Testes vocati: la socializzazione dell’evento giuridico
Testes vocati: la socializzazione dell’evento giuridico *
di Carlo Carosi
Notaio in Recco
Un anziano collega della Riviera, mio carissimo amico d’infanzia, che a giorni andrà in pensione per limiti d’età, mi ha raccontato questo episodio capitatogli il mese scorso.
Aveva da poco terminato la lettura di un atto di donazione con cui un certo commercialista aveva deciso di intestare un immobile al figlio, più per risparmiare qualche centinaio di euro di imposte all’anno che per autentico animus donandi. Il collega tentava a fatica di illustrare i complicati risvolti dell’azione di riduzione e le difficoltà di circolazione dell’immobile con provenienza donativa, mentre il commercialista ascoltava distrattamente con aria di sufficienza, come se quei dubbi fossero frutto dell’eccessiva pignoleria del collega. Il beneficiario della liberalità, al contrario, seguiva con molto interesse e chiedeva che gli fossero chiariti i termini del problema. Le sue domande, non sempre pertinenti, si incrociavano che le battute del padre e con le argomentazioni del notaio, in un confuso vocio.
Nel frattempo i testimoni se ne stavano da un lato immersi nelle loro faccende. Il più giovane dei due, un ragazzo con la crestina svettante sul cranio rasato, esibiva un tatuaggio serpeggiante sugli avambracci ed armeggiava di continuo con uno smart-phone d’ultima generazione. L’altra testimone, amica del commercialista, sfogliava con aria professionale un’elegante agendina, vi scarabocchiava qualche appunto e dava l’impressione di trovarsi lì per puro caso. Terminato il rito delle sottoscrizioni,
era stata proprio quest’ultima ad uscirsene con la domanda: «Mi perdoni signor notaio, perché siamo
stati chiamati a fare da testimoni? Che cosa avremmo dovuto testimoniare?». Il collega, appoggiati con cura gli occhiali sulla scrivania, riordinate le carte, era rimasto in silenzio squadrando da capo a pie’ quei due testimoni. In altre circostanze avrebbe ripetuto ancora una volta i soliti argomenti e cioè che la loro presenza, costringendo il donante a manifestare la sua volontà ad una cerchia più estesa di persone, era tale da indurlo ad un’attenta meditazione impedendogli di compiere precipitosamente una liberalità senza la necessaria riflessione. Ma, in quel caso, s’era limitato a risponderle che così era stabilito dalla legge, che i testimoni debbono soltanto assistere e che comunque senza testimoni le donazioni non si possono proprio stipulare.
Dedicato un po’ del suo tempo libero a studiare il tema dei testimoni negli atti notarili, sapendo che avrei dovuto parlare a questo convegno, mi ha consegnato pochi appunti suggerendomi di rielaborarli a mio modo e di proporli alla riflessione dei colleghi. Confesso di non avere avuto l’ardire di mettervi mano, ed ora, col permesso del presidente, ve li leggerò così come lui li ha scritti.
Carissimi amici,
il percorso accidentato lungo il quale vi invito a seguirmi, sulle orme dei testes vocati e della loro storia, prende le mosse dall’età del diritto romano delle origini, quello delle XII tavole o giù di lì, per intenderci. È un mondo in cui i fatti giuridicamente rilevanti, riguardanti i rapporti di famiglia o il patrimonio, si svolgono di fronte al pubblico, quasi fossero vere e proprie rappresentazioni mimiche rituali, a cominciare dalla mancipatio utilizzata per il trasferimento dei beni di maggior rilievo economico, alla quale dovevano presenziare almeno cinque testimoni(1). Un momento assai solenne e per così dire decisamente ‘teatrale’ è quello del testamento celebrato, in tempo di pace, di fronte ai Comizi curiati (calatis comitiis come si diceva allora) o quello pronunciato in tempo di guerra di fronte ai commilitoni in armi, prima di iniziare il combattimento, assai più drammatico (degno di figurare in un “war movie”).
Si potrebbe osservare che, dopo tutto, ci troviamo in una società ristretta in cui il commercio giuridico è molto limitato ed i rapporti interpersonali caratterizzati ancora dalla fiducia che scaturisce dalla reciproca conoscenza personale: in tale situazione è naturale affidarsi esclusivamente alla memoria dei testimoni ma possiamo anche ipotizzare che la presenza di un congruo numero di testimoni al momento della formazione del negozio giuridico rappresenti, per questa gente, il mezzo più appropriato per conferire all’atto forma solenne e vincolante anche a livello comunitario. Tutto ciò succede - si potrebbe pensare - perché questa gente non ha ancora adottato l’atto scritto, ma in verità, come ora vedremo, non è così.
