Tavola Rotonda - Regole e affetti: tuteliamo le convivenze
Tavola Rotonda
Regole e affetti: tuteliamo le convivenze
Trascrizioni autorizzate dagli Autori degli interventi tenutisi a Milano, il 7 marzo 2014.
DEBORA ROSCIANI - Moderatrice
Giornalista Radio 24
Secondo l’Istat le famiglie di fatto in Italia nel 2007 erano mezzo milione, tra 2010 e il 2011 sono arrivate oltre 970mila, nel 2014 il milione è stato sicuramente superato.
È evidente che questa è una tendenza che non può passare inosservata. In particolare, le coppie di conviventi sono sempre più consapevoli di come la vita di coppia, per quanto possa essere supportata da un amore profondo, eterno e duraturo, ha bisogno di disciplinare anche il suo assetto patrimoniale, soprattutto quando ci sono i figli. I notai, infatti, sono bersagliati da richieste di questo tipo.
Ci sono però altri aspetti che vanno tenuti in considerazione in questo dibattito: il ruolo della Chiesa da una parte e dall’altra gli avvocati che stanno da tempo monitorando questi interessanti cambiamenti.
Basta leggere i giornali e guardare lo stato della famiglia per capire quanti cambiamenti la nostra società sta vivendo. Il rapporto fra uomo e donna si sta modificando sempre di più per tante ragioni: la maggiore emancipazione femminile, per il ruolo dell’uomo molto diverso dal passato all’interno del nucleo familiare e il matrimonio che si sceglie sempre meno.
Quali modifiche si registrano in questo momento? C’è qualcosa di cui non ci stiamo accorgendo?
CHIARA SARACENO
Sociologa, Honorary Fellow “Collegio Carlo Alberto” di Moncalieri Torino
I dati più recenti danno l’idea di quanto stia cambiando la famiglia italiana, anche se nei confronti comparativi con gli altri paesi sembra di essere sempre fermi.
I cambiamenti sono quasi tutti avvenuti negli ultimi 10 anni. Guardando al tasso delle nascite fuori dal matrimonio, alle convivenze senza matrimonio, dieci anni fa sembrava che tutto fosse stabile e fermo nei decenni; poi, improvvisamente, c’è stata un’accelerazione. Probabilmente, come tutti i cambiamenti nella famiglia, essi stavano sviluppandosi sotterraneamente, salvo poi, come i fenomeni carsici, emergerei in modo dirompente.
Tra i dati di cambiamento il fatto che un bambino su quattro in Italia oggi nasce al di fuori del matrimonio. Nel 1970 i bambini che nascevano al di fuori del matrimonio erano solo il 2,2%, oggi sono il 25%. Questi bambini non nascono, per lo più, fuori da un rapporto stabile di coppia. Al contrario, sono decisi e nascono entro una coppia convivente. Potremmo osservare, a questo proposito, che la tardiva eliminazione di ogni distinzione tra figli “naturali” e “legittimi” è la presa d’atto che si può fare famiglia (non solo coppia) anche senza essere sposati. datoli dato, inoltre, sull’aumento delle convivenze (tra persone di sesso diverso) che hanno figli, smentisce l’idea che chi convive non ha prospettive di futuro e perciò è, non solo irresponsabile, ma non meritevole di riconoscimento istituzionale.
Il notevole aumento delle convivenze - il 6,9% delle coppie di persone di sesso diverso nel 2012 erano non sposate - è dovuto soprattutto all’aumento di quelle che potremmo definire prime coppie, composte da persone che sono alla loro prima esperienza di convivenza di coppia. Fino ad un decennio fa, la maggior parte delle coppie conviventi senza essere sposati comprendeva almeno un partner che proveniva da un matrimonio, che si era concluso per separazione e talvolta anche vedovanza. L’attesa obbligata tra separazione e divorzio, l’opportunità di non modificare l’asse ereditario in presenza di figli, la non volontà di rinunciare alla pensione di reversibilità (nel caso delle vedove) costringeva, o incentivava, chi aveva un matrimonio finito alle spalle ad optare per la convivenza, invece di, o in attesa, di sposarsi. Oggi, invece, sono giovani celibi e nubili a costituire la maggioranza dei conviventi, intendendo la convivenza come una fase preliminare, più che alternativa, al matrimonio. Circa un terzo dei matrimoni celebrati oggi è preceduto da una convivenza che ha avuto una durata media superiore ad un anno. Si tratta ancora di una, pur consistente e in aumento, minoranza, a fronte della grande maggioranza delle coppie che effettuano questa scelta in gran parte dei paesi europei. Ma si tratta di un cambiamento forte nella concezione del matrimonio, e del percorso per arrivarvi eventualmente, che sta diventando rapidamente un possibile modello di normalità e che coinvolge anche le generazioni più vecchie, quelle dei genitori, che spesso sostengono anche materialmente (ad esempio aiutandole ad accedere ad una abitazione) le scelte di vita di giovani coppie non istituzionalizzate.
DEBORA ROSCIANI
La prova di convivenza, quindi, è una cosa naturale?
CHIARA SARACENO
Come dicevo, la maggioranza delle coppie in Italia ancora oggi va a vivere assieme quando si sposa. Tuttavia il fenomeno delle convivenze giovanili pre - o senza - matrimonio è in aumento, in tutto il paese, anche se con maggiore intensità nel Centro-Nord. Un altro dato interessante è l’aumento delle coppie - sposate o meno - in cui uno o entrambi provengono da un precedente matrimonio finito non per morte del coniuge, ma per separazione e divorzio. Il 6,9% di tutte delle famiglie è - come si dice in gergo - ricostituita o ricomposta: cioè, almeno uno dei due coniugi, per lo più non vedovo, proviene da un precedente matrimonio. Questo dato non include chi proviene da una precedente coppia che non era sposata.Bisogna ricordare che c’è anche un rapporto di coppia (familiare) che non è espresso nella convivenza e che in gergo si chiama Lat: living apart together. Si tratta di persone che vivono ognuno a casa sua. Questo avviene sia tra coppie non sposate che tra coppie sposate, vuoi perché si hanno figli da un matrimonio precedente o perché, si ha l’esigenza di avere residenze separate - anche in famiglie tradizionali per diversi motivi, ad esempio, di lavoro.
Segnalo, infine, che l’8,3% delle famiglie è formato da almeno un coniuge straniero. Quindi, soggetti che non solo vengono da una cultura più o meno diversa e da un modello culturale di famiglia più o meno diversa (si pensi non soltanto ai musulmani ma anche agli scandinavi che sono molto diversi in tema di rapporto di coppia e genitori-figli), ma che viene anche da diverse tradizioni giuridiche. Tutto ciò rappresenta un problema quando la coppia finisce. Se i coniugi hanno nazionalità diversa, o si sono sposati in un Paese piuttosto che in un altro, hanno a che fare con sistemi giuridici talvolta anche molto differenti.
