Le servitù prediali
Le servitù prediali
di Giuseppe Musolino
Cultore di Diritto privato, Università di Bologna
Dialettica fra tipicità e tensione all’evoluzione nella disciplina delle situazioni reali. Le servitù prediali
La disciplina delle servitù prediali(1), e dei diritti reali in genere, potrebbe apparire un campo in cui la prospettazione stessa di una ‘evoluzione’ presenta maggiori difficoltà rispetto ad altri àmbiti dell’esperienza giuridica a seguito della presenza di diversi fattori ‘stabilizzanti’, che, tuttavia, anche attraverso la prassi notarile vengono composti e rimeditati per addivenire a soluzioni evolutive utili al soddisfacimento delle esigenze concrete via via manifestate dai privati.
L’importanza del ruolo della prassi notarile nell’evoluzione dell’ordinamento costituisce un fattore consolidato se già con riguardo all’opera di Rolandino si afferma che in essa troviamo «testimonianza del coraggio del giurista, che rifugge da sicuri, ma anche imprigionanti porti», e che essa «è anche un segno di comprensione della realtà e di rivendicazione del proprio ruolo di costruttore da parte del giurista, che certo non interpretava passivamente la sua posizione di depositario della fides e della veritas»(2).
Ricordato ciò, si può constatare che l’autonomia negoziale, che particolarmente in materia immobiliare si esprime attraverso l’opera di discernimento del notaio, può dispiegarsi in termini meno ampi rispetto alla materia delle obbligazioni e dei contratti, dovendo rispettare il principio del numerus clausus; per i diritti reali si individuano, poi, generalmente caratteri di tipicità, che non appaiono sempre permeabili alle eventuali esigenze di adattamento poste dai privati; e, infine, l’ordinamento vigente risulta più che in altri àmbiti fortemente ancorato al modello delle fonti romane.
Circa il numerus clausus dei diritti reali (principio romanistico, sostanzialmente abbandonato nel diritto comune che conosce la moltiplicazione dei diritti sulle cose, ma riportato in auge nella codificazione napoleonica e nelle legislazioni ad essa ispirate), in questa sede, può ricordarsi brevemente che al legislatore rivoluzionario francese il permanere della varietà multiforme di situazioni reali appariva come un ostacolo alla libertà del singolo individuo e alla circolazione dei beni(3).
Per tale motivo, il codice napoleonico, dopo le riforme che abolirono gli istituti feudali, procedeva ad esaltare la proprietà, quale diritto naturale fondamentale sui beni, liberandola dai precedenti numerosi vincoli. Con riguardo ai diritti reali su cosa altrui, il code civil ne semplifica al massimo gli schemi ammessi, ritornando sostanzialmente ai tipi previsti dallo ius civile romano (usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali, garanzie reali) e limita ulteriormente l’incidenza di tali situazioni reali sulla proprietà sia nel contenuto, sia - ove possibile - nella durata.
Il codice civile italiano previgente riprende tali orientamenti, stabilendo pure il principio dell’affrancabilità dell’enfiteusi e di altre prestazioni e oneri perpetui; il codice vigente prevede, inoltre, la disciplina della superficie.
In base alla regola secondo cui i diritti reali di godimento costituiscono un numerus clausus, si é deciso, ad esempio, che non è configurabile un rapporto di così detto dominio utile (corrispondente a uno ius in re aliena), cioè un diritto di godere di un fondo altrui in perpetuo, non essendo, fra l’altro, consentiti, al di fuori dei casi previsti alla legge, rapporti di natura perpetua, in quanto contrari a interessi di natura pubblicistica(4).
Il principio generale del numero chiuso dei diritti reali vale naturalmente solo per i privati: al legislatore è consentita la creazione di nuove figure, quali, da ultimo, la multiproprietà, di cui si è, fra l’altro, detto che costituisce un nuovo modello soggettivo di appartenenza, segnatamente nella forma tradizionale così detta immobiliare, nel quadro della legislazione speciale di derivazione comunitaria a tutela del consumatore(5).
Il numerus clausus dei diritti reali acquista, poi, una sua valenza anche nell’ottica del diritto comunitario, ove (se si esclude l’art. 17 Carta dir. fond. Ue, circa la proprietà), in assenza di disposizioni specifiche (l’art. 345 Tratt. Fue(6), ex 295 Tratt. Ce, prevede che il trattato stesso «lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri»), i singoli Stati sono liberi di individuare le regole sui diritti reali.
Si fa riferimento, comunque, al principio di mutuo riconoscimento in tema di libera circolazione dei beni (art. 34 Tratt. Fue, ex artt. 28 e 29 Tratt. Ce) e alle deroghe al principio medesimo, previste per circostanze, giustificate da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale (art. 36 Tratt. Fue, ex art. 30 Tratt. Ce).
