Fondo patrimoniale e crisi coniugale
Fondo patrimoniale e crisi coniugale
di Maria Luisa Cenni
Notaio in Ozzano dell’Emilia, Consigliere nazionale del Notariato
Introduzione
La collocazione teorica e l’applicazione pratica dell’istituto del fondo patrimoniale all’interno della crisi coniugale può apparire, a prima vista, di scarso rilievo se ci si pone nell’ottica della fisiologica cessazione del fondo patrimoniale a seguito dello scioglimento del rapporto coniugale.
In realtà il fondo patrimoniale come convenzione tipica con la quale, ciascuno o ambedue i coniugi o un terzo destinano determinati beni immobili, mobili registrati, titoli di credito a far fronte ai bisogni della famiglia, per le sue caratteristiche strutturali può risultare un utile strumento anche nella fase di crisi coniugale per assicurare alla famiglia, ed in particolare ai figli:
- il tenore di vita goduto;
- per adempiere agli obblighi di mantenimento;
- per garantire le esigenze abitative familiari;
- per assicurare una cogestione da parte dei coniugi dei beni destinati ai bisogni della famiglia, specialmente quando tali beni siano di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi;
- per attuare trasferimenti fra i coniugi e a favore dei figli e anche trasferimenti provenienti da terzi, mediante la struttura della costituzione del fondo patrimoniale da parte di “un terzo”.
Il tutto con le garanzie del vincolo di destinazione tipico derivante dal fondo patrimoniale ed i conseguenti vantaggi sulla responsabilità patrimoniale discendenti dalla separazione patrimoniale (art. 170 c.c.).
Per comprendere le potenziali applicazioni del fondo patrimoniale nella crisi coniugale occorre fare un’analisi “dinamica” dell’istituto, cioè analizzare la sua disciplina complessivamente, tenendo conto:
- da un lato dei suoi limiti strutturali legali, che rappresentano altrettanti limiti nel suo utilizzo;
- dall’altro lato dei possibili meccanismi in fase costitutiva, distinguendo il possibile “effetto traslativo” dal necessario “effetto destinatorio”, per ipotizzare, appunto, i possibili utilizzi, nell’interesse della famiglia nel suo complesso, dei coniugi e dei figli.
Così come in costanza di comunione di vita fra i coniugi il Fondo patrimoniale può essere strumento (seppure non doveroso ed ausiliario(1)) di assolvimento del dovere di contribuzione(2), nella crisi coniugale può essere strumento di assolvimento del dovere di mantenimento che, come rileva la dottrina(3), sorge a seguito della separazione personale dalle “ceneri” del dovere di contribuzione.
Pertanto il fondo patrimoniale nell’ambito della crisi coniugale e quale strumento tipico per il “soddisfacimento dei bisogni della famiglia”, potrà risultare utile:
- per garantire ai membri della famiglia un certo tenore di vita(4), ed in particolare per garantire il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, come previsto anche dall’art. 337-ter novellato (fruizione dei frutti civili di immobili già a reddito);
- per agevolare la possibilità di accedere al credito per il soddisfacimento di esigenze familiari(5);
- per garantire un coniuge nei confronti dell’altro che compia, o si teme che possa compiere, un utilizzo personale dei beni destinati ai bisogni della famiglia;
- per tutelare, sotto il profilo della destinazione, amministrazione e disposizione, i familiari a favore dei quali le utilità del fondo sono destinate, ed in particolare i figli minori(6);
- per adempiere agli obblighi di mantenimento dei figli fissati dal giudice in sede di separazione personale e di divorzio ai sensi dell’art. 337-ter c.c. e 6 della L. 1 dicembre 1970, n. 898 entrambi come modificati dal D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, entrato in vigore l’8 febbraio 2014;
- per soddisfare le esigenze di godimento della casa familiare, e di fruizione di altri immobili familiari, da parte di un coniuge e dei figli con uno strumento che, per certi versi, offre maggiori possibilità e maggiori tutele rispetto all’assegnazione della casa familiare prevista dall’art. 337-sexies novellato;
- per adempiere agli obblighi di mantenimento del coniuge di cui all’art. 156 c.c., anche mediante una fattispecie costitutiva del fondo che preveda un meccanismo traslativo a favore del coniuge qualificabile come adempimento in unica soluzione degli obblighi di mantenimento (adempimento mediante corresponsione una tantum come previsto dall’art. 5, comma 8 L. 898/1970, con i limiti tuttavia riconosciuti dalla dottrina nell’ambito della separazione).
Elementi strutturali del fondo patrimoniale e fattispecie costitutive - La flessibilità del fondo patrimoniale
Per comprendere la possibilità di utilizzo pratico del fondo patrimoniale nella crisi coniugale occorre porre in evidenza, da un lato, quelli che chiameremo gli “elementi strutturali” del fondo e, dall’altro lato, le fattispecie costitutive ipotizzabili.
In tal modo avremo individuato:
a) i limiti che condizionano l’utilizzo di tale istituto fra i quali, come vedremo, particolare rilievo rivestono le norme contenute nell’art. 171 c.c. che disciplina la cessazione del fondo;
b) le possibilità offerte in sede costitutiva, ciascuna delle quali potrà astrattamente soddisfare uno specifico interesse della famiglia. Sotto questo aspetto un particolare rilievo, dal punto di vista della flessibilità dell’istituto, assume la norma dell’art. 168 comma 1 c.c. il quale dispone che la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi «salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione», norma alla quale si riconduce la possibilità di costituzione del fondo patrimoniale con riserva della proprietà.
Sotto il primo aspetto possiamo dire che dal complesso di norme che lo regolano possono ricavarsi i seguenti “elementi strutturali”del fondo patrimoniale:
1) il fondo patrimoniale è caratterizzato dal vincolo di destinazione, che costituisce la sua stessa funzione e la sua connotazione causale(7). Al vincolo di destinazione consegue la separazione patrimoniale(8)e la particolare disciplina vincolistica relativa all’amministrazione e disposizione dei beni (artt. 168, comma ultimo e 169 c.c.) che ne sono oggetto nonché le particolari regole per l’esecuzione sui beni e sui frutti (art. 170 c.c.) che garantiscono il soddisfacimento delle obbligazioni che trovano la loro causa nella destinazione, con conseguente rafforzamento della garanzia di certi creditori.
Il vincolo di destinazione è il vero elemento caratterizzante ed indefettibile nel fondo patrimoniale; infatti l’atto costitutivo del fondo può mancare di qualsiasi effetto traslativo (come nel caso in cui i beni conferiti in fondo già appartengano ai coniugi in comunione legale o in comunione ordinaria per quote uguali), ma in esso non può mai mancare l’imposizione, sui beni costituiti in fondo, del vincolo di destinazione a far fronte ai bisogni della famiglia costituendo, tale vincolo di destinazione, la stessa giustificazione causale dell’istituto. È proprio l’esigenza di garantire attuazione a questo vincolo che giustifica il particolare regime giuridico del fondo patrimoniale che, in ossequio ai caratteri propri dei patrimoni di destinazione, si concretizza in una duplice limitazione che investe, con efficacia assoluta(9), i beni che ne formano oggetto ossia: a) le regole ed i vincoli imposti nell’amministrazione e nell’alienazione dei beni del fondo dagli artt. 168, ultimo comma e 169 c.c., che costituisce, quest’ultimo, una deroga all’art. 1379 c.c.; b) il vincolo di inespropriabilità da parte di certi creditori previsto dall’art. 170 c.c., che costituisce una deroga al principio generale contenuto nell’art. 2740 c.c. e la correlativa preferenza accordata ad altri creditori
Nel fondo patrimoniale la destinazione tutelata è prevista dal legislatore ed è: «far fronte ai bisogni della famiglia».
L’analisi di tale concetto presuppone la delimitazione dei due elementi che lo compongono:
- quello soggettivo, cioè la nozione di famiglia, e
- quello oggettivo, cioè la nozione di bisogni familiari.
Iniziando dall’ambito soggettivo, come diremo, presupposto per la costituzione del fondo patrimoniale è l’esistenza di una famiglia legittima(10). Il legislatore impiega il termine famiglia in diverse accezioni, che variano dalla famiglia nucleare alla famiglia parentale, intesa quest’ultima in senso più o meno ampio. La dottrina(11)è portata ad interpretare il termine famiglia in funzione del dovere di contribuzione, e quindi a riferirlo alla famiglia nucleare con gli opportuni allargamenti. Per famiglia, nell’ambito del fondo patrimoniale, si deve quindi intendere la famiglia formata dai coniugi e dai soggetti al cui mantenimento essi sono obbligati, con riferimento, innanzitutto, ai figli minori a carico, dovendosi comprendere nella categoria dei familiari a vantaggio dei quali è destinato il fondo patrimoniale anche i figli unilaterali purché conviventi, e quindi inseriti nella famiglia legittima del genitore(12).
Con riferimento all’elemento c.d. “oggettivo”, cioè il concetto di “bisogni familiari” la Suprema Corte(13)ne ha fornito una definizione ampia ritenendo che rientrino fra i bisogni familiari «anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria caratterizzate da intenti meramente speculativi»;
2) presupposto o condizione di efficacia del fondo patrimoniale è l’esistenza di una famiglia legittima;
elemento strutturale, questo, che sul piano funzionale va collegato al seguente, e cioè
3) il fondo patrimoniale può essere costituito sia prima che durante il matrimonio, ma non dopo lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
L’efficacia del fondo patrimoniale costituito prima del matrimonio è subordinata alla celebrazione del matrimonio stesso ed il venir meno del legame coniugale, a seguito dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, lo fa cessare, salva l’eccezione posta dall’art. 171, comma 2, c.c. in presenza di figli minori.
Tali caratteristiche inderogabili assumono particolare rilievo nell’ambito in esame in quanto da esse, discende che:
- non potrà costituire un fondo patrimoniale una persona divorziata o una persona in stato vedovile, anche se abbia figli minori; infatti l’ultrattività prevista dall’art. 171, comma 2, c.c., non può essere invocata per ritenere ammissibile una costituzione del fondo che prescinda dalla sussistenza del matrimonio. Al contrario il citato art. 171 c.c. presuppone che la costituzione del fondo sia avvenuta in costanza di matrimonio;
- con la pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio anche il fondo patrimoniale cessa ai sensi dell’art. 171 comma 1 c.c.;
- se vi sono, però, figli minori il fondo, ai sensi dell’art. 171 comma 2 c.c., dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio; elemento questo che rende di interesse pratico la costituzione del fondo patrimoniale ad esempio nel caso di crisi coniugale in presenza di figli molto piccoli o, addirittura, nascituri;
4) con il fondo patrimoniale, come dice l’art. 167, comma 1 c.c., vengono destinati “determinati” beni alla finalità normativamente prevista.
