Compensi professionali e tariffari
Compensi professionali e tariffari
di Maria Benedetta Carosi
Dottoranda di ricerca, Università di Genova
Il mio intervento, di carattere storico, si concentrerà sull’esperienza dell’ordinamento genovese dall’antico regime ai primi decenni dell’Ottocento, periodo che rappresenta per il notariato locale un decisivo momento di svolta da cui prende avvio il lungo processo di trasformazione destinato a modificare, nel corso del secolo XIX, il volto di questa professione, adeguandone progressivamente la disciplina e l’assetto istituzionale alle esigenze dello stato moderno.
La realtà genovese costituisce, a tale proposito, un punto d’osservazione privilegiato per il fatto che in poco meno di vent’anni si avvicendano in questo micro-spazio ordinamentale gran parte delle esperienze più rilevanti per la storia del notariato dell’epoca, in un susseguirsi di riforme e trasformazioni che lo rendono laboratorio ideale per un confronto fra diversi modelli normativi e il loro impatto sulla realtà fattuale.
Un percorso non sempre coerente e lineare, presentandosi piuttosto come un susseguirsi di cambiamenti non alieni da ripensamenti e compromessi fra antico e nuovo, nel quale è possibile rintracciare la tendenza a configurare l’attività notarile come una funzione pubblica, limitando conseguentemente la sfera di autonomia dei singoli professionisti e trasferendo il potere di regolamentazione dalla categoria all’autorità dello Stato.
Già in antico regime, vari indizi rimandavano più o meno espressamente, all’idea del notariato quale funzione pubblica: in primo luogo la nomina da parte del Serenissimo Senato e l’investitura dogale accompagnate dal giuramento solenne di fedeltà alla Repubblica, in secondo luogo la sottoposizione al controllo dei Supremi Sindacatori ed infine l’intervento delle autorità in alcune fasi degli esami di accesso, nonché il fatto che gli stessi statuti notarili fossero sempre approvati ed ufficialmente emanati dall’autorità di governo. L’autorità sovrana, considerando il potere di certificazione e di attribuzione di fede pubblica una prerogativa di sua esclusiva spettanza, si riteneva legittimata a disciplinare l’attività dei notai quali soggetti delegati ad esercitare tale funzione in tutte le sue manifestazioni, compreso ovviamente il settore dei compensi professionali(1).
L’idea costante che ispirava i provvedimenti in materia tariffaria sembra essere stata quella di difendere la clientela da richieste eccessive, fissando un limite massimo per i compensi professionali. Emblematico in tal senso è il titolo di “Meta o sia Tariffa della mercede delli Notari” attribuito al provvedimento approvato nel 1601 dal Serenissimo Senato, massimo organo di governo della Repubblica oligarchica, titolo che, mediante l’utilizzo della parola latina “meta” rimanda all’idea di un calmiere, quasi si trattasse di fissare il prezzo di un genere essenziale o di prima necessità(2). Del resto ciò non deve sembrare strano, se riflettiamo sul fatto che ricorrere all’opera di un notaio appare in un certo senso una scelta obbligata per potersi avvalere di un atto dotato di pubblica fede e di esecutività. Rispecchiando la duplicità di funzioni esercitate dal notariato di antico regime che riguardavano, come noto, non soltanto gli atti per la clientela privata, ma anche l’attività di cancelliere nei tribunali civili e criminali e nelle più disparate magistrature e istituzioni della Repubblica, la tariffa comprendeva anzitutto una sezione dedicata agli atti giudiziari, alla quale seguiva una sezione dedicata agli atti negoziali(3).
Con riferimento a questi ultimi, il provvedimento in questione, per ogni tipologia di atto (instrumentum) distingueva il corrispettivo dovuto per il rogito, normalmente costituito da un esiguo importo fisso, da quello di maggior valore dovuto per il rilascio del cd. “estratto in pubblica forma”, per la determinazione del quale veniva utilizzata tanto la tecnica dei minimi e massimi, quanto quella degli scaglioni progressivi parametrati ad indici rivelatori del valore economico della transazione(4). Rimaneva fuori dalla tariffa il testamento ricevuto in periodo di peste, prestazione caratterizzata da un evidente elemento di straordinarietà, il cui compenso veniva determinato al momento da parte dei Sindacatori della Repubblica. A quest’ultimi, inoltre, era riservato il compito di determinare i compensi per gli atti non espressamente contemplati nel provvedimento e di decidere sulle controversie in materia tariffaria. Severe sanzioni potevano essere applicate dall’autorità di governo nei confronti dei notai giudicati colpevoli di contravvenzione: la restituzione da quattro a otto volte la somma riscossa in eccesso rispetto ai limiti di legge e, in caso di recidiva reiterata, la sospensione per un anno dall’esercizio dell’ufficio.
Affinché la tariffa fosse portata a conoscenza della cittadinanza venne stabilito che se ne desse notizia e pubblicazione in Piazza Banchi «a suono di trombe a voce alta e intelligibile com’è di costume» e che a cura e spese del Collegio notarile venisse stampata e distribuita fra tutti i notai.
Dopo il 1797, con la rivoluzione di matrice giacobina e la nascita della Repubblica democratica, il rapporto Stato-notariato subì una svolta decisiva con l’abolizione dell’antico Collegio, nel quale per secoli si era identificato il notariato cittadino, ed il conseguente venire meno della distinzione intra professionale tra i notai operanti all’interno delle mura di Genova e i restanti notai del Dominio (cd. extramoenia)(5). Il ceto notarile, unificato e totalmente subordinato allo stato, sarebbe stato inquadrato in un unico Albo per tutta la Liguria, e la legge avrebbe fissato il numero dei notai in base alla densità demografica, limitandone la facoltà di rogito entro i confini del cantone di residenza(6).
La soppressione dell’organizzazione corporativa, lungi dal comportare la totale “liberalizzazione” dell’attività professionale, ne trasferì il controllo interamente nelle mani dello stato, come nettamente si evince dalla previsione dell’articolo 377 della Costituzione che recitava «la Legge invigila particolarmente sulle professioni che interessano i costumi pubblici, la sicurezza, la salute dei Cittadini, e la fede pubblica»(7).
Se la riforma delle funzioni notarili rappresentava di sicuro una necessità di primordine, anche alla luce delle nuove idee che ispiravano l’azione di governo in materia di difesa del diritto di proprietà e della libera circolazione dei beni, la materia non fu inserita fra le priorità nell’agenda dell’azione riformatrice poiché la questione in quel momento più pressante per il regime rivoluzionario era costituita dalla necessità di reperire risorse per le casse nazionali e formulare un nuovo sistema di fiscalità(8).
Nel frattempo, tuttavia, fu necessario por mano ad un provvedimento urgente in materia tariffaria, reso ormai indilazionabile(9). Si trattava anzitutto di fare chiarezza in un panorama normativo ormai divenuto incerto: «considerando che dopo l’antica riforma della Tariffa per le mercedi degli atti Notariali e Giudiziari seguita li 18 Decembre 1601 e registrata nello Statuto civile foglio 447, altre ne sono state in diverse epoche pubblicate, o particolari, o temporanee, e che perciò è da molto tempo incerto e presso ché arbitrario il pagamento di dette mercedi»(10).