DEBORA ROSCIANI
Molte separazioni si fanno anche per avere agevolazioni fiscali.
CHIARA SARACENO
Sì, può esserci anche questo fenomeno, ma non credo sia molto diffuso. Bisogna dire anche che la stessa convivenza, dal punto di vista della residenza anagrafica, non corrisponde più necessariamente alla modalità di vita familiare e non perché ci si trovi di fronte a persone che non vogliono vivere sotto lo stesso tetto, ma anche per necessità di organizzazione pratica. Ci sono coppie sposate che hanno residenze anagrafiche separate per motivi professionali, così come ci soo coppie sposate che hanno una residenza anagrafica comune ma di fatto vivono e lavorano in gran parte della settimana o dell’anno in città diverse. Ci sono figli che hanno la residenza anagrafica con i genitori, ma abitano di fatto altrove per motivi di lavoro o studio, così come ci sono figli che hanno residenza separata dai genitori per motivi fiscali (ad esempio l’intestazione di una seconda abitazione), ma di fatto continuano a vivere con i genitori, anziani che risultano anagraficamente vivere da soli, ma di fatto vivono con un figlio/ figlia, e così via. Residenza anagrafica e situazione di fatto non hanno mai del tutto coinciso, ma oggi forse meno di un tempo.
Pensiamo alla situazione dei figli di genitori separati/divorziati. Dal punto di vista anagrafico essi abitano con un solo genitore (costituendo così le famiglie dette impropriamente mono-genitore). Ma in molti casi essi fanno parte effettivamente, dal puno di vista delle responsabilità economiche, della organizzazione della vita quotidiana, delle relazioni affettive, di due famiglie, appunto quelle dei loro genitori Con la nuova legge sull’affidamente dei figli si è confermato il fatto che una separazione dei genitori non significa che essi non mantengano la titolarità del diritto-dovere all’accudimento e alla responsabilità quotidiana nei confronti dei figli. Ciò comporta che il rapporto con i figli sia regolato tra le due convivenze.
DEBORA ROSCIANI
Non è stato introdotto, peraltro, il tema dei papà separati e tutte le conseguenze drammatiche che queste persone vivono.
Finora è stata scattata una fotografia di questi cambiamenti sociali, cosa ne pensa l’Associazione Aiaf di questa iniziativa dei notai?
LUISELLA FANNI
Presidente Aiaf Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori
L’Aiaf ha diffuso già un comunicato nel quale si riporta l’attenzione al fatto che gli avvocati hanno da tempo immemorabile il compito di informare le persone e tutelare i loro diritti .
DEBORA ROSCIANI
Tuttavia, non sono più solo gli avvocati che gestiscono le conflittualità, quindi anche per questa categoria qualcosa è cambiato.
LUISELLA FANNI
La conflittualità fa parte della realtà, bisogna sfatare l’illusione che si possa eliminare. Il problema è come gestirla: se per incrementarla o per trovare delle soluzioni.
Contrariamente a quanto si dice, la funzione dell’avvocato deve essere quella di pacificatore sociale, perché ha il compito di recepire i problemi delle persone e di trovare - con loro - la migliore soluzione possibile.
Applicando queste considerazioni alla crisi della famiglia, matrimoniale o di fatto che sia, non si può non ricordare come siano gli avvocati ad occuparsene da sempre; la regolamentazione delle relazioni familiari in crisi, sopratutto per i figli, appartiene alla giurisdizione trattandosi di diritti fondamentali della persona, costituzionalmente protetti. Non a caso i contratti di convivenza, di cui qui si parla, precisano espressamente che non possono riguardare i diritti fondamentali della persona. Si può trovare un accordo per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali ed educativi relativi ai figli, ma per le modalità e i tempi delle relazioni con loro, se i genitori non raggiungono un’intesa da recepire in un provvedimento giurisdizionale - e che rispetti i diritti dei loro figli - saranno poi i giudici a decidere.
Di queste materie e nei Tribunali si sono sempre occupati gli avvocati; pur se bisogna essere consapevoli che viviamo in un momento storico in cui c’è una forte tendenza a fuggire dalla giurisdizione e a ridurre i diritti tutelabili davanti al giudice, sulla base di considerazioni e valutazioni di tipo economico. La giurisdizione costa e, per ridurne i costi, la gestione della conflittualità e dei problemi tra le persone si sposta sul fronte della mediazione, o addirittura se ne affida la trattazione a magistrati onorari, privi della preparazione e della specializzazione necessaria.
Contro questa deriva l’Aiaf porta avanti una forte protesta e, da tempo, sostiene la costituzione nei Tribunali ordinari di sezioni specializzate che si occupino esclusivamente della famiglia, delle persone e dei minori.
La nuova legge professionale, al dovere di competenza, da tempo previsto nelle norme deontologiche, ha aggiunto la possibilità per gli avvocati di conseguire la specializzazione, pur se non è un percorso obbligatorio e non costituisce riserva. A questo fine l’Aiaf ha stipulato, sia col Consiglio Nazionale Forense che con le Università Bicocca di Milano e Sapienza di Roma, un protocollo e delle convenzioni per gestire insieme la sua scuola di alta formazione e per farla diventare anche scuola di specializzazione, secondo le norme che saranno emanate tra non molto.
Ricordo ai presenti e a chi ci ascolta che la scuola dell’Aiaf è intitolata all’avvocato Milena Pini, già presidente nazionale dell’Aiaf, prematuramente scomparsa lo scorso anno; avvocato milanese di grande spessore, nel carattere, nel comportamento, nella competenza professionale e nella sensibilità a riconoscere i problemi e anticiparne le possibili soluzioni anche normative. La scuola “Milena Pini” ha in corso il suo secondo biennio; l’obiettivo dell’Aiaf è formare un’avvocatura competente, specializzata, capace davvero di essere vicino alle persone per recepirne i bisogni, tutelarne i diritti e risolverne i problemi.
È però certo che il conflitto, o almeno una sua quota, non si potrà mai eliminare. Basta evidenziare un dato: rispetto alle crisi familiari che giungono in Tribunale, una rilevante quota, tra l’80% e l’84% (fonte Ministero della Giustizia), si risolve con separazioni consensuali; è evidente che in questi casi gli avvocati svolgono una funzione fondamentale per raggiungere gli accordi su cui le consensuali si fondano. Nella rimanente quota, tra il 10% e il 15%, la crisi si chiude a “conclusioni conformi” e cioè, sulla base di accordi raggiunti tra le parti che il Tribunale recepirà nella sua sentenza.
