Il diritto di superficie e la proprietà superficiaria
Il diritto di superficie e la proprietà superficiaria
di Chiara Tenella Sillani
Professore ordinario di Diritto civile, Università Statale di Milano

Introduzione

Il mio ringraziamento alla Fondazione italiana del Notariato ed al Consiglio notarile di Firenze e, in particolare, ai rispettivi Presidenti, il Notaio Massimo Palazzo ed il Notaio Vincenzo Vettori, è duplice: in primo luogo, per l’invito a partecipare a questo importante Convegno di studi; e poi per la scelta del tema, che consente di ripercorre aspetti nuovi o comunque significativi delle “situazioni reali” alla luce degli apporti di una componente essenziale della nostra esperienza giuridica: la prassi notarile. Una prassi il cui fondamentale ruolo, nello scorrere mutevole dei secoli e di realtà diverse, è stato chiaramente tratteggiato da Paolo Grossi.
Diversamente dalle altre relazioni, il mio intervento ha un titolo generico, somigliante a quello del paragrafo di un tradizionale manuale di Diritto privato o di un volume inserito in un Trattato di diritto civile. Non parlerò tuttavia - è ovvio - del “diritto di superficie” e della “proprietà superficiaria” ripercorrendone intera la sia pur scarna disciplina codicistica e dando altresì conto di tutte le sue possibili applicazioni, previste in leggi speciali oppure esibite nella prassi, dove il suo utilizzo, in campi noti o viceversa inusuali rispetto alla sua storia, ne confermano comunque la costante vitalità. L’intenzionale vaghezza del titolo ha, invece, uno scopo assai meno ambizioso: consentire la trattazione di alcuni profili problematici di temi diversi, aspetti con riguardo ai quali rilevante può apparire l’apporto del Notariato.

Diritto di superficie, proprietà superficiaria, proprietà separata

Talune questioni sono per così dire classiche e pertanto ben note ai teorici ed ai pratici. Un cenno meritano, ad esempio, le diverse ricostruzioni offerte dagli interpreti delle due fattispecie contemplate dall’art. 952 c.c., in base al quale il diritto di superficie può concretizzarsi o nel diritto di costruire e mantenere la proprietà di una costruzione sul suolo altrui, oppure nel diritto di proprietà su una costruzione già esistente, acquistata separatamente dalla proprietà del suolo cui accede. Delle due ipotesi, per l’aspetto che ci interessa porre in luce, maggiori interrogativi si pongono con riguardo alla disciplina applicabile alla seconda variante, riferita alla alienazione di un fabbricato già realizzato. In proposito vi sono, infatti, due contrapposte tesi che diversamente configurano le prerogative attribuite a colui che acquista a titolo derivativo la proprietà di una costruzione preesistente.
Per una parte della dottrina(1)e della giurisprudenza(2)si tratterebbe di una “proprietà superficiaria” avente la stessa natura e gli stessi caratteri di quella acquistata a titolo originario in conseguenza all’esercizio dello jus aedificandi, ossia una proprietà piena, seppure limitata alla costruzione, e come tale non soggetta a prescrizione per non uso ventennale (del resto, l’ultimo comma dell’art. 954 c.c. circoscrive questo effetto al “diritto di fare” senza coinvolgere quello “di mantenere”). In tale prospettiva, anche il superficiario acquirente di un edificio già esistente sarebbe da considerarsi titolare del diritto “di fare e mantenere” la costruzione, con la conseguenza che se questa dovesse distruggersi il suo diritto non verrebbe ad estinguersi, ma gli sarebbe consentito ricostruire l’immobile ai sensi dell’art. 954, comma 3 c.c. (salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente o che comunque il dominus soli abbia limitato nel tempo la concessione del diritto di superficie, previsioni entrambe molto spesso ricorrenti laddove il concedente sia un soggetto pubblico).
Altra dottrina(3), seguita da alcune significative pronunce della Cassazione(4), definisce invece “proprietà separata” il diritto acquistato - a titolo derivativo - dal superficiario su di una preesistente costruzione, distinguendolo dalla “proprietà superficiaria”, esito dell’esercizio della concessione a edificare sul suolo altrui e sorta quindi in modo originario. Questa c.d. “proprietà separata” riguarderebbe la sola costruzione cui le parti si sono riferite nel titolo e sarebbe quindi di per sé priva dello jus ad aedificandum e cioè del diritto di superficie in senso stretto, insito invece nella proprietà superficiaria: in tal caso, quindi, l’acquirente non potrebbe né modificare la costruzione né tanto meno ricostruirla ove questa andasse in rovina o venisse distrutta; alla “proprietà separata”, non sarebbe applicabile, in definitiva, l’art. 954, comma 3, c.c.
Per evitare le incertezze determinate dai segnalati contrasti interpretativi - rispetto ai quali si evita qui di prendere posizione - sarebbe necessario chiarire in modo inequivoco le prerogative attribuite al cessionario e quindi esplicitare, nella convenzione attributiva del diritto, che la “proprietà superficiaria” trasferita al terzo, ovvero quella che la giurisprudenza e parte della dottrina definiscono “proprietà separata”, è corredata o non corredata anche del diritto di ricostruire l’immobile; occorrerebbe, quindi, precisare se alla alienazione si accompagni il trasferimento del diritto di superficie (da esercitarsi ovviamente nel limite di prescrizione ventennale).
Lascio ai notai presenti decidere se questa accortezza risponda ad un’esigenza di “ordinato empirismo”, per riprendere le parole che accompagnano la locandina di questo convegno, o rappresenti invece una espressa adesione ad uno dei due orientamenti in campo: l’esito è comunque la formulazione di un modello negoziale che va oltre e supera la mera attuazione della disciplina codicistica(5).