A questa esigenza di chiarezza si affiancava la necessità di una radicale revisione delle voci tariffarie, resa ancor più urgente dal momento che «annientato il Commercio, scemata considerevolmente la populazione, e sconvolto l’ordine economico», il costo della vita era considerevolmente aumentato(11). Il provvedimento comprendeva tanto gli atti processuali che quelli notarili in senso stretto ed era molto più organico, razionale, analitico rispetto alla tariffa esistente. Il testo si presentava tendenzialmente completo, facendosi rinvio soltanto in via residuale alla decisione del potere esecutivo della Repubblica per la determinazione dei compensi per tutti gli atti non espressamente contemplati. La tariffa riproponeva la tecnica dei minimi e massimi, nonché quella degli scaglioni proporzionali al valore dell’atto, già sperimentati precedentemente(12). Era assolutamente proibito ricevere somme maggiori di quelle stabilite, anche da parte di chi le volesse corrispondere spontaneamente per liberalità. Venivano inoltre vietati comportamenti di fraudolenta astuzia, come percepire compensi maggiorati per la sola presenza di una pluralità di parti, oppure quello di suddividere artificiosamente i negozi giuridici al fine di duplicare gli atti e gli onorari(13).
La legge prevedeva una procedura sanzionatoria del tutto straordinaria e informale fortemente penalizzante per il professionista. L’autorità giudiziaria - alla quale spettava la vigilanza e il controllo sul rispetto delle tariffe - avrebbe potuto sanzionare i contravventori in via del tutto ‘stragiudiziale’, in assenza di contraddittorio, con un «semplice processo verbale, e senza alcuna benché menoma spesa del ricorrente». La sanzione poteva essere applicata semplicemente in seguito alla «denuncia
non ritardata più di otto giorni da quello del danno sofferto, e fatta con giuramento prestato ad essi
giudici dal dannificato, il quale sia a loro giudizio meritevole di fede». Il notaio giudicato colpevole di contravvenzione sulla base di tale processo sommario era punito con la sospensione temporanea dall’esercizio del proprio ufficio ed una “carta” con il suo nome e i motivi della condanna doveva essere affissa nella sede del Tribunale o del Giudice di pace, gettando discredito sulla sua reputazione(14). Le caratteristiche appena esaminate, unitamente al momento di grave crisi economica (Genova era appena uscita dal terribile assedio del 1800 che l’aveva gravemente prostrata), resero particolarmente penalizzante una simile tariffa ed i notai, per sopravvivere, furono costretti a discostarsene concordando il compenso «all’amichevole coi loro clienti, secondo l’importanza dell’atto» e poco alla volta, come leggiamo in una fonte d’epoca, la nuova tariffa venne disapplicata cadendo in desuetudine «sotto gli occhi stessi del Governo»(15).
Nel 1805, con l’annessione all’impero francese, entrava in vigore anche in Liguria la legge 25 marzo
1803 (cd. “legge del Ventoso”) che pur aprendosi all’insegna della celebre definizione del notaio quale “fonctionnaire public” sintesi ed apoteosi del suo incardinarsi nello stato, rimaneva tuttavia ancorata poco coerentemente ad aspetti marcatamente privatistici e libero-professionali, quali l’assenza di un esame d’accesso e di un sistema pubblico di archiviazione dei documenti dei notai defunti o cessati dalle funzioni, nonché la mancata previsione di qualsiasi tariffa(16).
L’articolo 51 della legge del Ventoso recitava infatti: «Les honoraires et vacations des notaires seront réglés, à l’amiable, entre eux et les parties; sinon, par le tribunal civil de la résidence du notaire, sur l’avis de la chambre et sur simples mémoires, sans frais»(17). Le controversie in materia di onorari erano devolute alla decisione del Tribunale civile il quale, in mancanza di parametri prestabiliti per legge, ricorreva al parere tecnico (avis) della Camera di disciplina dei notai, nuovo organo di categoria previsto dalla legislazione francese(18).
Nel contesto genovese, la novità di dover contrattare il corrispettivo della prestazione professionale costituiva un elemento di netta discontinuità e i casi riguardanti il contenzioso in materia di onorari divennero abbastanza frequenti, essendo venuto meno qualsiasi parametro di riferimento(19).
Le maggiori contestazioni sorsero in tema di pubblicazione dei testamenti e proprio la materia degli onorari testamentari fu al centro di uno dei casi più spinosi di cui la Camera di disciplina genovese dovette occuparsi. La Camera si trovò ad esprimere un parere sulla congruità degli onorari pretesi da parte di uno dei suoi membri più autorevoli, il notaio Domenico Chichizola che ricopriva allora la carica di segretario. Fallito il tentativo di conciliazione con il cliente e sottoposta la vertenza al Tribunale di prima istanza, il giudice, inaspettatamente, affermò il principio secondo cui per la pubblicazione dei testamenti, trattandosi di atti «ne portant aucune somme», gli onorari non potevano essere ragguagliati al valore dell’asse ereditario.
La questione era assai delicata per la Camera di disciplina: fino allora il presidente del Tribunale non si era mai pronunciato in senso contrario ai suoi pareri in materia di onorari, e non si poteva rischiare che questa giurisprudenza si consolidasse, anche perché in un momento di stagnazione dei traffici la materia successoria rappresentava un settore di lavoro dal quale si cercava di trarre il massimo guadagno possibile. Si rendeva opportuno un confronto con altre Camere di disciplina ed in particolare con l’autorevole consorella parigina, al fine di appurare quali fossero le modalità da loro seguite per la liquidazione dei compensi in materia testamentaria e quale fosse al riguardo la posizione dei loro tribunali(20).
La Camera di Parigi aveva risposto che i tribunali locali non avevano mai dovuto occuparsi di tali questioni poiché i notai della capitale avevano sempre contrattato amichevolmente i compensi con i loro clienti, e che d’altra parte la Camera di disciplina non aveva mai elaborato linee guida per la liquidazione delle parcelle, non intendendo limitare la libertà che la legge garantiva ai singoli professionisti. Questi ultimi comunque prendevano generalmente in considerazione non soltanto il valore dell’asse ereditario, ma anche il diverso grado di parentela degli eredi ed infine, come per ogni altro atto, la capacità economica delle parti(21).
Anche durante il decennio di dominazione napoleonica la situazione economica generale continuava a peggiorare. Molti notai preferirono optare pertanto per le attività di cancelliere presso i tribunali, divenute per legge incompatibili con la funzione notarile, e altri si dovettero rassegnare a decadere dalle funzioni o per l’impossibilità di versare l’onerosa cauzione pretesa dalla legge francese o perché non ritenevano di privarsi di una somma di tale entità senza avere la prospettiva di un sufficiente guadagno(22).
Con la caduta di Bonaparte si apriva per Genova e per la Liguria l’avvento di una breve ed illusoria parentesi di ritrovata libertà ed indipendenza. Con l’arrivo delle truppe britanniche la città si affrancava dalla dominazione francese per avviarsi ad un breve periodo di autonomia sotto il controllo e la protezione delle armi inglesi(23).
Il Governo provvisorio dovette occuparsi urgentemente della sorte dei professionisti esclusi dall’esercizio del notariato per non aver versato la cauzione e che ora aspiravano ad una riabilitazione, e del delicato problema delle incompatibilità stabilite dalla legge del Ventoso che avevano aggravato la situazione del notariato, già resa precaria dalla crisi economica e dalla stagnazione del commercio e dei traffici(24). Neppure il regime liberale in materia di onorari e compensi professionali, instaurato con l’art. 51 della
‘legge del Ventoso’, era valso a contrastare gli effetti sfavorevoli della congiuntura, e la riabilitazione dei notai non cauzionati avrebbe aggravato la situazione, al punto che non mancarono le proposte di ricostituzione del venerando Collegio e dei suoi privilegi. Mentre i lavori della Commissione legislativa si arenavano in problemi come quello dell’eventuale ripristino della struttura corporativa di antico regime, rallentando i lavori per il varo di un nuova legge organica sul notariato, venne inserito in calce alla nuova tariffa degli atti giudiziari un capitolo contenente le “mercedi degli atti notariali”(25). Non si trattava in realtà di una nuova tariffa nel vero senso della parola, dal momento che la legge riportava in vigore quella contenuta nel capitolo I della legge del 17 aprile 1801, limitandosi ad alcune aggiunte riguardanti tipologie di atti non contemplate in quel provvedimento(26).
