Dai fatti ai valori: il percorso del notaio
Dai fatti ai valori:
il percorso del notaio
di Enrico Marmocchi
Notaio in Bologna
Il convegno - fortemente voluto dal Presidente del Consiglio Nazionale, notaio Maurizio D’Errico - ci invita a considerare “Princìpi e valori del Notariato” partendo da una prospettiva inusuale nella moderna convegnistica: della “modernità degli studi storici”, che al di là del giocare sull’ossimoro, contiene una considerazione pienamente condivisibile, in quanto per loro natura gli storici - che qui specifichiamo in storici del Notariato - indagano il passato per rispondere ad un interesse della vita presente; per stabilire un rapporto tra il passato che essi evocano e il presente che loro appartiene.
E di qui l’incontro con il Notariato d’oggi per confrontare i rispettivi giudizi su questa millenaria istituzione: il giudizio puramente “conoscitivo”, affidato agli storici, e il giudizio essenzialmente “operativo”, affidato ai notai quali giuristi della applicazione.
Di qui la ragione profonda di questo incontro genovese. Il collegamento tra presente e passato per interpretare la tradizione, non già come sistema da considerare per fini elogiativi o critici, ma piuttosto come insieme di tracce entro cui distinguere, nella luce del presente, ciò che è vivo e ciò che non lo è più.
Ma il tema del convegno traccia anche i confini, delimita la materia delle nostre considerazioni, nei “princìpi e valori” di cui il Notariato è portatore. Senza limiti temporali; e quindi a supporre una loro presenza ontologica nella stessa istituzione notarile, quale storicamente formatasi.
Con una ulteriore precisazione. Che le nozioni di “princìpi e valori”, che noi avvertiamo indistintamente (quasi a sinonimi nel parlare comune) saranno qui impiegate - per quanto possibile e per modo sperimentale - nel loro significato tecnico, e cioè i “valori” come entità pregiuridiche, che costituiscono presupposti logici del discorso giuridico, ma senza diretta valenza normativa. “Valori” che si concretano nei “princìpi” i quali rientrano appieno nella sfera del giuridico e guidano, si può dire sono la ratio delle norme e regole vere e proprie. E così risalendo si può dire che una generalità di regole deriva normalmente da uno stesso “principio” e che più “princìpi” possono derivare da un unico valore.
Se si considera che il notaio, nel suo operare, parte sempre dal fatto, per poi risalire e inquadrare il fatto nella regola e quindi da essa, ove necessario, risalire al “principio”, il quale presuppone a sua volta il “valore” (etico o sociale o professionale che sia), possiamo affermare che davanti al notaio- operatore di diritto, si apre l’intero percorso giuridico e metagiuridico, che procede dal fatto sino al “valore”.
Così, per modo di esempio, procedendo nuovamente dal generale al particolare la fides publica è certamente un “valore” dell’atto notarile (il valore della “veridicità”) - e come tale non negoziabile (come ha detto, di recente, dei “valori” in generale lo stesso Papa Francesco) -; da essa discende un “principio” di “prova legale”, che si concreta a sua volta, in norme ben precise del nostro ordinamento (artt. 2699, 2700 c.c., art. 1 L.N.) che quotidianamente osserviamo e applichiamo.
Ma restiamo alla fides, vero e proprio pilastro del Notariato, dalla quale non si può comunque prescindere, come le stesse relazioni odierne hanno mostrato.
Già in altra occasione ho richiamato questo passo di Giovanna Nicolai: «la scrittura viene impegnata nei due ruoli che la occuperanno per secoli - quello inerente alla costituzione del negozio, che ne mette in gioco la validità, e quello probatorio, che ne chiede l’autenticità -; è lì che per la funzione probatoria nasce il primo dei due principi e cardini del futuro Notariato, la fides, se non il secondo, la funzione pubblica (il publicum officium); è da lì che ripartirà la scienza giuridica italiana, ad inventarsi, appunto, il Notariato moderno». Quindi il notaio, per la fides “descrive” con carattere di “veridicità”, di prova legale; attesta che quel certo fatto, giuridicamente rilevante, è realmente accaduto. Per l’officium prescrive in forza della auctoritas di cui è investito, con carattere di cogenza, di titolo esecutivo, di imporre comandi e divieti, di far fare qualcosa a qualcuno. Per entrambi entro limiti legali ben precisi.
