Formazione e tipicità del notaio. Dall’unificazione nazionale ai nostri giorni
Formazione e tipicità del notaio. Dall’unificazione nazionale ai nostri giorni
di Francesco Gibboni
Notaio in Battipaglia
Premessa
Dopo il lungo periodo, tratteggiato magistralmente da Giorgio Tamba, tocca a me trattare gli ultimi
150 anni di formazione professionale dei notai, tentando una difficile sintesi, tale soprattutto per il tempo limitato riservatomi. E così, proprio per non perderne, passo subito ad indicare una summa divisio di riferimento che ritengo caratterizzi la formazione professionale del notariato italiano, estrinsecatasi essenzialmente in due momenti, specularmente corrispondenti a due diversi archetipi di «notaio» e «notariato», significativamente differenti tra loro, come vedremo, sia sotto il profilo ontologico/strutturale, sia sotto il profilo pratico/funzionale: un primo momento, relativamente remoto, decorrente dall’unificazione nazionale fino alla prima legge italiana sull’ordinamento notarile, del 1875; un altro, successivo, decorrente dalla legge di riforma del 1913 fino ai nostri giorni(1).
L’unificazione nazionale
Partendo quindi dal primo momento, va detto che l’unificazione nazionale non riverbera particolari effetti immediati sul notariato: i poco più di 7.000 notai in esercizio(2)- divenuti «italiani» nel 1861 come tutti gli altri cittadini del Regno - continuano a rimanere smembrati e ancora regolamentati, per ben quindici anni, dalle dieci diverse leggi preunitarie; leggi, quasi tutte (sola eccezione la Repubblica ligure) variamente ispirate, più o meno, al modello francese del Ventoso(3)il quale, per l’accesso al notariato, privilegiava il requisito della formazione pratica, rispetto a quella teorica, convinto che il tirocinio, meglio di un esame, potesse essere garanzia di capacità professionale(4).
Al compimento dell’Unità d’Italia, solo due regioni, la Lombardia e il Veneto (di tradizione giuridica asburgica), richiedevano, per l’accesso al notariato, la laurea in giurisprudenza. In tutta la restante Italia, non essendo richiesta la laurea, era sufficiente il c.d. «diploma di notariato», conseguito frequentando uno dei corsi di studi biennali istituiti dopo la soppressione delle cattedre di ars notaria, tenuti presso le Università e le quattro scuole pubbliche di notariato (di Aquila, Bari, Catanzaro e Firenze) le quali sarebbero state, indirettamente, abolite solo con la legge del ’13, risultando superate dalla previsione del requisito obbligatorio della laurea in giurisprudenza(5).
I facili studi richiesti dalle leggi, in gran parte della Penisola, ed il conseguente mediocre livello di preparazione maturato, facevano del notariato una professione di rango minore, culturalmente inferiore rispetto alle altre professioni legali, la magistratura e l’avvocatura, per le quali occorreva, invece, la laurea in giurisprudenza. La condizione di precarietà dei notai post-unitari era (potremmo dire aulicamente) «substanziale», diffondendosi dal forte disagio economico e sociale in cui versava una parte cospicua della categoria (con picchi di vera e propria povertà per quei notai esercenti in aree svantaggiate, come indicatoci dai lavori di Marco Santoro sul notariato contemporaneo)(6), fino a coinvolgere il profilo intellettuale e formativo, radicato in una carente preparazione tecnico-scientifica; circostanza, questa, che aveva precipitato ed emarginato il notariato collocandolo ai livelli più bassi nella gerarchia delle professioni legali(7).
Non è, perciò, certamente, un caso se, ad esempio, nessun notaio sia stato chiamato a comporre la Commissione reale per la formazione del codice civile del 1865, dove siedono funzionari, magistrati e, soprattutto, avvocati. Chiaro segno, questo, di una scarsa competenza giuridica dei notai, giustamente rilevata(8). Eppure, il codice civile in formazione, precedendo la prima legge notarile unitaria del 1875, richiamava già la funzione notarile collocandola nell’ambito del suo corpo(9)!
La prima legge unitaria sul notariato del 1875
Alla frammentazione normativa preunitaria pose fine, nel 1875, la prima legge italiana sull’ordinamento del notariato, ispirata sostanzialmente, anche per quel che concerne il profilo formativo professionale, alla legislazione preunitaria (e quindi, di riflesso, al Ventoso). A questa legge sarebbe seguita, nel 1879, una legge di modifica e, quindi, un Testo Unico di raccolta destinato ad essere vigente fino alla legge del 1913(10).
Nei circa 15 anni trascorsi dall’unificazione politica fino alla legge del ‘75, il problema della cultura giuridica e, quindi, della formazione dei notai, venne più volte prospettato in sede politico/ parlamentare, quale interfaccia di un filone già trattato in sede accademica, in occasione della soppressione delle cattedre di ars notaria(11), voluta dalla legislazione del Ventoso. In particolare, Gian Domenico Romagnosi - illustre giurista e filosofo che aveva in gioventù esercitato, senza fortuna, il notariato - in un Programma organico e completo di ordinamento degli studi politico-legali, pubblicato nel
1808, argomentando intorno alla nozione di «ufficiale pubblico» e trattando del problema della
«formazione degli atti autentici», aveva sostenuto la necessità di dare ai notai una vera e propria educazione giuridica di tipo universitario(12).