La scelta, assai discutibile, non mancò di suscitare l’immediata reazione della Camera di disciplina, tuttora rimasta in attività, la quale si affrettò a sottoporre al Governo una propria “rappresentanza” con l’intenzione di indurlo a ritornare sui propri passi(27). Dopo aver sottolineato la “tenuità” dei compensi fissati nel provvedimento, il documento elaborato dalla Camera dei notai criticava aspramente la scelta di richiamare in vigore un testo di legge la cui formulazione, già poco felice all’epoca della sua promulgazione, si rivelava in quelle circostanze ancor più inadeguato. La tariffa del
1801, a giudizio della Camera dei notai, si distingueva per una vistosa mancanza di proporzionalità rispetto al valore delle transazioni, che portava a “tassare” allo stesso modo gli atti di uno stesso tipo prescindendo dal loro diverso valore economico(28). Osservava la Camera che l’impianto della tariffa del 1801 presupponeva che i notai rogassero una grande quantità di atti per modo che «la molteplicità e l’affluenza degli atti da rogarsi fosse un compenso alla tenuità delle mercedi». Inoltre, all’epoca in cui quella tariffa era stata approvata, il notariato poteva vantare l’esclusiva su alcune categorie di atti ed era gravato da minori costi e responsabilità dal momento che i notai potevano rogare «tutto in imbreviatura, senza obligo di repertorio, né erano soggetti alle tante multe pecuniarie comminate secondo l’odierno Provisorio Sistema anche per semplici sbaglii che puonno occorrere a’ più cauti ed esatti». L’inadeguatezza della tariffa, del resto, si era fatta ancor più grave a seguito del regime delle incompatibilità che tuttora sottraeva loro talune fonti di reddito costringendoli a fare affidamento unicamente sugli scarsi proventi degli atti privati(29). A suscitare ulteriore indignazione si aggiungeva il ripristino dell’odiato processo sommario stabilito per i casi di contravvenzione. Ciò che più feriva l’orgoglio dell’intera categoria professionale era in particolare l’assenza di contraddittorio e la possibilità che le sanzioni venissero irrogate sulla base della sola denuncia sporta dal cliente(30).
Nessuna della richieste avanzate dai notai venne accolta da parte del Governo provvisorio il quale promulgò il 16 novembre 1814 un “provvedimento interino” recante le disposizioni più urgenti in materia «per non ritardare a quei che prima d’ora furono eletti all’uffizio di Notaro la facoltà di esercitarne le funzioni in un modo però che corrisponda al buon ordine e alla delicatezza richiesta per simile professione»(31).
Ignorando clamorosamente le aspirazioni manifestate dai notai genovesi, il regolamento manteneva in vigore e specificava ancor più analiticamente il regime delle incompatibilità che vietava ai notai l’esercizio di altri uffici ed impieghi fra i quali in primis quello di cancelliere presso i tribunali e impediva loro l’iscrizione nell’albo notarile se non avessero rinunciato a tali impieghi(32).
Le decisioni assunte dalle potenze alleate riunite a Vienna nei confronti della Liguria impedirono al Governo provvisorio l’emanazione di ulteriori provvedimenti. Nessuna delle proposte dei rappresentanti diplomatici genovesi, volte ad ottenere il rispetto dell’autonomia della Liguria, ebbe successo e l’annessione allo stato sabaudo, sottoposta a condizioni particolari destinate a mitigarne l’impatto e a prevenire tumulti di piazza, venne deliberata nella seduta del 12 novembre(33). Il Governo provvisorio, preso atto di quanto deciso a Vienna, dopo aver inviato un’ultima inutile protesta diplomatica, si sciolse spontaneamente il 26 dicembre, prima che gli subentrasse ufficialmente l’autorità piemontese. Il Commissario plenipotenziario per il Ducato di Genova, Thaon di Revel, avrebbe fatto il suo ingresso in città il 3 gennaio successivo, segnando così la definitiva annessione alla monarchia sabauda.
All’indomani dell’annessione (1815) venne sostanzialmente estesa al Ducato di Genova la normativa notarile piemontese del 1770, riportata in vigore con la Restaurazione da Vittorio Emanuele I, e fu data alle stampe la tariffa già vigente negli stati sabaudi di antico regime(34). Si trattava di un testo normativo assai conciso che raggruppava la gamma dei compensi professionali soltanto in quattro categorie. La prima categoria era quella degli atti e contratti per i quali esistesse un valore economico su cui calcolare gli onorari progressivi a scaglioni da un minimo di lire 3, per atti di valore sino a 200 lire, sino ad un massimo di lire 40 per atti di valore superiori a 35000 lire. La seconda categoria era dedicata alle convenzioni matrimoniali, in ordine alle quali il provvedimento stabiliva un onorario fisso diverso a seconda del ceto dei contraenti: 6 lire per i «plebei», 8 lire per i «mercanti», 15 lire per i «nobili» e 25 lire per i «cavalieri». La terza categoria riguardava i testamenti e codicilli ed anche per questa era previsto un onorario fisso diversificato in relazione alla classe censitaria di appartenenza(35). La quarta ed ultima categoria di atti era quella delle procure per le quali era previsto un onorario fisso di 10 soldi per le procure alle liti e un onorario progressivo a scaglioni, proporzionale al valore dell’oggetto del mandato, per tutte le altre procure(36). Per la prima «levata» dell’istrumento, ove la scrittura eccedesse le quattro facciate, era dovuto un diritto di 5 soldi per ogni foglio di due facciate composto di almeno «quindici linee di scrittura corrente» purché il totale non eccedesse «il doppio dell’emolumento». Per le ulteriori copie autentiche il notaio non avrebbe potuto «esigere altro diritto che 10 soldi per cadun foglio della qualità e linee sovra specificate». In ordine alle «vacazioni, cibaria e vettura» si faceva semplicemente rinvio alle tariffe fissate per i segretari «de’ Giudici togati».
Gli anacronismi del provvedimento, sorto in un contesto storico ormai superato, resero opportuno addivenire dopo pochi mesi, nell’aprile del 1816, alla formazione d’una nuova «tariffa dei diritti dovuti ai notai in tutti li regi stati di terraferma»(37). Il numero degli scaglioni degli onorari progressivi relativi ai contratti furono aumentati e si passò da un minimo di 1 lira e mezza per atti di valore non superiore a 100 lire, sino ad un massimo di 50 lire per atti di valore superiore alle 40000 lire. Per le convenzioni matrimoniali l’onorario fu stabilito con riferimento al valore del negozio giuridico, omesso ogni riferimento allo status sociale delle parti(38). Anche in merito ai testamenti, codicilli e donazioni mortis causa, i compensi furono parametrati in base al valore del patrimonio oggetto della disposizione(39).
Alcune voci tariffarie vennero inserite ex novo, come quelle per le «fedi di vita» (15 soldi), per i protesti
cambiari (1 lira e mezza) e per i contratti di noleggio di bastimento (4 lire e mezza, per navi di portata
inferiore alle duemila mine genovesi, e 7 lire e mezza per quelle di maggior portata). Furono aumentati i diritti di scritturato per la prima copia rilasciata alle parti, stabilendo nel contempo l’assoluta gratuità per le copie degli atti ed instrumenti «da rimettersi all’insinuazione»(40).
