Attività notarile, autonomia privata, norma giuridica. Dal passato al presente
Attività notarile, autonomia privata, norma giuridica.
Dal passato al presente
di Gian Savino Pene Vidari
Professore emerito di Storia del diritto medievale e moderno, Università di Torino
Inquadramento
Sin dal tardo medioevo, dai tempi del mitico Rolandino(1), al notaio è riconosciuta da secoli nell’ambiente giuridico la “fides pubblica”(2): ciò ne fa il cosciente responsabile della veridicità di quanto scrive, sia per le parti che per i terzi. Ne consegue la piena credibilità della sua attività, che assicura il buon funzionamento di tutto l’ordinamento, garantito delle dichiarazioni contenute nell’atto notarile, derivanti dalla sua figura di libero professionista voluto super partes, le cui scritture sono da credere ed accettare sino a querela di falso accertata(3). Tale concezione giuridica, estesasi dall’Italia all’Europa continentale e poi al mondo latino-americano, permette di prevenire liti grazie alla pubblica credibilità degli strumenti notarili e di giungere in parecchi casi alla loro diretta esecutività giudiziale(4), a differenza di quanto avviene nell’ambiente anglosassone, impermeabile a quest’ultima impostazione, quindi disposto a discutere la veridicità di ogni informazione scritta tra le parti.
Neppure il rimescolamento del diritto derivante dalla rivoluzione francese ha modificato questo pilastro dell’ordinamento giuridico, che ha riconosciuto i notai come “functionnaires publics” (legge del marzo 1803=25 ventoso anno XI) e che è stato poi ribadito espressamente dall’art. 1317 (“officier publique”) del ben noto “code civil” del 1804, a sua volta modello per molti altri codici nel mondo. Il notaio è dunque da due secoli un “functionnaire publique” di nomina statale, ma è un professionista autonomo nella sua attività, retribuito non dallo Stato ma dalle parti: la sua qualifica funzionariale lo
pone però al di sopra delle esigenze delle parti, quale corretto garante delle contrattazioni sia verso le parti, sia verso i terzi, sia verso la stessa certezza del funzionamento dell’ordinamento giuridico(5). Il passaggio dall’ancien régime al nuovo sistema codificato ottocentesco(6)ha precisato - e rafforzato - ruolo e funzioni del notaio sino ai nostri giorni, nonostante i recenti - ma per ora inefficaci - attacchi dell’ambiente anglosassone per scardinarne la figura.
Il notaio agisce entro le norme dell’ordinamento: se sono a maglia stretta, le segue puntualmente; se si rivelano a maglia larga, può integrarne o completarne i silenzi, da un lato nel pieno rispetto della legge, dall’altro ispirandosi pure alle aspettative sia del cliente che delle parti, in base a quella notoria autonomia privata, che è una delle caratteristiche del sistema giuridico a favore sia dell’inventiva coerente e corretta del professionista sia delle esigenze dei privati. Sul piano storico si può constatare che, a seconda dei luoghi e dei tempi, tale autonomia ha un andamento “a fisarmonica” e che tendenzialmente oggi è venuta nel complesso a ridursi in conseguenza di una sempre maggiore normativa pubblica, con disposizioni a volte (a livello sia comunitario, sia statale, sia locale) non sempre congruenti fra loro oppure ai diversi luoghi, imponendo al notaio anche un attento lavoro interpretativo nello spazio e nel tempo. Il persistente importante principio dell’autonomia privata comporta oggi al professionista un perspicace impegno conoscitivo ed interpretativo, in un contesto allargatosi molto nell’ultimo mezzo secolo pure alla vita ed alle esperienze transnazionali. In ciò e per ciò il livello del notaio attuale richiede non tanto (come spesso in passato) una ripetitività di attività e di strumenti tra loro simili, ma un affiancamento ad essi di una vivace consulenza professionale, che ne valorizza le capacità professionali per utilizzare nel migliore e più coretto dei modi gli spazi concessi all’autonomia privata dalla complessa normativa esistente. Si tratta di un aspetto in passato non particolarmente rilevante, che viene assumendo oggi un rilievo crescente nella professionalità del singolo studio notarile, in concorrenza più organica con le settoriali conoscenze di eventuali avvocati, commercialisti o tributaristi, ma di indubbia valorizzazione delle capacità e della perspicacia dei singoli notai quali giuristi pieni.