Tali disposizioni, se, da un lato, impongono, per quanto possibile, la libera circolazione degli strumenti giuridici, dall’altro, riconoscono la possibilità di misure restrittive, per preservare aspetti importanti di ciascun ordinamento nazionale. Per questo, si é individuata «una naturale tensione tra la funzione protezionistica del numero chiuso e la visione europeizzante del mutuo riconoscimento»(7).
Princìpi romanistici ed evoluzione della disciplina delle servitù: le servitù reciproche nel regolamento di condominio e negli atti di lottizzazione
La materia delle servitù prediali costituisce un esempio di come l’eredità romana permanga non solo nella riproduzione da parte del legislatore di singole norme o nella ripresa di singoli princìpi (talvolta non espressi, ma sottostanti alla soluzione individuata dai giuristi romani), quanto nell’accoglimento degli istituti e delle categorie stesse del diritto, così come sono state create dalla giurisprudenza del periodo classico e rielaborate nella compilazione giustinianea(8); non è un caso che la dottrina che si è prevalentemente occupata delle servitù prediali è quella dei civilisti romanisti, quali Biondi, Branca, Burdese, Grosso.
Si può constatare che l’affermazione della concezione romana dei diritti reali coinvolge i legislatori dell’Europa continentale, contribuendo a prefigurare una sorta di diritto comune europeo, a cui si è giunti non attraverso l’Unione sorta dal Trattato di Roma, ma sulla base del fondamento romanistico delle legislazioni dei singoli Stati, per la persuasione che le regole romane esercitano.
Deve, anzi, osservarsi che fra i fattori di possibile evoluzione della disciplina delle servitù prediali non può, all’attualità, menzionarsi la normativa comunitaria (in altre materie molto sviluppata)(9), come, del resto, neppure si pone il legislatore nazionale, che non è intervenuto ulteriormente dopo il codice del 1942.
Il permanere dei princìpi romani non impedisce, comunque, l’evoluzione della disciplina delle servitù, come, per esempio, dimostra l’accoglimento delle servitù reciproche, rispetto alle quali si era inizialmente opposta la regola romanistica nemini res sua servit, classificandosi l’obbligo in non faciendo come onere reale.
Successivamente, la giurisprudenza ha ammesso che le servitù reciproche non contrastano in realtà con le regole provenienti dal diritto romano, e tali servitù si sono diffuse e sviluppate nella prassi notarile con il regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, che ponga clausole limitanti i poteri dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive; e con la lottizzazione di aree fabbricabili, in cui ciascun fondo di cui il lotto si compone è al tempo stesso servente e dominante rispetto a tutti gli altri.
Con riguardo al primo esempio, una volta accettato dagli iniziali acquirenti e trascritto, il regolamento condominiale vincola, a seguire, tutti gli altri acquirenti(10); e, nelle vendite a lotti di aree fabbricabili, le limitazioni menzionate sono efficaci se nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione con i diritti e gli obblighi in esso previsti; le servitù sono operanti, dopo la vendita dei primi lotti, anche sulla restante proprietà del venditore senza che sia necessaria una loro imposizione formale(11).
Tipicità dei diritti reali e autonomia negoziale. Servitù prediali e servitù personali
Come si è accennato, oltre alla regola del numerus clausus, la stessa disciplina legislativa dei diritti reali tipici sembrerebbe lasciare margini non particolarmente ampi ai privati (e conseguentemente al notaio, che cura le operazioni adeguate, anche preparatorie e successive all’atto da compiere(12), per la creazione, la modificazione, il trasferimento di diritti) nella regolazione degli interessi di cui sono portatori e, quindi, anche nel possibile emergere di fattori evolutivi nella regolazione delle situazioni soggettive in esame.
In particolare, con riguardo ai diritti reali su cosa altrui, se nel codice del 1865, l’art. 476 dispone che le servitù personali - usufrutto, uso e abitazione - siano regolate dal titolo da cui derivano e che la legge non supplisca che a quanto non provveda il titolo (salvo che essa disponga altrimenti), nel codice attuale, tale norma non è stata riprodotta.
La disposizione abrogata derivava dall’art. 628 c.c. francese (secondo cui Les droits d’usage et d’habitation se règlent par le titre qui les a établis et reçoivent, d’après ses dispositions, plus ou moins d’étendue) e dall’art. 629 (Si le titre ne s’explique pas sur l’étendue de ces droits ils sont réglés ainsi qu’il suit), ripresi anche dal codice spagnolo, per il quale l’uso e l’abitazione sono regolati nell’ordine: dal titolo costitutivo (art. 523 c.c. spagnolo); in mancanza di disposizioni negoziali, dalla legge; e, infine, dalle norme sull’usufrutto in quanto compatibili(13).