Con la riforma attuata dal re Carlo Felice con l’editto del 23 luglio 1822 che si proponeva di dare all’ordinamento del notariato una maggiore uniformità, anche la materia tariffaria fu profondamente rinnovata(41). Il testo si presentava più completo ed articolato rispetto a quello varato nel 1816 e gli onorari, calcolati ormai in nuove lire di Piemonte e con il sistema monetario decimale, erano decisamente più alti di quelli allora vigenti(42). Le più evidenti novità erano costituite dalla riduzione dei compensi a due terzi della tariffa ordinaria per gli atti d’obbligo, di cambio marittimo e di quietanza, il raddoppio degli scaglioni per i compensi in materia di testamenti (minimo 9 lire per patrimoni fino a lire 5000 e massimo di 60 lire per patrimoni eccedenti le 100000 lire), la previsione di nuove voci riguardanti gli atti di valore inderterminato (9 lire), gli atti di ratifica e quelli di vendita di stabili subastati (metà del compenso fissato per il contratto principale), i verbali di deposito di testamenti sigillati e l’apertura degli stessi(43). Ciascuna «vacazione» di sei ore era retribuita con 9 lire e se vi era trasferta di «un miglio o più» il notaio poteva addebitare 6 lire per le spese di «cibaria e vettura che non gli fossero somministrate in natura». Una disposizione finale stabiliva inoltre che gli onorari fossero aumentati di un quarto per i notai esercenti nelle città di Torino e di Genova che rappresentavano i centri urbani più importanti del Regno nei quali, d’altra parte, i notai erano tenuti al versamento di una cauzione e di un’annua finanza di importo maggiorato(44).
Attraverso il percorso storico di oltre due secoli sin qui esaminato, l’esperienza genovese testimonia le difficoltà intrinseche connesse alla formulazione di tariffe efficienti che risultino soddisfacenti tanto per gli utenti del servizio, ai quali dovrebbero garantire una prestazione non eccessivamente onerosa, quanto per i prestatori del servizio stesso, ai quali dovrebbero assicurare un adeguato compenso per il lavoro svolto.
Agli elementi di pregio connessi alla presenza di un parametro di legge che rappresenti un fattore di uguaglianza, un elemento di certezza anche in caso di contestazioni, un limite massimo a garanzia del cliente ed un compenso sicuro per il professionista, si affiancano i limiti legati alla astratta rigidità che non consente di disciplinare con adeguata flessibilità la molteplicità di fattispecie concrete né di tenere il passo rispetto al mutare delle congiunture economiche.
Questi potenziali limiti della tariffa emergono con particolare evidenza nel periodo storico qui esaminato caratterizzato da forte instabilità istituzionale, economica e politica a fronte della quale i governi che si susseguono faticano a dare risposte adeguate. Ad emergere con altrettanta forza, tuttavia, sono anche gli aspetti negativi del sistema di libera contrattazione dei compensi che, privando di tutele sia il cliente che il professionista, introduce un elemento di spiccata incertezza, terreno fertile per il sorgere di contenzioso rimesso all’attività di mediazione dell’organo di categoria o, in ultima istanza, alla decisione dell’autorità giudiziaria.
Nel complesso, esclusa la parentesi della dominazione napoleonica, la storia del notariato genovese appare caratterizzata dalla presenza costante dell’elemento tariffario. Una scelta normativa assolutamente coerente e consequenziale a quella concezione pubblicistica dell’attività notarile che avrebbe caratterizzato il volto del notariato nello stato moderno e che rendeva necessario regolamentarne per legge i compensi professionali.
Il caposaldo della tariffa sarebbe stato confermato anche in occasione della prima riforma organica successiva alla unificazione nazionale entrando a far parte delle caratteristiche del notariato italiano sino alle ultimissime riforme, ispirate a principi di “liberalizzazione” e “deregolamentazione” che hanno riaperto scenari e problematiche non dissimili da quelle già prospettatesi nel passato e sulle quali potrà illuminarvi il prossimo relatore.
(1) L’autorità di governo si era infatti riservata la possibilità di apportare modificazioni ed integrazioni agli statuti, ordini e regolamenti in questa materia, considerata di propria competenza. Sui poteri del Senato cfr. V. PIERGIOVANNI, «Il Senato della repubblica di Genova nella “Riforma” di Andrea Doria», in Annali della facoltà di giurisprudenza di Genova, Anno IV (1965), fasc. I, ed in particolare p. 255. Cfr. altresì in Biblioteca Giuridica del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova, Allegationes 2-131 (11), Il decreto di Abilitazione e Deputazione del sottocancelliere Giacomo Frugoni alla Cancelleria del Magistrato Illustrissimo de’ Conservatori delle leggi dimostrato nullo agl’Illustrissimi Signori Supremi Sindacatori dal Ven. Collegio de’ Notari , Genova 1792, p. 21, ove si parla del «pienpotere del Ser.mo Senato di creare i Notari, sminuire, o variare gli Ordini, Leggi, o Statuti del Ven. Collegio, in forza di un decreto inserito nelle leggi del 1528».
(2) La riforma del 1601 aveva introdotto una dettagliata tariffa contenente le mercedi che i notai potevano esigere per le varie specie di atti negoziali e giudiziali (cfr. Meta o sia Tariffa della mercede delli Notari riformata l’anno 1601 per decreto del Sereniss. Senato, Genova per Anton Giorgio Franchelli, traduzione in volgare s.d. ad opera del notaio Giovanni Tomaso Semeria dell’originale Meta seu taripha mercedis notariorum reformata anno MDCI ex decreto Serenissimi Senatus, Genuae, apud Iosephum Pavonem, 1602). Essa non mancò di suscitare il malcontento dei destinatari che la consideravano eccessivamente “tenue” e l’accolsero come un affronto al prestigio sociale della categoria, ridotta peggio degli «ultimi e sordidi mestieri», giungendo a rimpiangere la previgente tariffa risalente ai primi del Cinquecento. Nonostante le proteste, la tariffa o “meta” rimase invariata e fu ristampata nel corso del secolo, nonché acclusa - a conferma della sua vigenza - alla seconda edizione del formulario del Viceti datata 1672. Per maggiori dettagli sull’argomento cfr. L. SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile in età moderna. L’esperienza genovese, Milano, Giuffrè, 1997, p. 295, 313.
(3) Sull’esercizio parallelo da parte dei notai genovesi di antico regime tanto dell’attività professionale rivolta ai privati quanto dell’impiego di cancelliere presso i tribunali e altri uffici cfr. R. SAVELLI, «Notai e cancellieri a Genova tra politica e amministrazione (XV-XVI secolo)», in Tra Siviglia e Genova: notaio, documento e commercio nell’Età Colombiana, Atti del convegno internazionale (Genova 12-14 marzo 1992), a cura di V. Piergiovanni, Milano 1994, p.481; L. SINISI, Formulari..., cit., p. 205-206 e passim. Sul ruolo dei notai-attuari nei tribunali cfr. L. SINISI, «Iudicis Oculus. Il notaio di tribunale nella dottrina e nella prassi di diritto comune», in Hinc publica fides. Il notaio e l’amministrazione della giustizia, Atti del convengo internazionale di studi storici (Genova, 8-9 ottobre 2004), Milano, 2006, p. 217-240; ID., «Aspetti dell’amministrazione della giustizia in criminalibus a Genova in età moderna», in Spazi per la memoria storica. La storia di Genova attraverso le vicende delle sedi e dei documenti dell’Archivio di Stato , Atti del convegno internazionale (Genova, 7-10 giugno 2004), a cura di A. Assini e P. Caroli, Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi 93, Roma, 2009, p. 185-200. Sulla presenza dei notai nelle cancellerie della Repubblica cfr. R. SAVELLI, Le mani della repubblica: la Cancelleria genovese dalla fine del Trecento agli inizi del Seicento , in Studi in memoria di Giovanni Tarello , vol. I, Milano, 1990, p. 541-609.
