture una particolare credibilità in sede giudiziaria. L’accesso al Collegio, cioè alla professione, prevedeva la nomina ad opera di una autorità pubblica e la cooptazione da parte del Collegio(1). Poco si sa di come si formavano i tabellioni di Costantinopoli. Nel secolo IX sembra vi fosse una scuola interna al Collegio, che assicurava ai nuovi tabellioni una sufficiente base letteraria e giuridica e una buona abilità scrittoria. Ma la scuola non ha lunga vita e la formazione sarà presto solo per apprendistato(2). In Italia l’invasione longobarda del 568 spezza l’unità politica e avvia, anche per il notariato, un duplice percorso evolutivo. Nell’Italia bizantina - Ravenna, Roma, Napoli - restano i Collegi. Vi si accede per nomina dell’autorità pubblica e per cooptazione, che forse precede. La formazione è interna alla corporazione. A Napoli il notaio è il curialis e «si diventa curialis alla scuola di un curiale»(3). L’apprendistato consente di «apprendere tutto ciò che serve per scribere, complere, absolvere una charta. Questo si insegna, niente di più»(4). La formazione per apprendistato e successiva cooptazione da parte del Collegio è in uso a Ravenna e Roma, perché ciò che rileva è la congruità ai moduli scrittori e formulari del Collegio(5). Anche a Venezia, legata a Bisanzio, la formazione è per apprendistato, ma non c’è il Collegio. A Venezia i notai sono solo ecclesiastici fino al secolo XII e poi, in forte prevalenza, preti-notai, a tutto il secolo XV. Una soluzione che la dice lunga sulla insofferenza della Repubblica per qualsiasi corpo potesse limitare i poteri delle sue magistrature(6). Ma per la formazione dei preti- futuri notai, il tratto è simile a quello delle altre zone bizantine(7).
Nell’Italia longobarda non vi sono Collegi di notai e la stessa professione notarile si riduce moltissimo;
ma non scompare. Sopravvive perché i notai sono liberi professionisti. Restano, a qualificarli, il rapporto con l’autorità pubblica - la nomina regia o ecclesiastica, questa, a volte, forse, un semplice incarico - e, soprattutto, la scrittura e il formulario a sostegno della credibilità dei propri documenti(8). Scrittura e formulario che solo il rapporto con un notaio in attività poteva trasmettere(9). Due elementi che hanno sollevato perplessità e critiche impietose, per l’ignoranza del latino e l’arretrata scrittura(10). Critiche tutt’altro che infondate, ma tra IX e X secolo non sono solo i notai ad avere scarsa familiarità con la grammatica latina: si vedano, per credere, gli atti della cancelleria pontificia(11). Attilio Bartoli Langeli ha fatto peraltro notare che proprio la scrittura, brutta e sgrammaticata, era funzionale alla documentazione(12). Era uno strumento che dava credibiltà: come i segni di tabellionato con note tachigrafiche che forse pochi notai capivano, ma riprendevano e ripetevano per ancorare il proprio documento a tutti quelli che lo avevano preceduto e lo avrebbero seguito. Così come avveniva per le formule - tipo complevi et absolvi - riprese e ripetute, anche se non comprese nel loro significato originario e neppure atte a descrivere l’effettivo comportamento delle parti e dello stesso notaio. Servivano a dare credibilità al documento, scopo essenziale della professione notarile.
Ma questa ripetività, che avrebbe ingessato, oltre al documento, la stessa attività del notaio (com’è avvenuto per i curiali di Napoli) viene svuotata del suo più grave rischio dal carattere di libera professione connaturato al notariato. Il notaio vive del rapporto con i clienti e adatta gli instrumenta alle loro esigenze. Se si modificano le strutture sociali, economiche e politiche della società, il notaio modifica linguaggio e formule dei propri documenti. Capita un po’ ovunque, tra XI e XII secolo. Allora l’apprendistato presso un altro notaio non basta più e i notai, una parte almeno dei notai, integra la propria formazione con la frequenza di scuole: scuole d’arti, in cui si insegnano una grammatica più approfondita ed elementi di diritto e di retorica(13).