Da ciò:
- emerge la peculiarità del fondo patrimoniale che consiste nell’essere, strutturalmente, un regime particolare sotto il profilo oggettivo, in quanto si riferisce a beni specifici e determinati. Giova precisare che possono formare oggetto di fondo patrimoniale solo determinate categorie oggettive e cioè: i beni immobili, mobili registrati e i titoli di credito vincolati rendendoli nominativi (art. 167, comma 1, c.c.);
- discende un’altra caratteristica del fondo patrimoniale: quella di dover necessariamente coesistere con un regime patrimoniale generale, e di poter coesistere con qualsiasi altro regime generale scelto dai coniugi (comunione legale o convenzionale o separazione dei beni)(14)o che si sia instaurato a seguito della separazione personale fra i coniugi stessi.
Al riguardo giova ricordare fin d’ora che, ai sensi dell’art. 191 c.c., la comunione legale si scioglie per la “separazione personale” ed a seguito del suo scioglimento si instaura fra i coniugi il regime di separazione dei beni. Costituire un fondo patrimoniale avente ad oggetto taluni beni significa mantenere su tali specifici beni le regole di amministrazione della comunione legale non più esistente, rafforzate dalle tutele del vincolo di destinazione(15).
5) da un punto di vista soggettivo il fondo patrimoniale si presenta come uno strumento estremamente flessibile e che, conseguentemente, si presta a soddisfare una pluralità di interessi.
Infatti il fondo patrimoniale può essere costituito:
- da ciascuno o da entrambi i coniugi o anche da un terzo (art. 167, comma 1, c.c.);
- con riserva della proprietà, utilizzando la deroga consentita dall’art. 168, comma 1 c.c. e quindi con o senza “effetti traslativi”, come meglio si dirà in seguito;
6) quanto alla forma, il fondo patrimoniale deve essere costituito dai coniugi necessariamente per atto pubblico, mentre quando il costituente è un terzo può essere costituito, oltre che per atto pubblico, anche per testamento. Quando la costituzione avviene per atto tra vivi il relativo negozio deve rivestire, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico ricevuto alla necessaria presenza di due testimoni, ai sensi del combinato disposto dell’art. 167, comma 1, c.c. e dell’art. 48 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (legge notarile) come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera c) della legge 28 novembre 2005, n. 246 (legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), rientrando l’atto costitutivo di fondo patrimoniale nella categoria delle convenzioni matrimoniali.
Tale forma richiesta dalla legge per la validità delle convenzioni non consente, ovviamente, di ipotizzare la costituzione del fondo patrimoniale contenuta, ad esempio, nel verbale di separazione personale consensuale, come è stato invece ammesso per la costituzione del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c.(16);
7) il dovere di destinare i frutti e, più in generale, le utilità tratte dai beni oggetto del fondo alle necessità della famiglia (art. 167, comma 2, c.c.);
8) nell’assetto proposto dal legislatore: a) il fondo patrimoniale comporta la contitolarità da parte dei coniugi dei diritti che ne sono oggetto (art. 168, comma 1, c.c.); b) ad esso si applicano le norme relative all’amministrazione della comunione legale, ovvero la regola dell’amministrazione disgiunta per gli atti di ordinaria amministrazione e dell’amministrazione congiunta, dei coniugi, per gli atti di straordinaria amministrazione e per i contratti con i quali si acquistano o si concedono diritti personali di godimento (art. 168, comma 3, c.c.); c) per gli atti previsti nell’art. 169 c.c., inquadrabili nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione, se vi sono figli minori, oltre all’agire congiunto, occorre l’autorizzazione giudiziale;
9) il limite posto dall’art. 170 c.c. all’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo. Infatti tale norma prevede che l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non possa aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia;
10) infine, la fisiologica temporaneità del fondo patrimoniale, già evidenziata, che cessa con il cessare del matrimonio, salva l’eccezionale ultrattività prevista dall’art. 171, comma 2, c.c. se vi sono figli minori.
Riassumendo, alla luce degli evidenziati limiti strutturali pertanto, nell’utilizzo del fondo patrimoniale all’interno della crisi coniugale occorrerà tener presente che condizione di efficacia del fondo patrimoniale è l’esistenza del vincolo coniugale, e pertanto:
- anticipando una conclusione alla quale si giungerà, possiamo dire che può essere costituito un fondo patrimoniale da persone legalmente separate;
- che il fondo patrimoniale già costituito non cessa con la separazione personale dei coniugi;
- non potranno costituire un fondo patrimoniale persone divorziate anche se abbiano figli minori;
- la pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio produce la cessazione del fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 171 comma 1 c.c.;
- se vi sono figli minori tuttavia il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio;
- il fondo patrimoniale sarà pertanto utile strumento di fruizione dei beni e dei loro frutti per tutto il periodo della separazione personale e anche dopo il divorzio se vi sono figli minori, fino alla loro maggiore età.
Passando alle fattispecie costitutive occorrerà tenere conto di due norme:
a) l’art. 167, comma 1, c.c. che prevede la possibilità che il fondo patrimoniale venga costituito da ciascuno o da entrambi i coniugi, per atto pubblico, o da un terzo, sia per atto pubblico che per testamento. Sulla base di questa norma si possono pertanto delineare le seguenti ipotesi:
- costituzione da parte di un terzo per testamento;
- costituzione da parte di un terzo per atto tra vivi, per il cui perfezionamento l’art. 167, comma 2 c.c., richiede l’accettazione dei coniugi che può essere fatta anche con atto pubblico posteriore;
- costituzione da parte di uno dei coniugi per atto tra vivi;
- costituzione da parte di entrambi i coniugi per atto tra vivi;
b) l’art. 168, comma 1, c.c. secondo cui: «la proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione».
Sulla base della possibilità di deroga contenuta in tale norma la prevalente dottrina ha sostenuto la possibilità per il costituente, o i costituenti, di riservarsi la proprietà dei beni conferiti, o di attribuirla ad uno solo dei coniugi o anche ad un terzo(17).
Si attua in tal modo una dissociazione fra la proprietà dei beni ed il diritto, caratterizzato dallo speciale vincolo di destinazione, conferito in fondo patrimoniale(18).
La funzione del fondo patrimoniale, pertanto, può attuarsi in due forme di diversa intensità:
- in modo più pieno quando i coniugi siano proprietari dei beni che lo compongono in quanto, in tal caso, l’impiego per il soddisfacimento dei bisogni familiari non incontra limiti;
- in forma più ridotta quando occorra rispettare la nuda proprietà di un altro soggetto, destinata a riespandersi con il verificarsi di una causa di cessazione del fondo patrimoniale.
Molto brevemente, non potendosene trattare diffusamente in questa sede, riguardo alla natura giuridica e alle caratteristiche del diritto oggetto di fondo patrimoniale quando il costituente si sia riservato la proprietà, può dirsi:
a) quanto alla sua natura che si parla:
- secondo una opinione, di posizione giuridica assimilabile all’usufrutto ordinario(19);
- secondo altra opinione, di posizione assimilabile all’usufrutto legale in quanto “usufrutto di scopo”(20), dando particolare rilievo al vincolo di destinazione;
- secondo altra opinione ancora, di diritto reale sui generis(21), rilevando come in esso siano presenti caratteristiche di entrambi, ponendo in rilievo la particolarità del diritto stesso.
Su questa linea di pensiero si colloca la Giurisprudenza(22)la quale ritiene che alla riserva di proprietà apposta in un atto costitutivo di fondo patrimoniale vada conferita una connotazione positiva, tesa comunque ad attribuire un diritto reale di godimento ai coniugi sul bene conferito, e qualifica detto diritto come inespropriabile ed inalienabile ed assimilabile «pur se non nominato, ad un diritto d’uso o di abitazione o, al più, ad un usufrutto peculiarmente conformato in vista della sua vocazione a soddisfare i bisogni della famiglia beneficiata».
b) quanto alle sue caratteristiche:
- che ha l’effetto di stabilire limiti ed obblighi nella destinazione delle utilità che si possono trarre dai beni su cui è stato imposto il vincolo;
- che ha l’effetto di costituire in capo ai coniugi una necessaria ed inderogabile contitolarità di godimento, alla quale si applicano le regole della comunione legale. La Giurisprudenza evidenzia come «anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge o il terzo costituente riservato la proprietà dei beni, il conferimento nel fondo comporta l’assoggettamento degli stessi ad un vincolo di destinazione, con la costituzione di un diritto di godimento attributivo delle facoltà e dei doveri previsti dagli artt. 167 - 171 c.c.»(23);
- che ha, come contenuto, l’attribuzione ai coniugi del diritto di conseguire il possesso dei beni (se non si trovano già nel loro possesso congiunto) e di godere dei beni stessi traendone tutte le utilità nel rispetto della destinazione impressa dal vincolo.
Da quanto detto, emerge che:
1) se l’atto costitutivo del fondo patrimoniale non dispone diversamente, in virtù dell’art. 168, comma 1, c.c., al momento della costituzione la proprietà dei beni passa in capo ad entrambi i coniugi (sempre che gli stessi non ne siano già comproprietari in comunione legale od ordinaria per quote uguali). La disposizione di legge si ritiene che operi anche nel silenzio dell’atto costitutivo: infatti se esso non contiene espressa riserva della proprietà in capo al costituente o trasferimento in capo ad altri in deroga alla regola fissata dall’art. 168, comma 1 c.c., opererà la detta norma e la proprietà si trasferirà in capo ad entrambi i coniugi(24);
2) qualora non costituisca oggetto del fondo patrimoniale il diritto di proprietà, o un altro diritto reale tipico conferibile, ma l’atto costitutivo contenga la sola imposizione del vincolo di destinazione su beni la cui proprietà è riservata in capo al costituente (o ai costituenti) o trasferita in deroga alla regola di cui all’art. 168, comma 1, c.c. sorgerà in capo ai coniugi un diritto reale di godimento sui generis assimilabile al diritto di usufrutto ma inalienabile ed inespropriabile.