(4) Per l’«instrumento di debito» oltre che per «qualsisia instrumento di cessione e dazione in pagamento» era previsto, per il rogito, l’onorario fisso di 8 soldi e per l’«estratto in publica forma» l’onorario progressivo in importi crescenti a scaglioni, a partire da 8 soldi per valori fino a 100 lire sino al massimo di 25 lire per valori superiori a 30.000 lire. Per la compravendita di immobili, invece, la tariffa prevedeva, già per il rogito, un onorario progressivo calcolato su scaglioni crescenti di valore del bene, stabilendo la deducibilità di tale importo dall’onorario dovuto per il rilascio dell’«estratto» in forma pubblica; il compenso per quest’ultimo, a sua volta, era determinato su scaglioni crescenti, a partire da 2 lire e 5 soldi per valori fino a 500 lire sino al massimo di 40 lire per valori superiori a 40.000 lire. Per l’«instrumento di permuta o sia baratta» l’onorario era di 8 soldi per il rogito e andava da un minimo di 20 soldi ad un massimo di 3 lire per l’estrazione in pubblica forma «avuto riguardo al valore delle cose permutate». Era previsto un particolare diritto per la ricerca di «scritture, instrumenti, testamenti e altri fatti», fissato in 4 soldi per atti stipulati entro il passato decennio e in 8 soldi per quelli di data anteriore. Per lo scritturato la tariffa prevedeva il diritto di 1 soldo e mezzo per ciascuna «carta in foglio largo scritto dall’una all’altra banda» sino ad un massimo di 22 righe per ciascuna “banda” «bene e chiaramente scritte» in modo che ogni linea contenesse almeno quattro «dizioni o parole».
(5) Sulle origini e sulla storia del Collegio notarile genovese cfr. G. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, CNN, 1970.
(6) Tali riforme furono attuate con la cd. “legge Morchio” del 1804 (cfr. Legge sul Notariato del 12 ottobre 1804 anno VIII, in Raccolta delle Leggi, Atti, Decreti, e Proclami pubblicati dal Senato ed altre autorità costituite nella Repubblica Ligure, t. III, Genova 1804, anno VIII, stamperia Franchelli, n. 46, p.110 e ss.). A tale legge seguiva la creazione di un albo notarile unificato per tutta la Liguria (cfr. Albo Generale de’ Notari della Liguria dell’11 marzo 1805 anno VIII, in Raccolta delle Leggi, Atti, Decreti e Proclami ..., cit., tomo IV, Genova 1805 Anno VIII, stamperia Franchelli, n. 29, p. 53). Sulle vicende normative in materia notarile nel periodo della Repubblica democratica cfr. F. MAZZANTI PEPE, Modello francese e ordinamenti notarili italiani in età napoleonica, in F. MAZZANTI PEPE, G. ANCARANI, Il Notariato in Italia dall’età napoleonica all’unità, Roma, CNN, 1983, p. 133-165.
(7) Cfr. Progetto di costituzione per il popolo ligure, Stamperia nazionale, Genova 16 novembre 1797. Si trattava del primo testo costituzionale approvato dopo la rivoluzione, che si uniformava alle direttive impartite dal Bonaparte nella Convenzione di Mombello ed inaugurava la cd. “prima repubblica democratica ligure”. Sul percorso costituzionale in Liguria cfr. M. DA PASSANO, «Il processo di costituzionalizzazione nella Repubblica Ligure (1797-1799)», in Materiali per una storia della cultura giuridica, III,1, (1973), p. 79-260.
(8) Al problema finanziario, reso più acuto dalla crisi economica seguita al crollo dell’antico regime e con esso del vecchio sistema finanziario, si aggiungevano altre questioni urgenti come la creazione di un apparato militare, il problema del mantenimento dell’ordine di polizia interno, la soluzione di problemi annonari e sanitari legati allo scoppiare di disordini e alla presenza di truppe straniere. Sulle vicende di questo periodo storico cfr. G. ASSERETO, La Repubblica Ligure. Lotte politiche e problemi finanziari (1797-1799), Torino, Fondaz. L. Einaudi, 1975, cap. primo, p.11-44; ID., La seconda Repubblica Ligure (1800-1805). Dal “18 brumaio genovese” all’annessione alla Francia, Milano, Selene Edizioni, 2000. La consapevolezza dell’importanza del notariato per la vita sociale ed economica della nazione emerge in particolare dal preambolo del primo progetto di legge organica sul notariato elaborato nel 1801 e mai giunto ad approvazione: «La garanzia della proprietà essendo uno dei principali oggetti della civile società, non è da tolerarsi che all’anno IV della Repubblica ancor si desideri una legge che prescriva i regolamenti della professione notariale, dall’esercizio della quale per effetto della fede pubblica, la sicurezza della proprietà in tanta parte dipende» cfr. testo ms., sinora inedito, consultabile in Archivio di Stato di Genova (ASG), Repubblica Ligure, 1, Registro n. 279, Messaggi della Commissione straordinaria di Governo alla Consulta legislativa (dal 2 luglio 1800 sino al 25 giugno 1802), n. 98 del 4 marzo 1801. Concetti analoghi sono riproposti anche nel preambolo della successiva legge organica sul Notariato del 1804 la quale viene promulgata considerando: «di quale importanza sia sempre stato, e per la Repubblica, e per gli interessi e la sicurezza dei cittadini, il geloso ufficio del Notariato ed i mali gravissimi che potrebbero derivare dai molti abusi introdottisi da gran tempo nell’ufficio medesimo e dall’insufficienza delle cautele che le nostre patrie leggi avevano sino ad ora prescritte» cfr. Legge sul Notariato del 12 ottobre 1804 anno VIII ..., cit., p. 110.
(9) Cfr. Legge che stabilisce la tariffa per le mercedi degli atti Notariali e Giudiziarj, seduta del 17 aprile 1801 anno IV, in Raccolta delle Leggi emanate dalla Consulta legislativa della Repubblica Ligure dal 9 luglio anno 4 giorno della di lei installazione, Genova 1800 (sic!), stamperia Franchelli, n. 78, p. 150. Il provvedimento si articolava in: capitolo I, Instrumenti, vendite, copie, testamenti, adizioni di eredità, per li repertorj ed inventarj sì giudiziali che stragiudiali; capitolo II, Atti di volontaria giurisdizione; capitolo III, Degli atti giudiziari criminali.
(10) Cfr. Legge che stabilisce la tariffa ..., cit., preambolo, p. 150.
(11) Sul potere d’acquisto assunto in quegli anni dalla moneta genovese cfr. G. FELLONI, Monete, economia e finanza: il caso genovese, in AA.VV., Il patrimonio artistico di Banca Carige. Monete, pesi e bilance monetali, a cura di L. Travaini, Genova, 2010, p. 26-33.