Il contatto con queste fonti di formazione, riscoperte e attualizzate, si traduce nella cosciente affermazione del proprio ruolo. Cambia la formula di sottoscrizione. Il notaio afferma di avere lui stesso, con la sua presenza, dato credibilità alla charta, senza necessità di atti particolari o di interventi
di altri(14). E cita la sua nomina dalla autorità imperiale in eleganti distici leonini(15). Esibisce le basi
culturali a sostegno della sua capacità di attestare con ampia credibilità le modifiche dei diritti delle
parti che a lui si sono rivolte. Elementi indispensabili ora che il notaio deve essere anche un esperto scrittore di documenti per il nuovo istituto che agisce di fatto nel diritto pubblico, il comune(16). E allora, scrivendo per il comune, muta linguaggio e inserisce formule atte ad evidenziare la disparità di ruoli: delle magistrature, che emanano un decreto o acquisiscono un bene per una utilità pubblica e del singolo, che al decreto deve conformarsi o alla proprietà del bene deve rinunciare(17).
L’affinamento della preparazione culturale dei notai trova nuove occasioni nella rinascita delle scuole di diritto. Avviene in vari centri, non solo italiani; ma del tutto particolare per intensità ed esiti finali è il rapporto che si crea nello Studio di Bologna.
Irnerio stesso suggerisce di aggiornare la formula del contratto di enfiteusi e i documenti mostrano che i notai bolognesi accolgono il suggerimento(18). E dalla scuola di Irnerio, dai suoi allievi, prende vita un formulario per i notai(19), un «supporto didattico - lo ha definito Roberto Ferrara - per coinvolgere i notai nella rinascita civile prospettatta da quei primi maestri, entusiasmati dal diritto giustinianeo»(20). Un formulario che non intende tuttavia aggregare i notai alla scuola di diritto, fucina di giudici, avvocati e dottori. La preparazione dei notai afferisce alle arti, che formano soprattutto maestri di grammatica e di retorica. Il corso d’arti è breve: due/tre anni, rispetto ai cinque/sei del diritto civile, e costa molto meno; ma è in grado di aprire una professione che offre occasioni di lavoro in costante crescita per numero e varietà.
In questo ambiente, agli inizi del secolo XIII, nella facoltà d’arti dello Studio di Bologna, nasce per opera di Ranieri da Perugia una vera scuola di notariato. La sua opera ha un titolo significativo, Ars notariae(21). Ars, un insieme di regole, con oggetto e finalità specifiche, rivolte all’intera attività dell’uomo, che gestisce i propri beni (paciscendo), li difende (litigando), ne dispone per testamento (disponendo)(22). La scuola di Ranieri ha successo: tanti gli allievi che la seguono e alcuni che la continuano(23). Vengono da altre città, come Bencivenne da Spoleto e il maestro di Arezzo, che con propri testi diffondono l’ars notariae nella interpretazione di Ranieri nell’Italia centro meridionale. Allievi bolognesi ne proseguono l’insegnamento nello Studio cittadino(24). Nomi noti: Salatiele, Matteo de’ Libri, Zaccaria di Martino e soprattutto Rolandino, la cui Summa artis notariae diventa nella seconda metà del secolo XIII il testo base di insegnamento e diffusione della nuova ars(25).
È un insegnamento che evolve, rispondendo alle nuove aperture all’attività dei notai, impegnati nelle cancellerie delle emergenti Signorie o attivi come procuratori legali. Due indirizzi, accolti e sviluppati dai due commentatori della Summa di Rolandino: Pietro Boattieri, che cura del pari ars notariae e ars dictaminis e Pietro d’Anzola, che privilegia la formazione strettamente giuridica dei futuri notai(26). Due indirizzi che convivono per tutto il secolo XIV, formando coloro che si dedicano all’attività negli uffici pubblici (ad acta), quelli che agiscono quali procuratori in causa (procuratores), quelli che scrivono per i privati (circha contractuum confectionem experti). E se, con l’età umanistica, l’attività nelle cancellerie trova propri centri di formazione, quella di procuratore legale resta un campo privilegiato per i notai: punto
di eccellenza della propria carriera, come avviene a Milano e a Genova(27); zona contesa, altrove, agli avvocati e ai loro collegi.