Per queste operazioni, a volte anche complesse, il notaio capace e duttile viene a godere sin dai secoli medievali(7)della progressiva fiducia del cliente, che gli espone gli obiettivi sperati: con lui instaura quindi un dialogo costruttivo per verificare se la normativa esistente consente di raggiungere - coi dovuti leciti accorgimenti - in tutto o in parte il fine desiderato, magari esaminando anche più strade per raggiungere lo scopo. Il cammino può rivelarsi più o meno tortuoso, ma la consulenza di un professionista, che riesce ad unire conoscenze per lo più spezzettate presso altri, da un lato viene ad aumentare la fiducia del committente (di cui a volte il notaio finisce per diventare quasi un ‘confessore’ giuridico-economico, anche per situazioni semplici), dall’altro può consentire risultati altrimenti difficili da conseguire tramite esperti più numerosi con specifiche conoscenze settoriali. Ignoti notai medievali, ad esempio, hanno ‘inventato’ così il contratto di soccida(8)o quello di assicurazione marittima(9), veleggiando al margine dei divieti ecclesiastici d’usura, ma anche i diversi tipi di consorzi feudali(10)o varie forme di società(11), oppure le complesse rinunce giurate per le doti “congruamente” destinate alle figlie in occasione del matrimonio(12), giungendo pure - ormai nel Quattrocento inoltrato
- sino a costruire l’assicurazione sulla vita(13)o quel complesso ‘contratto trino’ (con commistione di società e di assicurazione)(14), che riuscivano ad aggirare ancora una volta - ma in modo più raffinato - gli anatemi ecclesiastici in tema di usura.
All’epoca l’autonomia privata consentiva spazi - anche interpretativi - ben più ampi degli attuali: la duttile e capace riflessione giuridica del notaio esperto ed un’attenta ed acuta utilizzazione delle dizioni delle clausole contrattuali hanno consentito ad alcuni notai (ben superiori alle conoscenze medie della categoria) di offrire a clienti di rilievo - fra i mercanti, fra i padri di famiglia orgogliosi della conservazione del casato, fra i nobili o fra i banchieri - soluzioni considerate sia all’epoca che in seguito legittime, superando difficoltà, che all’inizio potevano sembrare quasi invalicabili(15). Gli spazi attuali sono più ristretti, ma la dinamicità della vita economica, le innovazioni scientifiche, le prospettive di nuovi o più raffinati contratti commerciali o transnazionali possono consentire all’inventiva di un notaio intelligente e preparato di pervenire a soluzioni anche del tutto nuove, come potranno illustrare i colleghi specificamente esperti della realtà odierna.
Dinamica storica
L’attività del notaio munito di “publica fides” dura da più di otto secoli(16): ha conservato la “fides” (requisito basilare per la sua stessa configurazione) ed ha continuato a redigere determinati strumenti notarili (come compravendite, contratti di matrimonio o verbali di consiglio di enti di rilievo), ma senza dubbio nel corso del tempo è venuto modificando pure la sua attività, e non di poco. Alcune sue funzioni, anche secolari, si sono perse nel tempo e possono essere qui accennate solo per far notare l’ampiezza delle attività notarili, sebbene oggi finisca col nascerne, col ricordo, quasi un sorriso.
Il notaio sapeva leggere e scrivere, molti altri (anche nobili o notabili) no. La “publica fides” doveva garantire l’analfabeta che il notaio scriveva quanto il committente voleva: si trattava di notai di livello sovente non elevato, che però ancora nel Settecento erano assunti come scrivani o modesti collaboratori giuridici: ho trovato un formulario inedito del sec. XVIII con modelli di lettere d’amore, di amicizia o
di ringraziamento, così come di ingiunzioni di pagamento o di proclami per la popolazione (che poi il banditore o lo stesso notaio leggevano ai sudditi analfabeti)(17). In numerosi feudi giudice era un notaio, che poi redigeva pure il processo verbale dell’udienza e la sentenza.