L’iter parlamentare della prima legge notarile unitaria si incentrò, quindi, anche sulla necessità della laurea in giurisprudenza quale titolo per l’accesso al notariato. Vivaci dispute si alternarono.
Il ministro della Giustizia Vigliani fece apprezzare tutta la sua ostinata contrarietà allorquando ebbe ad affermare(13)che «non si vanno a chiedere al notaio quei consulti che debbono essere chiesti all’uomo di legge»; che «il notaio deve possedere le cognizioni necessarie per fare il notaio e il giureconsulto deve possedere quelle più alte e più larghe che sono necessarie per fare l’avvocato»; e che non si può esigere che «il notaio abbia le cognizioni necessarie per compiere ciò che è attribuito all’avvocato».
Alla fine, passò una normativa per una formazione tecnico-giuridica dei notai articolata in un corso
universitario biennale, seguito da un periodo di pratica presso un notaio (pure biennale) e da un esame di idoneità, il cui superamento assegnava solo il titolo (di notaio), senza, però, ammettere l’esercizio professionale, per la cui abilitazione necessitava la «nomina», conseguita attraverso un concorso per anzianità di esame, non di rado effettuato dopo molti anni dal conseguimento dell’idoneità, indipendentemente dalla preparazione e dalle competenze possedute al momento dell’effettivo ingresso nella professione.
Il biennio universitario di notariato prevedeva lo studio delle istituzioni di diritto romano (comparato con il diritto patrio), del codice civile e di procedura civile, del diritto commerciale, del diritto penale e (dal 1879, con l’introduzione della legge di riforma) anche del diritto amministrativo; ma si trattava, in effetti, di corsi universitari di ridotto profilo, quanto meno rispetto a quelli previsti per conseguire la laurea; corsi ove una certa indulgenza, consuetudinariamente praticata dai docenti/esaminatori, si ritiene possa aver motivato un famoso giurista, Francesco Filomusi-Guelfi, a premonire … i giovani studenti aspiranti al notariato «che notaro vuol dire somaro …»(14).
Evidentemente, il notaio - per il suo normale percorso formativo e per il conseguente livello di preparazione raggiunto quando privo di laurea e munito di un solo, semplice diploma - era condannato ad esplicare funzioni di mera certificazione, schiacciato, culturalmente ed intellettualmente, dalle forti tradizioni di altre categorie professionali, soprattutto quella forense degli avvocati ai quali, come ribadito più volte durante i lavori parlamentari, sarebbe dovuta spettare la formazione del contratto, dovendo il notaio limitarsi (solo) al semplice controllo delle forme (cui era effettivamente chiamato), accontentandosi di sapere poco e di saperlo bene, senza smarrirsi e smaniare nell’oceano aperto della scienza del diritto.
Queste, in sintesi, più o meno, le parole pronunciate in Parlamento il 3 dicembre 1868, dal senatore Conforti(15), un avvocato, evidentemente, interessato a mantenere basso il profilo culturale ed intellettuale dei notai, ma anche ignaro che, ormai, l’avvento della codificazione, suggellando, definitivamente, il primato della legge scritta, aveva sgomberato la tecnica consuetudinaria e trasfigurato la stessa natura e struttura dell’attività notarile avviandola in quel «mondo nuovo» (di cui parla Jean Hilaire)(16)compiutamente codificato, dove non bastava più la capacità scrittoria pratica, supportata da scarni e vaghi riferimenti giuridici, ma necessitava anche la scienza giuridica e la conoscenza teorica e normativa.
Non appare casuale, perciò, che, proprio in questo periodo, si moltiplicano, ad uso dei notai, pubblicazioni, manuali, formulari, riviste; nonché scuole, in varie parti d’Italia, ad iniziativa privata, tra cui si distinguono i corsi tenuti da Pietro Moscatello presso il Circolo Notarile di Palermo, da Filippo Delfini nella propria abitazione romana, da Michele Fava nel proprio studio di Napoli, dal viterbese Anselmo Anselmi, sino alla fine degli anni venti, nella sua “Scuola libera di notariato” fondata a Roma nel 1906 con l’intento di «contribuire all’elevamento della coltura professionale dei candidati Notai, offrendo ad essi il modo di completare le nozioni apprese nelle Università e di rendere più efficace la pratica notarile»(17).
La seconda legge unitaria sul notariato (del 1913) e la legge sul concorso nazionale (del 1926)
Ma la svolta, per il notariato, arriva nei primi anni del nuovo secolo: nel 1913, con la seconda legge notarile unitaria (L. 16 febbraio 1913, n. 89, tuttora vigente) che introduce il requisito obbligatorio della laurea in giurisprudenza per la nomina a notaio; e nel 1926, con la legge (L. 6 agosto 1926, n.