Per questi notai - procuratori o causidici - i testi di ars notariae nella loro più rigorosa impostazione giuridica possono essere un supporto di sicura efficacia. Ma esula da questo tema l’esame della diffusione di questi testi e dei corsi ad essa dedicati, attivati in vari centri italiani per iniziativa degli organi di governo locali o, a volte, dei singoli Collegi(28). Corsi che comunque formano, al più, una parte ristretta di notai, una élite, importante riferimento culturale, ma, appunto, solo una élite(29).
Per la formazione della gran parte dei futuri notai la sola pratica rimane l’apprendistato. A Milano, dove la professione notarile si articola in due, successivi livelli (pronotarius e notarius laudatus ad omnia) per l’ammissione all’esame che abilita al passaggio, oltre ai requisiti di moralità e fama, si chiede il tirocinio di due e poi cinque anni presso un notaio collegiato(30). A Venezia l’arte si impara nei cancelli dei notai in attività: prassi che nel 1632 il Senato avalla imponendo l’apprendistato di due anni presso un notaio veneto per accedere all’esame che apre la professione(31). Simile la situazione a Genova, ove i corsi di diritto civile, per i notai in attività e per gli aspiranti, istituiti dal Collegio alla metà del secolo XVI, restano a lungo sospesi(32). Una vicenda che si ripete in Piemonte(33), a Parma(34), a Roma(35), nel Regno(36). Anche a Bologna, nonostante il corso di ars notariae dello Studio cittadino e l’obbligo di seguirne le lezioni, imposto dagli statuti, la formazione dei notai, alla metà del ‘600, avviene in realtà tramite l’apprendistato, successivo all’esame che abilita alla professione(37).
Un mutamento avviene nella seconda metà del secolo XVIII, ma non per iniziativa dei vari Collegi notarili. Sono alcuni sovrani ad imporre agli aspiranti notai il possesso di un titolo di studio. È nota la normativa adottata in Lombardia(38), ma qui vorrei dedicare una breve attenzione a quanto avviene nel ducato Estense, traendo dagli ultimi studi che al tema ha dedicato Elio Tavilla.
Nel 1721 una relazione del podestà di Modena, Giuseppe Neri, al duca parla di “degenerazione” della professione notarile e ne attribuisce la causa alla scarsa preparazione dei tanti, troppi notai abilitati. La normativa emanata in risposta dal duca delude e il Muratori, che ha sott’occhio la situazione locale, denuncia, ancora nel 1749, «i garbugli e l’imperizia dei notai, origine di non poca parte delle liti nel Foro». Risposta diversa, tale da invertire realmente la situazione, è invece data da Francesco III. È incentrata sul Codice Estense, fonte normativa omogenea per tutto il ducato, in vigore dal 1771 e sulla riforma dell’Università, attuata nel settembre 1772. L’abilitazione alla professione fa ancora seguito
a un esame affidato al Collegio notarile della città, competenza da questo tenacemente difesa, ma tra i requisiti per l’ammissione è inserito l’attestato di frequenza nell’Università di Modena del corso annuale di Istituzioni civili, del corso biennale di Pandette e, dal 1773, del corso di Diritto patrio e Arte notarile. Norme riprese da Ercole III nella legge 7 marzo 1786, vero e proprio testo organico sulla professione notarile(39). E il numero di notai laureati negli anni finali del secolo, tra i quali Giuseppe Luosi, mostra l’efficacia della legislazione Estense.
Normativa questa, come quella di Milano, frutto di una chiara volontà riformatrice dei sovrani, ma spunti innovativi si trovano anche nelle leggi e codificazioni del Piemonte(40), Parma(41), Venezia(42); tutte peraltro travolte nel crollo dell’ancien règime.