La prossima tappa del nostro cammino corrisponde all’età del diritto romano classico. La società nel frattempo si è evoluta, lo scritto ha preso il sopravvento sull’oralità. Per le strade non è raro imbattersi nello scriba intento ad incidere con lo stilo su tavolette cerate. La diffusione dell’atto scritto non fa venire meno la funzione dei testi, anche se ne muta in parte la natura. Si attenua di molto il loro ruolo di rappresentati simbolici della comunità o per così dire di imago populi, accentuandosi nel contempo la loro natura di garanti dell’autenticità del documento. Osserviamo ad esempio come si svolgono le cose quando un Tizio vuole fare testamento. Protagonisti della scena, oltre al nostro Tizio, sono ben sette testimoni da lui richiesti di presenziare al rito (appunto i testes vocati). I fatti si svolgono così: Tizio presenta ai testimoni le tavolette cerate chiuse, entro cui afferma essere contenuto il suo testamento, affinché essi imprimano sulla cera, in corrispondenza della chiusura, i loro personali sigilli (non so cosa ne pensiate voi, ma questa scena mi fa venire in mente i sigilli in ceralacca che mettiamo sui verbali di consegna di testamento segreto). A quei tempi erano i testimoni ad attribuire il carattere dell’autenticità al documento, visto che spettava loro, dopo l’apertura della successione, il compito fondamentale di verificare ed attestare l’integrità dei sigilli.
Col passare del tempo - ed è questo un altro passo in avanti del nostro itinerario - alla diffusione del documento si accompagna inevitabilmente la nascita di una categoria di scrittori professionali. Sono scrivani che, dietro modico compenso, stendono qualsiasi tipo di documento, dalla semplice lettera al più complicato contratto di locazione o di vendita. Non usano più le tavolette cerate ma preferiscono il papiro(2). Gli atti che escono dalle loro mani, muniti delle sottoscrizioni delle parti e dei testimoni, costituiscono l’unica prova scritta del negozio giuridico. Il momento critico diventa quello in cui, di fronte al giudice, in caso di lite, è necessario provare che quel certo papiro è autentico e riproduce fedelmente le dichiarazioni delle parti. A togliere tutti d’impaccio, come accade spesso nei “legal thrillers”, arrivano a deporre i testimoni le cui firme figurano in calce all’atto e sono proprio loro che in questi casi riescono da soli ad imponere fidem al documento. Tanta è l’importanza di reperire all’occorrenza quei personaggi che gli scribi o tabellioni, prudentemente, inseriscono dopo le sottoscrizioni dei testi un elenco (la notitia testium) con indicazione del loro nome e di altre qualità personali, allo scopo di agevolarne l’identificazione(3). Abbiamo potuto notare, giunti a questo punto del nostro percorso, che si è venuto ad accentuare il ruolo per così dire ‘giudiziario’ o ‘processuale’ dei testimoni a scapito della mera funzione strumentale(4).
Abbandoniamo ora il sole delle terre meridionali della penisola, destinate a rimanere nell’orbita di Bisanzio e del diritto giustinianeo, per trasferirci nelle lande occupate dai Longobardi(5). Il paesaggio, sotto il profilo giuridico, è piuttosto desolante. Siamo di fronte ad un popolo tuttora privo di una propria lingua scritta, al punto che il loro re, per mettere in iscritto le consuetudini della sua stirpe, è costretto ad usare la lingua dei vinti e ad avvalersi della penna di un notaio. Questo popolo avvezzo da secoli ad esprimere i fatti giuridici con formule orali e riti simbolici dinanzi all’intero popolo in armi, si converte rapidamente all’idea di sostituire a quest’ultima ingombrante presenza quella di un certo numero di testi qualificati, imitando la prassi degli sconfittti. A tutto sono pronti a rinunciare, però, tranne che al loro inveterato formalismo. Non ricorrono più alle “sceneggiate” della consegna della festuca o della zolla per eseguire la traditio rei, ma utilizzano a tale scopo direttamente il documento come se la charta o cartula in pergamena incorporasse il diritto sulla cosa e rappresentasse simbolicamente quest’ultima(6).