1365, anch’essa vigente) di riforma del sistema di reclutamento professionale, che impone, in luogo dell’idoneità su base locale, il concorso nazionale per esame.
Queste leggi, consolidando selettivamente la formazione e l’accesso al notariato, segnano il discrimen, rappresentano lo spartiacque culturale nella storia recente della professione notarile, realizzando infatti quella qualificazione intellettuale (tanto agognata) che avvia e promuove il notaio da mero documentatore ad interprete del diritto, consentendogli finalmente di esercitare non più un «mestiere» bensì una «professione» riconosciuta, tale da giustapporsi, con paritaria dignità, all’avvocatura ed alla magistratura(18).
La laurea, quale condizione richiesta per l’accesso alla professione, sarebbe rimasta, tuttavia, congelata per alcuni anni, da una disposizione transitoria contenuta nell’art. 167 L.N., e sarebbe praticamente entrata in vigore solo nel 1927, contemporaneamente al primo concorso nazionale per esame, che costituiva il nuovo sistema di reclutamento dei notai, destinato ad introdurre il merito come criterio di selezione, fortemente voluto dal Ministro Guardasigilli, il giurista Alfredo Rocco(19), a modello degli esami tenuti per l’ammissione alla magistratura.
La promozione culturale ed intellettuale del notariato (attraverso l’obbligatorietà della laurea e il concorso nazionale) si riverbera inevitabilmente sulla sua struttura istituzionale, trasfigurandola nel
profondo, formalmente e sostanzialmente, fino a caratterizzarne le competenze: il notaio, già figurante,
con funzioni marginali meramente certificative, cui era relegato nella prima legge unitaria, assurge,
con la legge di qualificazione del 1913 e di reclutamento concorsuale del 1926, a protagonista assoluto della volontà manifestatagli; dominus esclusivo cui spetta il potere di indagare la volontà delle parti (art. 47 L.N.) e di curarne, quindi, la formulazione attraverso un’iniziale opera maieutica (originata nell’esternazione orientata) che sviluppa in un progressivo consolidamento verso la traduzione in modelli tipici precostituiti dalla legge, di cui diventa il depositario(20).
Ma la formazione giuridica di base - accademicamente condivisa con avvocati, magistrati e teorici del diritto - si rivela, ben presto, insufficiente a soddisfare la poliedricità delle esigenze formative pretese dalla peculiarità e tipicità dell’attività notarile.
Così, già nel 1926, a ridosso della pubblicazione della nuova legge sul concorso nazionale, un notaio impegnato nella formazione professionale, Anselmo Anselmi, che abbiamo già avuto modo di incontrare - dopo avere salutato(21)«con viva simpatia» l’intervento del legislatore, finalizzato ad
«incoraggiare il merito l’attività e il lavoro» dei notai - si domanda, sulla falsariga di Accursio, «an debeant tabelliones scire leges», se il notaio sia chiamato ad essere giurista, o se, invece, basti semplicemente un’infarinatura del diritto congiunta alla padronanza del formulario. E così, all’originario interrogativo proposto(22), evidenziate l’attività e la funzione del notaio nella loro globalità, così come volute dalla legge del ‘13, tenuto conto della necessità «di adattamento delle norme fissate dal Codice ai bisogni sempre più varii della vita quotidiana» - il notaio viterbese risponde, con Iacopo Cuiàcio(23), che il notaio non può essere solo un semplice giurista ma deve essere un giurista «squisito, un giurisperito … se non [addirittura] un giureconsulto»(24). La pratica deve, perciò, coniugarsi, anzi fondarsi sulla «teorica», senza la quale essa sarebbe «puro empirismo»(25).
Con la laurea in giurisprudenza, osserva Anselmi, si dà ai candidati notai «ad un tempo, troppo e troppo poco», dal momento che gli insegnamenti impartiti sono certamente utili per la cultura generale del giurista, ma poco interessanti per la specifica attività pratica del notaio (giurista sì, ma giurista sui generis), laddove «gioverebbe invece la conoscenza piena ed approfondita» sia dell’una che dell’altra(26).
Quindi, proprio per sopperire alle carenze dell’educazione giuridica accademica e fornire supporti didattici ai candidati notai, sottraendoli al destino di autodidatti, fin dagli anni immediatamente successivi alla riforma Rocco, come era già accaduto dopo il varo della prima legge unitaria, viene ripresa la tradizione delle scuole di notariato(27)e, nel 1928, a Milano, su iniziativa del locale Circolo
Giuridico, e con la partecipazione delle università locali (Cattolica, Bocconi e Statale, da poco istituita),
apre una scuola, illustrata da docenti del calibro di Oreste Raneletti ed Emilio Betti, che tiene corsi di «preparazione agli esami di Notaio e di perfezionamento nella funzione notarile». Anche a Napoli, nel
1934, viene avviata, su iniziativa del Consiglio notarile, una scuola di notariato: vi tiene le sue lezioni il notaio Pietro Carusi che, proprio da queste lezioni, trarrà, nel dopoguerra, uno dei classici della cultura notarile contemporanea, quel Negozio giuridico notarile, più volte riedito.