Sotto il profilo delle fattispecie costitutive sono allora configurabili le seguenti ipotesi:
1) ove il costituente sia un terzo, è ipotizzabile che:
- attribuisca la proprietà ad uno solo dei coniugi (è l’ipotesi dei coniugi che hanno fissato la residenza coniugale in un immobile, ad esempio di un genitore, e che abbiano interesse, nei loro accordi di separazione, a trasferire la proprietà ad uno dei coniugi, con le garanzie però assicurate dal fondo patrimoniale di cogestione);
- attribuisca la proprietà ad entrambi i coniugi;
- il terzo costituente si riservi la proprietà;
- la proprietà venga trasferita ad altro soggetto (ad esempio il nonno che trasferisce la proprietà al nipote gravata dal vincolo a favore della famiglia coniugale dei suoi genitori);
2) ove il costituente, già pieno proprietario del bene, sia uno solo dei coniugi, è ipotizzabile che:
- riservi a se stesso la proprietà;
- trasferisca l’intera proprietà all’altro coniuge;
- conferisca la proprietà nel fondo con attribuzione della stessa in capo ad entrambi i coniugi;
- la proprietà venga trasferita ad altro soggetto (ad esempio ai figli);
3) ove costituenti siano entrambi i coniugi, già comproprietari in comunione legale od ordinaria, è ipotizzabile che:
- sia attribuita la proprietà ad uno solo dei coniugi (se ciò è consentito dal regime patrimoniale generale adottato dai coniugi);
- la proprietà venga trasferita ad un terzo;
- i coniugi vogliano riservare in capo ad entrambi la proprietà del bene.
Da quanto esposto emerge la notevole flessibilità del fondo patrimoniale e la sua idoneità a soddisfare una molteplicità di esigenze anche nel momento della crisi coniugale.
Elementi strutturali del fondo patrimoniale. I limiti inderogabili
Nell’analisi di un utilizzo pratico in sede di separazione e divorzio pare opportuno soffermarsi su alcuni degli evidenziati elementi strutturali da considerarsi inderogabili, e che costituiscono pertanto un limite alla autonomia nella costituzione del fondo patrimoniale.
Si devono considerare inderogabili:
- le regole di amministrazione modellate su quelle della comunione legale con conseguente nullità di eventuali clausole derogatorie(25), salva la possibilità prevista dall’art. 169 c.c.;
- la disciplina della responsabilità del fondo in quanto posta nell’interesse di terzi. Sarebbero quindi viziate da nullità clausole dell’atto costitutivo che tendessero a delimitare i bisogni che il fondo è destinato a soddisfare, con la conseguenza di escludere dal soddisfacimento sui beni del fondo creditori «per bisogni della famiglia», i cui crediti siano però sorti per motivi diversi da quelli convenzionalmente pattuiti, ovvero clausole che ampliassero o restringessero l’ambito della famiglia destinataria delle utilità;
- le regole che disciplinano la cessazione del fondo patrimoniale. Al riguardo sono sorti dubbi circa la validità di clausole volte ad incidere sulle cause di estinzione del fondo patrimoniale, introducendone delle nuove, magari previste dall’art. 191 c.c., ma non dall’art. 171 c.c., o escludendone di quelle previste dalla legge. Fortemente dubbia, sotto questo aspetto, è anche l’apponibilità all’atto costitutivo di fondo patrimoniale di termini finali o condizioni risolutive(26).
È stata invece sostenuta la possibilità che l’atto costitutivo di fondo patrimoniale contenga termini iniziali o condizioni sospensive(27)come, ad esempio, il verificarsi di una certa situazione economica dei coniugi che giustifichi l’aumentata necessità di sostegno patrimoniale alla famiglia, quale la perdita del lavoro o la nascita di figli o anche il sopravvenire di una crisi coniugale.
Quindi, per quanto in questa sede più interessa, sarebbero da considerare illegittime:
- clausole che determinino convenzionalmente i crediti “per motivi familiari” che possono trovare soddisfacimento sui beni e sui frutti del fondo, escludendo dal soddisfacimento sui beni del fondo creditori anch’essi qualificabili “della famiglia” o viceversa includendo creditori “estranei” che potrebbero convenzionalmente soddisfarsi sui beni del fondo;
- clausole che ampliano o restringono l’ambito della famiglia “nucleare” destinataria delle utilità;
- clausole, o condizioni risolutive, che prevedano la cessazione del fondo per cause non previste dall’art. 171 c.c., anche se magari previste dall’art. 191 c.c;
- termini finali di cessazione del fondo;
- condizioni risolutive per la cessazione del fondo, magari ancorate al raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli.
Proprio su questo aspetto delle cause di cessazione del fondo patrimoniale pare opportuno soffermarsi, per la specifica importanza che rivestono nell’ambito qui analizzato.
In particolare due elementi occorre prendere in considerazione:
a) in primo luogo chiarire se la separazione personale dei coniugi costituisca causa di cessazione del fondo patrimoniale. Su questo punto incide l’opinione circa la tassatività delle cause (non volontarie) di cessazione del fondo patrimoniale contenute nell’art. 171, comma 1 c.c. Occorre subito premettere che è questione diversa dall’ammissibilità dello scioglimento convenzionale del fondo, della quale ci occuperemo brevemente in seguito.
L’art. 171, comma 1, c.c. stabilisce che «La destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio».
Le divergenze sull’interpretazione di questa norma riguardano l’estensibilità al fondo patrimoniale delle cause di scioglimento della comunione legale, previste dall’art. 191 c.c., e nascono dalla diversa interpretazione data al rinvio operato dall’art. 171, ult. comma, c.c., secondo cui se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale.
La dottrina prevalente ne sostiene la tassatività(28)rilevando che la ratio dell’art. 171 c.c., che fa coincidere le cause di cessazione del fondo con quelle di estinzione del vincolo matrimoniale, è in linea con le finalità che l’istituto intende tutelare, aggiungendo tuttavia alle cause di cessazione espressamente previste dall’art. 171, comma 1, c.c. la dichiarazione di morte presunta di uno dei coniugi(29).
Sul punto, poi, sono intervenute alcune decisioni giurisprudenziali(30)che, occupandosi dello specifico problema dell’alienazione di beni costituiti in fondo e del suo scioglimento convenzionale, hanno affrontato, incidentalmente, anche l’aspetto della tassatività delle cause di cessazione del fondo patrimoniale.
Tali decisioni, pur giungendo a conclusioni opposte circa l’ammissibilità di uno scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale, non paiono aprire la strada ad una interpretazione estensiva dell’art. 171 c.c., che renda applicabili al fondo le cause non volontarie di scioglimento previste in materia di comunione legale.
Secondo questa interpretazione, che si ritiene condivisibile, sarebbero pertanto tassative le cause di cessazione non volontarie del fondo patrimoniale, e quindi non sarebbero ad esso estensibili le cause di cessazione (non volontarie) previste per la comunione legale dall’art. 191 c.c.(31)
In particolare quindi, per ciò che in questa sede interessa, il fondo patrimoniale non cesserebbe a seguito della separazione personale dei coniugi(32).
Seguendo questa interpretazione si può affermare:
- che il fondo patrimoniale non cessa con la separazione personale;
- che il fondo patrimoniale può essere costituito dopo che sia stata omologata la separazione consensuale o che sia stata pronunciata la separazione giudiziale e potrà essere un valido strumento convenzionale per regolare alcuni aspetti economici legati a tali fasi del rapporto coniugale, con la precisazione tuttavia, come già sopra accennato, che il fondo patrimoniale, diversamente dal vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., non potrà trovare il suo momento genetico nel verbale d’udienza presidenziale, certamente atto pubblico come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, ma che non riveste la forma richiesta dalla legge per le convenzioni matrimoniali;
b) come secondo elemento occorre tener presente, nel ricorrere al fondo patrimoniale nella crisi coniugale, che con lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio cessa anche il vincolo di destinazione del fondo.
Sotto questo aspetto occorre però aver presente, come già detto, che non sempre il fondo diviene inutile in questa ipotesi in quanto:
- in presenza di figli minori il fondo dura fino al raggiungimento della maggiore età dell’ultimo di essi. Quindi potrà valutarsi utile la costituzione di un fondo patrimoniale in presenza di figli molto piccoli o nascituri, anche se sia prevedibile il venir meno del vincolo coniugale in tempi brevi;
- con il venir meno del vincolo coniugale cessa la “destinazione del fondo” ma non cessano gli eventuali effetti traslativi prodotti dalla singola fattispecie costitutiva adottate fra quelle sopra riportate. Solo per fare un esempio potrà valutarsi utile la costituzione di un fondo patrimoniale nella crisi coniugale per attuare volontà traslative a favore di un coniuge, anche sapendo che il vincolo inizialmente imposto in un tempo più o meno lungo potrà cessare a seguito del venir meno del vincolo coniugale o del raggiungimento della maggiore età da parte dell’ultimo figlio.
Pare opportuno accennare infine alla problematica, sempre attuale, dell’ammissibilità dello scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale, in particolare in presenza di figli minori. L’ammissibilità di uno scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale può farsi discendere dall’applicabilità ad esso del principio generale della modificabilità delle convenzioni matrimoniali, espresso nell’art. 163 c.c., resa possibile dall’aver collocato la figura in esame nella categoria delle convenzioni matrimoniali stesse.
Su questo argomento vi è da segnalare un orientamento ondivago della giurisprudenza e diverse posizioni dottrinali.
In particolare si possono sinteticamente enucleare tre orientamenti:
1) uno che esclude in radice lo scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale. L’argomento di maggior peso, evidenziato dalle decisioni giurisprudenziali e dalle ricostruzioni dottrinali che negano l’ammissibilità di uno scioglimento consensuale del fondo patrimoniale, consiste nella necessità di tutelare gli interessi della famiglia evitando che i coniugi possano far cessare ad libitum il vincolo, e disporre dei beni anche per fini diversi da quelli della famiglia(33);
2) uno che ammette lo scioglimento volontario in presenza di figli minori solo previa autorizzazione del giudice(34);
3) ed un orientamento favorevole allo scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale, senza autorizzazione giudiziale il quale, nelle sue varie sfumature confonde tuttavia la cessazione del fondo con la portata della deroga consentita dall’art. 169 c.c.(35)
Sul punto, nel corso dell’elaborazione di questo breve lavoro, è intervenuta, per la prima volta, la Suprema Corte con una Sentenza(36), la quale ha chiarito alcuni aspetti dibattuti ed ha anche aperto nuovi spazi di riflessione.