Nelle cattedrali delle città occupate dagli invasori o presso i monasteri fondati da re barbari di recente convertiti, si aggirano misteriosi personaggi dei quali dobbiamo fare conoscenza. Si tratta di speciali rogatari, individuati nelle chartae talora con il termine di notarius ovvero di iudex et notarius, dipendenti da qualche auctoritas laica o ecclesiastica, formatisi in una scuola palatina. Essi usano per le sottoscrizioni una grafia vagamente esoterica, in note tachigrafiche, volta anche a proteggere il documento da falsificazioni(7). Se prendete in esame le prime più antiche pergamene confezionate da questi rogatari notate che recano in calce le sottoscrizioni autografe delle parti e dei testimoni, apposte mediante un particolare segno grafico (simile al segno di croce), ma se proseguite l’esame su altre pergamene successive potete constatare che le sottoscrizioni (i signa manuum) non soltanto dei testi ma anche delle parti non sono più autografe ma scritte direttamente di mano del notarius. Il fenomeno si evolve gradualmente: in un primo tempo troverete un unico signum manus per tutti i testimoni, poi soltanto la
menzione della loro presenza, senza sottoscrizione né signa. Questo particolare, a ben vedere, rivela
come il rogatario abbia finito per assumere particolare credibilità, al punto di essere rimasto l’unico effettivo sottoscrittore della charta, autorizzato persino a riprodurre la firma delle parti e quella dei testimoni. Siamo di fronte a quel fenomeno che i diplomatisti descrivono come rottura del legame fra autore dell’azione giuridica ed autore della documentazione. Un legame destinato a rimanere interrotto per lungo tempo e che ad esempio, qui a Genova si ristabilirà soltanto alla fine del secolo XVIII. Questa è un’età nella quale la presenza dei testi si mostra essenziale per la validità stessa del documento: si tratta per lo più di personaggi di rilievo che rivestono qualifiche importanti nell’ambito ecclesiastico o civile, la cui presenza all’atto conferisce allo stesso la massima solennità e credibilità.
Lasciato alle spalle l’alto medioevo, ci attende ora un paesaggio profondamente rinnovato, una stagione esaltante in cui si fondano nuove città, fioriscono i mercati, l’artigianato riprende slancio, si tracciano vie di comunicazione più sicure e i cavalieri feudali rinunciano ai variopinti tornei per venire a vivere nelle grige turrite magioni di città. Se vi capitasse di percorrere le popolose stradine dei più importanti centri urbani, vi trovereste all’opera un gran numero di notarii intenti a prendere appunti sui loro quadernetti. Essi vi annotano, con minutissima grafia zeppa di abbreviature, la data, i nomi delle parti e dei testimoni e un sunto del contratto. Di fronte a loro si concludono innumerevoli negozi dei tipi più diversi, in un contesto sociale dinamico e contrario a inutili formalismi. Per concludere un valido contratto è sufficiente recarsi con almeno due testimoni di fronte al notarius: sarà lui ad occuparsi di tutto e per pochi denari di onorario. Prenderà appunti con le consuete formule latine, le tradurrà e le spiegherà in lingua volgare alle parti in presenza dei testi, se richiesto rilascerà l’instrumentum vero e proprio, il documento completo su pergamena(8).
Per studiare questa nuova forma documentale frutto della prassi dell’epoca comunale, che sta rapidamente sostituendosi alla vecchia charta altomedievale, si dedicano fior di menti nella ribollente fucina di idee della scuola bolognese. I maestri di ars notaria ne mettono a punto la sistemazione dogmatica senza dimenticare di trattare anche l’aspetto di cui ci stiamo occupando, ossia la necessità della presenza di idonei testimoni quale condizione di validità del documento. Sono così numerosi i requisiti richiesti per l’idoneità dei testi nelle opere dei doctores, che l’autore di un formulario, forse per aiutare la memoria dei poveri notai inventa questa specie di versetto: Etas, conditio, sexus, discretio fama/ fortuna, fides, in testibus ista requires(9). Superfluo dire che in un contesto urbano come quello genovese, dove gli atti si concludono in gran fretta, nei carrubei o nei fondachi, in vista dell’imminente partenza della nave, non si va tanto per il sottile e il notaio accetta come testimone chiunque gli capiti a portata di mano, senza perder tempo nell’indagare su età, condizione, fama e discrezione o altro. Lo stesso tentativo del Comune genovese di creare un elenco di testimoni affidabili scelti fra membri di spicco della vita cittadina (i publici testes), non decolla affatto, visto che di costoro non v’è traccia negli atti
notarili privati ma soltanto in alcune sentenze e decreti dei consoli(10).