Per secoli sono stati notai coloro che svolgevano la funzione di cancelliere nel processo, così come quella di verbalizzanti dei consigli comunali o di redattori degli atti comunali, con una continuità di lavoro, che nelle piccole comunità li portava spesso a dirigere (o almeno indirizzare) amministratori e sindaci. Persino i grandi comuni medievali per i loro atti (e verbali) facevano ricorso ai notai, perché questi erano muniti di una “publica fides” (per diploma imperiale o papale) che il Comune - per quanto potente - non poteva concedere(18). Tutti questi notai sono stati poi spesso progressivamente assorbiti (nei secoli XVIII-XIX) nella pubblica amministrazione. Sovente lo stesso notaio svolgeva la sua normale attività quotidiana e cumulava, come professionista - con un contratto spesso a ‘forfait’ annuale o pluriennale - la funzione di segretario comunale o di giudice locale, ancora tra Settecento e Ottocento. Ora il segretario comunale - con un certo ‘revirement’ storico - ha una competenza, più o meno limitata, per la redazione di atti pubblici in concorrenza coi notai …
Ho ricordato brevemente questi casi, a cui se ne potrebbero aggiungere parecchi altri, per far notare la diffusione del notariato, in specie nell’ancien régime, con un’ampia e consistente presenza in tante circostanze, in cui l’ordinamento doveva offrire all’analfabeta (molto frequente) almeno qualche persona, di cui potesse fidarsi di quanto farsi redigere in un documento scritto, se ne aveva necessità. Non sono però certo questi i notai oggi esistenti, all’epoca modesti ma indispensabili in quel tipo di società, scomparsa tra Settecento e Ottocento. In occasione dell’Unità il notaio ha visto espressamente confermato dal codice civile del 1865, sul modello del codice francese, la sua secolare figura di persona di “pubblica fede”, nonché riconosciuta la funzione di “pubblico ufficiale” (art.
1315). Proprio nell’Ottocento il notariato ha sofferto però di una tormentata crisi di crescita, anche per la configurazione del suo ruolo nella società e fra le diverse professioni o attività giuridiche(19). La stessa richiesta della laurea, avanzata dall’élite notarile del tempo, non è stata accolta ancora nella prima normativa unitaria del 1875-79 per non deprimere immediatamente e di più alcune zone con una loro diversa tradizione o culturalmente in difficoltà anche a livello notarile(20). La crescita economica e sociale degli ultimi decenni del sec. XIX e le richieste sempre più pressanti dei notai delle terre ove era obbligatoria la laurea come requisito d’accesso ha però portato all’inizio del sec. XX ad un cambio di prospettiva: la nuova legge notarile del 1913 ha fissato la necessità della laurea, che è venuta costituendo così un certo sbarramento, rafforzato poi dal 1926 col “numero chiuso”(21). Questo si è rivelato col passar del tempo sempre più selettivo e quindi via via tendente all’emersione di un’élite di notai-giuristi particolarmente qualificati nella loro professione e nelle soluzioni richieste dalla complessità dell’attuale vita giuridica, il cui livello non sfigura certo nelle questioni transnazionali rispetto all’ambiente notarile straniero. A sua volta lo Stato è venuto progressivamente imponendo al notaio obblighi di natura tributaria e di certificazione (ad es. urbanistica), che ha sfruttato notevolmente la sua qualifica di “pubblico ufficiale”, assoggettandolo però ad ulteriori controlli pubblici, trascurando invece un poco l’altra metà della sua identificazione quale libero professionista.
Casistica storica
Il contributo del notaio è stato sempre notevole nell’organizzazione formale della famiglia. Nei casati nobili la sua perizia costituiva sovente consorzi gentilizi, nei quali - quasi più che nell’attuale società commerciale - erano indicati nei minimi particolari il funzionamento del consorzio gestore del feudo, con clausole molto dettagliate sui diritti ed i doveri dei singoli componenti. Tramite un fedecommesso notarile (soprattutto in età moderna) il titolare del casato disponeva della successione non solo propria ma anche delle generazioni successive, a volte con un complesso sistema di clausole, la cui interpretazione non ha impedito per secoli liti fra i pretendenti, che erano sovente transatte con ulteriori interventi notarili. La ‘moda’ del fedecommesso si è diffusa molto in età moderna, sino a patrimoni anche modesti di possidenti contadini. Tutto ciò, nell’Europa continentale, è scomparso con la fine dell’ancien régime, ma è proseguita in ambito familiare l’abitudine di dotare con strumento notarile la figlia in occasione del matrimonio (o anche all’entrata in convento), per lo più con clausole di una certa complessità, che tendevano - tramite la consegna della dote - ad escluderla da successivi diritti ereditari entro la famiglia d’origine.