In particolare la Suprema Corte nella già citata Sentenza n. 17811 dell’8 agosto 2014, la quale si occupa dello scioglimento convenzionale di un fondo patrimoniale in presenza di figli minori e di un figlio nascituro, ha argomentato nel modo seguente:
a) partendo dal vincolo di destinazione che caratterizza l’istituto, pone in evidenza come tale vincolo di destinazione sia la «funzione che il fondo è destinato a svolgere, incontestabilmente consistente nella istituzione di un patrimonio a sè (prescindendo in questa sede da ogni considerazione in ordine alla sua qualificazione come autonomo o separato), con vincolo di destinazione dei beni a far fronte ai bisogni della famiglia e ad adempiere alle eventuali obbligazioni sorte per il soddisfacimento della detta esigenza. Più precisamente i vincoli in questione sono individuabili rispettivamente nelle limitazioni nell’amministrazione e nell’alienazione dei beni del fondo indicate dall’art. 169 c.c. (in deroga alla regola generale dettata dall’art. 1379 c.c.), nonché in quella consistente nella previsione di inespropriabilita per alcuni crediti contemplata dall’art. 170 c.c. (in deroga all’art. 2740 c.c.) e costituiscono lo strumento attraverso il quale l’istituto realizza nel concreto la funzione economico - sociale che il legislatore ha inteso attribuirgli»;
b) passando poi ad affrontare l’aspetto delle legittimità o meno della risoluzione convenzionale del fondo patrimoniale la Corte osserva innanzitutto:
- che il profilo problematico sul piano interpretativo deve essere quindi individuato nello stabilire se l’elencazione contenuta nella disposizione di cui all’art. 171 c.c. «abbia o meno carattere tassativo (nel primo caso sarebbe all’evidenza ininfluente l’accordo in tal senso delle parti), quesito al quale la Corte territoriale ha dato soluzione negativa con argomentazione che può essere condivisa»;
- che la conclusione raggiunta appare rafforzata «da altri due rilievi, rispettivamente consistenti: a) nella previsione dell’art. 171 c.c., u.c., che nel caso di mancanza di figli richiama le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale elencate dall’art. 191 c.c., fra le quali è compreso il mutamento convenzionale del regime patrimoniale; b) nella circostanza che è pressoché unanimemente condivisa la necessità di annoverare fra le cause di cessazione del fondo indicate dal citato art. 171 quella relativa alla dichiarazione di morte presunta di un coniuge (causa che risulterebbe pure, peraltro, dallo specifico richiamo operato dal menzionato art. 191), con ciò sostanzialmente venendosi ad indirettamente confermare la natura non tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 171 c.c.»;
c) per poi concludere che: «in mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi»;
d) in presenza di figli minori invece la Suprema corte giunge a conclusioni opposte evidenziando:
- che «depongono in senso contrario sia la ragione ispiratrice dell’istituto, individuabile nell’obiettivo di assicurare un sostegno patrimoniale alla famiglia e di realizzare una situazione di vantaggio per tutti i suoi diversi componenti, sia singole disposizioni dettate segnatamente negli art. 169 e 171 c.c., che risultano fra l’altro del tutto in linea con la ratio della normativa sopra evidenziata. Si intende in particolare fare riferimento: al prescritto limite all’alienazione dei beni del fondo che, se vi sono figli minori, possono essere trasferiti soltanto con l’autorizzazione del giudice nei casi di necessità o utilità evidente (art. 169 c.c.); alla prescrizione della durata del fondo fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio, nel caso in cui vi siano figli minori (art. 171 c.c., comma 2); alla facoltà conferita al giudice di attribuire ai figli in godimento o in proprietà una quota dei beni del fondo, ove le condizioni economiche dei genitori e dei figli, o comunque ogni altra circostanza, lo suggeriscano (art. 171 c.c., comma 3). Se dunque è vero che la costituzione del fondo non determina per ciò solo la perdita della proprietà dei singoli beni da parte dei coniugi che ne sono titolari e che gli stessi possono riservarsi nell’atto di costituzione la facoltà di alienazione dei beni, è pur vero che la detta istituzione (peraltro concretizzata per effetto di una libera scelta dalle parti) determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori)»;
- che non incide «sulla detta conclusione né la natura gratuita del conferimento né la facoltà, espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore, di derogare convenzionalmente alla previsione del divieto di alienazione dei beni del fondo, disposta in via generale (art. 169 c.c., comma 1).
Quanto al primo punto, infatti, la qualificazione rileva esclusivamente con riferimento all’atto costitutivo del fondo ed ai conseguenti effetti derivanti dall’utilizzo patologico del negozio posto in essere, essenzialmente focalizzati da una consolidata giurisprudenza sull’applicabilità della L.fall., art. 64, nel caso di fallimento di uno dei coniugi (C. 13/12029, C. 10/16760, C. 06/2327, C. 05/6267). In ordine al secondo è poi sufficiente rilevare che del tutto diversa è l’ipotesi di alienazione di beni del fondo - che comunque nonostante l’atto dispositivo incidente sulla sua consistenza conserva la sua validità ed efficacia - rispetto a quella di cessazione dello stesso che ne determina l’estinzione, sicché il parallelismo di disciplina non appare comunque correttamente evocabile»;
- che «Alla luce delle esposte considerazioni, dunque, va ravvisata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo»;
- che «la questione che ulteriormente ne discende riguarda l’estensibilità o meno della disciplina ritenuta applicabile in presenza di figli minori al caso di nascituri. A tale interrogativo il Collegio ritiene di dover dare risposta positiva».
La Suprema Corte che, come detto, non era mai intervenuta in materia di cessazione convenzionale del fondo patrimoniale con una Sentenza, era invece intervenuta con tre ordinanze delle quali una di particolare interesse, in questa sede, relativa ad un fondo patrimoniale che avrebbe dovuto cessare per intervenuto divorzio ma ultrattivo per la presenza di figli minori.
Secondo tale ordinanza(37)«La competenza a conoscere della domanda di autorizzazione alla cessazione del fondo patrimoniale costituito in favore di un figlio minore, limitatamente ad alcune unità immobiliari e sull’accordo di entrambi i genitori divorziati, è del tribunale per i minorenni e non di quello ordinario; elemento discriminante è la vigenza o la cessazione del vincolo coniugale al momento della proposizione dell’istanza autorizzatoria, atteso che la sopravvenuta mancanza di coniugio - come nella specie - determina l’esigenza, in caso di permanenza, meramente temporanea, del vincolo di destinazione del fondo fino alla maggiore età del figlio, di prevedere l’intervento del giudice specializzato, al fine di provvedere specificamente alla sua tutela, nell’amministrazione e nella disposizione dei beni, non esistendo più il presupposto della comunione di affetti ed interessi che caratterizza il rapporto matrimoniale quale base giuridico-solidaristica del fondo medesimo, e non costituendo, quindi, la natura parziale del provvedimento un elemento dirimente circa la competenza». Naturalmente il problema strettamente legato al conflitto di competenza fra il Tribunale Ordinario, chiamato a decidere sugli atti di amministrazione di cui all’art. 169 c.c. in presenza di figli minori, ed il Tribunale dei Minorenni, competente nelle diverse ipotesi previste dall’art. 171 c.c., è venuto meno dal 1 gennaio 2013 a seguito dell’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, ma resta il problema sostanziale delle ipotesi in cui è necessaria l’autorizzazione giudiziale a tutela dei figli minori.
Alla luce delle decisioni riportate, in presenza di figli minori, potrebbe ipotizzarsi il seguente quadro:
1) i coniugi possono sciogliere consensualmente il fondo patrimoniale se non vi sono figli minori;
2) se vi sono figli minori, o anche solo concepiti, i coniugi non possono sciogliere il fondo patrimoniale, occorrendo una “valutazione” nell’interesse dei minori;
3) l’ipotesi di cessazione del fondo patrimoniale per scioglimento convenzionale va tenuta distinta dall’ipotesi di alienazione prevista dall’art. 169 c.c., infatti:
- gli atti previsti in detta norma non comportano cessazione del vincolo;
- intervengono quindi in un momento in cui il vincolo esiste e va rispettato, con l’applicazione di tutta la conseguente normativa a tutela della famiglia (in presenza del vincolo gli atti di disposizione possono essere compiuti solo in caso di necessità od utilità evidente; a tutela degli interessi della famiglia il ricavato dall’alienazione dovrà essere impiegato per i bisogni della famiglia o reinvestito per far fronte ai bisogni della famiglia).
Nell’ambito di operatività dell’art. 169 c.c., pertanto, gli interessi della famiglia sono tutelati dalla persistenza del vincolo;
4) quando invece l’atto che si vuole compiere è destinato ad agire sul vincolo, esiste una differenza, sul piano degli interessi da tutelare, a seconda che vi siano o meno figli minori. Questa differenza è posta dal legislatore ed è chiaramente desumibile dall’art. 171 c.c., che prevede il perdurare del fondo, anche dopo il venir meno del vincolo coniugale, in presenza di figli minori, ed attribuisce ampi poteri al giudice.
Da ciò consegue che:
a) il fondo patrimoniale, in quanto convenzione matrimoniale, può essere modificato, e quindi anche sciolto, ai sensi dell’art. 163 c.c.;
b) in presenza di figli minori, e quindi nell’ipotesi in cui il fondo patrimoniale non cesserebbe neppure in presenza di una delle cause espressamente previste dall’art. 171, comma primo c.c., la convenzione risolutiva richiederà una valutazione a tutela degli interessi dei figli. La Suprema Corte nella sopra riportata Sentenza non chiarisce tuttavia a chi spetti tale valutazione e come debba concretamente attuarsi la tutela dei figli minori in sede di scioglimento del fondo (che come dice la Cassazione è atto dispositivo “del fondo” e non atto dispositivo “dei beni del fondo”). Le soluzioni possibili potrebbero teoricamente essere le seguenti:
- ritenere che in presenza di figli minori il fondo non possa essere convenzionalmente sciolto. Tale interpretazione particolarmente rigida non appare coerente né con le finalità dell’istituto (potrebbe rispondere all’interesse della famiglia nel suo complesso, e dei figli minori in particolare, lo scioglimento del fondo in un certe circostanze) né con il disposto normativo dell’art. 171, comma 3 c.c. che comunque consente al giudice di compiere tutte le necessarie valutazioni con ampi poteri;
- ritenere che in presenza di figli minori, anche solo concepiti, per far cessare validamente il fondo patrimoniale occorra il consenso di questi ultimi, espresso da un curatore speciale, debitamente autorizzato(38);
- ritenere che in presenza di figli minori, anche solo concepiti, per far cessare validamente il fondo patrimoniale occorra la previa autorizzazione del Giudice, ai sensi dell’art. 171 c.c., ora del Tribunale Ordinario a seguito della modifica introdotta dal citato art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219. Questa soluzione, peraltro già ampiamente emersa in dottrina ed in giurisprudenza, come sopra detto, appare la più coerente con il sistema;
c) nel caso di ultrattività del fondo per intervenuto divorzio, in presenza di figli minori si applica sempre l’art. 171 c.c. anche per gli atti di disposizione previsti dall’art. 169 c.c., e quindi eventuali clausole di deroga all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria contenute nell’atto costitutivo del fondo perdono rilievo in quanto l’atto di amministrazione va sempre autorizzato, ai sensi dell’art. 171, comma 3 c.c.