La menzione dei nomi dei testi è parte integrante delle publicationes ossia di quelle clausole, normalmente inserite in calce all’instrumentum, destinate ad essere il fulcro essenziale del documento e fonte della sua autenticità. Si avverte comunque che ormai la funzione dei testi si è venuta ulteriormente riducendo: essi sono ormai testi strumentali che assistono alla formazione del negozio giuridico e che molto raramente possono trasformarsi in testi ‘giudiziali’. Il documento redatto con le richieste formalità da parte del notarius è assistito dalla presunzione di autenticità ed affidabilità. Non è più richiesta alcuna impositio fidei mediante intervento dei testimoni, poiché fino a prova contraria il documento si presume autentico e veritiero.
La persona del notaio riassume in sé anche molte delle funzioni un tempo attribuite ai testimoni: egli è persona publica, come affermano i doctores, munito di un diploma di investitura, capace di imprimere credibilità e certezza ai documenti in virtù di una competenza specifica attestata dal superamento di particolari prove d’esame(11). Egli assolve anche al compito di assicurare pubblicità e garantire l’esecuzione di ogni evento giuridico di cui conserva memoria nei suoi registri. Avviene spesso che l’autore dell’azione giuridica, specie nelle ipotesi di atti unilaterali rivolti ai terzi, come ad esempio nelle procure, senta il bisogno di aggiungere espressioni del tipo «promitto tibi notario infrascripto, stipulanti e recipienti nomine et vice cuius vel quorum interest ...» quasi a indicare come il notaio, per la sua qualità di publica persona, sia chiamato a rappresentare tutti i terzi interessati.
Il rogatario non è più relegato ad un ruolo analogo a quello di un testimone, sia pur particolarmente qualificato e autorevole, cui spetti il compito di riprodurre fedelmente le dichiarazioni delle parti. È colui che dà veste giuridica, secondo formule appropriate sempre più raffinate e consapevoli, alla volontà delle parti, inserendo in atto le subtilitates necessarie per assicurare al contratto efficacia e inoppugnabilità. Ma non è la sola grande novità. Anche in mancanza della persona del notaio (per morte o per qualsiasi altro motivo), resta traccia di ogni negozio giuridico nel registro delle sue imbreviaturae così che altri potrà estrarne un documento in publicam formam creandosi in tal modo un sistema volto a custodire per secoli la memoria giuridica di un intera comunità. Di fronte all’accresciuta considerazione dovuta al notaio, non può che diminuire di pari passo l’importanza dei testimoni, ridotti ormai al ruolo di elemento puramente formale, ultimo relitto del naufragio di una tradizione secolare dalla quale non si osa ancora prendere le distanze.
Riprendiamo ora il nostro percorso procedendo spediti verso la mèta, sorpassando d’un balzo Rinascimento e ancien regime, durante i quali comunque la situazione rimane pressochè invariata, fatta eccezione per l’adozione del più efficiente sistema delle filze in luogo dei vecchi cartolari, per accodarci alle armate napoleoniche che si accingono a portare d’Oltralpe una salutare ventata di razionalizzazione e ammodernamento destinata ad investire in pieno anche il Notariato(12). Oltre al codice civile recano con sé una legge che sin dal nome sembra tutto un programma (la legge del Ventoso) destinata a spazzar via tutte le anticaglie e ad incidere profondamente sulla documentazione. Il notaio, come è noto, viene inquadrato nel ruolo dei pubblici ufficiali e quindi il documento notarile
assume da questo momento il valore di vera e propria prova legale, alla stregua degli atti emanati
dall’autorità sovrana. Anche in materia di testimoni questa legge comporta grosse novità: i testi sono messi da parte poiché l’atto deve essere ricevuto da due notai. È una novità assai significativa: il legislatore d’oltralpe prende atto dell’inutilità sostanziale dell’intervento di persone per lo più incapaci di comprendere il contenuto del contratto e stabilisce che di regola l’atto debba essere ricevuto da due notai ovvero (e solo in via sussidiaria) da un notaio assistito da due testimoni purché quest’ultimi siano cittadini della Repubblica, sappiano firmare e siano residenti nell’arrondissement.