Sottosuolo e spazio aereo

Un analogo interrogativo in ordine al ruolo svolto dalla prassi notarile nel ricostruire il diritto vivente si può porre con riguardo alla costituzione di un diritto di superficie da esercitarsi nel sottosuolo ai sensi dell’art. 955 c.c. Il fenomeno è diffuso, soprattutto con riguardo alla costruzione di parcheggi posti al di sotto di aree private o pubbliche, ovvero di realizzazione di posti auto la cui disciplina, contenuta nella c.d. “Legge Tognoli”, è stata novellata, come è noto, dalla legge n. 35/2012(6).
Non è inusuale nei rogiti notarili prefigurare l’intervento programmato e cioè indicare il tipo di costruzione che il superficiario potrà porre in essere al di sotto del suolo altrui, area catastalmente individuata con annessa planimetria; non è infrequente cioè, per rimanere alle ipotesi più diffuse, fare riferimento ai futuri parcheggi pertinenziali/residenziali, al numero degli stessi, talora indicando altresì la superficie lorda di “parcamento” ed il volume massimo da realizzare. Ovviamente, in corrispondenza alle caratteristiche del suolo e del sottosuolo e agli interessi avuti di mira dalle parti, la costituzione del diritto di superficie può risultare, al contrario, anche generica, priva cioè dell’indicazione della tipologia, consistenza e intensità dell’intervento edificatorio(7).
Tali modi di redigere gli atti prescindono comunque, a ben vedere, dalla pressoché granitica convinzione, secondo la quale il proprietario del suolo è per ciò stesso proprietario del sottosuolo che si estende in verticale al di sotto del suo terreno. Sulla scia di tale impostazione, la Cassazione sostiene, ad esempio, che «A norma dell’art. 840 c.c. la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo sovrastante, salvo che in senso contrario disponga il titolo d’acquisto di questo, oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario»(8). Affermano, altresì, i Supremi Giudici che «Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisce la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione: ne deriva che il condomino non può, senza il consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondità nel sottosuolo, per ricavarne nuovi locali ed ingrandire quelli preesistenti, comportando tale attività l’assoggettamento di un bene comune a vantaggio del singolo»(9).
È evidente che pensare in modo diverso da ciò che è opinione più che diffusa farebbe sembrare la proprietà dei terreni come sospesa nel nulla, mentre è di grande conforto saperla sorretta dalla solidità seppure oscura del sottosuolo. A volte però le leggi della fisica mal si conciliano con le esigenze del diritto, o meglio non sempre è opportuno che i caratteri assegnati dalla natura alle entità materiali si traducano in precetti giuridici: e lo dimostra proprio la costituzione del diritto di superficie, nella redazione accorta offerta dai notai.
Se infatti valesse la regola sopra ricordata, il diritto di superficie da esercitarsi al di sotto del suolo altrui non potrebbe che confliggere con la preesistente proprietà del sottosuolo che si assume spettare al dominus soli, ossia con la proprietà di quello spazio all’interno del quale al superficiario viene concesso di realizzare una costruzione di cui diventerà proprietario. In dottrina, non manca invero chi, con esasperata coerenza, sostiene che al concessionario spetti prima il diritto di proprietà sul sottosuolo che sarà interessato all’edificazione e poi, a costruzione avvenuta, il diritto di proprietà su quest’ultima(10). Che la tesi sia quantomeno stravagante è palese, anche perché essa finisce per dover configurare o come imprescrittibile il diritto di costruire e cioè il diritto di superficie in quanto preceduto dall’acquisto della proprietà di una porzione di sottosuolo, oppure come prescrittibile il diritto di proprietà su tale parte laddove dopo vent’anni non risulti ancora esercitato lo jus aedificandi: soluzioni entrambe in contrasto con i caratteri dell’uno e dell’altro diritto.
La giurisprudenza, seguita dalla maggioranza della dottrina, esclude peraltro che il sottosuolo in sé possa costituire oggetto di atti di disposizione separato dal suolo, potendo essere cedute soltanto cose individuate nel sottosuolo oppure attività da svolgersi entro quello spazio (come, appunto, lo jus aedificandi). «Il diritto di superficie …», si legge così in una vecchia massima della Cassazione, «non importa il trasferimento di proprietà del sottosuolo, perché proprietario di questo rimane il concedente, come avviene analogamente nella concessione di costruire sul suolo. Onde è lecito argomentare che solo le costruzioni compiute (o da compiere) nel sottosuolo divengano oggetto di proprietà separata da quella del suolo…»(11).
Siffatta affermazione, già di per sé ambigua, non dissolve però i dubbi. È infatti noto che la condizione giuridica riconosciuta allo spazio sovrastante il suolo non è la stessa che viene assegnata a quello posto al di sotto. «A differenza del sottosuolo», ci dice ancora la Cassazione in una pronuncia del 2004, «lo spazio sovrastante il suolo o una costruzione non costituisce un bene giuridico … ma configura la mera proiezione verso l’alto delle suddette entità immobiliari e, formalmente, la possibilità di svolgimento delle facoltà inerenti il diritto dominicale sulle medesime. Pertanto, il diritto reale su tale spazio, separato dalla proprietà dell’immobile sottostante, non è qualificabile come proprietà, ma come diritto di superficie ex art. 952 c.c., suscettibile di estinzione per effetto del non uso protratto per il tempo stabilito dalla legge»(12).
Lo spazio aereo è, dunque, «un concetto di relazione e non una cosa» ed in questa ottica va configurata la c.d. «proprietà della colonna d’aria», di cui si leggeva, fino a tempi recenti, nelle pagine della dottrina o nelle decisioni della giurisprudenza, secondo la quale sarebbe stata la proprietà condominiale della colonna d’aria a giustificare l’indennità che il titolare dell’ultimo piano deve agli altri condomini nel caso eserciti il diritto di sopraelevare, riconosciutogli dall’art. 1127 c.c.(13). La «proprietà della colonna d’aria” non è da intendersi, infatti, come proprietà in senso proprio, dal momento che, precisa ancora la Suprema Corte, «la colonna d’aria… non forma oggetto di diritto, ma raffigura il mezzo (lo spazio), in cui si esercita il diritto di proprietà e specificamente il diritto di sopraelevazione»(14). Seguendosi tale prospettiva, si è pertanto concluso che «la donazione, che trasferisca la proprietà, o la nuda proprietà, con riserva di usufrutto, della colonna d’aria sovrastante il fondo del donante, è nulla (e può quindi implicare la responsabilità disciplinare del notaio rogante a norma dell’art. 28 n. 1 della L. 16 febbraio 1913, n. 89) posto che detto spazio non può essere oggetto di autonomo diritto di proprietà» (ma altresì per il fatto «che la riserva di usufrutto non è configurabile in relazione alla costituzione di un diritto di superficie»)(15). Si è, per altro verso, affermato, con minore severità, che l’eventuale titolo che attribuisca al proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare la «proprietà della colonna d’aria» sovrastante l’edificio non renda nullo l’accordo, ma vada inteso, in applicazione dell’art. 1424 c.c. sulla «conversione del contratto nullo», nel senso di rinunzia da parte degli altri condomini alla futura ed eventuale indennità di sopraelevazione, rinunzia che, per la sua efficacia meramente obbligatoria, non impegna gli aventi causa a titolo particolare degli stipulanti originari(16).
Ma è proprio vero che spazio aereo e sottosuolo hanno una diversa condizione giuridica? Se il soprassuolo e la connessa colonna d’aria non sono beni, ma “meri spazi”, “concetti di relazione”, perché la stessa impostazione non potrebbe valere per il sottosuolo? Per lungo tempo del resto - basti pensare alla formula della “proprietà della colonna d’aria” appena evocata - anche lo spazio aereo era dalla maggioranza degli interpreti considerato, quantomeno nelle declamazioni teoriche, oggetto di proprietà del dominus soli e, come tale, cedibile (lo credeva evidentemente anche quel notaio che si è visto dichiarare nullo l’atto di vendita della “colonna d’aria” con contestuale costituzione di usufrutto, nella fattispecie più sopra ricordata). L’art. 440 del codice del 1865, d’altra parte, espressamente disponeva che la proprietà del suolo comprende anche quella dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si trova sopra o sotto la superficie. In ordine alla condizione giuridica del soprassuolo vi è stato, in definitiva, un cambiamento di indirizzo, maturatosi nell’arco di più di un secolo, un cambiamento che invero non ha scandalizzato nessuno.
Per quale ragione ci si dovrebbe opporre ad un’analoga soluzione con riguardo al sottosuolo? Forse perché è costituito di materia, è cioè di una “res quae tangi possunt” della quale qualcuno deve essere per forza proprietario, mentre lo spazio è “evanescente”? O perché sarebbe assurdo ipotizzare una propriètà fondiaria priva di una base di sostegno, benché dai mobili confini sotterranei, insuscettibili per ciò stesso di una precisa delimitazione anche catastalmente documentabile? Tali argomenti sono evidentemente fragili, ma anche l’usuale riferimento al disposto dell’art. 840 c.c. non prova, posto che la norma, la quale ha una genesi storica tutta particolare(17), non dispone espressamente che il dominus soli sia per ciò stesso proprietario del sottosuolo, affermando solo ambiguamente che la proprietà del suolo si “estende” al sottosuolo. Il che può anche significare, in prospettiva non statica bensì dinamica, che al solo proprietario del suolo è consentito esercitare in via esclusiva - fin dove ne abbia interesse, ossia la reale possibilità - le facoltà dominicali “nel” sottosuolo, inteso come spazio e non come bene, salvo le numerose eccezioni stabilite dalla legge nell’interesse generale, e salvo che non abbia concesso ad altri tali facoltà e, in particolare, lo jus aedificandi(18).
Ma se passiamo dalle teorie e dalle affermazioni astratte della giurisprudenza alla realtà concreta, proprio la prassi applicativa coltivata dai notai, e soprattutto quella che risulta in materia di costituzione del diritto di superficie ai sensi dell’art. 955 c.c., azzera il divario di disciplina che si afferma intercorrere tra spazio aereo e sottosuolo, in quanto nessun riferimento viene fatto ad una presunta proprietà di quest’ultimo (come, del resto, nessun cenno risulta nelle deliberazioni comunali o negli schemi di convenzioni-tipo da allegare ai bandi di gara o agli stessi rogiti, con i quali si dispone o si prevede la «costituzione del diritto di superficie nel sottosuolo di aree pubbliche per la realizzazione di parcheggi sotterranei pertinenziali/residenziali»).
“Ordinato empirismo”? (per riprendere ancora la formula usata dagli organizzatori del convegno). Forse. Ma anche saggezza antica nel valutare e costruire il rapporto tra gli uomini e le cose, intriso di quella “fattualità” così cara a Paolo Grossi.