(12) Per gli “instrumenti di debito” si rileva un notevole incremento per l’onorario del semplice rogito (da 8 soldi a 1 lira a mezza) e il raddoppio dell’onorario relativo all’ultimo scaglione per gli estratti in forma pubblica (da 25 a 50 lire) e nel contempo una notevole contrazione del numero degli scaglioni (da 13 a 8). Per la compravendita, la nuova tariffa prevedeva un sostanzioso incremento per l’onorario riguardante il semplice rogito (minimo di 1 lira e 4 soldi e massimo di 8 lire, a fronte della vecchia tariffa che prevedeva un minimo di 8 soldi e un massimo di 4 lire) e rimanevano sostanzialmente invariati quelli dovuti sugli scaglioni relativi all’estratto in pubblica forma, con la sola variante costituita dall’aggiunta di uno scaglione di onorario del 16 per mille fino a un massimo di 80 lire, per valori superiori a 50.000 lire. Per gli estratti di testamenti richiesti da eredi in linea retta era previsto un incremento soltanto per i valori più alti dell’asse ereditario (per valori eccedenti le 120.000 lire, ad esempio, il compenso era di 200 lire, a fronte delle 120 lire previste sino allora). Particolare incremento segnavano i compensi per gli estratti di testamenti a favore di eredi non parenti in linea retta (per valori superiori a 40.000 lire, ad esempio, l’onorario era pari al 18 per mille fino ad un massimo di 1200 lire, esattamente doppio di quello previsto dalla vecchia tariffa per un asse ereditario del medesimo valore).
(13) Cfr. Legge che stabilisce la tariffa ..., cit., art. II-III, p.151.
(14) «Per la prima contravvenzione è imposta la pena di giorni quindici fino ad un mese di sospensione dall’Uffizio, o esercizio qualunque, a cui fosse addetto il contravventore; per la seconda la sospensione di un mese sino a due; e per la terza la sospensione duratura sino alla deliberazione del tribunale di quella giurisdizione in cui fosse seguita la contravvenzione a cui da’ rispettivi giudici dovranno nel detto caso della terza contravvenzione tramandarsi i processi verbali e le altre informazioni», cfr. Legge che stabilisce la tariffa ..., cit., art. XII-XIII, p.152-153.
(15) Cfr. ASG, Notai Collegio 197, minuta della Rappresentanza al Ser.mo Governo sopra la tariffa degli atti notariali e sull’organizzazione del Notariato, in data 6 settembre 1814. Come è noto, la Repubblica Ligure - nominalmente libera ma di fatto strettamente legata alle vicende della Francia - subiva nel dicembre del 1799 un brusco cambiamento di regime. Ad imitazione di quanto era avvenuto oltralpe con il colpo di stato napoleonico del 18 brumaio, il governo rappresentativo era stato abolito e sostituito da una Commissione Provvisoria di Governo, mentre il controllo della situazione - divenuta ormai emergenziale per l’incalzare delle truppe austro-russe - era passato nelle mani dei generali francesi. Genova si trovò a subire nella primavera del 1800 il terribile assedio degli eserciti della “seconda coalizione” anti-francese, sotto l’urto dei quali cadevano le varie Repubbliche “democratiche”, dalla partenopea alla cisalpina, e cessava la dominazione francese in Piemonte. A guidare la strenua resistenza fu il generale nizzardo André Massena che si trovò a governare dispoticamente fino al 4 giugno 1800, data in cui i militari francesi, con l’onore delle armi, furono costretti ad abbandonare la città, a difesa della quale erano accorsi da tutta la penisola i “novatori” più ferventi (fra i quali lo stesso Ugo Foscolo). Sulle vicende di questo periodo cfr. V. VITALE, Breviario della storia di Genova. Lineamenti storici e orientamenti bibliografici, Genova, Soc. Lig.Storia Patria, 1955, vol. I, cap. XV, p. 487 e ss.; T.O. DE NEGRI, Storia di Genova, Milano, Aldo Martello editore, 1974, cap. XXVI, p.753 e ss.; G. ASSERETO, Dalla fine della repubblica aristocratica all’Unità d’Italia, in AA.VV., Storia di Genova. Mediterraneo, Europa, Atlantico, a cura di D. Puncuh, Genova, Soc. Lig. Storia Patria, 2003, p.509 e ss.
(16) Per un’analisi della cd. “legge del Ventoso” cfr. F. MAZZANTI PEPE, Modello francese e ordinamenti notarili italiani ..., cit. p.106-128. Sulla genesi di questo provvedimento, cfr. A. MOREAU, «La genesi della legge del 25 Ventoso anno XI – Statuto del Notariato», in Un notaio per la società borghese: la legge del Ventoso (1803) tra Francia e Italia, in Studi e materali, 2004, 2, p. 1097-1114.
(17) Cfr. Loi contenant organisation du notariat, in Bulletin annoté des lois, décrets et ordonnances depuis le mois de juin 1789 jusqu’au mois d’aout 1830, Tome neuvième, Paris, chez Paul Dupont, 1836, p.494-517.
(18) L’istituzione delle Camere di disciplina dei notai era contemplata dalla stessa legge del Ventoso la quale prevedeva la creazione di «chambres qui seront établies pour la discipline intérieure des notaires» e la cui organizzazione avrebbe dovuto essere stabilita «par des règlemens» (art. 50). La regolamentazione delle Camere veniva specificata e completata dal successivo arrêté governativo del 2 nivoso anno 12 che dettava in maniera uniforme l’organizzazione di tutte le Camere dell’impero (cfr. Bulletin annoté des lois …, cit ., tome dixième, p. 161-165, n. 179, 2 nivose an 12 (24 décembre 1803), Arrêté relatif à l’établissement et à l’organisation des Chambres de Notaires ).
(19) In alcuni casi si rivolgevano alla Camera di disciplina per chiedere alla stessa l’emissione di un parere, anche notai estranei alla circoscrizione. È il caso ad esempio del notaio Carlo Martelli residente a Monticelli d’Ongina, dipartimento del Taro, arrondissement di Borgo San Donnino, che si rivolse alla Camera di disciplina di Genova per chiedere un parere sui criteri da seguire per liquidare gli onorari di alcuni atti da lui ricevuti. Il presidente della Chambre rispondeva che in generale nella circoscrizione di Genova gli onorari dei notai «pour tous les actes volontaires passés devant eux» erano regolati «sur l’importance de l’acte et sur les sommes portées par l’acte même». Tali criteri, osservava il presidente, valevano in particolare per gli atti di locazione, vendita, dazione in pagamento, mutuo, trasporto, anticresi, quietanza, garanzie «et autres de semblable nature compris les testaments». Affermava inoltre che nei casi in cui erano sorte contestazioni tra notaio e cliente le parti denuncianti erano state indirizzate da parte del Procureur del Tribunale di prima istanza alla locale Camera di disciplina perché risolvesse la questione amichevolmente (cfr. ASG, Notai Collegio 197, Liasse n.1, Papiers concernant les Notaires de l’Arrondissement de Gênes, lettera autografa di Carlo Martelli in data 20 giugno 1811; minuta della risposta del Presidente della Camera di disciplina in data 13 luglio 1811).