La nuova società borghese che si sta affermando come classe dirigente, tutta ripiegata su se stessa e dedita unicamente ai propri affari, vede con disfavore tutto ciò che interferisce sulla riservatezza e segretezza delle contrattazioni: è contraria alla socializzazione del fatto giuridico e la presenza di estranei è considerata un ammenicolo inutile se non addirittura come indebita ingerenza nella sfera personale degli interessi. Meglio quindi che l’atto sia ricevuto da due notai, persone capaci, preparate ed oneste cui si possono tranquillamente affidare i propri segreti. La legge per la verità esige che l’atto sia ricevuto da entrambi i notai, ma la prassi si orienta ben altrimenti: il secondo notaio in pratica si limita ad apporre la firma in calce all’atto del collega, senza assistere neppure al ricevimento e alla redazione dello stesso. In tutti questi casi, in pratica, l’atto è ricevuto dal solo notaio senza l’assistenza né del collega né dei testimoni: una soluzione che di fatto anticipa un regime che soltanto dopo oltre due secoli finirà per imporsi. In ogni caso la funzione svolta dal secondo notaio o dai testimoni è soltanto ‘strumentale’ poiché l’atto autentico notarile costituisce di per sé prova legale precostituita e non necessita di alcun procedimento di convalida o di impositio fidei. D’altra parte la necessità che gli eventi giuridici più salienti siano resi conoscibili al di fuori delle stretta cerchia dei protagonisti, in altre parole la pubblicità del fatto giuridico, fondamento per una sicura circolazione dei beni e dei diritti e soprattutto per la dinamica di un’economia basata sul credito, si realizza ormai attraverso un collaudato sistema in cui cooperano i notai e i pubblici registri(13).
L’ultimo tratto dell’itinerario che ci accingiamo a percorrere in discesa e in tutta velocità con lo sguardo fisso allo striscione del traguardo, riguarda avvenimenti ben noti su cui non vale la pena di soffermarci. Diciamo soltanto che, tramontato il ricorso alla figura del secondo notaio e ripristinata la regola dei due testimoni, con la riforma del 1913 si attua per la prima volta una radicale inversione di tendenza. Il legislatore consente finalmente la rinuncia ai testi nella maggior parte dei rogiti per mezzo di una formuletta da inserire all’inizio dell’atto, subito divenuta clausola di stile. È vero che il principio che fa della presenza dei testi un requisito di validità dell’atto rimane apparentemente in vigore, ma soltanto grazie ad una grossolana finzione: secondo la legge, infatti, quando le parti hanno rinunciato all’intervento dei testi con l’assenso del notaio l’atto deve considerarsi a tutti gli effetti come se fosse compiuto in loro presenza. È soltanto con la legge del 2005 che si mette da parte questa assurda finzione per stabilire una volta per tutte che i testi possono intervenire soltanto se una delle parti o il notaio stesso ne faccia richiesta: questi sono per davvero e a pieno titolo testes vocati. Come è noto, si mantiene tuttora al riparo da qualsiasi innovazione in materia di testimoni il settore degli atti mortis causa, quello delle convenzioni matrimoniali e degli atti di donazione, tutte tipologie negoziali nelle quali è molto forte il rilievo sociale. Possiamo avanzare l’ipotesi che la presenza dei testi in questi atti assolva tuttora, a livello simbolico, a quella funzione di assicurare la socializzazione dell’evento giuridico all’interno della comunità che abbiamo più volte messo in evidenza nelle tappe di questo percorso.
Finalmente, sullo slancio, siamo giunti in fondo alla discesa ed abbiamo oltrepassato anche lo striscione del traguardo che sventola festoso in prossimità della pausa pranzo. Perciò, data un’occhiata al cronometro, penso che a questo punto convenga mettere la parola fine a questo itinerario non propriamente storico ma meta-storico e ... metà mio!
(*) Il testo riproduce integralmente, con l’aggiunta soltanto di alcune note bibliografiche, l’intervento tenuto nel corso del Convegno.
(1) Cfr. M. AMELOTTI, voce Notaio (dir. rom.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, Giuffrè, 1978, p. 553-559; ID., voce Testamento (dir. rom.) , in Enc. dir. , XLIV, Milano, Giuffrè, 1992, p. 459-470; G. DUMÉZIL, La religione romana arcaica, traduz. di F. Jesi, Milano, Rizzoli, 2001; M. TALAMANCA, voce Documentazione e documento (dir. rom.), in Enc. dir, XIII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 548-561; ID., voce Vendita (dir. rom.), in Enc. dir, XLVI, Milano, Giuffrè, 1993, p. 303-475 e ss.