La dote in Italia, depurata di buona parte di queste clausole antifemministe, è stata ancora riconosciuta nel codice unitario del 1865 e, per lo più utilizzata - specie nel Centro-Sud - sin verso la prima guerra mondiale, per decadere poi nell’uso sociale, facendo così generalmente prevalere, almeno dal secondo dopoguerra, il regime di separazione dei beni senza alcun intervento notarile: in pratica un’attività, che presumibilmente aveva interessato almeno il 15% di quella dei notai, si è persa. Oggi, con l’attuale diritto di famiglia, il notaio è tornato - ancora un po’ marginalmente - in gioco, data anche la particolareggiata disciplina legislativa: fra le ‘maglie’ di questa può intervenire per la scelta di regimi diversi dalla comunione legale fra coniugi (con la possibilità di ulteriori clausole specifiche), ma per ora non è nel complesso gran cosa. Come farà notare il collega Fusaro, qualche attività maggiore può derivare piuttosto dalle ‘anomalie’ rispetto alla famiglia tradizionale, cioè ad integrazione del divorzio oppure per patti fra conviventi (di vario tipo), nonostante in certi casi la concorrenza degli avvocati.
Altro notevole settore di attività notarile è stato per secoli quello del testamento, dato che - pur con qualche modalità diversa - era pressoché ovunque obbligatorio per tutti provvedere a farlo redigere per atto notarile, ed era usuale che ogni possidente desiderasse destinare lui stesso i suoi beni, senza rimettersi alle striminzite regole della successione legittima. Spesso anzi i testamenti erano piuttosto complessi e richiedevano quindi al notaio un buon impegno sia per conoscere con esattezza le volontà del committente, sia per dargli eventuali consigli sulle soluzioni più opportune e sia per redigere finalmente lo strumento testamentario. Le innovazioni rivoluzionarie francesi hanno però inciso in questo settore, consentendo pure in alternativa il testamento olografo (artt. 969-970 c.c. 1804). Ma la novità riguardava solo gli alfabeti, che nel complesso rivelavano peraltro un certo timore personale di non rispettare con precisione la nuova normativa, con la conseguenza dell’invalidità o dell’impugnabilità del testamento olografo: ciò ha finito col non ridurre immediatamente ed in modo
considerevole i testamenti redatti dai notai.
Il nuovo codice civile unitario del 1865 ha seguito anche qui il modello francese ed ha previsto la possibilità del testamento olografo (art. 774-775)(22). Lo potevano naturalmente utilizzare solo gli alfabeti, ed in specie le persone di una certa cultura e disponibilità economica, fors’anche col consiglio di avvocati con esse in stretto rapporto. I notai in tal modo potevano venire a perdere in teoria la clientela migliore. Un dubbio forse un po’ maligno potrebbe prendere le mosse dal fatto che redattori del nuovo codice erano stati soprattutto avvocati(23)e che questi costituivano quasi un terzo dei membri della Camera del nuovo regno(24), mentre i notai vi si contavano sulle dita di una mano …(25). Certo, si trattava comunque di una riforma in armonia con il progresso dei tempi, ma poteva danneggiare in modo fors’anche considerevole i notai, specie nella fascia più elevata della loro clientela. In effetti, il danno si è nel complesso rivelato al momento minore del temuto, perché la grande maggioranza degli interessati, per non rischiare(26), ha per lo più preferito affidarsi al notaio, e solo nel lungo periodo il testamento pubblico redatto dal notaio, diffusasi via via l’alfabetizzazione, è venuto notevolmente riducendosi.
Ciò non impedisce che, ancora oggi, si depositi con una certa frequenza il testamento olografo presso un notaio e soprattutto si vada a ricercare in uno studio notarile le indicazioni per la redazione olografa del proprio testamento: si chiedono anzi spesso pure consigli circa eventuali parziali alternative alla soluzione testamentaria per regolare il passaggio di titolarità o la successione delle proprie sostanze, come sarà precisato da altri. In prospettiva storica mi pare di poter concludere che, se il testamento pubblico notarile (nonostante un glorioso passato) è ormai pressoché eccezionale, quello olografo è nel complesso ancora utilizzato, sovente pure con preventivi consigli del notaio e poi con l’obbligatorio intervento di “pubblicazione” per renderlo esecutivo. La materia ‘lato sensu’ successoria è comunque tuttora generalmente sempre considerata di appannaggio notarile.