È difficile pensare che si possa ulteriormente ridurre o eliminare la rimanente percentuale di conflittualità, che si risolve solo con una decisione autoritativa del giudice. Bisogna ricordare che gran parte di queste crisi riguarda persone prive di una loro stabilità non solo economica, ma sopratutto psichica e fisica; c’è ,infatti, un’incidenza fortissima delle malattie nella crisi delle famiglie e , purtroppo, abbiamo un’organizzazione socio- sanitaria che interviene tardivamente o non interviene affatto. I Consultori delle Asl e i Servizi sociali degli Enti locali potrebbero essere d’aiuto in questi casi, ma soffrono oggi, più di prima, di carenze di organico e di mancanza di fondi per sostenere le famiglie; gran parte dei loro operatori non sono inseriti nell’azienda, ma lavorano con contratti a breve termine e non riescono, sarebbe quasi impossibile, a stabilire con gli utenti relazioni di fiducia che hanno bisogno di tempi lunghi per radicarsi.
Penso infine che proprio gli avvocati devono riconquistare uno spazio di intervento nel settore della prevenzione e organizzarsi per fare si che le persone si rivolgano a loro non solo quando è già sorto il problema ma, ad esempio, prima di sposarsi o di iniziare una convivenza o anche di mettere al mondo figli o di adottarli.
Anche per questo da tempo, e proprio con l’avv. Milena Pini, l’Aiaf ha chiesto che venga riconosciuto ai legali il potere di autenticare il contenuto degli accordi e delle sottoscrizioni delle parti, un potere oggi loro attribuito solo per quanto riguarda la rappresentanza in giudizio.
Non a caso i notai divulgando e utilizzando i contratti di convivenza informano e ricordano agli utenti che questi contratti, attraverso l’autentica della firma che loro notai possono apporre, acquistano particolare efficacia e in caso di inadempimento ne consentono l’esecuzione.
DEBORA ROSCIANI
In via pregiudiziale, si potrebbe dire che è abbastanza intuibile la posizione della Chiesa su tutti questi argomenti. Tuttavia, Papa Bergoglio, come di recente accade scompagina le carte.
In un’intervista al Corriere della Sera si domanda al Papa: “molti paesi regolano le unioni civili, è una strada che la Chiesa può comprendere, ma fino a che punto?”, Papa Bergoglio risponde: “il matrimonio è fra uomo e donna, gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza spinti dall’esigenza di regolare aspetti economici fra le persone come ad esempio assicurare l’assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà”.
Quindi, c’è una riflessione profonda nella Chiesa su questo argomento?
PADRE GIACOMO COSTA
Direttore Aggiornamenti Sociali
Il modo di essere e interpretare il ruolo del Papa ha suscitato una serie di speranze, dibattiti, resistenze dentro e fuori la Chiesa. Bisogna aiutare a capire come leggere la posizione di Papa Bergoglio.
Non sono solo i notai e gli avvocati a volere persone che bussino alla loro porta, anche la Chiesa vorrebbe che le persone vi si rivolgessero (in anticipo) nei casi di cui si parla. Per questo motivo sono stati istituiti i corsi di preparazione al matrimonio, proprio per cercare di prevenire invece che combattere successivamente le crisi familiari.
Tuttavia, ci si è resi conto della difficoltà di far passare l’intuizione, propria della Chiesa, della bellezza e della centralità - dal punto di vista personale e sociale - del matrimonio nella società odierna. Di certo, la rivoluzione di Papa Francesco non consiste nel buttare in aria i principi della Chiesa.
Bisogna cercare di non prendere le frasi del Papa in maniera isolata ma occorre capire qual è il pensiero sottostante e capire anche come, dietro certe frasi, non vi sia soltanto una strategia comunicativa per rendere la Chiesa più appealing o per guadagnare dieci punti nella graduatoria dell’affidabilità dell’istituzione Chiesa, ma vi sia una posizione profondamente radicata in quella che è la storia della Chiesa ed in particolar modo di quanto è successo dal Concilio Vaticano secondo fino a oggi.
Rispetto alle questioni trattate oggi è interessante notare come Il Papa si è mosso fin dall’inizio nel modo di portare avanti il sinodo sulla famiglia e capire la sua posizione.
Il Papa ha iniziato la sua attività inviando a tutte le diocesi del mondo un questionario che - pur non essendo particolarmente efficace dal punto di vista sociologico perché redatto con domande aperte - è di fondamentale importanza perché, anziché portare avanti una posizione sul valore della famiglia a prescindere dimostra come il Papa si preoccupi di discutere e di ascoltare cosa sta vivendo la Chiesa come elemento della società. La Chiesa è all’interno della società e non può immaginarsi fuori.
Sulla base di ciò che si è ascoltato, si cercherà di discernere e di far venire alla luce i principi della Chiesa che non sono solo principi culturali. Spesso si assiste all’ambiguità di identificare il Vangelo con una posizione culturale, con una visione di famiglia e con una visione di questi tipo di relazioni.
La posizione del Papa del resto ha suscitato resistenze anche all’interno della Chiesa stessa. Di recente il Cardinal Kasper ha aperto una riunione dei Vescovi ponendo delle domande e affrontando i problemi in questa direzione e lo stesso Padre Lombardi ha sottolineato come non ci sia da aspettarsi un orientamento unitario.
Si tratta di lavorare, confrontarsi e cercare di capire come andare avanti. Questo è il grande cambiamento che è radicato in quanto è emerso dal Concilio Vaticano, ossia la difficoltà nel riuscire a comunicare la fede e, quindi, l’esigenza di comunicare in modo diverso e non di mettere in discussione la dottrina.
In quel momento si è capito che questo lavoro di ascolto non può essere fatto una volta per tutte perché esso fa parte della stessa vita della Chiesa che deve interrogarsi, ascoltare e che ha molto da imparare in questa relazione.
Pensiamo alla posizione sui diritti umani. La Chiesa ha capito come la dignità della persona e i diritti dell’uomo sono qualcosa che permette di esprimere e valorizzare meglio i propri valori. Ad esempio, per quanto riguarda la posizione verso le donne - anche se c’è ancora tanto da fare - l’atteggiamento è cambiato. Il Papa lo ha sottolineato: c’è molto da imparare in questo confronto non soltanto per individuare la strategia per arrivare agli altri ma per arrivare alla profondità del proprio credere.
Questa è la rivoluzione, semplicissima ma pienamente in linea con la tradizione della Chiesa portata avanti da Papa Francesco, il quale ha affermato che lo stile fa parte del contenuto stesso di quanto si vuole annunciare. Non si può avere un certo stile di chiusura e poi proporsi come annunciatore d una buona notizia.