(Segue)

Per proseguire l’indagine in ordine ad alcuni problemi connessi alla costituzione del diritto di superficie, con riguardo ai quali importante può essere l’apporto del Notariato, va ricordata la non inusuale prassi, più sopra segnalata, di circoscrivere la concessione dello jus ad aedificandum nel sottosuolo, espressamente individuando tipologia, consistenza e intensità dell’intervento edificatorio: così, in particolare, nelle convenzioni per la costruzione di parcheggi sotterranei multipiano, laddove il concedente sia un soggetto pubblico.
Sotto il profilo civilistico, può rilevarsi come tale soluzione abbia il vantaggio di evitare l’insorgere di eventuali controversie tra dominus soli e superficiario in ordine allo sfruttamento di future ed ulteriori possibilità edificatorie nel sottosuolo(19).
Si pensi, ad esempio, ad una negoziazione per la costruzione di parcheggi interrati multipiano: il proprietario del suolo può scegliere di vendere il terreno al costruttore oppure di costituire a favore dello stesso un diritto di superficie nel sottosuolo, indicando genericamente le opere che potranno essere realizzate, o, al contrario, limitandole ai livelli ed al numero di box autorizzati dal Comune. A parte la prima ipotesi (rispetto alla quale si potrebbe aggiungere la variante della vendita del terreno con permuta della proprietà superficiaria di un certo numero di garages, intesi quali beni futuri), le altre due fattispecie conducono ad esiti differenti nell’ipotesi in cui il Comune, in seguito ad una variante, consenta l’edificazione di ulteriori livelli di parcheggio. Se nell’atto è stata identificata oltre alla tipologia anche la consistenza ed intensità dell’intervento edificatorio, in collegamento con il progetto all’epoca consentito, sarà il proprietario del suolo a poter sfruttare tale possibilità (magari da nuovamente cedere, dietro corrispettivo, allo stesso costruttore, come può risultare da apposita clausola inserita nell’originario contratto costitutivo del diritto di superficie). Se, viceversa, vi è stata un’indicazione generica delle opere da realizzare, sarà il titolare del diritto di superficie che, previa autorizzazione comunale, potrà realizzare ulteriori box(20).
Problemi similari si possono porre con riguardo alla costituzione di un diritto di superficie al di sopra dell’altrui proprietà, sia questa costituita da un mero terreno o da un’altra costruzione già esistente: ancora la prassi notarile conosce sia la possibilità di circoscrivere i poteri edificatori concessi al terzo, sia la costituzione del diritto senza limiti (da esercitarsi ovviamente nel rispetto della disciplina urbanistica e, quindi, degli standards planovolumetrici).
La stessa Cassazione ha avuto cura di precisare che «Il diritto di superficie, salvo che il titolo non ponga limiti di altezza al diritto di sopraelevazione, non si esaurisce con l’erezione della costruzione sul lastrico, né il nuovo lastrico si trasforma in bene condominiale, poiché il titolare della superficie, allorché eleva una nuova costruzione, anche se entra automaticamente nel condominio per le parti comuni ad esso, ha un solo obbligo nei confronti dello stesso, cioè quello di dare un tetto all’edificio, ma resta sempre titolare del diritto di sopralzo che è indipendente dalla proprietà della costruzione. E, dunque, il titolare della superficie non subisce alcuna limitazione all’esercizio del diritto di sopraelevazione»(21).