Lo sviluppo ed il consolidamento delle scuole di notariato si intensifica nel secondo dopoguerra(28): nel 1946, a Milano, viene costituita la «Fondazione Scuola Federico Guasti di preparazione e perfezionamento per Notai», voluta in onore del padre Federico dal figlio notaio Alessandro Guasti e concepita come istituto postuniversitario di qualificazione e specializzazione professionale; e a Roma, nel 1949, nasce una nuova Scuola intitolata ad Anselmo Anselmi, promossa dal locale Consiglio notarile(29), su iniziativa di quattro “giovani” notai: Mario D’Orazi-Flavoni, Andrea Giuliani, Daniele Migliori e Vincenzo Colapietro. Le finalità della Scuola, manifestate da Andrea Giuliani nel discorso pronunziato in occasione della sua inaugurazione, sono quelle di «perfezionare l’addestramento tecnico, secondo un compiuto programma di studi, specializzare l’indagine giuridica sì che alla formulazione del negozio, in vista dei concreti fini che le parti intendono conseguire, concorra non solo l’approfondita nozione della norma di diritto sostanziale, ma anche la conoscenza di tutte quelle altre norme che incidono, talvolta decisivamente, sugli effetti medesimi del negozio; addestrare coloro che aspirano all’esercizio del notariato ad inserirsi, con spirito aperto e pronto a coglierne le imperiose necessità, nella realtà sempre mutevole della vita economica per offrirle, quando ciò sia richiesto, quel regolamento giuridico che è garanzia di buona fede ed affidamento di stabilità nelle vicende sociali; plasmare infine gli animi e le coscienze secondo quei singolarissimi lineamenti di etica professionale cui il notariato deve il suo primo e più alto titolo di orgogliosa nobiltà: la fiducia»(30).
Quindi, precedute e preparate da scritti, articoli, ordini del giorno, dibattiti congressuali, vengono, a seguire - istituite su iniziativa dei Consigli notarili e propiziate dal neo istituito Consiglio Nazionale del Notariato(31), che ne detterà un regolamento uniforme - altre scuole(32), fino ad arrivare all’attuale
assetto di 16 scuole di notariato “riconosciute” dal CNN, non aventi finalità lucrative e costituenti
vere e proprie «istituzioni di specializzazione post-universitaria gestite dagli organi istituzionali della
Categoria … con lo scopo di preparare gli aspiranti alla professione notarile»(33).
Le Scuole di specializzazione per le professioni legali
Su quest’assetto istituzionale, ormai consolidato, di educazione giuridico/professionale impartita tramite scuole autonomamente realizzate e gestite dal notariato - alle quali vanno aggiunti i numerosi corsi, per così dire extraistituzionali, di preparazione al concorso notarile, tenuti privatamente da notai
- intervengono, alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, le Scuole di specializzazione per le professioni legali(34)che portano il notariato a condividere, con avvocati e magistrati, non solo la formazione accademica (come era avvenuto con la legge del ’13) ma anche quella post-universitaria. Queste scuole
- incardinate nelle università(35)ed operanti grazie alla partecipazione integrata di docenti universitari, magistrati, avvocati e notai - sono state istituite con la finalità di promuovere una cultura comune del giurista pratico superando un modello di formazione specialistica marcatamente uniprofessionale e, quindi, con il più ampio obiettivo formativo(36)di «sviluppare negli studenti l’insieme di attitudini e di competenze caratterizzanti la professionalità dei magistrati ordinari, degli avvocati e dei notai, anche con riferimento alla crescente integrazione internazionale della legislazione e dei sistemi giuridici e alle più moderne tecniche di ricerca delle fonti».
L’istituzione delle Scuole di specializzazione per le professioni legali - non potendo ovviamente azzerare le particolari tipicità che differenziano l’attività del notaio da quelle del magistrato e dell’avvocato - non ha portato, come pure, forse, poteva paventarsi, ad un ridimensionamento delle scuole di notariato, bensì, paradossalmente, alla loro valorizzazione, considerato che le specifiche e non omologabili peculiarità della professione notarile hanno determinato convenzioni tra Scuole di specializzazione per le professioni legali e Scuole di notariato, quali accordi finalizzati allo svolgimento delle attività didattiche specificamente notarili che solo queste ultime, forti delle loro esperienze e delle loro tradizioni, sono in grado di fornire adeguatamente(37).
Considerazioni conclusive
Resta aperto alla riflessione di ciascuno di noi l’interrogativo circa l’effettivo perseguimento degli obiettivi prefissisi dalle scuole di notariato, tra formazione culturale del futuro notaio, giurista di prima linea, e semplice insegnamento di tecniche tendenti al mero superamento del concorso, come pure potrebbero indurre a pensare certe casistiche esasperate e certe schematiche acquisizioni teoriche(38).