E segnatamente: per la fides, di ciò che il notaio compie e di ciò che attesta avvenuto in sua presenza; per l’officium, per il controllo di legalità sempre connesso al suo operare, a garantire, appunto, la validità dell’atto e la sua piena efficacia. “Veridicità” e “validità”: ecco i due valori su cui si fonda la forza dell’istrumento perfetto; in cui «alberga - con parole di Gianfranco Orlandelli - la volontà delle parti, tutelata dalla fides intemerata del notaio». Contractus enim claudicare non debet, aveva insegnato Rolandino. È il formarsi dell’ ”istrumento perfetto”, che chiede al notaio - sono ancora parole di Orlandelli - di
«conoscere alla perfezione i diritti e i doveri delle parti, le azioni e le eccezioni … per armare la torre dell’istrumento».
Con l’origine dell’ “istrumento” - attestabile tra XI e XII secolo - il notaio diviene unico responsabile e garante della corrispondenza del documento alla volontà negoziale delle parti.
Ma la sua idoneità documentale, e la sua capillare diffusione non potevano sfuggire all’autorità. Al suo sorgere in età comunale, in quello stesso volger d’anni la città - come corpo di costumi e di tradizioni che richiedono di essere conservate nel tempo - incontra l’instrumentum notarile ed è certa la necessità dei Comuni di valersi stabilmente dell’opera dei notai, ormai specialisti nello stilare documenti. Esperti di gramatica, dictamen, diritto. Con un parallelismo audace, ma non infondato, quella esigenza dell’autorità - di collaborazione e di documentazione qualificata del pubblico operare - permane a tutt’oggi, non più soltanto a livello comunale.
Potremmo dire che il Comune incontra l’istrumento (tra XI e XII sec.) come il legislatore speciale (ma anche generale, dalla metà del secolo scorso) incontra l’atto pubblico.
Possiamo aggiornare il nostro lessico, parlare della forma più solenne nell’autonomia dei privati; del notaio “custode della parola”, che trasferisce l’intenzione delle parti nel linguaggio dell’atto; del “salvagente della forma”; dell’atto pubblico come “macchina procedurale”, in cui versare tutti i contenuti (in vari luoghi, Natalino Irti); di “contenitore indifferenziato” (Attilio Bartoli Langeli); di “procedura” costante e affidabile, e sempre più levigata e marmorea (ancora Orlandelli, nel rapporto fra “testo” e “glossa”). Ma la sostanza non muta.
Per tutto questo, allora, non è un caso che il notaio d’oggi sia pienamente coinvolto in questo compito di tutela e di controllo da parte del legislatore.
Leggo nelle motivazioni del codice deontologico (ora non più leggibili nel testo in circolazione, unicamente prescrittivo): «È la posizione soggettiva del notaio, che si interpone tra la persona e l’ordinamento al fine di regolare gli interessi dei soggetti nell’ambito del sistema normativo e dei valori da esso garantiti, e reciprocamente di dare attuazione agli interessi di natura pubblica che in forma di vincoli e limitazioni l’ordinamento impone con ritmo crescente alla autonomia dei privati, demandandone al notaio la tutela e il controllo».