Breve miscellanea

A scorrere la giurisprudenza, sempre per rimanere nell’ambito di questioni per cosi dire “classiche”, si scoprono anche casi di concorrenza tra il diritto di superficie ed altro diritto reale. Esemplare, per la sua stranezza, la contemporanea costituzione, a carico dello stesso immobile e tra le medesime parti, sia di un diritto di superficie da esercitarsi nello spazio aereo soprastante l’immobile, sia di una servitù altius non tollendi(22). Secondo una ormai datata decisione della Suprema Corte(23)si realizzerebbe in tal caso una situazione in cui sono contemporaneamente tutelati due interessi contrapposti: quello a edificare e quello a che non si costruisca su uno stesso fondo, facoltà che si escludono a vicenda, con la conseguenza che l’accordo sarebbe nullo per indeterminatezza dell’oggetto. Diverso avviso manifesta, invece, in un’altra più recente pronuncia(24): nel cassare la sentenza di merito, coerente all’impostazione sopra ricordata, la Corte afferma infatti essere invece consentita siffatta possibilità, espressione di autonomia negoziale, «spettando al giudice di merito, nell’indagine sulla comune intenzione dei contraenti, accertare se la volontà delle parti sia stata quella di assicurare, con tale assetto negoziale, una posizione di privilegio ad una parte rispetto all’altra, concretantesi nella facoltà di scegliere tra l’edificazione ed il mantenimento della visuale anche dopo che il diritto di superficie sia estinto per non uso»(25).
È stato altresì ritenuto possibile - ma il caso è assai più lineare - attribuire «ad una parte il diritto di sopraelevare una porzione dell’edificio comune ed ad un’altra il diritto di acquistare la proprietà del lastrico di copertura risultante da tale costruzione, trattandosi di diritti che possono coesistere nella loro pienezza, in quanto non si limitano reciprocamente in alcun modo, sicché non occorre dirimere, in base al criterio della priorità, alcun contrasto tra atti che abbiano dato luogo a situazioni giuridiche tra loro incompatibili»(26).
Questione diversa riguarda la qualificazione del rapporto di interdipendenza tra la proprietà del suolo e quella superficiaria, realizzata al di sopra o al di sotto dello stesso: in tal caso, sul rilievo che «il fondo sottostante è tenuto a sopportare il peso dell’edificio sovrastante», si configura la relazione come “servitus oneris ferendi”, con conseguente applicazione delle norme in materia di servitù(27).

La trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà

Spostando l’indagine, ancora circoscritta alla prospettiva civilistica, sui problemi sollevati dall’applicazione di leggi speciali, un cenno merita la nota questione della c.d. “trasformazione della proprietà superficiaria in proprietà piena”, di cui all’art. 31, commi 45, 47 e 48 della L. 448 del 1998 (è la legge finanziaria del 1999). Tale norma ha previsto la possibilità per i Comuni di cedere in proprietà le aree già concesse in diritto di superficie che siano ricompresse nei Peep. L’asserita “trasformazione” avviene a seguito di proposta del Comune e di accettazione da parte dei singoli proprietari degli alloggi per la quota millesimale corrispondente, dietro pagamento di un corrispettivo determinato dall’Ufficio tecnico del Comune, sulla base di dati parametri, parametri invero assai vantaggiosi per gli acquirenti.
La vaghezza della disposizione legislativa, formulata secondo un lessico approssimativo, è evidente (ma è, questa, purtroppo una caratteristica sempre più ricorrente del nostro legislatore): l’espressione “trasformazione del diritto di superficie in diritto di piena proprietà sulle aree”, oltre ad avere una valenza atecnica e meramente descrittiva, sembrerebbe ipotizzare un esito giuridicamente irrealizzabile. In base alle regole generali, infatti, all’acquisto di una quota di comproprietà del suolo non dovrebbe seguire il conseguimento della piena proprietà dei singoli alloggi, tramite consolidazione parziale, trattandosi di due posizioni soggettive non omogenee, che continuerebbero a coesistere senza potersi fondere.
Per il superamento di tale “impasse” e la concreta realizzazione della complessa operazione economica, fondamentale è stato il contributo del notariato, anche per le soluzioni proposte negli studi promossi dal CNN(28), da singoli Consigli notarili(29), o autonomamente svolti da autorevole dottrina notarile(30). È stata, infatti, sostenuta la tesi, assai convincente, della “consolidazione parziale legale”, rilevandosi come l’art. 31 della citata legge del 1998 costituisca una norma che, «nel configurare la convenzione di trasformazione e nel tipizzarne gli effetti, rappresenta e fonda la necessaria deroga ai principi generali»(31). «L’acquisto della piena e definitiva proprietà degli alloggi (già in regime di proprietà superficiaria temporanea) è “da ritenersi, in altre parole” soltanto un effetto riflesso ex lege dell’acquisto della comproprietà del terreno»(32).
Si è inoltre posto in luce come «l’atto di trasformazione abbia natura di concessione-contratto, in quanto si configura da un lato come provvedimento amministrativo volto a consentire il trasferimento ai titolari delle singole unità immobiliari del diritto reale di nuda proprietà e dall’altro come negozio giuridico traslativo della medesima nuda proprietà»(33).
Sono stati poi individuati gli strumenti negoziali per realizzare detta trasformazione, ricorrendo o alla rinuncia traslativa oppure ad un negozio traslativo oneroso della nuda proprietà, atti entrambi soggetti a trascrizione, ai sensi dell’art. 2643 c.c., trattandosi di trasferimento di un diritto reale da un soggetto all’altro(34).
In ordine alle situazioni superficiarie per le quali non si sia provveduto alla trasformazione in piena proprietà, si è considerata l’esigenza di evitare che, all’estinzione del diritto di superficie per scadenza del termine, l’acquisto della proprietà piena degli alloggi vada a favore dell’Ente e degli altri Condomini, comproprietari dell’area. Allo scopo, si è suggerito di formulare da parte degli assegnatari - negli atti di trasformazione - una rinunzia anticipata all’effetto di cui all’art. 953 c.c. in tema di consolidazione, stante il carattere derogabile della norma, precisandosi che «l’acquisto degli alloggi per i quali non sia stata effettuata la trasformazione avverrà in favore del solo Comune»(35).