Durante la sua esistenza ogni persona sente pure - in certi casi anche abbastanza frequenti - la necessità di rivolgersi ad un notaio per le proprie esigenze normali di vita, a volte perché ciò è previsto dalla legge, altre volte a solo scopo cautelativo, nel complesso per la fiducia riposta nel suo consiglio. Nei diversi campi ciò è mutato nel corso del tempo, in modo anche considerevole, sia per i cambiamenti normativi sia per l’evoluzione della società. Ad esempio, sono ormai lontani i secoli in cui a Napoli per la validità dell’assicurazione era necessario l’atto notarile, mentre altrove (ad es. Genova, Firenze, Venezia o Ancona) bastava la polizza del sensale(27): oggi è normale la polizza privata, stipulabile ormai anche in modo unicamente informatico. Nella verbalizzazione giudiziaria o comunale da tempo al notaio sono stati sostituiti appositi funzionari come il cancelliere o il segretario comunale, il quale in certi casi si vede - anzi - pure ammesse competenze che lo affiancano al notaio. Ciò non impedisce però che, fors’anche per dare maggiore rilevanza esterna o per attestare una più palese imparzialità tra le parti, per certi importanti accordi fra enti pubblici si preferisca la redazione tramite atto notarile. Si tratta, peraltro di casi un po’ eccezionali: un altro esempio può essere quello che si verifica quando, in assenza di un cancelliere, il giudice chiama un notaio per la verbalizzazione di un atto giudiziario.
Un tempo si procedeva a volte con atto notarile per comperare dei beni mobili di maggiore o minor rilievo, ad esempio pure per l’acquisto di animali (cavalli o bovini, e pure cani di affezione): si tratta di un mondo e di una mentalità ormai passati, in cui il cliente si attendeva di poter dimostrare al giudice ed ai terzi la proprietà del bene o dell’animale, per lo più in caso di furto. Quanto ai mobili, però, sino a pochi anni fa è rimasto obbligatorio il trasferimento delle automobili per atto notarile, perché da trascrivere in un apposito registro (Pra), obbligatorietà rimasta ora solo per la compravendita di elicotteri ed aerei (con autonomo registro), certo molto meno numerosi delle auto, il trasferimento delle quali comunque ha costituito per parecchi anni una certa percentuale dell’attività del notaio. Si è trattato di un’indubbia riduzione di lavoro, peraltro sul piano storico in allineamento alle tendenze europee ed in connessione con la grande diffusione dell’auto nel mondo contemporaneo(28).
Per secoli però l’intervento del notaio è stato collegato soprattutto con le modificazioni dei diritti reali sugli immobili, non solo per la classica compravendita, ma altresì per le diverse servitù, reali e personali, l’ipoteca, l’enfiteusi o la superficie. Il centro è stato sempre - ed è ancora - costituito naturalmente dalla compravendita. Non solo vi appare con una varietà di formule e di clausole dai più antichi formulari sino agli ultimi a stampa, per lo più sempre predisposti da notai perspicaci; su tali basi un notaio di un certo livello veniva spesso a redigersi un formulario personale, con soluzioni specifiche, rispondenti alle necessità tipiche o speciali della sua clientela, formulari che finiva sovente col lasciare ai propri successori, presumendo di potersi preparare meglio e più rapidamente alle esigenze dei committenti(29).
Tale encomiabile preveggenza rivela attualmente una parte almeno della sua relatività, perché mentre in passato il notaio agiva a legislazione pressoché costante e poteva quindi ipotizzare - negli interstizi di questa - soluzioni anche in parte innovative, attualmente la frequente mutazione - più o meno condivisibile - della normativa impone al notaio un costante aggiornamento della redazione dei propri strumenti, cosicché un formulario preesistente può essere tanto di aiuto quanto d’impiccio per la contingente redazione dell’atto notarile. Non è peraltro pensabile che un notaio, secondo tradizione, non abbia i suoi punti di partenza per ogni argomento in schemi di lavoro, che adatta caso per caso alle diverse situazioni concrete, in armonia col dettato normativo e con le aspettative dell’autonomia privata dei clienti.