Conclusioni
L’analisi svolta ci porta ad evidenziare le criticità e le utilità nell’utilizzo del fondo patrimoniale nella crisi della famiglia ed in particolare:
a) il fondo patrimoniale già costituito non cessa con la separazione personale, e quindi potrà valutarsi l’impiego di tale strumento in previsione della crisi coniugale ed in funzione di “maggiore tutela” per la famiglia anche nel momento della crisi(39);
b) il fondo patrimoniale può essere costituito dopo che sia stata omologata la separazione consensuale o che sia stata pronunciata la separazione giudiziale (per adempiere ad obblighi di mantenimento o soddisfare le esigenze abitative familiari o per le altre finalità evidenziate);
c) il fondo patrimoniale nella crisi coniugale cessa con la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, tuttavia:
- in presenza di figli minori il fondo dura fino al raggiungimento della maggiore età dell’ultimo. Quindi potrà valutarsi utile la costituzione di un fondo patrimoniale in presenza di figli molto piccoli o nascituri, anche se sia prevedibile il venir meno del vincolo coniugale in tempi brevi;
- con il venir meno del vincolo coniugale cessa la “destinazione del fondo” ma non cessano gli eventuali effetti traslativi prodotti dalla singola fattispecie costitutiva adottate fra quelle sopra riportate. Solo per fare un esempio potrà valutarsi utile la costituzione di un fondo patrimoniale nella crisi coniugale per attuare volontà traslative a favore di un coniuge, anche sapendo che il vincolo inizialmente imposto in un tempo più o meno lungo potrà cessare a seguito del venir meno del vincolo coniugale o del raggiungimento della maggiore età da parte dell’ultimo figlio;
d) fra le tipologie genetiche sopra elencate potranno rivelarsi di particolare interesse nella crisi della famiglia, proprio per adempiere ad obblighi di mantenimento e soddisfare esigenze abitative, le seguenti:
- il terzo costituente che attribuisca la proprietà ad uno solo dei coniugi o ad un terzo. Si pensi all’ipotesi non infrequente dei coniugi che hanno fissato la residenza coniugale in un immobile di proprietà, ad esempio, di un genitore, e che abbiano l’interesse (condiviso dal terzo costituente), nei loro accordi di separazione, a trasferire la proprietà ad uno solo dei coniugi o ai loro figli, con le garanzie però assicurate dal fondo patrimoniale di cogestione e di separazione patrimoniale;
- il terzo costituente (ad esempio sempre un genitore) che si riservi la proprietà e destini ai bisogni della famiglia di un figlio, proprio nel momento della crisi e magari in presenza di prole in tenera età, un immobile di sua proprietà;
- il coniuge pieno proprietario del bene che si riservi la proprietà o la trasferisca all’altro coniuge o ai figli, sempre però con le garanzie soprattutto sul piano della gestione e della destinazione offerte dagli art. 168, 169 e 170 c.c., e che costituisca un fondo patrimoniale per permettere alla famiglia la fruizione delle utilità del bene (canoni di locazione o fruizione diretta del bene);
- sarà poi possibile anche una sorta di “autodestinazione pura”, priva di qualsiasi effetto traslativo quando i coniugi già proprietari del bene in comunione legale o, ancor più, in comunione ordinaria e per quote uguali destinino un bene immobile in fondo patrimoniale con tutte le conseguenze sul piano della amministrazione, della disposizione e della destinazione (basti pensare alla differenza di regime giuridico fra la comunione ordinaria, dove il coniuge potrebbe alienare la propria quota e il fondo patrimoniale).
Come è stato posto in evidenza il fondo patrimoniale richiede l’esistenza di un vincolo coniugale ed è previsto dal legislatore per “far fronte ai bisogni della famiglia” coniugale.
Parlando di crisi “della famiglia” però viene naturale fare una riflessione alla luce della recente legge 10 dicembre 2012, n. 219 (entrata in vigore per le norme direttamente modificate il giorno 1 gennaio 2013) e successivo D.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.” (entrato in vigore l’8 febbraio 2014) i quali hanno completato il percorso di sostanziale equiparazione della famiglia fondata sul matrimonio e del nucleo familiare di fatto.
Ciò emerge anche dalla nuova strutturazione del titolo IX del codice civile sulla Responsabilità genitoriale e sui diritti e doveri del figlio, che prima non aveva “capi”, ed ora è diviso in due distinti Capi:
- Il capo I rubricato “Dei diritti e doveri del figli” che prevede un complesso di norme applicabili sia ai figli nati nel matrimonio che ai figli nati fuori del matrimonio nel caso non vi sia “dissoluzione” del nucleo familiare e va dall’art. 315 all’art. 337;
- Il capo II rubricato “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” che raggruppa le nuove norme, applicabili sia ai figli nati nel matrimonio che ai figli nati fuori del matrimonio in caso di dissoluzione del legame matrimoniale o di fatto; norme dall’art. 337-bis all’art. 337-octies, che riprendono in sostanza il contenuto degli articoli da 155 a a 155-sexies del c.c. che vengono abrogati dall’art. 106 del Regolamento, ad eccezione dell’art. 155 che si limita ad un rinvio alle norme suddette.
È indubbio che questa modifica normativa ha unificato lo Statuto dei diritti e dei doveri, e lo stesso concetto di famiglia nucleare, sia in presenza del vincolo coniugale che in mancanza di esso.
Proprio questo mutato contesto normativo evidenzia l’esigenza di poter disporre anche per la famiglia non fondata sul matrimonio di strumenti convenzionali che regolino il relativo regime patrimoniale, con particolare riguardo a strumenti di protezione simili al fondo patrimoniale.
Il nostro ordinamento, per la destinazione di beni a far fronte ai bisogni del nucleo familiare non coniugale, offre lo strumento dei vincoli di destinazione previsti dall’art. 2645-ter c.c., utilizzabili non solo per la c.d. “famiglia di fatto” ma anche per le esigenze legate al nucleo familiare coniugale dopo la sua dissoluzione (cioè dopo il divorzio)(40).
Quello che emerge è comunque una diversità nella struttura dei due istituti utilizzabili, a fronte di situazioni familiari ormai assunte come analoghe dallo stesso legislatore, ed inoltre molti sono i dubbi interpretativi che ancora pone la scarna disciplina prevista dall’art. 2645-ter c.c. (ancor più scarna di quella dettata dal codice civile per il fondo patrimoniale e che tanti dubbi interpretativi presenta ancora oggi a quaranta anni dalla sua entrata in vigore. Al riguardo ha rilevato la Suprema Corte nella più volte citata Sentenza 17811\2014, che la disciplina dettata per il fondo patrimoniale «non risulta esaustiva, avendo il legislatore ad essa dedicato soltanto cinque articoli, all’interno dei quali non sono puntualmente delineate e distinte le diverse fasi della costituzione, della gestione, della modificazione e dell’estinzione del fondo. Non solo ma nella disciplina adottata sono ravvisabili profili di dubbia coerenza …»(41)).
Riguardo ai vincoli di destinazione di cui al citato art. 2645-ter, sui quali non ci si può in questa sede soffermare, occorre tener presente:
a) ll dubbio che si è posto se in presenza dell’istituto tipico del fondo patrimoniale:
- esista fra gli istituti un rapporto di “genere a specie” che impedirebbe la possibilità di utilizzare i vincoli di destinazione negli ambiti nei quali può essere utilizzato il fondo patrimoniale;
- ovvero possa applicarsi un principio di alternatività fra i due istituti. Anche chi ammette l’alternatività fra i due istituti tuttavia afferma che negli ambiti di operatività del fondo non si potrebbero derogare, con l’atto costitutivo del vincolo, gli aspetti cogenti della disciplina del fondo (già sopra evidenziati);
b) le criticità legate alla minor flessibilità soggettiva del vincolo di destinazione nel quale l’asserito principio della “altruità” della destinazione comporterebbe l’impossibilità che vi sia unicità soggettiva fra destinante, beneficiario e gestore (pur potendosi ammettere che disponente e beneficiario siano lo stesso soggetto);
c) la necessità che nel vincolo di destinazione lo scopo sia esplicitato al fine della verifica del giudizio di “meritevolezza” richiesto dalla norma;
d) la necessità che nel vincolo di destinazione siano esplicitati i beneficiari;
e) la carenza di ogni riferimento, nella disciplina di cui all’art. 2645-ter c.c., all’amministrazione del patrimonio.
In un’ottica comparativa dei due istituti vengono posti in evidenza anche quelli che sono considerati “punti di forza” dei vincoli di destinazione rispetto al fondo patrimoniale, ed in particolare si rileva che:
- manca nella disciplina del fondo patrimoniale una previsione analoga a quella prevista dall’art. 2645- ter c.c. secondo cui «I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione», con la conseguenza che ogni diversa finalità renderebbe l’atto inefficace(42).
- il vincolo di impignorabilità è più forte negli atti di destinazione; dalla loro trascrizione discende, infatti, un vincolo assoluto di impignorabilità dei beni e dei frutti conferiti nel patrimonio destinato per tutti i debiti contratti per scopi estranei o diversi rispetto a quelli individuati nell’atto di destinazione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, primo comma, c.c.
Diversamente accade in tema di fondo patrimoniale, ai sensi dell’art. 170 c.c., secondo il quale i beni del fondo sono passibili di esecuzione anche per debiti contratti per uno scopo estraneo al vincolo di destinazione loro impresso, qualora il creditore non fosse a conoscenza di tale circostanza.