Qualcosa tuttavia rinasce nelle leggi e nei regolamenti adottati nell’età napoleonica. Appare anche nei territori trasformati in dipartimenti francesi(43); ma è ben evidente nel Regolamento sul notariato del 17 giugno 1806 per il Regno d’Italia e proprio in merito alla formazione dei nuovi notai. In contrasto con la legge francese si chiede, quale requisito per l’esame di abilitazione, il possesso di un titolo di studio di grado universitario e si prescrive per l’esame una procedura articolata e rigorosa(44). Sono i due punti qualificanti delle precedenti normative della Lombardia ed Estense.
Nel Regolamento per il Regno di Napoli del 3 gennaio 1809, che in gran parte riprende quello del Regno d’Italia, anche per la procedura dell’esame, manca tuttavia tra i requisiti il titolo di studio universitario(45); mancanza dettata probabilmente dalla carenza di strutture universitarie adeguate. L’età della restaurazione vede riformarsi un variegato ventaglio di normative. Vi sono alcuni forzati ritorni al passato, di scarsa vitalità, come la rinascita dei Collegi, privi peraltro di ogni autonomia, cui si accompagna un diffuso, anche se non apertamente confessato, riconoscimento del valore della legislazione dell’età napoleonica(46). Nel Lombardo Veneto questa resta di fatto in vigore(47). In Toscana e nei Ducati emiliani influisce non poco sulle singole normative(48). E in questi Stati il possesso di un titolo di studio resta requisito essenziale per la formazione. Ma compare anche, seppure con minore entusiasmo e forti contraddizioni, nella legislazione Piemontese, Pontificia e del Regno delle Due Sicilie(49). Una situazione complessa, difficile da gestire e soprattutto da unificare per il nuovo Regno d’Italia. Ma su questa situazione e le soluzioni adottate cedo il testimone a Francesco Gibboni.
(1) M. AMELOTTI, L’età romana, in M. AMELOTTI – G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano, Milano, Giuffrè, 1975, p. 5-144, in part. p. 33-47.
(2) H.G. SARADI, Notai e documenti greci dall’età di Giustiniano al XIX secolo. I. Il sistema notarile bizantino (VI-XV secolo), Milano, Giuffrè, 1999, p. 43-49.
(3) G. CASSANDRO, I curiali napoletani, in Per una storia del notariato meridionale, Roma, CNN, 1982, p. 299-374, in part. p. 303.
(4) Ibid ., p. 354.
(5) G. RABOTTI, Notariato a Ravenna tra XI e XII secolo, in Studio bolognese e formazione del notariato . Atti di un convegno (maggio 1989), Milano, Giuffrè, 1992, p. 159-182, in part. p. 170-172; M.L. LOMBARDO, Il notaio romano tra sovranità pontificia e autonomia comunale (secoli XIV-XVI) , Milano, Giuffrè, 2012, p. 111-122.
(6) A. BARTOLI LANGELI, Il notariato veneziano nella storiografia, in Il notariato veneziano tra X e XV secolo. Atti del convegno di studi storici (Venezia 19-20 marzo 2010), a cura di G. Tamba, Sala Bolognese (BO), A. Forni, 2013, p. 1-12.
(7) F. PARCIANELLO, Documentazione e notariato a Venezia nell’età ducale, Padova, Imprimitur ed., 2012, p. 82-83.
(8) G. COSTAMAGNA, L’alto medioevo, in M. AMELOTTI - G. COSTAMAGNA, op. cit., p. 147-314., in part. p. 201- 204.
(9) Ibid ., p. 207-221.
(10) E. FALCONI, Lineamenti di diplomatica notarile e tabellionale, Parma 1987, p. 50-52.
(11) H. BRESSLAU, Manuale di diplomatica per la Germania e l’Italia, trad. it. di A.M. Voci-Roth, Roma 1998 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Sussidi, 10), p. 973- 974.
(12) A. BARTOLI LANGELI, Notai. Scrivere documenti nell’Italia medievale, Roma, Viella, 2006, p. 21-33.