Il progetto preliminare del codice civile italiano attuale aveva sostanzialmente riproposto nell’art.
115 il contenuto del menzionato art. 476 c.c. abr.; la legislazione vigente non ha comunque accolto la disposizione sulla preminenza del titolo nelle servitù personali e la Relazione al codice sottolinea l’intendimento di non svuotare di contenuto il diritto reale con la creazione, ad esempio, di figure anomale di esso. Sembrerebbe, dunque, potersi concludere che la volontà del legislatore sia nel senso di attribuire allo schema dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione una tipicità più rigorosa, rispetto a quella concepita dal codice previgente, riducendo corrispondentemente l’àmbito dell’autonomia negoziale nell’apportare variazioni al tipo ex lege(14).
In quest’ottica, si è giunti ad affermare che l’usufrutto e l’uso hanno un carattere determinato e certo, per cui si hanno solo due casi concreti di servitù personali: l’usufrutto e l’uso, che per gli edifici può assumere carattere di abitazione. Si afferma che le servitù personali possiedono oggi struttura tipica e manca, dunque, una categoria generale di “servitù personali”, poiché esistono solo l’usufrutto e l’uso, come diritti reali di godimento a contenuto determinato(15).
In definitiva, per ciò che riguarda la possibilità dei privati di utilizzare, nell’àmbito che più direttamente consideriamo, le libertà negoziali riconosciute dall’ordinamento (art. 1322 c.c.), il codice vigente sembrerebbe porsi in una prospettiva differente rispetto a quello abrogato, e, comunque, secondo l’impostazione complessivamente scaturita dalla codificazione napoleonica (e acquisita e affinata anche nel nostro ordinamento), i diritti reali tendono a presentarsi quali modelli in larga parte prestabiliti e indipendenti dal titolo dal quale sorgono(16).
All’interno di queste coordinate generali, veniamo, ora, alle servitù prediali, per le quali l’art. 1063 c.c. prevede che l’estensione e l’esercizio delle servitù stesse sono regolati dal titolo - e, solo in mancanza di questo, dalle disposizioni ex artt. 1064 e ss. c.c.(17)- (con formula inversa, per l’enfiteusi, l’art. 957 c.c. stabilisce che le disposizioni ex lege si applicano salvo che il titolo disponga altrimenti).
Il quadro prospettatoci dall’ordinamento, nella lettura che di esso compiono l’interpretazione dottrinale e quella giurisprudenziale sembrerebbe presentarsi, dunque, almeno in parte differente rispetto a quanto si è detto con riguardo all’usufrutto: nelle servitù prediali, fermo il principio dell’utilitas, l’autonomia privata si esplica con maggiore ampiezza, spettando alla volontà delle parti definire i limiti entro i quali si comprimono le facoltà dominicali del proprietario del fondo servente e si ampliano le prerogative a vantaggio del fondo dominante(18).
Per questo, si è giunti a osservare che solo partendo dal titolo e, dunque, dall’atto costitutivo della servitù prediale volontaria «è consentito stabilirne i tratti che il legislatore ha disegnato solo nei contorni, affidando agli autori dell’atto costitutivo la determinazione e di conseguenza la regolamentazione.
Lo statuto del diritto reale trova nell’atto negoziale la sua fonte e la sua regola con una sovrapposizione fra impegni e facoltà che dalla relazione obbligatoria si distingue per il confronto che si instaura fra i praedia anziché fra i soggetti»(19).
La regola dell’atipicità delle servitù prediali. La servitù che realizza la cessione di cubatura e la servitù per gli impianti eolici
In generale, la possibilità che si presenta ai privati di conformare la realtà giuridica secondo gli interessi di cui sono portatori trova la propria principale espressione in materia di servitù prediali nella duttilità e varietà del loro oggetto: tale duttilità consente alle servitù medesime di evolversi in relazione alle necessità via via emergenti (da ultimo, come stiamo per vedere, è sorta la servitù per gli impianti eolici).
Le servitù, fermo restando il carattere indispensabile dell’utilità a favore di un fondo, possono avere qualsiasi oggetto: si parla di atipicità delle servitù(20), pur in presenza di tipi che possiamo definire normali, secondo la pratica e la tradizione romanistica (per esempio, servitù di passaggio, servitù di acquedotto, servitù di stillicidio).
L’atipicità delle servitù prediali volontarie costituisce un elemento che è giunto eccezionalmente a influenzare anche le servitù coattive (considerate generalmente tipiche) aventi natura pubblica, come dimostra una recente pronunzia, secondo cui, essendo consentito all’autorità amministrativa costituire una servitù di contenuto non previsto specificamente nell’ordinamento, ma indicato nel provvedimento amministrativo, è ammissibile la servitù prediale coattiva pubblica per gli impianti eolici(21).