In questo senso si è pronunciato anche il Cardinal Martini evidenziando questioni di giustizia e - fra i primi - invitando a mettere in discussione la propria opinione e diffidare delle proprie posizioni per cercare di capire l’altro nel modo migliore possibile, in quello che di bello e positivo ognuno ha da dire. È un modo di essere “democratico” della Chiesa: partecipare al dibattito credendo fermamente e valorizzando quanto ognuno abbia da dire. È questo il senso che si deve attribuire alle frasi di papa Francesco per capirne in maniera unitaria la posizione.
In relazione ai temi di oggi, da un punto di vista immediato, la guida rispecchia pienamente quella che è stata, da sempre, la posizione ufficiale della Chiesa ossia valorizzare il matrimonio e togliere ogni ambiguità al fatto che esso non sia soltanto una regolamentazione degli affetti personali ma che allo stesso tempo abbia un valore sociale che va difeso. È giusto, quindi, che tutte le altre questioni vadano regolate dal punto di vista privato. Questa è la posizione della Chiesa e la guida non fa che valorizzare tutto quanto è stato fatto a livello di diritti individuali, e cioè, evidenziare quanto già è nella legge, spiegarlo e renderlo noto alle persone.
Certo è che la Chiesa - anche in considerazione della posizione di Papa Francesco - non può accontentarsi di stare a questo livello, perché l’obbiettivo deve essere individuare cosa vuol dire veramente difendere i più deboli e le persone in situazione di difficoltà, come farlo concretamente senza svendere i principi, anzi valorizzandoli e portandoli fino in fondo, come difendere la dignità delle persone non soltanto individuale ma anche, come dice la Chiesa, quella “costitutivamente relazionale”.
Tutto ciò è difficile da realizzare anche perché, in Italia, questi argomenti sono relativamente recenti. Il Papa ha sottolineato come sia necessario avere pazienza e darsi del tempo per cercare di capire. Ciò è in contrasto sia con il fondamentalismo di chi vorrebbe che le cose restassero così come sono state sempre interpretate e che i principi sono immutabili, sia con coloro secondo cui il diritto individuale sta davanti a tutto. Occorre lo sforzo di capire cosa la società vuole vivere.
La Costituzione può aiutare in questa attività, in particolare gli articoli 2 e 29 dànno un orizzonte - anche se scritti in un’altra situazione storica - e hanno delle potenzialità che vanno comprese e articolate.
Non ci si può accontentare di rimanere a questo livello e sicuramente la strada è quella del confronto e di un ascolto serio, profondo, non soltanto di ciò che ciascuno vuol fare ma di quello che si vuole vivere insieme come società. Questa è la posizione fondamentale che fa capire che dietro alle regole per l’affettività c’è una visione, un senso, un qualcosa che si cerca e si vuol vivere insieme.
È ovvio che ciò che funge da guida deve essere una riflessione politica e sociale sul senso delle cose, nella consapevolezza che le regole sono importanti anche per dare una struttura a questo “senso”. Spesso si leggono grandissime dichiarazioni sulla tutela della famiglia nei proemi delle leggi, ma di fatto, sono le norme che vanno a strutturare e definire cosa è possibile fare da ciò che non lo è, e quindi, esse hanno un ruolo fondamentale.
Per questo motivo non si può impostare un lavoro neutro nel quadro giuridico, proprio perché è lì che entra veramente in gioco il “senso delle cose”. In questa situazione, il ruolo della Chiesa - come sottolinea Papa Francesco e come è tradizione - è quello, innanzitutto, di porre delle domande a partire da una visione di ciò che è importante per la struttura della società e successivamente quello di partecipare a un discernimento insieme e cioè, a una ricerca condivisa delle strade che oggi sono perseguibili a fronte dei cambiamenti dei contesti e delle situazioni da affrontare.
In conclusione, si vuole ricordare che Papa Francesco parla di visione della Chiesa come “ospedale da campo”, per cui più che fissarsi su delle singole norme e sui dettagli è importante affrontare i problemi fondamentali e farlo insieme. Queste sono le posizioni della Chiesa in materia.
DEBORA ROSCIANI
Padre Costa ha usato frasi molto belle: “ascoltare cosa stiamo vivendo” e “partecipare ad un discernimento insieme”. Molti dei cambiamenti della sfera sociale forse vanno affrontati in maniera inedita rispetto al passato, occorrerebbe abbandonare l’idea di dedicarsi a determinate questioni a compartimenti stagno, un po’ come nell’esperienza degli avvocati o delle associazioni dei consumatori.
C’è qualcosa di più nell’azione di tali associazioni oltre, naturalmente, alla diffusione di informazioni e di guide concrete e particolareggiate?
ANTONIO LONGO
Presidente Movimento Difesa del Cittadino
Quotidianamente ci si trova a dover combattere con la fattura sbagliata, il conto corrente che non funziona, estratti conto incomprensibili e contratti non rispettati dalle grandi aziende. In questa sede, ci troviamo di fronte a un problema che tocca profondamente le persone, le relazioni sociali, i rapporti tra le persone e la comunità.
L’insistenza di padre Costa sull’importanza del “valore della persona” dà la possibilità di esporre alcune riflessioni. La discriminazione della convivenza c’è stata finora e continua ad esserci (la guida elenca una serie di Faq che evidenziano le persistenti disparità). In questa sorta di vita di serie B che i conviventi continuano a fare rispetto a chi ha sottoscritto un contratto di matrimonio si rileva la prevalenza del contratto sulla persona. Tutto ciò è indifendibile. Naturalmente le regole contrattuali vanno rispettate ma allo stesso tempo i contratti possono essere rivisti nel tempo ed avere un termine. Il tempo previsto di 3 anni - lunghissimo - per arrivare ad una sentenza di divorzio e quindi, per riprendere la propria libertà di risposarsi - e fare un nuovo contratto! - così come di riconoscere il diritto dei figli naturali ad essere tutelati allo stesso modo di quelli legittimi (fino a poco tempo fa ancora carente) sono fatti assolutamente anacronistici. In Francia pare si possa divorziare addirittura on-line; ora, senza arrivare a dei paradossi è legittimo pensare che 6 mesi o un anno sia un tempo ragionevole per arrivare ad una sentenza di divorzio.
Sembra che il Parlamento sia ancora influenzato da una visione, assolutamente rispettabile, di un matrimonio fondato certamente su un contratto ma allo stesso tempo fortemente condizionato dal fatto che per la Chiesa è un sacramento. Questa visione religiosa non si può imporre ad una popolazione che sempre più testimonia il proprio distacco dalle regole della Chiesa per quanto riguarda questo ambito: si pensi alla morale sessuale, quella pre-matrimoniale, il controllo delle nascite ecc.
L’auspicio è che le forze politiche prendano le distanze da una tale visione proprio per ridare valore alla persona che deve essere al centro della società.