(2) Cfr. M. AMELOTTI, G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano , Roma, CNN, 1955; F. GALLO, voce Pubblicità (dir. rom.) , in Enc. dir. , XXXVII, Milano, Giuffrè, 1988, p. 966-974; H.G. SARADI, Il sistema notarile bizantino (VI-XV secolo), in Notai e documenti greci dall’età di Giustiniano al XIX secolo, I, Milano, Giuffrè, 1999; AA.VV., Diritto privato romano, a cura di A. Schiavone, Torino, Einaudi, 2003.
(3) Cfr. S. TAROZZI, «Un modulo documentario veneziano d’ascendenza ravennate: la notitia testium», in Il notariato veneziano tra X e XV secolo, Atti del convegno di studi storici (Venezia 19-20 marzo 2010), 2013, p. 13-37.
(4) Cfr. S. TONDO, «Note sui testimoni all’atto notarile», in Studi e materiali , 1990, 2, p. 329-335.
(5) Cfr. Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, a cura di C. Azzara e S. Gasparri Milano, Editrice La Storia, 1992.
(6) Cfr. A. GAUDENZI, «Le notizie dorsali delle antiche carte bolognesi e la formula post traditam complevi et dedi in rapporto alla redazione degli atti e alla tradizione degli immobili», in Atti del Congresso internazionale di scienze storiche, Roma, 1904, p. 419-444; G. CENCETTI, «La “rogatio” nelle carte bolognesi. Contributo allo studio del documento notarile italiano nei secoli X-XII», in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna , n.s.VII, 1960 ora anche in Notariato medievale bolognese , Atti di un Convegno (febbraio 1970), Roma, CNN, 1977, t. I, p. 220-285.
(7) Cfr. G. COSTAMAGNA, «Influenze tachigrafiche sulla formazione del segno di tabellionato nell’Italia Settentrionale (secoli IX-XI)», in Atti della Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova, VII (1950), p. 95-137; ID., «La scomparsa della tachigrafia notarile nell’avvento dell’imbreviatura», in Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s., Genova, III (1963), p. 11-49; anche in Studi di Paleografia e di Diplomatica, Roma 1972; ID., «Tachigrafie e crittografie nel simbolismo del documento medievale», in Atti dell’Accademia Ligure di scienze e lettere, Genova, XLVII (1990), p. 371-384.
(8) Cfr. G. COSTAMAGNA, La triplice redazione dell’instrumentum genovese, Genova, Soc. ligure Storia Patria, 1961; ID., «Dalla charta all’instrumentum», in Notariato medievale bolognese, Atti di un Convegno (febbraio 1970), Roma, CNN, 1977, t. II, p. 9-26; ID., Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, CNN, 1970; ID., voce Notaio (dir. interm.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, Giuffrè, 1978, p. 559-565; G. LIBERATI, voce Pubblicità (dir. interm.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, Giuffrè, 1988, p. 975-996.
(9) Cfr. Due formulari notarili cremonesi, a cura di E. Cremonesi, Roma, CNN, 1979.
(10) Cfr. A. ROVERE, «I publici testes e la prassi documentale genovese (secc. XII-XIII)», in Serta antiqua et mediaevalia, n.s. I, Roma 1997, p. 291-332; EAD., «Notaio e publica fides a Genova tra XI e XIII secolo», in Hinc publica fides. Il notaio e l’amministrazione della giustizia, Atti del convegno internazionale di studi storici (Genova 8-9 ottobre 2004), Milano, Giuffrè, 2006, p. 293-322.
(11) Cfr. A. PRATESI, Genesi e forme del documento medievale, Roma, Ed. Jouvence, 1979; U. GUALAZZINI, voce Documentazione e documento (dir. interm.) , in Enc. dir ., XIII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 561-578.
(12) Cfr. F. MAZZANTI PEPE, Modello francese e ordinamenti notarili in età napoleonica, in F. MAZZANTI PEPE, G. ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, Roma, CNN, 1983, p. 21-128; J. HILAIRE, La scienza dei notai. La lunga storia del Notariato in Francia, Milano, Giuffrè, 2003.
(13) Cfr. G. GIRINO, voce Testimoni e fidefacienti nell’atto notarile , in Novissimo Digesto Italian o, XIX, Torino, Utet, 1973, p. 275-277; C. FALZONE, A. ALIBRANDI, voce Testimoni nell’atto notarile, in Dizionario enciclopedico del notariato , III, Roma, Stamperia Nazionale, 1977, p. 901- 904; G. CASU, L’atto notarile tra forma e sostanza, Milano, Giuffrè, 1996, p. 55-65.
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