Se si confrontano i formulari del passato con quelli attuali, si notano differenziazioni di una certa consistenza: quelli tradizionali delle servitù prediali non sono peraltro variati di molto (ma sono sempre meno usati in una società ormai ben diversa da quella agricola di un tempo), ma si sono ad esempio aggiunte le servitù - un po’ anomale nel secolare concetto in materia - dei canali irrigui, di elettrodotto, di funivie, o di gasdotto. Invece, per le varie tipologie di compravendita immobiliare (un tempo già differenziate nelle loro formule, ma nel complesso all’epoca abbastanza simili e semplici, salvo forse ad esempio nella clausole di prelazione dei consorzi gentilizi), si è passati oggi a formule fra loro spesso differenziate e pure estremamente complesse, a cui si uniscono ad esempio le clausole obbligatorie prescritte in tema urbanistico-edilizio, di certificazione energetica e riguardo agli impianti: esse sono imposte dalla legge all’interno dello strumento, ma a loro volta richiedono che lo stesso notaio si basi su puntuali e specifiche dichiarazioni dei terzi esperti di tali campi, nei quali le conoscenze tecnico-giuridiche del notaio non sono in grado di entrare nel dettaglio. L’attuale notaio italiano, pubblico funzionario ma pure libero professionista, è chiamato dallo Stato a compiti non solo di carattere tributario a vantaggio di quest’ultimo, ma anche a certificazioni tecnico-strutturali estranee alla sua espressa qualificazione giuridica, che ne accentuano il ruolo di garante verso l’ordinamento
di determinati requisiti tecnico-strutturali dell’edificio: tali attestazioni ne accrescono il potere di
certificazione, ma anche gli impegni per provvedervi tramite il lavoro di esperti esterni. Di fronte alla fragilità accertativa e funzionale dello Stato, questo chiama il notaio a sopperire alle manchevolezze pubbliche con la sua attività professionale, imponendogli maggiori oneri, ma elevandone ancor più la figura di garante dell’ordinamento e dei terzi. Tutto ciò era nel complesso ignoto al notaio di mezzo secolo fa: la “libera professione” in questo senso è molto cambiata ed almeno un po’ di libertà il professionista l’ha persa per strada.
Il livello tecnico-giuridico dell’ambiente notarile è molto cresciuto proprio in questo dopoguerra: accanto a notai che si sono per lo più limitati alla redazione quasi seriale di strumenti di compravendita immobiliare, se ne sono presentati via via sulla scena altri che hanno esaminato gli aspetti incerti o dibattuti dell’attività professionale anche sul piano scientifico, sia nelle apposite autorevoli riviste notarili nel frattempo diffusesi(30), sia in specifici volumi, sia in nuovi poderosi formulari editi per i colleghi. Tali opere ormai, per la loro autorevolezza, circolano ben oltre l’ambiente notarile e sono lo strumento di primo approccio alle questioni immobiliari tanto degli avvocati quanto degli operatori immobiliari. La scienza notarile ha quindi saputo uscire da quel guscio un po’limitato e chiuso, che affiggeva l’incomprensione e la relativa posizione sociale ed economica della grande maggioranza dei notai del nostro secondo Ottocento, alla ricerca di un ruolo, all’epoca per essi piuttosto sfuggente, oggi invece di indubbio rilievo nel proprio settore professionale.
Accanto alla competenza ed alla superiorità nel campo della compravendita immobiliare, in prosecuzione di una lunga tradizione, nel campo dei diritti reali si presentano oggi al notaio altre aree di lavoro e di studio creativo: si possono ricordare ad esempio le soluzioni giuridiche da costruire per l’utilizzazione delle energie alternative (come quelle eoliche o dei pannelli solari) con la possibilità di riprendere modelli di diritti reali che sembravano praticamente scomparsi nel tempo, come quelli connessi con l’enfiteusi o il diritto di superficie. Si tratta naturalmente di soluzioni nuove, alle quali possono però riconnettersi princìpi o istituti di un tempo lontano, pressoché dimenticato.
Ciò avviene pure, ad esempio, nell’ormai pluridecennale discussione sul trust di modello anglosassone, diverso nei princìpi giuridici ispiratori e nella disciplina dal fedecommesso dei secoli tra l’ultima età medievale e tutta l’età moderna, spazzato via dalla rivoluzione e dalla codificazione francesi(31). Sul piano antropologico certe aspettative umane di incidere senza apparire in materia economica ed altre velleità di far sentire la propria volontà pure dopo la morte possono anche essere simili ad altre esperienze di un passato così remoto da essere di per sé autonomo ed ininfluente: è nel complesso forse più ragionevole ed operativo cercarne i punti di contatto giuridico con la tradizione dell’area anglosassone, non toccata dalla forza eversiva della rivoluzione francese e quindi portata ad una continuità con la situazione anteriore(32).
Legami col nostro passato ne restano invece in altri campi, come quelli per i mutui ipotecari: per essi la presenza del notaio è indispensabile - oggi come ieri - per l’obbligo dell’iscrizione nei registri ipotecari, elemento caratterizzante ormai bisecolare del notariato latino-americano: se ne è dimostrata tutta l’essenzialità al momento della grave crisi “subprime” statunitense di alcuni anni fa, proprio quando in quello stesso ambiente si stavano sviluppando manovre per eliminare - o almeno notevolmente ridurre
- il secolare classico rilievo della funzione notarile. Il successivo ripensamento del mondo anglosassone lascia in proposito per il momento un po’ più di tranquillità.