I valori di “veridicità” e di “validità” legittimano così il notaio a “interporsi” - ora come allora - tra “persona e ordinamento”, in una funzione di “mediatore giuridico” idonea a garantire le rispettive finalità e i concreti interessi. Ma lo strumento moderno utilizzato dal legislatore per coinvolgere la responsabilità del notaio nel pubblico interesse non è più (o almeno non è più soltanto) la fides ma bensì la sanzione di nullità, a sua volta frazionata, riformulata, convertita a discrezione in altre sanzioni. Nullità relative, parziali, di protezione, virtuali le quali per il filtro documentale delle menzioni e delle allegazioni, rifluiscono nell’art. 28 L.N. o sono comunque variamente sanzionate per mancata veridicità dei loro contenuti, con ricadute diverse sulla responsabilità del notaio. Il notaio come controllore e controllato insieme; pubblico ufficiale versus libero professionista.
Il fenomeno appena descritto sembra quasi trascorrere in secondo piano la rilevanza della fides come “veridicità”; come valore tutelato dall’art. 2700 c.c., fermo restando il valore della “validità” e della sua costante custodia da parte del notaio, come si è detto. Riconosciuta con l’instrumentum, e poi con l’atto pubblico, la valenza giuridica della dichiarazione narrativa (e per certi aspetti, precettiva) del notaio
- con un sistema mirato di menzioni, allegazioni e adempimenti diversi - l’intero documento acquista “attendibilità” e “credibilità” per questo valore di “fiducia” quale presupposto dell’operare stesso del notaio. E ne vedo un riscontro espresso in una recente decisione disciplinare in punto di riscossione di imposte (CO.RE.DI. Lazio 25 ottobre 2013) dove si richiama «la fiducia istituzionalmente riposta dal cittadino e dalla P.A. nei confronti della figura del notaio … ». Una rilevanza probatoria attenuata ma diffusa, a fronte delle specificità della “prova legale”, per questo vaglio notarile pervasivo d’indagine e controllo al quale il legislatore - per i propri fini si è detto - ricorre sempre più spesso. Un valore ulteriore, che si affianca alla “veridicità” della fides.
Certamente l’atto pubblico paga, per questo, un tributo che incide sulla suastessa funzione. Da sede naturale dell’autonomia dei privati a strumento di controllo preventivo di interesse pubblico. Come si osserva dal testo dell’atto stesso, dove sono ormai percentualmente minoritarie le clausole dedicate alla volontà individuale dei contraenti, a fronte della massiccia prevalenza delle dichiarazioni richieste nell’interesse pubblico.
Si consideri il settore immobiliare. In pochi decenni di vigenza, la legge c.d. del condono edilizio ha costruito per atti di notaio un vero e proprio censimento edilizio-urbanistico ai fini di circolazione; che si è poi esteso al consumo energetico e, da ultimo, alla conformità catastale, senza trascurare il settore della fiscalità indiretta, che da sempre si appoggia alla documentalità degli atti notarili. Ad accreditare così quella corrente metagiuridica di pensiero che qualifica l’età presente come “società della registrazione” nella quale ogni soggetto sociale - e quindi anche, e certamente, gli accordi negoziali -
«ogni comunicazione sarebbe un atto sterile se non fosse accompagnata dalla registrazione» (Maurizio
Ferraris). L’ “oggetto” come “atto iscritto”.
Queste considerazioni, costantemente riferite al profilo oggettivo dell’atto pubblico e alla sua natura di documento privilegiato, vanno ora integrate, per il profilo soggettivo, con riguardo al notaio come “pubblico ufficiale” e quale “autore dell’atto pubblico”, per valutare i comportamenti connessi alla sua prestazione - con correlati “princìpi” e “valori” - e da ultimo per qualificare la sua stessa identità professionale fra storia e attualità.