DEBORA ROSCIANI
Forse i tempi non sono maturi per questo tipo di discorsi o forse questi discorsi non sono utili al consenso elettorale ed è per questo che la politica non se ne occupa.
LUISELLA FANNI
Innanzitutto è chiaro che un padre gesuita non potrà mai negare quanto la Chiesa ha affermato per secoli, ma è da ammirare l’apertura di Papa Bergoglio, il quale, anziché sanzionare preferisce comprendere ed è questa una qualità che devono avere anche gli avvocati che vogliono occuparsi di questa materia.
Vorrei ora offrire dati più precisi riguardo ai giudizi familiari e ai tempi per definirli, ricordando che nel nostro paese esistono sia la separazione che il divorzio e che il divorzio è ottenibile solo a separazione conclusa; o consensualmente con un decreto del Tribunale che omologa le condizioni concordate o giudizialmente con una sentenza passata in giudicato.
L’obiettivo, oggi, è arrivare al cosiddetto “divorzio breve”. Attualmente in Italia si può iniziare una procedura per ottenere il divorzio dopo tre anni dalla prima comparizione davanti al Presidente del Tribunale nella causa di separazione; esiste però la possibilità di avere provvedimenti in tempi “brevi”: se le parti trovano un accordo una separazione consensuale si può definire in un tempo che può oscillare tra i 3 e 6 mesi, quindi dopo i tre anni con un ricorso congiunto, a sua volta fondato su un accordo, si può più o meno nello stesso tempo definire la vicenda divorzile .
Complessivamente, pur con gli accordi, non passano meno di 4 anni; non è certamente un tempo breve ma l’Italia è un Paese in cui non c’è soltanto la Chiesa, ci sono anche i cattolici, e non solo; ci sono coniugi che subiscono la decisione dell’altro o dell’altra e che soffrono e fanno fatica a vedere e ad accettare la fine del proprio progetto di vita. Questo avviene soprattutto quando a monte non c’è una separazione raggiunta con il consenso ed è mancata l’elaborazione reciproca delle ragioni della crisi. Frequentemente in questi casi si attiva una procedura contenziosa, diversa e più articolata e con ben maggiori tempi processuali, anche per lo scarso numero di giudici che se ne occupano. In proposito sarebbe necessaria l’azione congiunta delle categorie professionali interessate, e dei cittadini sopratutto, affinché lo Stato si doti del sufficiente numero di giudici per affrontare il carico giudiziario e snellire i tempi dei processi.
Infine è doveroso ricordare che, anche se è stato attivato un procedimento contenzioso, è possibile ottenere una sentenza parziale sullo stato, chiedendola sin dalla prima udienza della fase istruttoria, dopo quindi la prima fase della causa che si svolge innanzi al Presidente del Tribunale; e questo sia nella causa di separazione che in quella di divorzio.
Purtroppo bisogna anche dire che tra il deposito del ricorso in Tribunale e l’udienza presidenziale può decorrere un tempo lunghissimo, anche nove mesi / un anno; un tempo altrettanto lungo può intervenire tra l’udienza presidenziale, che si chiude con la pronuncia dell’ordinanza per i provvedimenti provvisori e urgenti, e la prima udienza istruttoria dove, se si è d’accordo, si possono precisare le conclusioni o chiedere altra udienza a questo solo scopo, mentre la causa continua per le altre domande, economiche o per i rapporti con i figli, o anche per l’assegnazione della casa.
Ancora una volta tempi lunghi e una duplicazione di procedure, di separazione e di divorzio, che come avviene in altri paesi potrebbero almeno unificarsi.
DEBORA ROSCIANI
Proprio questa farraginosità finora descritta rende ancora più necessaria l’introduzione dei patti di convivenza. Le persone non vogliono andarsi ad infilare in questi tunnel e le famiglie che si vogliono costituire ne sono ben coscienti, pertanto, si preferisce evitare a monte il problema non sposandosi.
CHIARA SARACENO
Non si può che essere d’accordo sul fatto che è inspiegabile che in Italia ci sia una legge sul divorzio così macchinosa e per certi versi punitiva, che rappresenta il prezzo pagato negli anni Settanta nei confronti della Chiesa Cattolica. Osservo en passant che la Chiesa negli ultimi anni sta facilitando gli annullamenti, con il risultato paradossale che sarà quasi più facile ottenere l’annullamento che il divorzio.
Il fascino che suscita Papa Bergoglio, peraltro, la dice lunga su quanto fosse arcigna la posizione della Chiesa cattolica. Si percepisce, infatti, come rivoluzionario un atteggiamento - solo pastoriale, non dottrinale - che ci si aspetterebbe faccia parte in modo ovvio della carità. Una carità che, evidentemente, è mancata gravemente soprattutto nel comportamento e nelle parole della gerarchia.
Occorre sottolineare, peraltro, come nell’ambito delle Chiese cristiane si sia andati ben oltre i timidi tentativi della Chiesa cattolica - nonostante il sinodo della famiglia, improntato tutto sulla pastorale piuttosto che sulla dottrina. Nella Chiesa evangelica tedesca è stato approvato un documento su famiglia e matrimonio in cui si dice esplicitamente che la forma della famiglia è plurale e non c’è nulla che ostacoli tale considerazione, nemmeno teologicamente. Anche chi si identifica con la tradizione religiosa cattolica non può ridurre ad essa il cristianesimo. Questo è un ambito religioso più ampio e diversificati, in cui vi sono posizioni (si pensi ai Valdesi o Metodisti italiani che vanno nella stessa direzione della Chiesa tedesca) che affrontano le questioni della famiglia e della omosessualità anche dal punto di vista teologico e non soltanto dal punto di vista della carità e dell’accoglimento.
Rispetto alla utilissima guida per la convivenza - da estendere anche agli accordi pre-matrimoniali - c’è una questione che, tuttavia, rimane irrisolta, anche a seguito della modifica della normativa sull’equiparazione dei figli naturali ai figli illegittimi. Ci sono dei figli che per l’ordinamento italiano continuano ad essere legalmente orfani di un genitore. Sono i figli delle coppie omosessuali. Il convivente etero (come puntualmente suggerito nella guida) può provvedere, anche prima della nascita al riconoscimento. Ma non c’è modo per il convivente omosessuale di dichiarare la propria genitorialità. Ormai bisogna prendere atto che ci sono molti bambini) che nascono per intenzione esplicita di coppie omosessuali - quindi, non nati da precedenti rapporti eterosessuali - in cui il genitore biologico è l’unico genitore anche dal punto di vista legale, mentre l’altro genitore continua ad essere considerato un estraneo. Questi bambini hanno anche solo metà parentela, quella derivante dal genitore biologico. Sullo stesso presupposto dell’eliminazione della discriminazione tra figli naturali e legittimi che consiste nell’affrontare la questione dal punto di vista dei bambini, non si può accettare una lacuna come quella degli “orfani di un genitore”, costruiti come tali dalla cecità delle norme. È un problema che va affrontato con una legge. Nei Paesi europei le legislazioni in proposito sono ancora più differenziate di quanto non lo siano per quanto riguarda i matrimoni omosessuali. Tuttavia la questione è posta e affrontata. In Italia,invece, il problema, non si pone neppure.