Di certo, la poliedrica formazione professionale acquisita, maturata e perfezionata dal notariato, soprattutto in quest’ultimo scorcio del secolo passato, gli ha consentito di prestare la propria capacità tecnica anche in aree e settori tradizionalmente occupati dalle competenze di altre categorie professionali contigue(39); gli ha consentito di saper essere al passo con i tempi, cogliendo e perfino anticipando i mutamenti di un Paese passato da un’economia agricola ad un’economia industriale (ed ora, post-industriale/digitale), così come, del resto, aveva già tracciato lo stesso codice civile del
1942 allorquando aveva spostato il baricentro del sistema dalla proprietà all’impresa ed al lavoro; gli ha consentito anche di fronteggiare mirabilmente, nella c.d. età della decodificazione(40), l’incontrollata proliferazione della legislazione speciale, attraverso un’adeguata specializzazione in materia civilistica, fiscale, amministrativa; e gli ha consentito, infine, di radicare un consolidato ruolo istituzionale, ora, quale «notaio di famiglia», ora, quale «notaio dell’impresa», capace sia di inventare nuovi schemi contrattuali sollecitati da una spesso incerta legislazione tributaria, sia di elaborare raffinati tecnicismi societari.
Sempre, comunque, quale referente insostituibile dell’autonomia privata, con un ruolo protagonista di valenza assolutamente inconcepibile ed insopportabile per il fragile, precario, primo notaio tardo- ottocentesco dell’unificazione nazionale italiana (da cui qui siamo partiti).
(1) Sul notariato italiano contemporaneo nei suoi aspetti generali, cfr. M. SANTORO, Le trasformazioni del campo giuridico. Avvocati, procuratori e notai dall’Unità alla Repubblica, in Storia d’Italia. Annali 10. I professionisti, a cura di M. Malatesta, Torino, 1996, p. 81-144, e ID., «Notai, stato e professione», in CNN Attività, 1999, 1, p. 34-63, versione italiana di Officials and Professionals. Notaries, the State and the Market Principle, originariamente in Society and the Professions in Italy, a cura di M. Malatesta,1861-1914, Cambridge, 1995. Sui profili economici e sociali della professione notarile, ID., Notai. Storia sociale di una professione in Italia, 1861-1940, Bologna, 1998. Per una ricostruzione delle vicende istituzionali e culturali del notariato, dall’unificazione nazionale fino alla nascita del Consiglio Nazionale del Notariato, ID., Il notariato nell’Italia contemporanea, Milano, 2004.
(2) M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 43.
(3) La legge sul notariato francese del 25 ventoso anno XI (16 marzo 1803) costituisce l’orditura paradigmatica di riferimento che segna «l’avvento del Moderno nella storia europea dell’istituzione notarile» (M. PALAZZO, «Ars Notaria e cultura giuridica dopo la legge del 25 Ventoso», in Studi e materiali, 2004, 2, p. 1115), rappresentando un indiscusso modello per la normativa successiva in tutta l’area del notariato latino. Con la definitiva emancipazione del notariato dal potere giudiziario, la legge del Ventoso sancisce il principio dell’esclusività della funzione, stabilendo essere i notai «les» (e non «des») «fonctionnaires publics» ai quali viene attribuita, in via esclusiva, perché sottratta ai Tribunali, la c.d. «giurisdizione volontaria» (F. MAZZANTI PEPE, «La legge del Ventoso: un modello fra tradizione e innovazione», in Studi e materiali, 2003, 1, p. 271). Nascono, così, gli atti notarili in forma esecutoria, di valenza equipollente alle sentenze giudiziarie, da cui si distinguono solo per il titolo di attivazione, trovando la loro legittimazione nella richiesta consensuale delle parti e non, invece, nella soggezione imposta ad almeno una di loro.
(4) Cfr. F. MAZZANTI PEPE - G. ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, Roma, CNN, 1983, p. 117.
(5) Si trattava di scuole (non gestite da notai) previste dall’ordinamento scolastico ed annesse a licei. Le scuole di Bari, Catanzaro e L’Aquila erano state istituite nel 1814 con una speciale dotazione proveniente dall’incameramento dei beni ecclesiastici (Cfr. M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 233 e 243).
(6) Cfr., in particolare, M. SANTORO, Notai. Storia sociale …, cit., p.129 e ss.
(7) Negli anni in cui c’erano 7.000 notai (con una popolazione che era meno della metà di quella attuale), c’erano, in Italia, circa 17.000 tra avvocati e procuratori. È innegabile che, in quegli anni, l’avvocatura avesse uno status e un prestigio professionale e culturale largamente superiori a quelli del notariato. La pubblicistica notarile dell’epoca racconta che era costume degli avvocati di un certo livello avere nello studio, alle proprie dipendenze, un notaio con funzioni meramente esecutorie: quando le linee di un contratto erano state definite, si passava nella stanza del notaio per avere la certificazione, la c. d.. bollatura: da qui l’epiteto di bollatori con cui erano dispregiativamente definiti questi notai (Cfr. M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 83).
(8) M. SANTORO, Le trasformazioni …, cit., p. 103.