Rilevano a livello di “princìpi” codificati (art. 147 L.N.) le nozioni di “decoro e prestigio”, in verità piuttosto consunte per la loro genericità. Meglio allora riprendere alcuni brani delle motivazioni (oggi scomparse) del codice deontologico, con espresso richiamo alle regole di “personalità”, di “indipendenza” e di “imparzialità” della prestazione del notaio, e in genere della sua condotta, professionale ma anche privata e personale. Regole che possono ricondursi all’unico valore - non codificato dunque, ma univocamente riconosciuto - della posizione di necessaria “terzietà” del notaio. Mi rendo ben conto del pericolo - sempre incombente sullo storico del diritto - di leggere il passato con gli occhi del presente, e di proiettare all’indietro concetti e “princìpi” del “dover essere” del notaio d’oggi - e segnatamente - per le regole di “indipendenza” e di “imparzialità”, aspetti peculiari della professione notarile, solo di recente affacciatisi in modo organico nei codici deontologici delle libere professioni. Tuttavia per il “principio” di “personalità” devo fare una eccezione, ricollegando due riferimenti ben precisi. L’uno, risalente allo stesso Giustiniano, con la Nov. 44 dell’anno 537, che impone a tutti i tabelliones, a capo di una statio, di ricevere personalmente l’incarico, potendo delegare solo l’esecuzione materiale del documento, a pena di pesanti sanzioni. L’altro, ad una pronuncia della Suprema Corte (n. 8036/2014) la quale ribadisce con forza lo stesso principio (in sede rinvio ma con precedenti conformi): «Pertanto deve ribadirsi che il notaio è tenuto a svolgere personalmente tutte le funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento in riferimento al ricevimento degli atti notarili e con specifico riguardo alla indagine relativa alla individuazione delle volontà delle parti, dalla fase delle attività preparatorie a quella delle attività successive al compimento degli atti, senza possibilità di delegare integralmente ai suoi collaboratori dette attività, e senza alcuna distinzione tra atti “routinari” ed atti non “routinari”».
Difficile negare una ascendenza, seppure lontana, per un “principio”, rigido e non discrezionale, quale la “personalità” della prestazione.
Ma ritorniamo alla nozione di “autore” che ci guida - come accennato - in una ricostruzione dinamica della stessa identità professionale del notaio, almeno a far data dall’unità d’Italia; dal codice civile del
1865 e dalla legge professionale del 1875. Una nozione assai controversa in quegli anni - e che qui non si può che tratteggiare - con la quale, di fronte al chiaro tenore di questi testi, tutti improntati ad una “natura intellettuale” della nozione di “autore”, si introducevano circostanze metagiuridiche per attestare una sola “causalità materiale” del notaio, come semplice certificatore, in nome del sistema di divisione del lavoro giuridico tra avvocati e notai. Giocando sulla mescolanza - in estrema sintesi - tra “autore” del documento, quale è esclusivamente il notaio; e “autore” della dichiarazione negoziale, riferita necessariamente alle parti. La sottile distinzione del Guardasigilli Vigliani (1875) - riassumo parole di Mario Santoro - tra consigli e direzioni intorno a quegli atti (giuridici) che il notaio è chiamato a ricevere e prerogativa del giureconsulto - fino a stabilire una “gerarchia funzionale e sociale al cui fondo stava il notaio” - non poteva reggere a lungo, per ragioni diverse. Per la «crescente giuridificazione dei rapporti sociali ed economici» accompagnata da una più estesa domanda di servizi legali più specifici e accorpati nella prestazione notarile, specialmente in materia contrattuale e familiare.
La vicenda successiva è nota e non rimane che indicarne le tappe intermedie, essendo già emersa nei suoi contenuti dalle relazioni odierne. La legge del 1913 con l’obbligo della laurea avviava una ripresa culturale (in allora, in verità, assai modesta) della figura del notaio e della autonomia professionale della categoria. Nonostante ulteriori ostacoli fattuali, intervenuti a ritardare il pieno riconoscimento, il notaio si faceva da “autore” del documento in cui riduce la volontà della parte, a “interprete”, nella pienezza del suo significato giuridico, già attestata nell’art. 47 comma 2 della legge professionale (oggi lievemente variata in modo non sostanziale): «Spetta al notaio soltanto d’indagare la volontà delle parti …».