DEBORA ROSCIANI
È possibile delineare in sintesi i tratti generali di quanto detto finora? I cambiamenti occorsi negli ultimi 10 anni hanno subito un’accelerazione formidabile se si guarda ai decenni precedenti e la visione della società è completamente cambiata. In questo ambito i notai si sono ritagliati uno spazio molto importante in materia di convivenza.
DOMENICO CAMBARERI
Notaio in Milano, Consigliere nazionale del Notariato
È importante che una discussione così delicata e improntata ad un forte tecnicismo giuridico sia affrontata con tale passione e che sfoci anche in considerazioni di carattere sociale da parte di ospiti così illustri.
I notai, affrontando con tale coraggio questo tema hanno dimostrato apertura mostrando anche all’esterno la propria trasformazione.
DEBORA ROSCIANI
A questo proposito, quali sono state le reazioni intorno ai notai - a parte quelle degli avvocati che abbiamo già ascoltato - rispetto a questo cambiamento?
DOMENICO CAMBARERI
C’è stato grande stupore, perché la gente ha scoperto di avere a disposizione degli strumenti che pensava di non avere. Occorrerà, sicuramente maggiore maturazione della categoria perché si trovi il coraggio di utilizzare a pieno questi strumenti ma la soddisfazione è tanta per i risultati raggiunti finora.
L’accenno al matrimonio a termine cui si è fatto nel corso della discussione è sicuramente una provocazione. Facendo un passo indietro, anche in una visione tradizionale del matrimonio, si può notare come il prestare attenzione alle convivenze significhi prestare attenzione alle parti deboli. Perché regolamentare una convivenza - purtroppo - nella prospettiva della rottura della stessa, vuol dire focalizzare l’attenzione sulla parte debole proprio per cercare di tutelarla al meglio.
Inesorabilmente, l’istituto classico del matrimonio appresta delle tutele nel caso di rottura del vincolo. È in questa prospettiva che va visto lo sforzo di colmare il vuoto creatosi dall’aumentare delle convivenze a scapito dei matrimoni. In particolare, l’iniziativa intrapresa è finalizzata alla tutela del soggetto più debole il quale risulta essere enormemente più penalizzato rispetto al soggetto debole che troviamo nel matrimonio. Il vuoto normativo, già presente nella disciplina del matrimonio si presenta molto più accentuato nel caso della convivenza.
Qualche decennio fa, prima del ’68, Milano ebbe una forte espansione urbanistica, nonostante le famiglie tipiche, allora - tutte fondate sul matrimonio - fossero composte prevalentemente da due persone che a fatica riuscirono a costruire il proprio futuro in un periodo di crisi economica.
Rispetto a ciò occorre sottolineare come il fattore economico sia strettamente correlato al tema della convivenza, così come il diritto nei confronti della religione. Le famiglie che oggi si incontrano sono molto scoraggiate rispetto alla sia pur modesta prospettiva di vita degli anni Sessanta. In quegli anni, con la famiglia classica si è costruito un certo tipo di economia italiana: il risparmio immobiliare di quegli anni ha consentito all’Italia di resistere meglio di altri Paesi all’impatto della crisi. Il risparmio privato, quindi, è da ricondurre in gran parte alla famiglia tradizionale.
È fondamentale in questo discorso cercare di fornire ai giovani gli strumenti necessari per far andare avanti questo Paese. In particolare, sono proprio le giovani coppie, i destinatari delle convivenze tutelate nelle quali spesso si ritrova la precarietà del posto di lavoro e la difficoltà ad accedere ad un mutuo e quindi, una resistenza alla scelta di sposarsi. Questo è uno strumento di supplenza rispetto a quello della famiglia tradizionale destinato a due persone che comunque tentano di costruirsi un futuro. Focalizzare l’attenzione su determinati strumenti tecnico-giuridici può servire a queste giovani famiglie per inserirsi nel contesto economico e sociale del Paese.
In altre parole, si vuole dare un’ulteriore chiave di lettura dell’impegno notarile in questa materia. Questa attività è sì rivolta alle persone, perché interessa i diritti personali ma è anche volta ad aiutare e rilanciare il Paese, che è una prospettiva diversa e cioè quella di aiutare chi vuole costruire un futuro familiare personale e contemporaneamente economico del Paese a farlo con strumenti adeguati.
Il compito è difficilissimo ed i notai hanno voluto dare questo piccolo contributo.
DEBORA ROSCIANI
È forse troppo ambizioso l’obbiettivo dei notai, ovvero quello di contribuire a rilanciare l’economia del Paese in un contesto come quello di oggi in cui, a differenza degli anni Sessanta in cui un mutuo si otteneva a 10 anni e con il tasso fisso, i mutui vengono concessi a 25 anni e con rate variabili che possono mettere in crisi l’economia delle famiglie.
ANTONIO LONGO
Il problema principale per cui le giovani coppie non si sposano è l’inadeguatezza dei redditi, la mancanza di lavoro, che impediscono finanche l’affitto di una casa. Molte coppie sarebbero ben felici di andare via da casa a vent’anni, come succede in altri Paesi, vivere da soli e costruire una vita di coppia ma l’insicurezza economica spesso non lo rende possibile.
La formula religiosa del matrimonio recita “finché morte non ci separi”. Ebbene, lo Stato non può affermare lo stesso principio, sarebbe meglio che dicesse “finché amore ci tiene uniti”. Al più, in una visione giuridica, si potrebbe affermare “finché sentenza non ci separi”.
Infine, è necessario insistere sul problema, già sollevato, della condizione dei figli delle coppie gay che è ormai ineludibile per la classe politica che deve sedersi a riflettere su questo problema con consapevolezza e serietà.
In due Paesi molto cattolici come il Belgio e la Spagna - addirittura, Re Baldovino si sospese per un giornata dalla sua autorità per non promulgare la legge sull’aborto - ci sono i matrimoni gay. In Italia ciò rappresenterebbe una scelta di civiltà per garantire pieni diritti anche ai figli delle coppie gay.
DEBORA ROSCIANI
Ritornando all’aspetto economico: come si interviene nell’ambito dei corsi pre-matrimoniali nei confronti di giovani che possono andare incontro ad un futuro incerto economicamente e che potrebbe causare anche la crisi del rapporto stesso e quindi, anche del matrimonio cattolico.