(9) In effetti, ancor prima che il notariato italiano fosse delineato attraverso una sua normativa, il corpus giusprivatistico del 1865, mutuando dalle formulazioni insite nel Codice Napoleonico, già prevedeva il notaio quale ufficiale preposto a ricevere, nel documento pubblico che era chiamato a redigere, le dichiarazioni negoziali dei privati (art. 1315 e ss.), e prescriveva le modalità per la formazione e pubblicazione degli atti a causa di morte. Notevole, inoltre, che il Codice civile del 1865, innovando perfino rispetto al Codice Napoleonico, ma nel solco di una tradizione sviluppatasi in area germanica, prevedesse (art. 1323) un’attività del notaio preposto ad autenticare dichiarazioni negoziali preconfezionate dagli stessi privati che lo richiedevano (sull’argomento, cfr. S. TONDO, «Tradizione codicistica e notariato», in Vita not., 2012, 1, p. 14 e ss.).
(10) La prima legge unitaria sull’ordinamento del notariato (L. 25 luglio 1875, n. 2786) venne ben presto modificata e integrata da una legge successiva (L. 6 aprile 1879, n. 4817). Le due leggi furono, poi, riunite nel T.U. 25 maggio 1879, n. 4900. La legge del 1875, come si rileva dai lavori preparatori, costituì, conformemente alle intenzioni del legislatore, il risultato di una sommatoria di legislazioni preunitarie, ognuna delle quali contribuì con il suo meglio (Cfr., in proposito, F. MAZZANTI PEPE - G. ANCARANI, op. cit., p. 347).
(11) Presso le cattedre di ars notaria, peraltro, non venivano svolti corsi di insegnamento teorico del diritto, i quali erano invece riservati esclusivamente alla formazione dei giuristi, la cui “educazione”, a differenza di quella pratica impartita ai notai, avveniva secondo il metodo della scolastica. Le cattedre di ars notaria erano, in origine, parte dell’Università degli artisti, dove veniva svolto l’insegnamento della grammatica, della retorica, della filosofia, della teologia e della medicina, e non nell’Università dei giuristi, dove si svolgevano i corsi di insegnamento teorico del diritto (Cfr. A. ANSELMI, Le scuole di notariato in Italia, Viterbo, 1926, p. 22 e ss.; M. SANTORO, «Notai …, cit., p. 41).
(12) V. OLGIATI - P. IOPPA, «Le credenziali professionali del notariato italiano», in Soc. del dir., 1992, 1, p. 99.
(13) Secondo quanto riportato in A. ANSELMI, op. cit., p. 30.
(14) «Il Filomusi-Guelfi, ai giovani che si fermavano al primo biennio degli studi giuridici, fino alla legge 16 febbraio 1913 sufficiente per esercitare il notariato, diceva: “Vuoi fare il notaro? Ricordati che notaro vuol dire somaro …”» (G. INTERSIMONE, Il notaio nella storia e nella vita, Roma, 1949, p. 66).
(15) M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 123.
(16) Afferma J. HILAIRE, La science des notaires. Une longue histoire, Paris, 2000, trad. it. La scienza dei notai. La lunga storia del notariato in Francia, Milano, 2003, p. 344, con specifico riferimento alla realtà francese ma sovrapponibile a quella italiana, che «a partire dalla Rivoluzione e dalla codificazione degli inizi dell’Ottocento, il notariato entra in un mondo nuovo. Certo vi è l’unità normativa attraverso il codice civile, ma quest’ultimo apporta un diritto notevolmente modificato, anzi più complesso o più dotto. Soprattutto, vi è un nuovo salto nella diffusione della documentazione. L’Ottocento ha visto, infatti, il moltiplicarsi delle enciclopedie ad uso dei notai e dei formulari stampati che si sono così diffusi negli studi. Questo secolo ha visto anche i primi tentativi di sviluppare, nelle scuole di notariato, accanto all’apprendistato attraverso il tirocinio, un insegnamento teorico adattato alla prassi».
(17) M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 340.
(18) Rileva F. CARNELUTTI, «Diritto o arte notarile?», in Vita not., 1954, p. 209 ss. che «… il notaro non è solamente un documentatore. Ce ne sono, purtroppo, i quali non fanno altro che questo; ma sono dei cattivi notai, per non dire de’ mezzi notai, o meno ancora. Prima di dare a un documento il crisma della pubblica fede, il notaro è un consulente giuridico della parte o delle parti, almeno per quanto riguarda la forma del negozio e spesso, al di là della forma, quanto al suo contenuto … Se l’ufficio del notaro non fosse che documentare, finirebbe per servire all’uopo una macchina; ma se invece che passare attraverso di lui la volontà delle parti passasse soltanto attraverso il meccanismo, Dio sa quali guai riuscirebbe a combinare! Prima di essere un documentatore il notaro è un interprete …, è, o almeno dev’essere, un giurista non meno del giudice e dell’avvocato. Quello del notaro è uno dei tre uffici (puramente) giuridici: notaro, avvocato e giudice. Codesti tre uffici rispondono, grosso modo, ai tre aspetti dell’attività giuridica secondo l’antica formula: cavere , postulare , respondere . Tra la prima e l’ultima differenza, al postutto, è quella che separa la prevenzione dalla repressione giuridica. In termini tratti dalla medicina, il notaro fa dell’igiene e il giudice della terapia; l’avvocato sta in mezzo. Igienista e patologo son diversi, ma pur medici l’uno e l’altro; e guai se non conoscessero, l’uno e l’altro, l’intera medicina. Diversi sono, pertanto, notaro, avvocato e giudice per il diverso modo con il quale fanno diritto …».