(20) Nella missiva indirizzata alla Chambre di Parigi, il presidente Pagano chiedeva precisi ragguagli circa la prassi seguita nell’«interieur de la France» onde potervisi uniformare nel risolvere le contestazioni che, dopo l’annessione della Liguria all’impero, sempre più frequentemente sorgevano «entre les notaires et des particuliers sur les honoraires des testaments n’existant un tarif qui les precise». Il presidente sperava evidentemente di ottenere un riscontro favorevole a quanto praticato sino ad allora in materia di testamenti e di poter invocare a conforto la prassi seguita dalla Chambre parigina e dai tribunali della capitale. Era convinto infatti che quanto avveniva oltralpe potesse rappresentare un precedente autorevole, in grado di influenzare il comportamento degli altri giudici dell’impero: «la première Chambre de l’Empire presidée et composée des notaires aussi bien instruits que eclairés, sera d’un grand poids pour être suivie par notre Chambre et les decisions des tribunaux et magistrats de la capitale exigeront sans hesiter la conformation des autres de l’Empire». Analoghe richieste venivano indirizzate, in pari data, alle vicine Camere dei notai di Lione e di Bouches du Rhône (Aix-en-Provence) cfr. ASG, Notai Collegio 197, Liasse contenent requêtes des Particuliers Notaires, Aspirants au Notariat et autre, minuta di lettera del Presidente in data 28 settembre 1810, con annesse risposte originali della Camera di disciplina dei notai di Parigi in data 17 ottobre 1810 e della Camera di disciplina dei notai di Lione in data 18 ottobre 1810. Non è stato possibile rintracciare la risposta della Camera di disciplina di Bouches du Rhône.
(21) La Camera di disciplina di Lione aveva risposto che i notai continuavano, secondo tradizione, a «regler les honoraires de gré à gré avec les parties» e che in mancanza di accordo, la questione era rimessa al Presidente del Tribunale di prima istanza. Di regola il giudice decideva sulla liquidazione degli onorari confermando gli importi indicati nell’avis della Camera di disciplina, in considerazione della loro equità e moderatezza. Anche la Chambre lionese confermava, comunque, che gli onorari in materia testamentaria dovevano essere parametrati al valore dell’asse ereditario.
(22) La legge del Ventoso (art. 33) prevedeva infatti che i notai fossero assoggettati ad una cauzione (cautionnement) a garanzia della clientela danneggiata da comportamenti professionali negligenti, stabilita dal Governo entro un minimo e un massimo fissati in relazione alla residenza e alla circoscrizione di appartenenza del notaio (art. 34). Il versamento della cauzione era requisito indispensabile unitamente al provvedimento di nomina, per poter essere ammessi a prestare il giuramento previsto dalla legge (art. 47). Il giuramento a sua volta doveva essere effettuato a pena di decadenza entro due mesi dalla nomina e il notaio non aveva diritto ad esercitare le sue funzioni che a partire dal giorno in cui lo avesse prestato (art. 48).
(23) Il 17 aprile 1814 la popolazione scendeva nelle piazze abbattendo i simboli della dominazione francese, a cominciare dalla statua dell’imperatore. Il mutamento di regime, ufficializzato dal maire Vincenzo Spinola il 20 aprile, veniva accolto con sollievo dalla Gazzetta di Genova fino ad allora stampata in lingua francese e che, per l’occasione, tornava a scrivere «nella nostra lingua». Per questi episodi e più in generale per le vicende politiche e militari di questo periodo cfr. fra gli altri T.O. DE NEGRI, Storia di Genova ..., cit., p. 771-774; V. VITALE, Breviario della storia di Genova ..., cit., p. 534-547; G. ASSERETO, Dalla fine della repubblica aristocratica..., cit., p. 516-517.
(24) Sin dal 21 giugno 1814, data in cui riceveva il primo incarico per un testo di legge organica sul notariato, la Commissione legislativa del governo provvisorio cominciava a discutere del problema relativo alla riabilitazione dei notai non cauzionati e sulla opportunità di abolire o meno le incompatibilità sancite dalla legislazione francese. Sull’attività e sui dibattiti della Commissione legislativa in tema di notariato, cfr. L. SINISI, Tra reazione e moderatismo: attività legislativa e progetti di codificazione nella restaurata Repubblica di Genova (1814), in AA.VV., Studi in onore di Franca De Marini Avonzo, a cura di M. Bianchini e G. Viarengo, Torino, Giappichelli, 1999, p. 363-365.
(25) Cfr., Raccolta delle leggi ed atti pubblicati dal Governo Provvisorio della Serenissima Repubblica di Genova, Genova, 1814, t. I, n. 59, cap. IX, Mercede degli atti notariali, p. 190 e ss.
(26) Cfr. Raccolta delle leggi ed atti…, cit., Genova, 1814, t. I, n. 60, Articoli della Legge de’ 17 Aprile 1801, richiamati in vigore dalla Tariffa de’ 4 agosto 1814, per quanto riguarda i Cancellieri de’ Tribunali di Commercio, e Notari, p. 195 e ss.
(27) ASG, Notai Collegio 197, minuta della Rappresentanza al Ser.mo Governo sopra la tariffa degli atti notariali e sull’organizzazione del Notariato, in data 6 settembre 1814.
(28) «La tenuissima mercede che spira presso che ogni atto del nostro uffizio nella precedente legge del 1801.17. aprile a cui si raporta trae seco una eguaglianza che è certamente sfuggita alla savia penetrazione de’ Redattori. La proporzione è sempre stata la base fondamentale di qualonque tariffa e vi è certamente una grande sproporzione di tassare il rogito di un debito di sole lire cento eguale a quello di uno di lire centomila, il secondo estratto d’ogni semplice e leggiero contratto eguale a quello d’un vistoso instrumento e così in altre cose consimili», cfr. ASG, Notai Collegio 197, minuta della Rappresentanza al Ser.mo Governo ..., cit.
(29) «Non sta però tutto il danno che soffriamo in queste per noi terribili privazioni d’ufficio: l’uffizio medesimo va ad essere annientato. Avevamo ne’ tempi anteriori al 1797 l’esercizio privativo di tutte le cancellerie della Repubblica e non conoscevansi in Genova Collegio, Università, Fidecommisaria, arte, corpo morale, in una parola, che non dovesse essere da uno di noi provisto e servito. Potevamo così in quei tempi consolarsi colla speranza che un giorno sarebbe premiata la probità di cui dobbiamo brillare nella carriera del Notariato e promettersi dopo le fatiche del lungo tirocinio qualche publico impiego o la confidenza generale di quasi tutta la Nazione Genovese, ma queste carriche come si sa non hanno più privativa e se la Paterna mano di VV. SS. Ser.me non vi appone un riparo è deciso del nostro antico uffizio» cfr. ASG, Notai Collegio 197, minuta della Rappresentanza al Ser.mo Governo ... , cit .
(30) «Persuasi da secoli che il carattere che ci distingue è sempre stata la verità e l’esattezza» - osservavano i notai - «siamo colpiti all’anima che possa essere attaccato dal giuramento di una parte interessata quando si denonzii una nostra mancanza nel termine di otto giorni da quello del danno sofferto. Sembraci di vedere ad ogni instante nell’urto violento delle passioni de’ contraenti che si fan poi litiganti compromessa e perduta la riputazione e poi la vita, pare di vederci non più rivestiti dell’uffizio il più augusto ma resi inferiori a qualonque cittadino». Lo sfogo polemico proseguiva con l’esaltazione degli antichi splendori di cui avevano goduto in passato i notai che ora lamentavano con enfasi «di essere decaduti dall’alta stima» in cui erano stati tenuti dalle leggi «del 1422 del 1447 e quelle del 1576 e tanti decreti onorifici del Ser.mo Governo nonché dal grado sommo che occuparono cinque de’ nostri colleghi stati alternativamente nel 1383, 1549, 1557, 1561 e 1595 Dogi di questa Ser.ma Repubblica che con loro accolse tanti altri Magistrati e Togati e che onorò nel 1578 i Rettori del Collegio del Privilegio di sedersi se comparivano in Senato», cfr. ASG, Notai Collegio 197, minuta della Rappresentanza al Ser.mo Governo..., cit.