PADRE GIACOMO COSTA
La Chiesa da sempre ha portato avanti un discorso di formazione e di prevenzione sull’importanza della positività dell’impegno che si decide di portare avanti con il matrimonio. In questo senso, la varietà di possibilità offerta dall’ordinamento giuridico ha un suo valore.
Bisogna stare attenti a non confondere i diversi piani. Un conto è parlare di coppie che hanno la possibilità di sposarsi e quindi, eterosessuali e del conseguente il riconoscimento del valore sociale del matrimonio, diverso è il caso delle coppie omosessuali per cui è necessario un particolare modello di esperienza che possa essere introdotto nella società, ancor prima di affrontare la tematica dei figli. In questi casi sarebbe necessario usare una diversa creatività istituzionale senza appiattirsi sull’unico modello del matrimonio. Tra l’altro, anche all’interno delle coppie gay la questione è più che dibattuta.
C’è una questione di fondo che riguarda il rapporto con l’istituzione del matrimonio che va affrontata con maggiore serietà, perché riguarda quanto si vuole andare ad incidere nella sfera privata del cittadino ed in questo campo, le opinioni sono diverse.
È stato sottolineato come nella Chiesa cristiana non vi sia monoliticità di posizioni, ebbene, anche la Chiesa cattolica ha avuto l’intuizione di fondo che permette di lavorare con le diverse culture sull’individuazione del valore, del dono reciproco di una coppia che apre una relazione.
Capire ciò che tutto questo significa, anche all’interno della Chiesa, è frutto di una riflessione e di un confronto. Spesso si riduce la posizione della Chiesa e se ne fa una caricatura, d’altra parte c’è una Costituzione, dei valori condivisi con cui ci si confronta. È importante non ridurre il dibattito alla posizione per cui si devono far prevalere i diritti individuali su tutto perché significherebbe porsi nella posizione ideologicamente opposta ma di segno uguale di coloro che negano ogni possibilità di apertura.
La soluzione di questi problemi non può essere che il frutto di un confronto fra le diverse idee. Inoltre, c’è una creatività istituzionale da portare avanti, non è necessario ricondurre ogni caso all’unico modello del matrimonio. La coppia omosessuale ha una sua specificità e non è necessario imitare quella eterosessuale. Certo, perché si arrivi ad una soluzione è necessario del tempo perché occorre individuare le specificità e gli orizzonti di questi tipi di coppie.
Di sicuro la strada non è nel senso dell’affermazione teorica ed astratta di principi ma è quella di cercare di capire insieme qual è il senso profondo che si vuole dare alla propria esistenza e per fare ciò, non è possibile fare a meno di un dibattito sociale e politico che richiede del tempo.
In Italia, il problema è che questo dibattito spesso si blocca, anche per colpa della Chiesa, a causa dell’arroccarsi dei vari soggetti su ferme posizioni ideologiche e viene lasciato così ai Tribunali il compito di decidere su delle questioni che dovrebbero essere affrontate all’interno di un contesto sociale e politico.
Punto fermo, in questo quadro, rimane la Costituzione italiana, che non deve necessariamente appiattirsi su altri modelli. Basti pensare a quelle che sono le posizioni sulla laicità in Europa, completamente diverse, ad esempio, a proposito del simbolo del crocifisso.
È importante credere in un dibattito che non sia solo un gioco di forza ma che rappresenti, come anche Papa Francesco ha affermato, un’esperienza di senso che si vive ed è su questo che bisogna ragionare. Le regole e i diritti sono tutti radicati in visioni anche contrastanti sia all’interno della Chiesa sia della Chiesa verso la società. È ovvio che il confronto deve avvenire ad un livello superiore rispetto a quello dei principi formali.
DEBORA ROSCIANI
Viene quindi invocato un dibattito più strutturato che richiede anche maggior tempo per far fronte a questi cambiamenti così dirompenti nella società civile.
Per altro verso, i cambiamenti che si stanno esaminando hanno tutti come denominatore il forte sub-strato economico, evidentemente, la crisi ha avuto un ruolo rilevante in questo.
LUISELLA FANNI
Se ci sono dei professionisti che conoscono la situazione economica delle famiglie sono proprio gli avvocati. Da tempo, questo tipo di problemi sono all’attenzione della categoria, in quanto la divisione della cellula familiare comporta di per sé stessa un impoverimento immediato: le entrate rimangono uguali mentre i costi raddoppiano, perchè si formano due diversi nuclei familiari : due case, due arredamenti, doppie bollette, doppio condominio e cosi via...)
La famiglia, con il lavoro di entrambi o anche di uno solo, ma a costi familiari unificati, ha consentito sinora un buon tenore di vita e ha permesso ai genitori di garantire ai figli una serie di servizi e benefici ( scuole private,sports, musica, danza, qualche volta equitazione, viaggi vacanze invernali ed estive o di studio, festicciole tra compagni e amici, doni ricevuti e da restituire e cosi via....) possibilità che oggi con la crisi generale stanno diminuendo per tutti ( per molti non sono mai esistite neanche prima) , ma la cui mancanza si soffre maggiormente nelle famiglie divise ed oggi le attenzioni si fissano soprattutto sulla garanzia di avere un luogo dove vivere. Una delle prime decisioni che una coppia prende per il suo futuro è quella di farsi una casa che rappresenta il luogo dove è possibile realizzare una vita insieme.
È vero che ci sono delle relazioni familiari a distanza; questa è una esperienza anche del passato ed ha riguardato regioni interessate da forte emigrazione - come la Sardegna ; ma quei nuclei familiari si sono conservati proprio sulla base del progetto di vita sottostante che, almeno negli intenti, è per sempre, sia nel caso di convivenze che di matrimonio. Quando quel progetto finisce entrano in gioco dolori e sofferenze per tutti i soggetti coinvolti nella crisi familiare, sia per gli aspetti relazionali che economico-patrimoniali. Sono gli avvocati i professionisti che devono gestire e gestiscono la crisi familiare, restando lucidi di fronte alla sofferenza della coppia e cercando di sostituirsi ad essa per quanto riguarda le previsioni per il futuro, mai nelle decisioni che spettano solo a loro. Con particolare attenzione a come la crisi familiare può incidere sui figli, sia che si tratti di coppia di fatto che di coppia coniugata. Per farlo gli avvocati devono dotarsi di una particolare capacità e competenza all’ascolto e all’individuazione di quegli altri professionisti, nel settore pubblico o privato, in grado di dare sostegno ai componenti della famiglia.