(19) La riforma del sistema di reclutamento professionale voluta da Rocco costituiva, in effetti, una sorta di appendice della più ampia e generale riforma dell’ordinamento scolastico, attuata nel 1923 con il nome del ministro proponente, il filosofo Giovanni Gentile (cfr., sull’argomento, M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 312 e ss.).
(20) M.C. ANDRINI - L. MILONE - S. SANTANGELO, «La spinta evoluzionistica nella normazione notarile», in Riv. dir. civ ., 1988, II, p. 58-59; V. OLGIATI - P. IOPPA, «Le credenziali …», cit., p. 102.
(21) A. ANSELMI, op. cit., p. 4.
(22) La glossa di ACCURSIO relativa alla quaestio se il notaio debba conoscere le leggi è: «An autem debeant [tabelliones] scire leges? Videtur quod sic, ne facientes illicitos contractus poenam subeant» (C. 10. 71 [69]. 3. pr., glossa “servituti”), ed. Corpus Iuris Civilis, Volumen, Lugduni, Huges de la Porte, 1558, col. 91.
(23) «Exigitur a tabellionibus peritia juris, Nov. 66, infra, et Leonis Nov. quadam. Separantur tamen a juris studiosis in l. moris, ff. de poenis (D. 48. 19. 8. 2). Nec idem omnino jurisperiti et juris studiosi: nam et tabelliones (ut dixi) et advocati, pragmatici, formularii, tabularii, juris periti sunt, nec tamen juris studiosi: hac enim appellatione juris interpretes consultique significantur» (JACOBI CUJACII IC. TOLOSATIS, Opera, ad Parisiensem Fabrotianam editionem diligentissime exacta ..., t. X, Prati, fratres Giachetti, 1840, col. 659, Novella 44).
(24) A. ANSELMI, op. cit., p. 32.
(25) A. ANSELMI, op. cit., p. 33.
(26) A. ANSELMI, op. cit., p. 32-33, il quale, pur riconoscendo che non competeva a lui «elaborare e proporre un piano completo di studi universitari per i notai», evidenziava tuttavia l’opportunità di approfondimento di «alcune parti ordinariamente assai trascurate del diritto civile, quali ad esempio i tèmi delle persone (fisiche e giuridiche), delle cose, della simulazione ne’ contratti, delle nullità ecc., come anche lo studio della paleografia e diplomatica, del diritto fiscale, della scienza degli atti autentici ed anche della storia del notariato … con l’aggiunta per i futuri notari d’un quinto anno di studi universitari da compensarsi, all’occorrenza, colla riduzione della pratica ad un solo anno». Nella Scuola libera di notariato fondata da Anselmi a Roma, nel 1906, tra le materie trattate - delle quali erano docenti, oltre a notai, anche avvocati, funzionari pubblici e docenti di professione - vi era, in aggiunta a quelle sopra indicate e ad altre, anche l’insegnamento della pratica contrattuale e dell’«arte notarile», impartito dallo stesso notaio viterbese che avrebbe poi raccolto le sue lezioni nel famoso volume Principii di Arte Notarile con Formulario ragionato ad uso dei praticanti (cfr. M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 340).
(27) Il tema delle scuole di notariato come fattore di professionalizzazione è trattato in M. SANTORO, Il notariato … cit., p. 337 e ss. e 392 e ss.; nonché in V. OLGIATI - P. IOPPA, «Le scuole di notariato: un modello di educazione giuridica e di formazione professionale», in Eco. e dir. del terz., n. 1992, 2, p. 519 e ss.
(28) M. SANTORO, Il Notariato …, cit., p. 392 e ss.
(29) Nel resoconto della riunione consiliare dell’11 febbraio 1949 si legge che «ad iniziativa del Consiglio notarile di Roma è istituita una Scuola di Notariato intitolata ad Anselmo Anselmi, che, fervido assertore della necessità di un ritorno delle gloriose tradizioni delle scuole di Notariato in Italia, ne fu già promotore». (Cfr. Le scuole di specializzazione per le professioni legali - Convegno di studi in onore del notaio Vincenzo Colapietro, Roma, 2000, p. 647).
(30) A. GIULIANI, «Funzione e problemi del Notariato», in Riv. not ., 1949, p. 186-187.