Diritto di superficie ed impianti fotovoltaici

Un altro settore rispetto al quale prezioso è stato l’apporto del notariato, sia nella pratica negoziale, sia per gli studi promossi dal CNN(36), o autonomamente svolti dalla dottrina notarile(37), riguarda la realizzazione su siti altrui di impianti di produzione di energie rinnovabili, in particolare impianti fotovoltaici. Tale fenomeno è stato favorito, come è noto, dalla prospettiva di incrementi finanziari rappresentati e dalla vendita dell’energia e dal contributo statale concesso ai produttori di energie alternative.
Nell’individuazione di strumenti contrattuali adeguati, si è dato ulteriore impulso al ricorso al diritto di superficie, i cui caratteri sono apparsi per taluni profili più adatti rispetto alla costituzione di diritti di natura meramente obbligatori, quali quelli derivanti dalla stipulazione di un contratto di locazione, peraltro ugualmente assai diffuso nell’esercizio di tale attività economica, stante anche i suoi minori costi (si pensi, tra l’altro, alla maggiore facilità di sciogliere il contratto, con oneri ridotti, nel caso in cui l’autorità competente non conceda gli incentivi finanziari previsti).
Si può rilevare, del resto, come nella prassi continui a sussistere «una certa contiguità tra locazione e superficie, che rende talvolta ardua la qualificazione della fattispecie in un senso o nell’altro»(38); una contiguità nel tempo antico rappresentata da un vero e proprio legame genetico - di causa ed effetto - tra locazione del suolo e diritto di superficie, il quale nel diritto romano classico aveva invero, almeno in origine, natura meramente obbligatoria(39).
Il ricorso alla costituzione di un diritto di superficie presuppone che si tratti, in ogni caso, di “costruzioni” ovvero di manufatti aventi natura “immobiliare”. In proposito, era sorto un dibattito, sotto il profilo sia civilistico sia fiscale, cui ha contribuito anche una certa difformità di vedute manifestate dalla pubblica amministrazione. L’Agenzia del territorio - nella risoluzione n. 3/T del 6 novembre 2008 - ha affermato la natura immobiliare dei pannelli fotovoltaici, con la sola esclusione degli «impianti aventi modesta potenza e destinati prevalentemente a consumi domestici»; di diverso avviso era stata inizialmente l’Agenzia delle entrate - circolare n. 46/E del 19 luglio 2007 -, per la quale tali pannelli, suscettibili di agevole rimozione e trasferimento altrove, non potevano dirsi infissi al suolo; tale impostazione, già contraddetta dalla stessa Agenzia relativamente al trattamento tributario dei contratti di leasing - circolare n. 12 dell’11 marzo 2011 -, è stata peraltro abbandonata in forza della circolare 36/E del 19 dicembre 2013 che, nel ridefinire il trattamento riservato agli impianti fotovoltaici a fini fiscali e catastali, ha affermato trattarsi di “beni immobili”.
Oggi si può, in ogni caso, ritenere pacifico, anche in considerazione delle soluzioni offerte dalla giurisprudenza (civile, amministrativa e tributaria) in ipotesi similari, che gli impianti fotovoltaici rappresentino delle costruzioni, rispetto alle quali può pertanto costituirsi un diritto di superficie, idoneo a derogare all’ “accessione” di cui all’art. 934 c.c.
In realtà, è opinione della maggioranza della dottrina(40)e della unanime giurisprudenza(41)che anche la “locazione” configuri un titolo idoneo ad evitare l’accessione, posto che l’art. 934 c.c. parla genericamente di “titolo” atto ad impedirla, senza richiedere necessariamente un titolo ad effetti reali; il proprietario del fondo e l’impresa sviluppatrice, d’altra parte, valendosi dell’autonomia contrattuale consentita alle parti dall’art. 1322 c.c., possono accordarsi in ordine alla non operatività di siffatto principio. Da ciò consegue che, come la costituzione di un diritto di superficie consente di costruire e mantenere la proprietà dell’impianto distinta da quella del suolo, analogamente anche la stipulazione di un contratto di locazione, nella forma di un accordo scritto in cui si autorizza il conduttore del fondo ad installarvi un impianto ed a gestirlo per un certo numero di anni, può sortire lo stesso effetto, effetto che talora le parti esplicitano in una clausola ad hoc (clausola che può assumere il seguente tenore «Le parti danno atto che l’Impianto ed ogni altra costruzione o manufatto a questo relativi o comunque connessi saranno di esclusiva proprietà della Concessionaria-conduttrice»)(42).
Nell’uno e nell’altro caso, altresì, l’impedimento all’accessione è correlato alla durata, rispettivamente, del diritto di superficie o della locazione, per cui alla scadenza l’impianto, in proprietà superficiaria o in proprietà per così dire “obbligatoria”, sarà acquisito dal proprietario del suolo/locatore. Peraltro, non avendo in genere il proprietario del terreno interesse all’esercizio di tale attività economica (la durata del contratto è del resto correlata alla naturale durata del pannello fotovoltaico, tendenzialmente ventennale), viene spesso disciplinato lo smontaggio e la rimozione delle strutture, facendone carico all’impresa, cui viene addossato l’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi (obbligo di cui all’art. 12, comma 4 del D.lgs. 387/2003 e successive modificazioni, decreto emanato in attuazione della direttiva 2001/77/Ce, «relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità»). Laddove l’accordo abbia assunto la forma della locazione, tale pattuizione evoca, evidentemente, il disposto dell’art. 1593 c.c., in tema di addizioni eseguite dal conduttore sulla cosa locata(43).
Se per questi profili, la scelta dell’una o dell’altra tipologia negoziale (contratto costitutivo di un diritto di superfice; locazione dell’area interessata alla costruzione) sembra presentare non rilevanti differenze (anche se non tutta la dottrina è sul punto d’accordo), altri aspetti suggeriscono di privilegiare, sotto il profilo civilistico, il rapporto reale rispetto a quello meramente obbligatorio.
Si rileva, in particolare, come la mera locazione renda la posizione del conduttore giuridicamente ed economicamente più “fragile”. Non gli sarà, ad esempio, facile trovare un terzo (ad es. una società di leasing) disposto ad acquistare il suo peculiare diritto di proprietà, dipendendo questo dal carattere meramente obbligatorio del contratto; così come non gli sarà facile ottenere finanziamenti dagli istituti di credito.
Con riguardo al primo aspetto - la vendita a terzi dell’impianto -, non è affatto certo, in primo luogo, che anche agli acquirenti possa estendersi l’impedimento all’operare dell’accessione conseguente alla stipulazione di un contratto - quello di locazione - intervenuto tra parti diverse e che, per ciò stesso, dovrebbe produrre effetto solo tra queste(44).
Se anche si ammettesse un esito siffatto, è comunque evidente che un’eventuale nullità, annullamento, risoluzione o rescissione dell’accordo negoziale, facendo rivivere l’accessione a favore del dominus soli, finirebbe per travolgere l’acquisto dell’avente causa dal conduttore. Un effetto questo che si ritiene potersi verificare anche laddove, trattandosi - come il più delle volte avviene - di un contratto di durata ultranovennale, esso sia stato trascritto (ai sensi degli artt. 1350, n. 8 e 2643, n. 8 c.c.). La trascrizione della locazione ha invero lo scopo di renderla opponibile ai terzi e cioè agli aventi causa del locatore, proprietario del fondo; è invece assai improbabile che abbia anche l’effetto di rendere a questi opponibile la vendita che il conduttore abbia fatto a terzi dei beni infissi al suolo.
Sotto questo profilo, conseguenze diverse si hanno nel caso in cui ad essere travolto per le stesse ragioni (e cioè, per nullità, annullamento, rescissione, risoluzione) sia un contratto costitutivo di un diritto di superficie. L’eventuale vendita della proprietà superficiaria, in quanto proprietà fondata su un titolo avente efficacia reale, beneficia infatti delle regole disposte per la circolazione dei diritti i cui trasferimenti sono soggetti a pubblicità immobiliare. Da ciò consegue che se il terzo acquista l’impianto in base ad un atto trascritto anteriormente alla domanda di risoluzione o di rescissione del contratto costitutivo del diritto di superficie, il suo diritto non è pregiudicato da un eventuale accoglimento della stessa (ai sensi dell’art. 2652, n. 1, c.c.); analogamente, sia pure nel ricorrere di più complessi ed articolati presupposti, in caso di accoglimento delle domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunciare l’annullamento dell’originario contratto (art. 2652, n. 6, c.c.).
I caratteri “fragili” di una proprietà che trova fondamento su di un titolo avente natura meramente obbligatoria, si riverberano altresì sulla scarsa utilizzabilità a garanzia di finanziamenti da parte delle banche, a favore sia del costruttore degli impianti, sia di un improbabile terzo acquirente. Ammesso, in astratto, che si ritenga possibile costituire - cosa di cui tutti fortemente dubitano - un’ipoteca avente ad oggetto tali beni, l’assenza di un contratto dai sicuri effetti reali rende improbabile che in concreto una banca sia indotta ad erogare un mutuo(45).
Anche con riguardo a questo secondo aspetto, non vi è invece dubbio alcuno che sia più vantaggiosa la costituzione di un diritto di superficie, che è ipotecabile, ai sensi dell’art. 2810, n. 3, c.c. L’ipoteca può essere costituita anche prima che sia stata realizzata la costruzione, per estendersi poi automaticamente alla proprietà superficiaria, il che potrà consentire al concessionario di ottenere un finanziamento per realizzare gli impianti. Tale garanzia reale può, d’altra parte, riferirsi alla proprietà separata ceduta ad un terzo, il che potrà permettere all’acquirente degli impianti di ricevere un finanziamento per l’acquisto.
Altri sarebbero gli aspetti da porre in luce - declinandoli a seconda che l’operazione economica riguardi i terreni o i lastrici solari -, aspetti di carattere ancora strettamente civilistico, oppure più propriamente correlati alle regole urbanistiche ed ai titoli edilizi che consentono la realizzazione degli impianti. Tutti profili dei quali viene comunque dato conto nei rogiti notarili e nelle diverse clausole in cui si articolano i contenuti degli atti, attraverso i quali viene attribuita forma giuridica a rapporti destinati ad offrire, sia pure nel perseguimento di prevalenti interessi economici, un piccolo contributo alla tutela della salubrità dell’ambiente, mediante l’uso di risorse energetiche non inquinanti.