Durante la crisi del modernismo, nei primi decenni del secolo scorso, la Chiesa ebbe un comportamento persecutorio con gli appartenenti a quel movimento religioso e culturale, sino a ottenere con il concordato che lo stato italiano fosse il braccio secolare per applicare le sue sanzioni ai modernisti; il percorso fino al Concilio vaticano II e soprattutto l’azione di Giovanni XXIII - a cui questo Papa sembra richiamarsi - si orientano invece nel senso che la sanzione per chi non condivide i suoi insegnamenti non è la strada giusta da percorrere ma bisogna saper ascoltare e non escludere. Si pensi al diverso atteggiamento verso i divorziati.
L’ascolto è uno strumento fondamentale nella gestione delle crisi familiari. Se ci fosse maggiore disponibilità di consultori e maggiore possibilità di accedere a momenti e luoghi d’ascolto forse si riuscirebbe ad intervenire meglio nelle crisi e non necessariamente per recuperare il rapporto; fermo restando che la funzione dell’avvocato è quella di difendere aiutando le persone a trovare una soluzione che li aiuti a vivere meglio e mai quella di giudicare.
In materia di patti di convivenza l’Aiaf già nel 2012 convocava un’assemblea straordinaria sulle convenzioni matrimoniali e pre-matrimoniali rivolte sia alle coppie coniugate che conviventi per prevenire con degli accordi ,quando possibile, le liti e le sofferenze delle persone.
Gli avvocati e i notai svolgono funzioni diverse ma non vuol dire che non possano operare nello stesso ambito. L’importante è che anche per gli avvocati vengano concessi gli stessi strumenti per operare. Attualmente il patto di convivenza con efficacia esecutiva può essere stipulato solo davanti al notaio mentre per l’avvocato c’è spazio solo nel momento del giudizio.
DEBORA ROSCIANI
Questa guida è già superata o c’è la possibilità di introdurre nuovi elementi?
CHIARA SARACENO
Chiaramente, finché la norma non viene modificata, la questione dei figli delle coppie omosessuali non è risolvibile. Invero, non è necessario modificare la disciplina del matrimonio ma basterebbe estendere a questi soggetti la norma sul riconoscimento dei figli naturali di coppie eterosessuali che nascono al di fuori del matrimonio. Oppure, sulla scia di quanto ha deliberato di recente un tribunale romano, consentire l’adozione al genitore non biologico in base al criterio della “continuità affettiva” senza bisogno che il genitore biologico muoia.
Non si vede il motivo per cui questo diritto debba essere negato al genitore che pur non avendo contribuito biologicamente dà il proprio apporto con il proprio desiderio, con l’affetto, il mantenimento e con la genitorialità sociale, così come avviene nelle adozioni.
L’Italia non è certo un Paese che va di fretta in queste materie. Per la legge sul divorzio ci sono voluti 110 anni dalla prima proposta dell’onorevole Morelli avvenuta nella prima seduta del Parlamento Italiano dopo l’Unità d’Italia. Per l’equiparazione dei figli naturali e legittimi sono trascorsi 30 anni dalla Costituzione fino alla riforma del ’75 (che almeno ha eliminato la definizione di figli “illegittimi”, che è stata sicuramente una delle formule più orripilanti) ed altri 40 anni per arrivare ad una equiparazione sostanziale.
Il tempo - verrebbe da dire - è quasi scaduto per l’attuazione ed il riconoscimento dei diritti civili e di libertà insieme a quelli che riguardano il riconoscimento del proprio valore, dei propri sentimenti.
Si è affermato che non occorre il matrimonio per le coppie omosessuali, ma che si dovrebbe fare ricorso ad un altro istituto. L’esperienza dei Dico - da considerare insoddisfacente posto che tanta era la preoccupazione che quella omossessuale non sembrasse una vera coppia che in quella sede si era prevista la possibilità di stipularlo anche via raccomandata! - non ha avuto alcuna fortuna, anzi, ha rappresentato, altresì, una delle cause della caduta del Governo. D’altra parte, da un punto di vista tattico-strategico non si può neppure rifiutare di prendere in considerazione un istituto ad hoc. È stata la via percorsa dalla maggior parte dei paesi che oggi hanno introdotto il matrimonio per le persone dello stesso sesso. Vedremo se l’attuale governo e Parlamento si impegneranno davvero nell’approvazione di un istituto dignitoso.
Occorre trovare una soluzione e subito su queste questioni, perché non si tratta di problemi meramente patrimoniali (che vanno comunque affrontati e gestiti anche per le coppie che si sposano).Sono in gioco i valori, la libertà individuale in relazione ai propri rapporti.
È vero che le persone hanno desideri diversi rispetto ai rapporti di coppia, ma questo non passa dalla distinzione tra eterosessuali ed omosessuali. È importanta valorizzare tutti i rapporti che comportano un impegno pubblico reciproco. È questo che crea il legame sociale e quindi, la solidarietà sociale.
Tutto ciò dovrebbe essere facilitato e non essere sottoposto a vincoli. Bisognerebbe aiutare, non scoraggiare, le persone che non desiderano mantenere esclusivamente nel privato le proprie relazioni, ma che intendono assumersi una responsabilità “pubblica” e quindi anche dei doveri oltre che dei diritti.
Nel caso della guida di cui oggi si tratta, chiaramente non si può andare oltre i rapporti patrimoniali. Per i figli di coppie eterosessuali sono state trovate delle soluzioni, tra cui quella più efficace resta il riconoscimento anticipato. Restano problemi aperti soprattutto per le coppie dello stesso sesso. Queste al momento non hanno scelta. Non per diritto divino ma perché per una scelta politica e culturale non viene loro concessa.
La Chiesa cattolica promuove ciò che ritiene giusto, ma lo Stato e la sua laicità sono tutt’altra cosa.
DEBORA ROSCIANI
Il dibattito è stato effervescente e sono state messe sul tavolo diverse sollecitazioni.
La guida soddisfa le esigenze per le quali è stata predisposta ma questo non vuol dire che non possano intervenire ulteriori integrazioni da parte del mondo del Notariato come in un percorso di evoluzione naturale.
DOMENICO CAMBARERI
Sicuramente siamo in una stagione di profondi cambiamenti e tanti altri avverranno rapidamente nel prossimo futuro. Se questi cambiamenti avverranno, come auspicato dalla stessa Chiesa cattolica, all’insegna del dialogo e del confronto probabilmente si otterranno dei risultati importanti.
Basti pensare che, già oggi, è possibile per una coppia omosessuale recarsi dal notaio e stipulare un accordo di convivenza. È vero che l’accordo resta nell’ambito patrimoniale senza intervenire in altri campi ma dal punto di vista simbolico si ritiene che questo sia un passaggio importantissimo.
È questo sicuramente il segno della disponibilità del Notariato ad affrontare le esigenze effettive della società.
|
|
|