(31) Sul Consiglio Nazionale del Notariato, istituito con legge 3 agosto 1949, n. 577, si rinvia a M. SANTORO, Il notariato …, cit., p. 373 e ss.; F. GIBBONI, «Storia di una legge e di una lunga attesa», in Speciale Attività. 50 anni di Consiglio Nazionale del Notariato , supplemento al numero 3 di CNN Attività, 1999, p. 106-133; ID., voce Consiglio Nazionale del Notariato, in C. FALZONE - A. ALIBRANDI, Dizionario enciclopedico del notariato, V, aggiornamento alla VII edizione, a cura di G. Casu, Roma, 2002, p. 119-130.
(32) Sulle scuole di Notariato, con riferimenti anche alla storia, cfr. A. MORELLO, «Le scuole di notariato», in Atti del XIX Congresso Nazionale del Notariato (Catania, 9-15 settembre 1972), Genova, 1972; nonché la voce Scuole di notariato, in C. FALZONE - A. ALIBRANDI, Dizionario enciclopedico del notariato, III, VII edizione, Roma, 1977, p. 701-704.
(33) Art. 1 del Regolamento delle Scuole di Notariato, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato nella seduta dell’11 aprile 1991, in CNN Attività, 1991, 2, p. 69.
(34) Istituite con il D.lgs. 17 novembre 1997, n. 398, cui ha fatto seguito il Regolamento di esecuzione approvato con D.m. 21 dicembre 1999, n. 537.
(35) A livello universitario, risultano anche attivate, presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Alma Mater Studiorum di Bologna e presso l’Università Federico II di Napoli, Cattedre di “Diritto Notarile”, che si prefiggono l’obiettivo di fornire agli studenti dell’ultimo anno del corso legale delle lauree magistrali in giurisprudenza una iniziale alfabetizzazione sull’attività notarile e, quindi, un aiuto nella scelta della strada da percorrere dopo il conseguimento della laurea (sull’argomento, v. P. ZANELLI, «La nascita delle cattedre universitarie di diritto notarile», in Vita not., n. 2014, 1, p. 411 e ss.).
(36) Risultante dall’Allegato 1 (articolo 7, comma 2) al D.m. 357/1999.
(37) Sui rapporti tra scuole di notariato e scuole per le professioni legali, cfr. R. PERCHINUNNO, «Formazione del giurista e scuole di specializzazione», in Notariato, 1997, 6, p. 505 e ss.; N. RAITI, «Scuole di notariato e scuole di specializzazione post-laurea», in Riv. not., 1, 2000, p. 43 e ss.
(38) S. SANTANGELO, «Cultura giuridica ed esperienza professionale nella formazione del notaio», in Vita not., 1987, 1, p. 106.
(39) V. OLGIATI – P. IOPPA, «Le scuole …», cit., p. 520.
(40) Ha osservato F. D. BUSNELLI, «Ars notaria e diritto vivente», in Il Notaro, 1991, 6, p. 25, che, con l’avvento «della c.d. età della decodificazione, il notariato si è trovato di fronte a un bivio: o adattare alla propria categoria il messaggio di una suggestiva dottrina, che di fronte all’ipotizzato “frantumarsi del sapere giuridico” preconizza “la nascita del tecnico dei micro-sistemi”, personaggio “secondario” chiamato a fornire “prestazioni tecniche destinate a confluire insieme con innumerevoli altre verso esiti lontani che sfuggono alle sue scelte e al suo controllo” (Irti); o, al contrario, continuare a puntare sulla unità del sistema, e chiedere al notaio del futuro di attrezzarsi, in termini di preparazione di base e di capacità di aggiornamento, in modo tale da poter gestire da protagonista la complessità del sistema in cui “la spinta espansiva e centrifuga delle fonti destinate a recepire gli aspetti molteplici e sempre nuovi della realtà viene equilibrata dalla capacità unificante di fonti che offrono all’interprete categorie e principi di ‘diritto comune’” (Busnelli). Questa seconda via è indubbiamente la più incerta e la più ardua; ma è anche l’unica che consente di affrontare consapevolmente da giuristi che si ribellano all’idea di diventare “personaggi secondari”, la difficile sfida con i tempi e con i ritmi della c.d. società industriale … Il notaio può essere - secondo un’espressione cara ai giuristi francesi - ‘créateur d’avenir’, pur senza pregiudicare la coerenza del sistema, e senza venir meno alla sua prerogativa di dare ‘certezza’. Il suo contributo ‘creativo’ non sarà dunque caratterizzato dalla estemporaneità della soluzione particolarmente originale - ma extrasistematica - di un caso concreto, bensì piuttosto dalla elaborazione di prassi che consentano di passare dai vecchi paradigmi normativi alle nuove realtà sociali senza eccessivi pericoli di traumatizzante incertezza e di brusche rotture del sistema. [… Sicchè] nella indicata prospettiva [il ruolo del notaio] potrebbe dirsi quello di ergersi a garante della continuità del sistema nella discontinuità della produzione legislativa e nella frenetica mutevolezza della realtà sociale. Questa è la nuova, sottile ‘arte’ che oggi viene chiesta ai lontani discepoli del grande Maestro della Summa totius artis notariae».
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