Conclusioni

Tanti altri ancora sarebbero, del resto, gli aspetti interessanti che involgono l’operare del diritto di superficie, riguardato nella prospettiva della prassi notarile. Ma è ora di concludere.
Questo convegno ha, tra le sue finalità, quella di verificare l’incidenza della prassi notarile nella formazione del diritto vivente ossia di un diritto caratterizzato da una pluralità di fonti, nell’alternativa tra un’accurata opera di sistemazione delle esigenze di volta in volta espresse nella complessa realtà contemporanea ed una più decisa attività creatrice di regole nuove o diverse. Spero, con riguardo all’argomento che mi è stato assegnato, di essere stata in grado di mostrare l’una e l’altra cosa; di porre in luce cioè il tuttora vitale apporto del notariato, nonostante il nostro tempo, fuggevole, superficiale e senza memoria, non sembra esserne più pienamente consapevole.


(1) Per questa ricostruzione, G. PUGLIESE, Della superficie, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 566 e ss.; nello stesso senso, G. PASETTI BOMBARDELLA, voce Superficie, dir. priv., in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1472; P. GALLO - A. NATUCCI, Beni. Proprietà e diritti reali, in Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, VII, 2, Torino, 2001, p. 7; S. CERVELLI, I diritti reali, Milano 2001, p. 107. Per una articolata ed esaustiva esposizione della questione, cfr. A. GUARNERI, La superficie. Artt. 952-956, in Il Codice civile Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2007, p. 34 e ss.; dello stesso si veda anche la voce Superficie, in Dig. it., disc. priv., sez. civ., Torino, 1999, p. 212 e ss.

(2) Cass., 7 dicembre 1994, n. 10498; Cass., S.U., 2 giugno 1984, in Riv. not., 1984, II, p. 1265; Cass., 6 dicembre 1983, n. 7269; Cass., 30 dicembre 1977, n. 5754; Cass. 24 novembre 1970, n. 2476, in Foro it., 1972, I, c. 1592. Si veda altresì, Cass., 14 aprile 2004, n. 7051, in Riv. not., 2005, II, p. 299 e in Vita not., 2004, p. 974.

(3) Cfr. L. SALIS, La proprietà superficiaria, Padova, 1935, p. 296 e ss.; ID., La superficie, in Tratt. dir. civ., diretto da F. Vassalli, Torino, 1958, p. 8-9 e p. 37-41 e ss.; ID., voce Superficie (dir. vig.), in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 946-947; ID., «Proprietà superficiaria e proprietà separata», in Riv. giur. ed., 1993, I, p. 1026 e ss., cui si deve l’originaria formulazione della tesi della “proprietà separata”; seguono tale opinione, tra gli altri, F. ALCARO, «L’ipotesi di perimento della costruzione nella disciplina del diritto di superficie», in Riv. dir. comm., I, 1976, I, p. 156; A.RICCIO, «Il diritto di superficie, la proprietà superficiaria e la proprietà separata», in Contr. impr., 1998, p. 428 e ss.; G. GIACOBBE, La superficie, in Tratt. A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, diretto da P. Schlesinger, Milano, 2003, p. 75-76; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, 4, I, Padova, 2004, p. 518 e ss.

(4) Cass., 4 febbraio 2004, n. 2100, in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 156 e ss.; Cass., 13 febbraio 1993, n. 1844, in Riv. giur. ed., 1993, I, I, p. 1023 e ss., con nota di L. SALIS, «Proprietà superficiaria e proprietà separata», e in Giur. it., 1994, I, 1, c. 852, con nota di A.CHIANALE, «Il diritto di superficie: epitomi giudiziarie ed occasioni perdute».

(5) Cfr. A. FUSARO, «Il contributo della prassi al numero chiuso dei diritti reali», in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 519 e ss.

(6) Tra gli altri si veda, di recente, A. TORRONI, «Posti auto legge ponte e posti auto legge Tognoli: doppio tentativo di liberalizzazione», in Riv. not., 2014, p. 1044 e ss.