- mentre nei vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. l’aspetto soggettivo non assume nessun rilievo, per quanto concerne il fondo patrimoniale il creditore ”in buona fede” è certamente maggiormente tutelato.
- la distribuzione dell’onere della prova è diversamente disciplinata: nel fondo patrimoniale è il debitore che deve fornire la dimostrazione del doppio requisito della estraneità del debito ai bisogni della famiglia e della consapevolezza di tale circostanza in capo al creditore; nel patrimonio di destinazione l’onere di provare la connessione tra debito e finalità destinatoria grava, invece, sul creditore.
- infine le evidenziate criticità legate alla cessazione del fondo patrimoniale; diversamente, invece, per l’atto di destinazione rispetto al quale l’art. 2645-ter c.c. stabilisce, quanto alla durata, «un periodo non superiore a novanta anni» o «la durata della vita della persona beneficiaria», e quindi non è legato al vincolo matrimoniale, potendo trovare applicazione anche e proprio per disciplinare le eventuali situazioni patologiche riguardanti il nucleo familiare (divorzio).
Al riguardo, e proprio in relazione a “bisogni familiari”, il recentissimo provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia in data 12 maggio 2014, in una ipotesi di apposizione da parte di un soggetto proprietario di un immobile di un vincolo di destinazione di uso finalizzato al «soddisfacimento delle esigenze abitative ed in genere ai bisogni del nucleo familiare» individuando il termine finale al momento del compimento del quarantesimo anno di età della figlia, afferma:
- che in assenza di pronunce della Suprema Corte sul punto, la maggioritaria tesi giurisprudenziale di merito ha ritenuto che l’art. 2645-ter c.c. non riconosce la possibilità dell’autodestinazione unilaterale di un bene già di proprietà della parte, tramite un negozio destinatorio puro;
- che diversamente opinando, infatti, verrebbe scardinato dalle fondamenta il sistema fondato sul principio, codificato dall’art. 2740 c.c., della responsabilità patrimoniale illimitata e del carattere eccezionale delle fattispecie limitative di tale responsabilità, atteso che, in forza di una semplice volontà unilaterale del debitore, una porzione o financo l’integralità del suo patrimonio, sarebbero sottratti alla garanzia dei propri creditori;
- che pertanto la portata applicativa della norma, da intendersi come sugli effetti e non sugli atti, deve essere interpretata in senso restrittivo, e quindi limitata alle sole ipotesi di destinazione traslativa collegata ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa (in questi termini, cfr. Trib. Santa Maria Capua Vetere ord. 28 novembre 2013, Trib. Trieste dec. 7 aprile 2006; per questo Tribunale, cfr. poi Trib. Reggio Emilia dec. 27 gennaio 2014, dec. 26 novembre 2012, dec. 22 giugno 2012, ord. 23 marzo 2007), escludendo la possibilità di un vincolo di destinazione autoimposto a un bene già in proprietà del costituente, tramite un negozio destinatario puro;
- la necessità di un penetrante scrutinio, previsto peraltro dalla stessa norma con l’inciso “meritevoli di tutela” e con il richiamo all’’art. 1322, comma 2 c.c., sulla meritevolezza del negozio: è infatti pacifica opinione, dice il Tribunale, che, per affermare la legittimità del vincolo di destinazione, non basta la liceità dello scopo, occorrendo anche un quid pluris integrato dalla comparazione degli interessi in gioco, ed in particolare dalla prevalenza dell’interesse realizzato rispetto all’interesse sacrificato dei creditori del disponente estranei al vincolo (cfr. App. Trieste. sent. n. 1002/2013);
- che il legislatore, in chiave evidentemente riequilibrativa rispetto alle possibilità concesse con il vincolo di destinazione, ha subordinato l’efficacia dello stesso ad un riscontro di meritevolezza in concreto dell’assetto di interessi perseguito dalla parte; e tale riscontro deve essere particolarmente penetrante, proprio in ragione delle potenzialità lesive, nei confronti dei creditori, del vincolo unilateralmente apposto;
- che nel caso concreto, pur risultando il fine di fare fronte ai bisogni della famiglia astrattamente meritevole di tutela, la parte avrebbe dovuto chiaramente indicare, in concreto, le ragioni che l’hanno indotta ad optare per quella tipologia di vincolo, evidenziando i motivi per i quali la separazione patrimoniale costituisca l’ultimo, o comunque il migliore od il più indicato, strumento per garantire al nucleo familiare quel minimo di tutela che l’ordinamento le riconosce.
(1) Occorre precisare che l’istituto in esame, pur presentando caratteristiche che lo rendono astrattamente idoneo a soddisfare esigenze “contributive”, è collocato in un contesto normativo che, indiscutibilmente, porta a classificarlo fra gli istituti del così detto “regime secondario o distributivo”, come tale inquadrabile fra le “convenzioni matrimoniali” e modificabile con lo strumento della convenzione matrimoniale.
(2) Occorre ricordare come la dottrina abbia spesso individuato nel fondo patrimoniale uno strumento privilegiato di assolvimento del dovere di contribuzione posto a carico dei coniugi dall’art. 143, ult. comma, c.c. Cosi T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Commentario al codice civile a cura di Schlesinger, Milano, 1992, p. 186. Al riguardo la giurisprudenza precisa che nella costituzione di fondo patrimoniale non può vedersi un atto con cui i coniugi adempiono ai doveri di contribuzione nascenti dal matrimonio o ad altri obblighi giuridici. Infatti la costituzione del fondo patrimoniale non sarebbe un atto doveroso ed inoltre non potrebbe configurarsi come adempimento di obbligo morale o come adempimento di un debito scaduto, non avendo funzione solutoria di pregresse obbligazioni ma finalità di prudenziale accantonamento in vista di esigenze economiche future della famiglia. Da ciò si fa discendere che la costituzione di beni in fondo patrimoniale anche quando comporta soltanto l’imposizione di un vincolo di destinazione costituisce atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito. In questo senso, fra tante: Cass., 17 gennaio 2007, n. 966, in Arch. sent. civ., Juris data. Ed inoltre: Cass., sez. 1, 08 agosto 2013, n. 19029, in Ced Cassazione secondo cui «La costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, suscettibile, pertanto, di revocatoria, a norma dell’art. 64 L.fall., salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del “solvens” di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione»; Cassazione, sentenza 12 dicembre 2014, n. 26223, sez. I civile, in Ced Cassazione, secondo cui «La costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora sia effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione a favore dei disponenti, ed è pertanto suscettibile di revocatoria, a norma dell’art. 64 L.fall., salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione.
(3) A. MORACE PINELLI, «Destinazione e tutela di soggetti deboli», in Dal trust all’atto di destinazione patrimoniale. Il lungo cammino di un’idea, in I Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2013, p. 145.
(4) Così T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, cit., 4.
(5) V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia, III, Milano, 1996, p. 30 e F. CORSI, Il regime patrimoniale della famiglia coniugale, II, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1984, p. 88.
(6) La dottrina (T. AULETTA, op. cit.) e la giurisprudenza della Suprema corte ormai costante (a partire da Cass., 29 novembre 2000, n. 15279, in Juris data, Giuffrè) hanno evidenziato come i figli non siano titolari dei beni del fondo ma solo portatori, insieme agli altri familiari, di un interesse tutelato al godimento dei frutti del fondo, in quanto destinati ai bisogni familiari. In questo senso da ultimo Cass., 15 maggio 2014, n. 10641, sez. III civile, in Archivio Ced Cassazione, secondo cui «La costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinché, con i loro frutti, sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni stessi, né implica l’insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo ai vincoli di disponibilità. Ne consegue che deve escludersi che i figli minori del debitore siano litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore per sentire dichiarare l’inefficacia dell’atto con il quale il primo abbia costituito alcuni beni di sua proprietà in fondo patrimoniale». Che i figli non siano titolari dei beni del fondo si desume dall’intero impianto normativo in materia di fondo patrimoniale ed in particolare dall’art. 171, comma 3, c.c., il quale dà facoltà al giudice di attribuire ai figli una quota dei beni del fondo, in godimento o in proprietà, solo a seguito della cessazione del fondo. Prima della cessazione pertanto nessun diritto spetta ai figli sui beni del fondo e in capo agli stessi non è configurabile alcuna pretesa giuridicamente tutelata come diritto soggettivo; la sopracitata norma infatti attribuisce al giudice una facoltà e non un obbligo. Tuttavia le norme in materia di fondo patrimoniale offrono tutela ai figli prevedendo l’autorizzazione giudiziale, in presenza di figli minori, per il compimento degli atti di cui all’art. 169 c.c. e prevedendo comunque l’obbligo di impiegare i frutti per i bisogni della famiglia (art. 168, comma 2, c.c.). Più in generale le norme dettate dagli articoli 168 e 169 c.c., per l’esercizio dell’attività di amministrazione e disposizione dei beni del fondo, se interpretate nell’ottica vincolistica del patrimonio di destinazione, offrono idonea tutela ai familiari attraverso obblighi di reimpiego imposti ai coniugi, ed attraverso interventi giudiziali in caso di atti di amministrazione abusivi sotto il profilo funzionale.
(7) In questo senso la recente Sentenza della Suprema Corte, Sez. 1, 08 agosto 2014, n. 17811, in Archivio Ced Cassazione, nella quale si legge che la funzione del Fondo patrimoniale è la destinazione dei beni ad esso conferiti a «far fronte ai bisogni della famiglia coniugale», e questa è «la funzione economico-sociale che il legislatore ha inteso attribuirgli».