In campo societario, invece, le buone prospettive da secoli apertesi per il notariato italiano sembrano forse un po’ appannate, ma ancora esistenti; nella vicina Francia invece pare che oramai il settore sia diventato per lo più appannaggio di altri professionisti, con indubbio danno dei notai transalpini. Ma delle società hanno parlato questa mattina con la loro grande autorevolezza Antonio Padoa Schioppa e Piergaetano Marchetti: la materia è stata quindi già ampiamente illustrata.
La storia dell’ultimo cinquantennio attesta la crescita, sia culturale e scientifica, sia organizzativa ed economica, degli studi professionali notarili. C’è però attualmente una crisi generale, non solo italiana: in prospettive storica, non stupisce quindi che il notariato possa trovare anch’esso difficoltà serie, problematiche nuove, cambiamenti legislativi e fiscali, che rischiano di intralciarne la strada. Non può però adagiarsi a rimpiangere un passato ormai decorso: tramite la vitalità, la perspicacia ed il lavoro dei singoli suoi membri deve essere fiducioso dei suoi mezzi e delle sue caratteristiche, che da secoli ne fanno un pilastro di garanzia della certezza del nostro ordinamento e lo spronano quindi a far sentire a fondo ed a chiunque l’importanza indispensabile del suo ruolo per la correttezza delle contrattazioni e per un traffico giuridico (ed economico), di cui tutti si augurano la ripresa.
(1) G. TAMBA, «Rolandino e l’ars notaria da Bologna all’Europa», Atti del congresso internazionale di studi storici sulla figura e l’opera di Rolandino, Bologna 9-10 ottobre 2000, Milano, Giuffré, 2002. Cfr. pure il più discorsivo. G. TAMBA, Rolandino (1215-1300) alle origini del notariato moderno, Roma, CNN, 2000, p. 4-187. Per una recente sintesi, cfr. I. BIROCCHI, Rolandino Passeggeri, in I. BIROCCHI, E. CORTESE, A. MATTONE, M.N. MILETTI, Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna, il Mulino, 2012, p. 1717-1720.
(2) G. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, CNN, 1970, p. 7-32.
(3) G.S. PENE VIDARI, «Identità nazionale, Notariato, Unità d’Italia», in Riv. st. dir. it., 2012, LXXXV, p. 27-29.
(4) V. PIERGIOVANNI, Hinc pubblica fides. Il notaio e l’amministrazione della giustizia . Atti del Convegno internazionale di Studi Storici organizzato dal Consiglio notarile di Genova sotto l’egida del Consiglio Nazionale del Notariato, Genova 8-9 ottobre 2004, Milano, Giuffré, 2006.
(5) J. HILAIRE, La science des notaires. Une longue histoire, Paris, Puf, 2000, p. 56-66. Traduzione italiana e prefazione di V. Piergiovanni; ID., Scienza dei Notai: la lunga storia del Notariato in Francia, Milano, Giuffré, 2003, p. 53-66.
(6) G. ANCARANI, L’ordinamento del notariato dalla legislazione degli stati preunitari alla prima legge italiana, in F. MAZZANTI PEPE, G. ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, Roma, CNN, 1983, p. 237-243 e da ultimo L. SINISI, «Sviluppo ed evoluzione ottocentesca degli ordinamenti notarili italiani sino all’Unità», Riv. st. dir. it., 2012, LXXXV, p. 42-99.
(7) V. PIERGIOVANNI, Il notaio e la città. Essere notaio: i tempi e i luoghi (secc. XII-XV). Atti del Convegno di Studi Storici Genova 9-10 novembre 2007, Milano, Giuffré, 2009.
(8) C. PECORELLA, «Contratti di allevamento del bestiame nella regione piacentina nel XIII secolo», in Studi parmensi, 1975, XVI, p. 93-266.
(9) E. SPAGNESI, Aspetti dell’assicurazione medievale, in E. SPAGNESI, G.S. PENE VIDARI, B. CAIZZI, L’assicurazione in Italia fino all’Unità. Saggi storici in onore di Eugenio Artom, Milano, Giuffré, 1975, p. 58-63, 118-125, 130-178.
(10) F. NICCOLAI, I consorzi nobiliari ed il comune nell’alta e media Italia, Bologna, Zanichelli, 1940, Appendice, p. 103- 169, al termine di ogni strumento.
(11) U. SANTARELLI, Mercanti e società tra mercanti, Torino, Giappichelli, 1992, p. 111-186.