(7) Cfr. A. FUSARO, op. cit., p. 519.

(8) Cass., 20 marzo 2001, n. 3989.

(9) Cass., 9 marzo 2006, n. 5085, in www.altalex.com, con nota di G. MOMMO, «Condominio: il sottosuolo dell’edificio è di proprietà comune».

(10) In tal senso, F. MESSINEO, Manuale dir. civ. e comm., I, Milano, 1957, p. 500; si veda inoltre S. PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, p. 44. Analoga impostazione, relativamente allo spazio aereo, è seguita da N. COVIELLO, «Della superficie», in Arch. giur., XLVIII, 1982, p. 101 e ss., per il quale la costituzione di un diritto di superficie implica il trasferimento della proprietà dello “spazio vuoto” necessario alla costruzione dell’edificio.

(11) Cass., 9 ottobre 1956, n. 3414, in Giust. civ., 1956, I, p. 2010; si veda inoltre, Cass., 13 febbraio 1993, n. 1844, in Riv. giur. ed., 1993, I, 1023; Cass., 6 aprile 1987, n. 3318; Cass., 16 settembre 1981, in Foro it., 1982, I, 108; Cass., 7 gennaio 1980, n. 100, in Giust. civ., 1980, I, p. 571; Cass., 24 novembre 1970, n. 2476, cit. In tal senso, altresì G. PUGLIESE, op. cit., p. 623 e ss.

(12) Cass., 14 aprile 2004, n. 7051, in Riv. not., 2005, p. 299 e in Giust. civ., 2005, 11, I, p. 2755, che ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva inquadrato come diritto di superficie - come tale soggetto a prescrizione per non uso - e non di proprietà il diritto acquistato dagli attori sull’area sovrastante un fabbricato condominiale. Cfr. altresì Cass., 24 novembre 2009, n. 24701; Cass., 19 dicembre 1975, n. 4192. Sul problema, si veda la ricostruzione offerta da G. MUSOLINO, «Lo spazio aereo ed il diritto di sopraelevazione fra proprietà e diritto di superficie», in Riv. not., 2, 2005, p. 239 e ss.

(13) Cass., 14 ottobre 1988, n. 5556; cfr. inoltre Cass., 20 giugno 1983, n. 4220, in Vita not., 1983, I, p. 1056; Cass., 27 luglio 1964, n. 2073; Cass., 24 luglio 1964, n. 1994; Cass., 13 giugno 1962, n. 1463, in Riv. giur. ed., 1962, I, p. 911; v. altresì Cass., 1° marzo 1994, n. 2027. Sugli orientamenti in ordine al significato della regola di cui all’art. 1127 c.c., G. MUSOLINO, «Il diritto di sopraelevazione: le fattispecie comprese e l’obbligo indennitario», in Riv. not., 3, 2012, p. 638 e ss.; cfr. altresì C. TRINCHILLO, «Breve analisi dei rapporti tra diritto di superficie ed edificio in condominio. Il diritto di sopraelevazione previsto dall’art. 1127 c.c.», ivi, 2002, 5, p. 1129 e ss.

(14) Cass., 22 novembre 2004, n. 22032, in Guida al dir., 2004, p. 39.

(15) Cass., S.U., 4 maggio 1989, n. 2084, in Rass. dir. civ., 1990, I, p. 202 e ss., con nota di G. PASETTI BOMBARDELLA, «Preconcetti dogmatici e interpretazione contrattuale: a proposito di un usufrutto sulla superficie»; in Giust. civ., 1989, I, p. 1536; in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, p. 878; e in Riv. not., 1989, II, p. 887. In prospettiva generale, si veda, per tutti, D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato, aggiornato da A. Liserre e G. Floridia, Torino, 2001, p. 473, per il quale «la proprietà del suolo attribuisce anche il pieno ed esclusivo agere licere, cioè la piena libertà di disporre non tanto ‘dello’ spazio quanto ‘nello’ spazio sovrastante».

(16) Cass., 16 giugno 2005, n. 12880, in Vita not., 2005, p. 960, e in Giust. civ., 2006, I, p. 569 con nota di N. IZZO, «Il lastrico solare condominiale e la c.d. colonna d’aria tra diritti reali e personali». Cfr. altresì, Cass. 22 novembre 2004, n. 22032, in Giur. it., 2005, c. 1600, con nota di R. FERORELLI, «Proprietà della colonna d’aria soprastante e diritto di sopraelevazione».

(17) In proposito, sia consentito il rinvio a C. TENELLA SILLANI, I “limiti verticali” della proprietà fondiaria, Milano, 1994, p. 92 e ss. e p. 226 e ss.

(18) È la soluzione cui giungo nel lavoro monografico citato alla precedente nota; si veda altresì la voce Sottosuolo, da me redatta, in Dig., disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 643 e ss.

(19) Cfr. G. IACCARINO, «Strumenti negoziali di edilizia privata: l’esperienza del Notariato tra tradizione e nuove soluzioni. Trasferimento di beni presenti verso beni futuri: la singolare ipotesi dei parcheggi pertinenziali», in http:// elibrary.fondazionenotariato.it.

(20) Circa la necessità che la proprietà superficiaria sia oggetto di una specifica manifestazione negoziale, Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2015, in www.iusexplorer.it.

(21) Cass., 31 ottobre 2012, n. 18822, in Riv. not., 2013, 1, p. 85; in senso conforme, Cass., 23 febbraio 1987, n. 1916.

(22) Cfr. A. FUSARO, op. cit., p. 520.

(23) Cass., 24 febbraio 1978, n. 948.

(24) Cass., 24 novembre 2009, n. 24701, in Vita not., 2010, 1, p. 257; in Riv. not., 2010, 4, p. 1090, con nota di G. MUSOLINO, «La servitù altius non tollendi»; e in Riv. giur. ed., 2010, p. 427.

(25) Cass., 24 novembre 2009, n. 24701, cit.: «In base al principio dell’autonomia negoziale, deve ritenersi consentita la possibilità della contemporanea costituzione, a carico dello stesso immobile e tra le stesse parti, sia di un diritto di superficie avente ad oggetto lo spazio aereo soprastante l’immobile, sia di un diritto di servitù altius non tollendi, spettando al giudice di merito, nell’indagine sulla comune intenzione dei contraenti, accertare se la volontà delle parti sia stata quella di assicurare, con tale assetto negoziale, una posizione di privilegio ad una parte rispetto all’altra, concretantesi nella facoltà di scegliere tra l’edificazione ed il mantenimento della visuale anche dopo che il diritto di superficie sia estinto per non uso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, nel decidere in controversia vertente su un contratto di “vendita d’aria” stipulato sotto il vigore del codice civile previgente - il quale non prevedeva tra i diritti reali in re aliena il diritto di superficie - muoveva dalla premessa di principio per cui non fosse possibile operare contemporaneamente, sullo stesso immobile, la costituzione di una servitù altius non tollendi e la cessione del relativo spazio sovrastante, così da pregiudicare “in radice” la corretta indagine ermeneutica sul complessivo accordo intercorso tra le medesime parti)».