(31) Cfr. il testo del Regolamento, in Raccolta delle leggi ed atti ... , cit ., Genova, 1814, Tomo II, n. 82, p. 38-44. Le frasi citate nel testo sono tratte dal preambolo. Analogamente a quanto stabilito nel 1804 con la “legge Morchio”, era prevista la formazione di un Albo Notarile Generale al quale potevano essere iscritti non soltanto i notai che durante il regime francese avevano effettuato il versamento della cauzione, ma anche quelli che erano membri dell’antico Collegio di Genova e quelli iscritti nell’Albo generale formato nel 1805.
(32) «Nulla parimente è innovato circa l’incompatibilità delle cariche di Giudici, Avvocati fiscali, e Sostituti, Patrocinatori, ossia Avoués, Uscieri, ossia Ufficiali ministeriali, Cancellieri de’ Tribunali, Ricevitori di finanze, o contribuzioni dirette e indirette, Giudici, Cancellieri, e Uscieri delle Giustizie di pace, e Commissari di polizia con l’attuale esercizio delle funzioni notarili. Resta però riservato a coloro, che in grazia di siffatti impieghi non potessero essere inscritti sull’Albo il diritto di potervi aspirare, anche passato il termine prefisso all’art. 7, e di esservi ammessi, quando cessato il motivo dell’incompatibilità in essi concorrano gli altri requisiti alla forma del presente regolamento» (art. 27).
(33) Sulle vicende che portarono alla riunione della Liguria al Piemonte e sull’attività diplomatica degli inviati del Governo Provvisorio a Parigi e a Vienna cfr. G. MARTINI, Storia della restaurazione della Repubblica di Genova l’anno 1814 sua caduta e riunione al Piemonte l’anno 1815, Asti, Raspi editore, 1858; C. PAGLIERI, Agostino Pareto. Un genovese tra rivoluzione e restaurazione, Genova, Nuova Editrice Genovese, 1989, p. 67-91; G. ASSERETO, Dall’Antico Regime all’Unità, in AA.VV., Storia d’Italia Einaudi. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Liguria, a cura di A. Gibelli e P. Rugafiori, Torino, 1994, p. 169-178. Per una circostanziata analisi giuridica delle annessioni subite dalla Repubblica Ligure cfr. L. SINISI, «Due diverse annessioni per la fine di uno Stato regionale: Genova e le due Riviere dalla Francia imperiale al Piemonte sabaudo (1805-1814)», in ‘Consentement des populations, plébiscites et changements de souveraineté’, Actes du colloque international (Nice et Chambéry 27 septembre - 1er octobre 2010), a cura di M. Ortolani, O. Vernier, M. Bottin, B. Berthier, Nice, 2013. Le condizioni stabilite dal Congresso di Vienna per l’annessione al Piemonte sono riportate in G. LA FARINA, Storia d’Italia dal 1815 al 1850, vol. III, Torino, Editore Guigoni, 1860, p. 19 e ss. Sulla base di queste condizioni, Vittorio Emanuele I, il 30 dicembre 1814, promulgava le “Regie Patenti portanti privilegi agli abitanti del Ducato di Genova” consultabili in Raccolta di R.Editti, Proclami, Manifesti ed altri provvedimenti de’ Magistrati ed Uffizi, Dalla Stamperia Davico e Picco, Torino, 1814-1848, vol. III, p. 1-2.
(34) Cfr. Tariffa de’ diritti dell’Erario regio, della Grande Cancelleria, delle Segreterie di Stato e di Guerra per le provvisioni di S.M., di quelli de’ Magistrati ed Uffiziali di Giustizia nelle cause civili e criminali, e d’altri , Genova, 1815, Stamperia del Ducato di Genova, tit. X, De’ diritti dovuti a’ Tribunali ed altri dipendenti dalla Camera , capo IV, De’ Diritti dovuti a’ Notaj, p. 269- 273. Com’è noto,Vittorio Emanuele I, all’indomani del suo ritorno a Torino, aveva disposto l’abrogazione della legislazione francese richiamando in vigore le Regie Costituzioni del 1770 ed i provvedimenti emessi sino al 23 giugno 1800 (cfr. Regio Editto 21 maggio 1814, in Raccolta di Regi Editti, Proclami, Manifesti e altri provvedimenti de’ Magistrati ed Uffizi, Torino 1814-1831, t. I, p. 20-22). Su questo editto cfr. lo studio di G.S. PENE VIDARI, «L’attesa dei codici nello Stato sabaudo della Restaurazione», in Riv. st. dir. it., 1995, n. 68, p. 107-111. Sulla politica legislativa dello Stato sabaudo nell’età della Restaurazione in generale cfr. A. AQUARONE, «La politica legislativa della restaurazione nel Regno di Sardegna», in Bollettino storico- bibliogafico subalpino, 1959, 57, p. 21- 50, 323-359.
(35) La tariffa fissava l’onorario di 7 lire per i plebei, lire 10 per i mercanti e negozianti, 12 lire per i nobili e 20 lire per i cavalieri.
(36) Il compenso variava da un minimo di 6 lire per valori sino a 1.000 lire fino ad un massimo di 15 lire per valori superiori a lire 10.000.
(37) Cfr. Manifesto Camerale portante pubblicazione della tariffa dei diritti dovuti ai notai in tutti li regi stati di terraferma per la stipulazione degli atti che da essi si ricevono; delli 20 aprile 1816, in Raccolta di Regi Editti, proclami, manifesti ed altri provvedimenti de’ Magistrati ed Uffizi, vol. V, Torino 1816, Stamperia Davico e Picco, p. 206-210.
(38) Per questo genere di negozi giuridici si applicavano, in linea di massima, gli stessi onorari stabiliti per i contratti, ad eccezione dei primi tre scaglioni, per i quali i compensi erano lievemente maggiorati.
(39) Se il patrimonio di cui si voleva disporre non superava 5.000 lire, l’onorario era fissato in 7 lire, se non superava 35.000 lire era pari a 18 lire e se le persone volevano disporre di un patrimonio di valore superiore «si regolerà il dritto in proporzione, avuto riguardo alle rispettive facoltà di queste, con che non si ecceda la somma di lire quaranta».
(40) Per la prima copia si passava da 5 a 6 soldi per «ogni foglio di due facciate, di venti linee almeno di scrittura corrente caduna» purché tale diritto non eccedesse il doppio di quello fissato per la stipulazione del contratto.
(41) Cfr. Regio Editto sui nuovi ordinamenti per l’esercizio del notariato nei Regi Stati, 23 luglio 1822, in Raccolta di Regi Editti, Proclami, Manifesti e altri provvedimenti de’ Magistrati ed Uffizi, Torino, 1814-1831, vol. XVIII, p.330-336.
(42) Con la riforma monetaria del 1816 fu adottato il sistema decimale di stampo francese basato su una “lira nuova di Piemonte” divisa in centesimi ed equiparata nel valore al franco francese (cfr. L. SINISI, Giustizia e giurisprudenza nell’Italia preunitaria. Il Senato di Genova , Milano, 2002, p. 402).
(43) Per il verbale di deposito di testamenti sigillati era dovuto un onorario pari a due terzi di quello previsto per la stesura del testamento pubblico e per il «verbale di apertura» era pari a due terzi del compenso riscosso al momento del deposito. Per patrimoni fino a 5.000 lire, comunque, era prevista una quota fissa di 7 lire e 10 centesimi per il deposito e di 6 lire per la successiva apertura.
(44) Cfr. Regio Editto sui nuovi ordinamenti per l’esercizio del Notariato ... , cit ., Tabella n. 2, p. 327.
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