(12) Si possono ricordare, fra le più note, le formule predisposte - fra Cinquecento e Seicento - dal Nevizzano d’Asti, G. NEVIZZANO, Sylva nuptialis, Lugduni, 1556, I, p. 83-84 (n. 169), II, p. 173-175 (n. 81) oppure dal noto R. MARANTA, Speculum aureum et lumen advocatorum pratica civilis, Ventiis, Baba, 1615, p. 616-628 (disputatio decima). Per la Liguria cfr. L. SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile nell’età moderna. L’esperienza genovese, Milano, Giuffré, 1997, p. 195-406; per il Piemonte settecentesco G. BELMONDO, Istruzione per l’esercizio degli uffizi del Notajo in Piemonte, I, Torino, Briolo, 1777, p. 119-120 (n. 402-408).
(13) G.S. PENE VIDARI, Il contratto di assicurazione nell’età moderna , in E. SPAGNESI, G.S. PENE VIDARI, B. CAIZZI, op. cit ., p. 251-254.
(14) J.P. LEVY, «Un palliative à la prohibition de l’usure: le “contractus trinus” ou “triplex”», in Revue historique de droit français et étranger, 1939, 18, p. 424-427.
(15) A fine Settecento la situazione è esposta a livello generale ed europeo, ad esempio in materia assicurativa, dai noti trattati di B.M. EMERIGON, Traité des assurances et des contrats à la grosse, 2 vol., Marseille, Jean Mossy, 1783; A. BALDASSERONI, Delle assicurazioni marittime, 5 vol., Firenze, Bonducciana, 1786.
(16) J. HILAIRE, op. cit., p. 32-66 (nella citata traduzione italiana, p. 24-66).
(17) Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Patetta, n. 2142.
(18) V. PIERGIOVANNI, Il notaio e la città …, op. cit., p. 118 (per la Sicilia federiciana), p. 207 (per Bologna), p. 179 (per Asti, Ivrea e Vercelli).
(19) M. SANTORO, Notai. Storia sociale di una professione in Italia (1816-1940) , Bologna, il Mulino, 1998, p. 11-86.
(20) Ibidem , p. 69-78.
(21) Ibidem , p. 215-218 e 268-270.
(22) I. SOFFIETTI, Il testamento olografo, in G. BORSACCHI, G.S. PENE VIDARI, Avvocati protagonisti e innovatori del primo diritto unitario, Bologna, il Mulino, 2014 (in corso di stampa).
(23) G. BORSACCHI, G.S. PENE VIDARI, Presentazione, in G. BORSACCHI, G.S. PENE VIDARI, op. cit.
(24) M. MALATESTA, Per la storia sociale dell’avvocatura: tradizione e trasmissione, in G. ALPA, R. DANOVI, Un progetto di ricerca sulla storia dell’avvocatura, Bologna, il Mulino, 2003, p. 99.
(25) M. SANTORO, op. cit., p. 63.
(26) G.S. PENE VIDARI, «Identità nazionale …», cit., p. 36.
(27) PENE VIDARI, Il contratto di assicurazione, in E. SPAGNESI, G.S. PENE VIDARI, B. CAIZZI, op. cit., p. 225-226 e 266-267.
(28) L’obbligatorietà della trascrizione nel registro del Pra è peraltro rimasta: vi deve provvedere il privato o un’agenzia automobilistica a cui questo si rivolge. La semplificazione è stata quindi nel complesso abbastanza relativa e - penso - pure di un non particolare minor peso economico per l’acquirente, con la possibilità invece di una minore veridicità dei dati del Pra rispetto a quando provvedeva all’iscrizione il notaio, quindi con possibile incrinatura della correttezza delle conoscenze e del traffico giuridico.
(29) Posso citare alcuni esempi manoscritti in Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Patetta, n. 1361-1363 e n. 1970.
(30) Un secolo fa le riviste specifiche del Notariato erano sia meno numerose sia meno elevate; avevano inoltre - anche le più note - mercato e lettori molto meno estesi.
(31) C. BONZO, Dalla volontà privata alla volontà del principe. Aspetti del fedecommesso nel Piemonte sabaudo settecentesco, Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 2007. Un secondo volume della stessa autrice, sul periodo rivoluzionario e sulla restaurazione, è in stampa presso l’editore Jovene.
(32) Dei risvolti attuali della recezione con atto notarile di trust stranieri si occupa con fine valutazione attuale il collega Andrea Fusaro.
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