(26) Cass., 15 settembre 2014, n. 19405, in tema di trascrizione, ai fini dell’opponibilità di un atto a terzi.

(27) Cass., 21 aprile 2004, n. 7655, in Riv. not., 2005, p. 1381 e ss., con nota di A. GILETTA, «Questioni a margine della costruzioni di immobili nel sottosuolo»; e in Vita not., 2004, p. 972 e ss.; Cass., 16 settembre 1981, n. 5130, in Foro it., 1982, I, c. 108 (la questione riguardava l’usucapione della proprietà di una grotta, distinta dalla proprietà del suolo sovrastante). Un accostamento tra superficie e servitù si trova, del resto, nei lavori preparatori del codice civile, nei quali, a proposito del testo originario dell’art. 94 del Progetto del Libro terzo elaborato dalla Commissione Reale, trasfuso nel codice all’art. 952, si afferma che la norma è formulata «in modo da far comprendere che si tratta della costituzione di una vera e propria servitù, in virtù della quale il terzo può gravare il fondo altrui di un’opera a lui appartenente che egli costruirà (e allora la servitù nascerà col formarsi dell’opera); oppure con un’opera preesistente di cui il proprietario del fondo servente gli ha trasmesso la proprietà».

(28) Cfr. di G. RIZZI, «La disciplina sull’edilizia residenziale convenzionata dopo il decreto sullo sviluppo 2011», studio n. 521-2011/C, approvato dalla Commissione studi civilistici del 20 ottobre 2011; di G. CASU, «Strumenti negoziali di edilizia privata: l’esperienza del notariato tra tradizione e nuove soluzioni. In tema di trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà nei piani di zona», studio n. 2666, in Studi e materiali, 6.2, 1998- 2002, p. 806 e ss.; si veda inoltre di D. BOGGIALI - C. LOMONACO, «Codice dei beni culturali ed edifici di edilizia residenziale pubblica», studio n. 5625/C, ivi, 1, 2005, p. 250 e ss.; più in generale, v. di G. CASU, «L’edilizia residenziale pubblica: problematiche notarili», studio n. 171-2008/C, approvato dalla Commissione studi civilistici del 28 marzo 2008.

(29) Consiglio Notarile dei Distretti riuniti di Torino e Pinerolo, «“Trasformazione” di proprietà superficiaria in proprietà piena», luglio 2008, in www. consiglionotariletorino.it.

(30) G. PETRELLI, For mulario notarile commentato, I, Milano, 2001, p. 232.

(31) Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Torino e Pinerolo, cit.

(32) G. PETRELLI, op. loc. cit.; aderisce a tale impostazione A. FERRARI, «“Trasformazione” di proprietà superficiaria in piena proprietà: ma è sempre veramente piena proprietà?», in Vita not., 2012, 1, p. 556-557.

(33) Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Torino e Pinerolo, cit.

(34) G. CASU, «Strumenti negoziali di edilizia privata …», cit., p. 813 e ss., cui si rinvia anche con riguardo alla questione delle formalità della trascrizione, laddove più condomini stipulino contemporaneamente con il Comune un unico atto di trasformazione.

(35) G. CASU, op. ult. cit., p. 813-814. Accenna alla questione anche il Consiglio notarile dei Distretti riuniti di Torino e Pinerolo, cit.

(36) Si veda, ad es., di M.L. MATTIA,: «Alcune questioni civilistiche connesse alla realizzazione di un impianto fotovoltaico: prime note», Studio n. 221-2011/C, approvato dalla Commissione studi civilistici il 14 luglio 2011; e di S. GHINASSI, M.P. NASTRI, G. PETTERUTI: «Profili fiscali degli atti relativi agli impianti fotovoltaici», Studio n. 35-2011T, approvato dalla Commissione studi tributari il 15 luglio 2011.

(37) A. BUSANI, «Impianto fotovoltaico costruito su fondo condotto in locazione e principio di accessione», in Notariato, 3, 2012, p. 315 e ss.; ID., «Ma … la Tour Eiffel è un bene mobile? (Riflessioni sulla natura immobiliare dell’impianto fotovoltaico)», ivi, 2001, 3, p. 305 e ss.

(38) A. GUARNERI, op. cit., p. 95.

(39) Cfr., tra gli altri, F. SITZIA, voce Superficie, dir. rom., in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1459-1463; ID., Studi sulla superficie in epoca giustinianea, Milano, 1979, passim; F. PASTORI, La superficie nel diritto romano, Milano, 1962, passim.

(40) Si veda, tra gli altri, G. PASETTI BOMBARDELLA, voce cit., p. 1471; A. PALERMO, La superficie, in Tratt. di dir. priv. it., diretto da P. Rescigno, 8, 1982, p. 1982, p. 3; G. PUGLIESE, op. cit., p. 585; cfr. altresì, A. GUARNERI, op. cit., p. 95 e ss. Contra, M. PARADISO, L’accessione al suolo. Artt. 934-938, in Il Codice civile Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1994, p. 79-80; F. DE MARTINO, Della proprietà (artt. 810-956), in Comm. cod. civ., a cura di A.Scialoja e G.Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 436.

(41) A titolo esemplificativo, v. Cass., 21 febbraio 2005, n. 3440, in Guida al dir., 2005, 14, p. 87 e in Imm. e propr., 2005, 5, p. 284; Cass., 29 maggio 2001, n. 7300, in Giur. it., 2002, I, c. 48; Cass., 11 febbraio 1998, n. 1392, in Giust. civ., 1999, I, p. 878.

(42) Nella sopradescritta clausola si può altresì aggiungere che viene esclusa «ogni indennità ulteriore rispetto a quanto qui previsto in favore del Concedente, il quale espressamente vi rinunzia sin d’ora dichiarando che di ciò si è tenuto conto nella determinazione del corrispettivo».

(43) Tale obbligo per l’esercente di rimessa in pristino dello stato dei luoghi, a seguito della dismissione dell’impianto, deve essere espressamente contenuto nell’autorizzazione unica alla realizzazione e all’esercizio degli stessi, rilasciata dalla Regione o dalle Province delegate.

(44) A. BUSANI, op. cit., p. 322 e nota 28; cfr. inoltre A.GUARNERI, op. cit., p. 99.

(45) A. PISCHETOLA, «Impianti di produzione di energie rinnovabili: forme negoziali idonee e regime autorizzativo», in Riv. not., 2, 2011, p. 1071 e ss.

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