(8) Qualificano il fondo patrimoniale “patrimonio separato: T. AULETTA, op. cit., p. 21; F. CORSI, op. cit., p. 88; V. DE PAOLA, op. cit., p. 32. Nel senso invece che si tratti di patrimonio autonomo si veda l’interessante analisi strutturale di R. LENZI, «Struttura e funzione del fondo patrimoniale», in Riv. not., 1991, p. 54 e nt. 3. Parla di separazione patrimoniale “attenuata” M. CEOLIN, Destinazione e vincoli d’uso nel diritto privato, Padova, 2010, p. 92. Per un approfondimento sugli effetti del vincolo di destinazione creato dall’atto costitutivo di fondo patrimoniale si veda A. FUSARO, Commento sub art. 167 c.c., in Della Famiglia, I, a cura di Balestra, in Commentario al codice civile diretto da Gabrielli, Torino, 2010, p. 1057 e ss. Attenendoci ad una definizione di patrimonio separato che tiene conto del particolare regime giuridico dei beni possiamo dire che per patrimonio separato si intende una entità unitaria, distaccata dal patrimonio di uno o più soggetti, caratterizzata dalla destinazione ad una determinata finalità alla quale consegue la non distraibilità, del patrimonio stesso e dei singoli beni che lo compongono, dalla destinazione che li unifica. Alla separazione si accompagna l’instaurazione di un particolare regime di amministrazione dei beni separati che si caratterizza in funzione del particolare scopo cui sono destinati ed inoltre alla separazione consegue, come elemento tipico, una limitazione di responsabilità dei beni facenti parte del patrimonio separato, che sono destinati al soddisfacimento delle obbligazioni che trovano la loro causa nella destinazione con conseguente rafforzamento della garanzia di certi creditori: così L. BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 280 e ss. Per una analisi dell’evoluzione dottrinale e delle fattispecie tipiche dei patrimoni di destinazione si veda M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996.
(9) Uno dei punti fermi raggiunti dalla Giurisprudenza della Suprema Corte è la “natura reale” del vincolo di destinazione nascente dalla costituzione del fondo patrimoniale, cui consegue l’assolutezza cui si fa riferimento nel testo. In questo senso Cass., sez. 1, 27 gennaio 2012, n. 1242, in Archivio Ced Cassazione, secondo cui «In tema di azione revocatoria, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell’art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo, con la precisazione che anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio». Conformi: Cass., sez. 1, 12 ottobre 2011, n. 1242, in Archivio Ced Cassazione; Cass., sez. 3, 18 ottobre 2011, n. 21494, in Archivio Ced Cassazione; Cass., sez. 1, 13 luglio 2006, n. 15917, in Archivio Ced Cassazione.
(10) Per una analisi delle situazioni di fatto, concludendosi tuttavia per l’inapplicabilità ad esse del fondo patrimoniale ed in genere delle norme dettate per il “regime primario” ed il “regime secondario” coniugale, e concludendosi per l’impossibilità, prima dell’introduzione dell’art. 2645-ter c.c., di ammettere che l’autonomia negoziale dei coniugi possa spingersi fino alla creazione di un patrimonio separato la cui disciplina sia modellata su quella del fondo patrimoniale si veda: R. LENZI, Struttura e funzione del fondo patrimoniale, cit., p. 60 e ss.
(11) In questo senso T. AULETTA, op. cit., p. 186 e ss.
(12) In dottrina relativamente ai figli unilaterali si erano formate opinioni divergenti. In senso favorevole: V. DE PAOLA, op. cit., p. 39; T. AULETTA, op. cit., 187. In senso contrario sul presupposto che l’obbligo di provvedere ai bisogni della famiglia debba sussistere in capo alla coppia e non ad uno solo dei coniugi: G. GABRIELLI, voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. dir., XXXII, MIlano, p. 294. La soluzione favorevole pare ora trovare conferma anche nel complesso di norme introdotto dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219.
(13) In questo senso: Cass. 15862/2009; Cass. 12730/2007; Cass. 12998/2006, Cass. 23 gennaio 2006, n. 5684, in Archivio sentenze civili Juris data; Cass., 18 settembre 2001, n. 11683, in Archivio sentenze civili Juris data.
(14) Questo dato caratterizzante lo troviamo evidenziato nella decisione della Suprema Corte in data 18 settembre 2001, sez. I civ., n. 11683, la quale pone in rilievo come la costituzione del fondo patrimoniale non incida sulla totalità dei beni e dei rapporti tra i coniugi, ma si inserisce e coesiste con il regime di comunione o di separazione dei beni dagli stessi prescelto, il quale a sua volta non interferisce con la disciplina dell’istituto in esame.
(15) Riguardo alla coesistenza di regimi la dottrina giustamente, rileva la necessaria coesistenza del fondo patrimoniale non solo con un “regime generale secondario” (o distributivo della ricchezza coniugale) ma anche con il “regime primario” (o contributivo regolato dalle norme inderogabili dettate dagli articoli 143 e seguenti c.c.).
(16) Sul punto espressamente Tribunale Reggio Emilia, 26 marzo 2007, in Fam. e dir., n. 6, 2008, p. 616 e ss.
(17) In questo senso G. GABRIELLI, op. cit., p. 295 e ss.; G. CIAN G. CASAROTTO, voce Fondo patrimoniale della famiglia, in Noviss. Dig. it., Appendice, III, Torino, 1982, p. 833; A.M. FINOCCHIARO, Rifor ma del diritto di famiglia, in Diritto di famiglia, III, Milano, 1984, p. 402-403; F. GALLETTA, I regolamenti patrimoniali fra coniugi , Napoli, 1990, p. 149; A. NICOLINI, «Fondo patrimoniale», in Notariato, 1998, p. 451; T. AULETTA, op. cit., p. 172 e ss.; E. MANDES, Il fondo patrimoniale - Rassegna di dottrina e giurisprudenza, p. 667 e ss., ed infine con qualche perplessità per la riserva a favore di un soggetto terzo, F. CORSI, op. cit., p. 95 e 86 ed ivi nt. 9.
(18) La scelta legislativa che la proprietà dei beni possa non appartenere ad entrambi i coniugi pare compatibile con la funzione del fondo patrimoniale la quale può essere assolta, ed anzi nell’ottica legislativa deve essere principalmente assolta, con la destinazione ai bisogni della famiglia dei frutti, ed in genere delle utilità, ricavabili dai beni che ne for mano oggetto.
(19) F. CARRESI, Del fondo patrimoniale, in Commentario Cian- Oppo-Trabucchi, p. 59-60.
(20) In questo senso G. GABRIELLI, op. cit., p. 296.
(21) T. AULETTA, op. cit., p. 178.
(22) Tribunale Benevento 27 aprile 2007.
(23) Vedi da ultimo questo aspetto richiamato in Cass., sez. 1, 8 agosto 2014, n. 17811 in Ced Cassazione.
(24) Vedasi al riguardo la formulazione delle clausole proposta da A. NICOLINI, op. cit., p. 450. In questo senso espressamente anche G. GABRIELLI, op. cit., p. 302, secondo cui la legge configura il trasferimento della proprietà dal costituente ai coniugi beneficiari come effetto naturale della costituzione di fondo patrimoniale: nel senso che pur potendo essere escluso con apposita clausola, non occorre una volontà specificamente intesa a produrlo.
(25) In questo senso espressamente Trib. Foggia, 9 giugno 2000, in Riv. not., 2001, p. 692 e ss.
(26) Autorevole dottrina (In questo senso T. AULETTA, op. cit., p. 61; V. DE PAOLA, op. cit., p. 77) ritiene che la durata del fondo patrimoniale costituisca un elemento caratterizzante del regime, che coinvolge anche interessi di terzi e quindi inderogabile mediante inserimento di clausole che, andando ad incidere su tale aspetto della disciplina, finirebbero per attribuire al regime connotati particolari.
(27) V. DE PAOLA, op. cit., p. 77; T. AULETTA, op. cit., p. 60; T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il diritto di famiglia, II, Il regime patrimoniale della famiglia a cura di G. Bonilini e G. Cattaneo, Torino, 1997, p. 360; A. NICOLINI, op. cit., p. 45; M.L. CENNI, Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia Zatti, III, Milano, 2002, p. 599. Contra, con riferimento all’ammissibilità di apporre una condizione sospensiva: G. CASU, Fondo patrimoniale, in Dizionario giuridico del Notariato, Milano, 2006, p. 345; E. RUSSO, «L’autonomia privata nella stipulazione di convenzioni matrimoniali», in Vita not., 1982, p. 180.
(28) In questo senso DE PAOLA, op. cit., 129-130. Paiono propendere per la tassatività anche A.M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, Milano, I, 1984, p. 832 e ss.; T. AULETTA, op. ult. cit., p. 352 e ss. il quale tuttavia giunge ad ammettere lo scioglimento convenzionale in mancanza di figli (minori o maggiori di età) non autonomi patrimonialmente, ivi, p. 364 e ss.; CORSI, op. cit., p. 105.
(29) Sulla possibilità di ricomprendere la morte presunta fra le cause di scioglimento del matrimonio la dottrina pare concorde, in questo senso, oltre agli autori citati alla nota precedente, anche: F. CORSI, op. cit., p. 105 ed ivi nt. 67, secondo il quale pur mancando l’espressa indicazione del caso di morte presunta, quest’ultima tuttavia deve intendersi ricompresa nell’ipotesi di scioglimento del matrimonio; G. CIAN - G. CASAROTTO, op. cit., p. 838; A.M. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 838, sub nt. 1; CARRESI, Del fondo patrimoniale, in Commentario Cian- Oppo-Trabucchi, cit., p. 66; G. GABRIELLI, op. cit., p. 318; E. MANDES, op. cit., p. 695. Ora in Giurisprudenza la concorde ammissibilità di tale causa di cessazione del fondo emerge anche dalla motivazione della citata sentenza 17811/2014.
(30) Nel senso della tassatività delle cause di cessazione previste dall’art. 171 c.c.: Trib. Napoli, 4 giugno 2008, Redazione Giuffrè; Trib. Genova, decr. 26 gennaio 1998, in Vita not., 1999, p. 81 ed in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 215 e ss.
(31) Ed il rinvio fatto dall’art. 171, ult. comma, c.c. alle disposizioni in materia di comunione legale, opererebbe solo per le procedure relative allo scioglimento che non siano espressamente disciplinate dalle norme sul fondo patrimoniale, e qualora le relative norme dettate per il regime legale non risultino incompatibili con i principi caratterizzanti la figura in esame. In questo senso espressamente T. AULETTA, op. ult. cit., p. 367.
(32) In questo senso, oltre agli autori e alle decisioni citati, espressamente: M. DEL PRETE, «Il fondo patrimoniale nella crisi della famiglia», in Notariato, 1999, p. 47 e ss.; A. NICOLINI, op. cit., p. 443 e ss.; Trib. Savona, Decr. 24 aprile 2003, in Fam. e dir., 2004, 1, p. e 67 ss.