(13) M. ZABBIA, Formation et culture des notaires (XI.e-XIV.e siècle), in Cultures italiennes (XII.e-XV.e siècle), direct. Isabelle Heullant-Donat, Paris, Les éditions du cerf, 2000, p. 297- 324.
(14) G. CENCETTI, «Il notaio medievale italiano», in Atti Società ligure sto. pa. , n.s., IV (1964), p. 14-15.
(15) H. BRESSLAU, op. cit., p. 1000-1001.
(16) A. BARTOLI LANGELI, Notariato, documentazione e coscienza comunale, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Tourbet e A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio, 1994, p. 264-277.
(17) G.G. FISSORE, La diplomatica del documento comunale fra notariato e cancelleria. Gli atti del Comune di Asti e la loro collocazione nel quadro dei rapporti fra notai e potere, in Studi medievali, s. III, 19 (1978), p. 211-244, in part. p. 224-230.
(18) G. ORLANDELLI, «Petitionibus emphyteuticariis annuendo. Irnerio e l’interpretazione della legge Iubemus (C. 1.2.14)», in Atti Accademia Scienze dell’Istituto di Bologna, Rendiconti, 71 (a. 1984), p. 51-66.
(19) Appunti e documenti per la storia dei glossatori. I. Il “Formularium tabellionum” di Irnerio , a cura di G.B. Palmieri, Bologna, F.lli Treves, 1892.
(20) R. FERRARA, «Ancora sul formulario pseudo- irneriano», in Atti e memorie Deput. sto. pa. prov. Romagna, n.s., 43 (1993), p. 43-61, in part. p. 51.
(21) Die Ars notariae des Rainerius Perusinus, heraus . L. WAHRMUND, Quellen zur Geschichte des römisch-kanonischen Prozesses im Mittelalter , III/2, Innsbruck 1917, neudr. Aalen, Scientia, 1962.
(22) G. ORLANDELLI, Genesi dell’ars notariae nel secolo XIII, in Studi medievali, s. III, I supplemento, Spoleto 1965, p. 1-38, in part. p. 27.
(23) ID., La scuola di notariato tra VIII e IX centenario dello Studio bolognese, in Studio bolognese …, cit., p. 23-59.
(24) ID., Documento e formulari notarili da Irnerio alla “Collectio contractuum” di Rolandino , in Notariado público y documento privado: de los orígenes al siglo XIV . Actas del VII Congreso Internacional de Diplomática (Valencia, 1986), Generalitat Valenciana, 1989, II, p. 1009-1036.
(25) Summa totius artis notariae Rolandini Rodulphini Bononiensis … , Venetiis, apud Juntas, 1546; rist. anast., a cura del Consiglio Naz. Notariato, Sala Bolognese (BO), A. Forni, 1977. Su Rolandino e la sua opera si veda, Rolandino e l’Ars notaria da Bologna all’Europa, Atti del convegno internazionale di studi storici (Bologna 9-10 ottobre 2000), a cura di G. Tamba, Milano, Giuffrè, 2002.
(26) G. ORLANDELLI, Boattieri Pietro, in Dizionario Bio. Italiani, X, Roma 1968, p. 803-805; L’opera di Pietro d’Anzola per il notariato di diritto latino. Atti del convegno di studi storici (Bologna - Anzola dell’Emilia, 6 ott. 2012), a cura di G. Tamba, Sala Bolognese (BO), A. Forni, 2014.
(27) A. LIVA, Notariato e documento notarile a Milano, Roma, CNN, 1979, p. 183-191; R. FERRANTE, «Il “governo delle cause”: la professione del causidico nell’esperienza genovese (XV-XVIII secolo)», in Riv. stor. dir. it., 62 (1989), p. 181-298.
(28) L. SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile nell’età moderna. L’esperienza genovese, Milano, Giuffrè, 1977, p. 170- 172.
(29) Un elenco, preciso e dettagliato, degli insegnamenti dell’ars notariae nelle Università degli Stati preunitari è in A. ANSELMI, Le scuole di notariato in Italia, Viterbo, tip. Agnesotti, 1926, p. 8-17.
(30) A. LIVA, op. cit., p. 160-178.