Certamente possiamo ritenere che all’atto del suo stesso formarsi lo Stato unitario abbia sentito la necessità di valersi di una categoria di soggetti, qualificata e legittimata, atta a garantire un uniforme e ordinato svolgersi dei rapporti intersoggettivi, come la stessa presenza della figura del notaio all’interno della codificazione - a partire dal code Napoléon e via via fino al codice del 1942 e sue modifiche - aveva attestato. Come era avvenuto per i Comuni nell’incontro con l’instrumentum; come avviene ancora, dagli ultimi decenni del secolo scorso, per l’incontro del legislatore moderno con la documentazione qualificata del notaio. In particolare la codificazione più recente ha ulteriormente coinvolto la responsabilità del notaio-pubblico ufficiale per aspetti specifici di rilievo, dei quali indico soltanto minimi riferimenti, frutto di personale (e pertanto discrezionale) collegamento, anche alla luce delle odierne relazioni. Il codice di rito del 1940 conclude il totale affrancamento della formula esecutiva dell’atto notarile da ogni forma di controllo esterno o limitazione in genere, già collegata al documento guarentigiato, tipico del Notariato italiano e segnatamente bolognese (relazione di Isidoro Soffietti al Convegno sulla fides - Genova 2004); il codice precedente prevedeva ancora la legalizzazione.
Il codice civile del 1942 risolve la vicenda della trascrizione da “onere” delle parti a “obbligo” del notaio, così avviando un efficace e completo sistema di pubblicità immobiliare (il richiamo è, per tutti, a Salvatore Pugliatti, e al lavoro sulla “trascrizione”).
Ancora, in ordine di tempo, la vicenda del controllo giudiziario sugli atti societari, conclusasi nell’anno
2003 (con ovvio riferimento alle odierne relazioni di Antonio Padoa Schioppa e Piergaetano Marchetti). Da ultimo, per sola memoria, l’abbandono dei testimoni nella massima parte degli atti notarili e siamo
nell’anno 2005 (con rinvio alla odierna relazione di Carlo Carosi).
A sua volta il notaio-interprete - ormai stabilmente allineato con le tradizionali professioni e funzioni del “campo giuridico”, dell’avvocato e del magistrato - si arricchisce parallelamente, dagli ultimi decenni del ‘900, di nuovi orizzonti. È sempre per l’interporsi tra persona e ordinamento - nel quadro della generale “funzione di mediazione” che si assegna alle professioni intellettuali nel nostro contesto sociale - che viene a formarsi una prassi contrattuale innovativa, che adegua alle nuove esigenze gli strumenti normativi a disposizione, rivitalizzando forme giuridiche obsolete ovvero in funzione propositiva, in seguito recepita sul piano normativo.
È il “valore” di “garanzia della legalità” della funzione, che qualifica il notaio come “autorità indipendente” per un «ufficio pubblico che può vivere da solo senza personalità giuridica … e l’ordinamento giuridico risolve di volta in volta i problemi dell’imputazione e della responsabilità» (Mario Nigro). «Non soltanto - con parole del Presidente Francesco Paolo Casavola al Congresso nazionale di Catania - per realizzare le finalità delle parti versandole nel conio preordinato dalle regole dell’ordinamento, ma anche per inibire la regolazione di interessi suscettibili di incrinare la certezza della legalità».
È questo l’approdo, più appropriato e attuale, che deve riconoscersi alla qualificazione della figura del notaio. Un excursus che parte da lontano, dal notaio esperto di gramatica, dictamen, diritto, come il convegno ha mostrato. Ma, a ben vedere, in una vicenda plurisecolare che ancora persiste in quella figura moderna del notaio “guardiano del portone”, “custode della parola”, perché trasferisce l’intenzione delle parti nel linguaggio dell’atto. Il notaio specialista nel “far documenti” con forza probatoria e vincolante «per rispondere a determinate esigenze, insite in ogni corpo sociale fondato sul diritto» (Bartoli Langeli). E mi avvedo di essere caduto anch’io, da semplice notaio, nella tentazione di leggere il passato con gli occhi del presente; e di proiettare all’indietro (molto all’indietro) “princìpi” e “valori” del “dover essere” del notaio d’oggi.
|
|
|