(33) Questa preoccupazione trapela in particolare nella decisione del Trib. Genova, decr. 26 gennaio 1998, cit. In questo senso: Trib. Napoli, 4 giugno 2008, Redazione Giuffrè; Trib. Savona, 24 aprile 2003, in Fam. e dir., 2004, p. 67, con nota M. CAPECCHI; Trib. Perugia, 25 gennaio 2003, in Dir. fam. e pers., 2004, p. 126; Corte Appello Bologna, 2 ottobre 2001, in Notariato, 2002, p. 31; Trib. Alba, 2 settembre 2001, in Gius., 2002, p. 2477. «Al di fuori dei casi tassativi previsti dagli artt. 169 c.c. e 171 c.c. non è possibile porre fine alla destinazione impressa dalla costituzione di un fondo patrimoniale: non è quindi ammesso lo scioglimento convenzionale di tale convenzione matrimoniale»: Trib. min. Perugia, 20 marzo 2001, in Riv. not., 2001, p. 1189, con nota M. VIANI.
(34) In questo senso: Trib. L’Aquila, sez. minorenni, 3 maggio 2001, in Fam. e dir., 2001, p. 545, con nota adesiva di P. MOROZZO DELLA ROCCA, secondo cui «Può essere autorizzato lo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale costituito dai coniugi quando ciò corrisponda all’interesse della famiglia»; Trib. Modena, 7 dicembre 2000, in Notariato, 2002, p. 27, secondo cui «Ogni ipotesi di cessazione del fondo patrimoniale trova disciplina nel disposto dell’art. 171 c.c., per il quale l’art. 38 disp. att. c.c. prevede la competenza esclusiva del tribunale per i minorenni»; Trib. Trieste, sez. minorenni, 18 dicembre 2011, in Dir. fam., 2012, 4, p. 1617; Trib. minorenni L’Aquila, 17 marzo 2008, in Fam. e min. - Guida al dir., 2008, 8, p. 21 con nota di GALLUZZO - LEO, secondo cui «Lo scioglimento del fondo patrimoniale per accordo dei coniugi che l’hanno costituito è possibile anche in presenza di figli minori, nonostante la mancata previsione dell’art. 171, comma 2, c.c., con l’autorizzazione dal tribunale dei minorenni»; Trib. minorenni Torino, 31 ottobre 2005, in Dir. fam., 2006, p. 640. Nello stesso senso, Trib. Venezia, 17 novembre 1997, in Riv. not., 1998, p. 223, secondo cui «Pur in mancanza di un’espressa previsione di legge, è ammissibile lo scioglimento del fondo patrimoniale per espressa volontà manifestata in tal senso dai costituenti. Nel caso in cui vi siano figli minori è competente all’autorizzazione il tribunale dei minorenni». Così, anche Trib. Lecce, sez. minorenni, 25 novembre 1999, in Riv. not., 2002, 2, secondo cui «È ammissibile lo scioglimento del fondo patrimoniale, per espressa volontà manifestata in tal senso dai costituenti. Nel caso in cui vi siano figli minori, è competente, per l’autorizzazione, il Tribunale per i minorenni». Nello stesso senso, Trib. min. Salerno, 12 novembre 2004, in Giur. mer., 2005, 5, secondo cui «Il giudice, allorché, vi sia prole minore, deve necessariamente valutare se lo scioglimento sia o meno inquadrabile nelle fattispecie di “necessità ed utilità evidenti”, poiché solo in tal caso potrà concedere l’autorizzazione all’estinzione anche solo parziale del fondo. Ed invero la cessazione totale o parziale del fondo patrimoniale si configura come un atto certamente più pregiudizievole rispetto all’alienazione di un bene o ad uno degli altri atti contemplati dall’art. 169 c.c., che, pur incidendo sulla consistenza del fondo patrimoniale, non ne determinano comunque lo scioglimento». Si veda anche Trib. Milano, 29 aprile 2011, in Redazione Giuffrè, 2011, secondo cui «In tema di fondo patrimoniale, va evidenziata la differenza di ambito applicativo tra l’art. 171 c.c. e l’art. 169 c.c.: nel primo caso, che disciplina le ipotesi di cessazione del fondo patrimoniale nella sua interezza, con “prorogatio” del vincolo di indisponibilità dei beni in presenza di figli minori fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio, la ratio deve essere rinvenuta nell’esigenza di tutela degli interessi dei minori che sopravvivono e che potrebbero trovarsi in conflitto con gli interessi dei genitori; nel secondo caso, invece, la ratio risiede nella necessità di contemperare l’esigenza di garantire la destinazione dei beni al solo soddisfacimento dei bisogni della famiglia e quella di rendere possibile la libera circolazione dei beni in accordo con il principio di autonomia negoziale con riguardo alle ipotesi di atti di disposizione dei coniugi che incidano sulla sorte dei singoli beni conferiti nel fondo medesimo».
(35) In questo senso, Trib. Venezia, sez. minorenni, 7 febbraio 2001, in Riv. not., 2001, 2, p. 1189, secondo cui «In base al combinato disposto degli artt. 171 c.c. e 38 disp. att. c.c., il Tribunale per i Minorenni non è competente ad autorizzare la convenzione di scioglimento del fondo patrimoniale, per la quale è di conseguenza sufficiente l’atto pubblico notarile»; Trib. Verona, 30 maggio 2000, in Giur. mer., 2000, I, p. 1164; Trib. Milano, 6 marzo 2013, in Redazione Giuffrè, 2013. In questo senso anche Trib. Aquila, sez. minorenni, 12 marzo 2008, secondo cui «Lo scioglimento volontario trova ingresso nella «modificabilità delle convenzioni matrimoniali, previsto dall’art. 163 c.c., oltre che nel ricorso ai principi generali in tema di libertà negoziale dagli artt. 1321 e 1372 c.c.»; Cass., ord. 21 settembre 2006, n. 20418, in Giust. civ. Mass., 2006, p. 10; Trib. Padova, 5 maggio 2006, in Redazione Giuffrè, 2006, secondo cui «Qualora i coniugi, in presenza di figli minori, intendano estinguere consensualmente il fondo patrimoniale con apposita convenzione, all’ipotesi che rientra nella fattispecie di cessazione del fondo va applicata la disciplina dettata dall’art. 171 c.c. la quale non prevede alcuna autorizzazione giudiziale»; Trib. Brescia, 9 giugno 2006, secondo cui «Nel caso in cui sia stata espressamente consentita nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale la facoltà dei coniugi di vendere liberamente i beni del fondo, non è necessaria richiedere alcuna autorizzazione giudiziale anche nel caso di figli minorenni»; Trib. Torino, 2002, in Vita not., 2002, p. 1193, secondo cui «ritenuto, conformemente alla tesi seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, che qualora l’atto di costituzione di beni immobili in fondo patrimoniale preveda che, anche in presenza di figli minori, i coniugi possano concordemente, senza autorizzazione giudiziale, alienare tali beni, il tribunale deve dichiarare il non luogo a provvedere in ordine alla richiesta d’autorizzazione avanzata da entrambi i coniugi genitori di figli minori».
(36) È la già citata sentenza n. 17811 del 08 agosto 2014.
(37) La decisione cui si fa riferimento è: Cass., sez. 6 - 1, ord. n. 15859 del 20 settembre 2012, in Ced Cassazione. La Suprema Corte era già intervenuta in tema di regolamento di competenza sulla materia dello scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale con altre due ordinanze, e cioè: Cass., sez. 1, ord. n. 20418 del 21 settembre 2006, in Ced Cassazione, secondo cui «Competente a conoscere della domanda di autorizzazione allo scioglimento del fondo patrimoniale relativamente ad una sola unità immobiliare è il Tribunale ordinario e non il Tribunale dei minorenni, cui l’art. 38, primo comma, disp. att. c.c., demanda la cognizione delle ipotesi di cui all’art. 171 c.c., e, cioè, di intervenuta cessazione del fondo patrimoniale nella sua interezza per il venir meno degli effetti civili del matrimonio, relativamente alle statuizioni circa i diritti dei figli minori, e non anche delle ipotesi di alienazione di beni del fondo, di cui all’art. 169 c.c.» e Cass., sez. 1, ord. n. 6167 del 27 aprile 2002, in Ced Cassazione.
(38) È la soluzione proposta da M. BELLINVIA e A. MUSTO in «La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale da parte dei coniugi in presenza di figli minori: la terza via della giurisprudenza di legittimità (nota a Cassazione, 8 agosto 2014, n. 17811)»,i n CNN Notizie del 18 settembre 2014.
(39) Secondo Cass., sez. II civ., 23 settembre 2013, n. 21736, in Archivio Ced Cassazione. «Alle pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato, può riconoscersi validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma (ad esempio concordando un assegno di mantenimento in misura superiore a quella sottoposta a omologazione), o quando concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 c.c.». Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto che una convenzione, per scrittura privata, intervenuta tra i coniugi non potesse ritenersi nulla per carenza di forma prevedendo il trasferimento, a titolo gratuito, di un cospicuo patrimonio ai figli proprio perché garantiva, nel comune intento delle parti, l’interesse preordinato al conseguimento di un risultato solutorio degli obblighi di mantenimento dei figli gravante sui genitori, né appariva in contrasto con norme imperative di legge o con diritti indisponibili dei due coniugi.
(40) Altri strumenti utili per queste finalità sono il trust e il negozio di affidamento fiduciario, figura quest’ultima di più recente approfondimento dottrinale.
(41) Così Cass., 8 agosto 2014, n. 17811, cit.
(42) Per l’istituto del fondo patrimoniale su questo aspetto si è però formata in tempi recenti una consolidata giurisprudenza di legittimità che, sempre partendo dal vincolo di destinazione, si muove nell’ottica fisiologica della tutela degli interessi familiari contro gli atti abusivi di amministrazione. In questo senso espressamente: Cass., sez. 3, 05 marzo 2013, n. 5385 secondo cui «L’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del D.P.R. 3 marzo 1973, n. 602. Ne consegue che l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, qualora il debito facente capo a costoro sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero quando - nell’ipotesi contraria - il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia; viceversa, l’esattore non può iscrivere l’ipoteca - sicchè, ove proceda in tal senso, l’iscrizione è da ritenere illegittima - nel caso in cui il creditore conoscesse tale estraneità»; Cass., sez. 1, 04 giugno 2010, n. 13622, secondo cui «In materia di fondo patrimoniale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 170 c.c. e dei principi costituzionali in tema di famiglia, i beni costituiti nel fondo, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque clausola sia stata inserita nell’atto di costituzione circa le modalità di disposizione degli stessi in difformità da quanto stabilito dal citato art. 169 c.c.; tuttavia, nel caso in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere all’iscrizione d’ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono per il creditore, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari».
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