(31) A.M. PEDANI FABRIS, “Veneta auctoritate notarius”. Storia del notariato veneziano (1514-1797), Milano, Giuffrè, 1996, p. 63-65.
(32) G. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, CNN, 1970, p. 111-120.
(33) G.S. PENE VIDARI, Le città subalpine settentrionali, in Il notaio e la città. Essere notaio: i tempi e i luoghi (secc. XII-XV). Atti del convegno di studi storici (Genova, 9-10 nov. 2007), a cura di V. Piergiovanni, Milano, Giuffrè, 2009, p. 153- 202, in part. p. 167-169.
(34) A. ALIANI, Il notariato a Parma, Milano, Giuffrè, 1995, p. 84-87.
(35) M.L. LOMBARDO, op. cit., p. 114-131.
(36) A. LEONE, Il notaio nella società meridionale del Quattrocento, in Per una storia …, cit., p. 221-297, in part. p. 288-289; H. BRESCH, Il notariato nella società siciliana medievale, Ibid., p. 189-220, in part. p. 201.
(37) G. TAMBA, La società dei notai di Bologna. Saggio storico e inventario, Roma, Istituto Poligr. Stato, 1988, p. 99-100.
(38) A. LIVA, op. cit., p. 176-178.
(39) E. TAVILLA, Da notaio di città a notaio di Stato: la normativa nel ducato estense (secc. XVII-XIX), in Nella città e per la città. I notai a Modena dal IX al XX secolo . Atti del convegno di studi (Modena, 16 ott. 2010), a cura di G. Tamba ed E. Tavilla (Collana Dipart. Scienze giuridiche e Fac. Giurisprudenza Università di Modena e Reggio Emilia, 89), Milano, Giuffrè, 2013, p. 143-180, in part. p. 156-164.
(40) E. DURANDO, Il Tabellionato o notariato nelle leggi romane, nelle leggi medievali italiane e nelle posteriori specialmente piemontesi, Torino, f.lli Bocca, 1897, p. 209-217.
(41) A. ALIANI, op. cit., p. 9-17.
(42) M.P. PEDANI FABRIS, op. cit., p. 30-33, 66-67.
(43) F. MAZZANTI PEPE, Modello francese e ordinamenti notarili italiani in età napoleonica, in Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’unità, Roma, CNN, 1983, p. 21-231, in part. p. 60-164 (Repubblica ligure); A. ALIANI, op. cit., p. 20- 21 (Parma); L. SINISI, Sviluppo ed evoluzione degli ordinamenti notarili nell’Italia del XIX secolo dal decennio napoleonico all’unificazione, in Unità d’Italia e tradizione notarile. Relazioni storiche, Roma, CNN, 2012, p. 119-190, in part. p. 129-131 (Toscana e Roma).
(44) F. MAZZANTI PEPE, op. cit., p. 186-195. Un indirizzo simile appare nella legge relativa ai notari del Principato di Lucca, che si discosta dalla legge francese in «considerazione delle tradizioni giuridiche locali» anche in riferimento agli esami per accedere alla professione, L. SINISI, Sviluppo …, cit., p. 137.
(45) F. MAZZANTI PEPE, op. cit., p. 222-224; L. SINISI, Sviluppo …, cit ., p. 136.
(46) L. SINISI, Sviluppo …, cit., p. 146-181: inquadramento generale ed esame delle legislazioni dei singoli Stati, per le quali si veda anche la bibliografia citata nelle successive note.
(47) G. ANCARANI, L’ordinamento del notariato dalla legislazione degli stati preunitari alla prima legge italiana, in Il notariato in Italia … cit., p. 235-548, in part. p. 272-277.
(48) G. ANCARANI, op. cit., p. 290 (Toscana), p. 306-308 (Modena), p. 312 (Parma); E. TAVILLA, op. cit., p. 172- 177 (Modena); A. ALIANI, op. cit., p. 28-29 (Parma).
(49) G. ANCARANI, op. cit., p. 261 (Piemonte), p. 323-325 (Stato pontificio), p. 338 (Regno delle Due Sicilie).
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