Osservato ciò, in mancanza di una regolazione legislativa che riguardi partitamente le singole servitù, soccorre generalmente la tradizione e l’elaborato sviluppo, che ha avuto ogni singola figura di servitù prediale, consentendo all’interprete di trarre profitto dalle categorie e dalle classificazioni romane, corrispondenti sostanzialmente alle servitù maggiormente usuali del diritto moderno(22).
Se, dunque, permane una forte continuità fra i tipi conosciuti dalle fonti romane e gli attuali, la realtà giuridica - anche grazie al determinante contributo della prassi notarile - conosce la formazione di nuove servitù, che sorgono in relazione alle esigenze socio-economiche odierne.
Un esempio viene dato dalla cessione di cubatura: benché non sempre la giurisprudenza ne abbia riconosciuto la natura reale, proprio la prassi notarile ha spesso ritenuto comunque preferibile configurarla attraverso un atto costitutivo di servitù a favore del fondo dominante, che acquista la cubatura spettante a un’area limitrofa (fondo servente).
La fattispecie in esame appare classificabile come servitus altius non tollendi o non aedificandi: tale inquadramento ha consentito - rispetto alla soluzione di considerare la cessione di cubatura come un contratto a effetti meramente obbligatori - la trascrizione nei registri immobiliari e, quindi, la pubblicità a favore dei terzi(23).
Vincoli reali e obbligatori sugli immobili e prassi negoziale
Svolte le considerazioni di cui sopra circa i fattori che tendono a stabilizzare la materia dei diritti reali, si può osservare che il principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c. (che si pone in rapporto con l’art. 41 Cost., secondo cui l’iniziativa economica privata è libera) consente anche di regolare gli interessi relativi allo sfruttamento delle utilità fondiarie, evitando sostanzialmente il rigore della tipicità dei diritti reali su cose altrui, attraverso la costituzione di rapporti meramente obbligatori. A questo riguardo, la facoltà attribuita, come conferma la giurisprudenza, dall’ordinamento vigente trova ampio riscontro nella prassi negoziale romana, che non si limitava a seguire gli schemi già precostituiti delle servitù prediali. Si tendeva, infatti, a configurare negozialmente i rapporti per rispondere a esigenze concrete, moltiplicando i contenuti delle servitù latamente intese; la giurisprudenza romana provvedeva, poi, di volta in volta, ad accogliere il rapporto pratico nello schema dello ius predii (servitù prediale: D. 8, 3, 3) o a porlo fra i rapporti obbligatori (D. 8, 4, 13 pr.; D.
33, 1, 12) oppure entro un diverso schema reale, come l’usufrutto o l’uso (D. 8, 3, 6 pr.; D. 7, 1, 32)(24). Nel diritto giustinianeo, poi, fra l’usufrutto e l’uso, da una parte, e le servitù prediali, dall’altra, viene riconosciuta una figura intermedia: la servitus personae o hominis, comunque, elaborata sulla base di elementi classici e avente lo stesso contenuto della relativa servitù prediale(25).
Anche secondo l’ordinamento vigente, in cui, senz’altro per i diritti reali, un’opera di discernimento è posta in essere grazie all’intervento professionale del notaio, è possibile - invece di prevedere l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento (che si configura come una qualitas fundi) del primo al secondo - stabilire un obbligo personale, avente natura di servitù irregolare, configurabile quando il diritto attribuito sia previsto per un vantaggio della persona indicata nel relativo atto costitutivo, senza alcuna funzione di utilità fondiaria(26).
Una tale convenzione negoziale può inquadrarsi nell’àmbito del diritto reale di uso, oppure in uno schema obbligatorio (locazione o affitto, se il bene è produttivo, o - se a titolo gratuito - comodato, o, ancora, rapporto atipico)(27). In entrambi i casi, secondo la giurisprudenza, il diritto trasferito, attesane la natura personale e - con riferimento alla sola ipotesi della locazione o del comodato - il carattere meramente obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di un’ulteriore, apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene “asservito”(28).
La servitù irregolare può sorgere anche a causa dalla mancanza di forma scritta necessaria per la creazione della servitù prediale. Ad esempio, una volta provato un accordo verbale fra le parti relativo al passaggio, sul fondo di una di esse, della rete fognante proveniente dal fondo dell’altra, l’accordo stesso, pur inidoneo a configurare un valido contratto costitutivo di una servitù di scarico, per difetto della forma scritta richiesta ad substantiam, é apparso tuttavia idoneo a costituire una servitù irregolare, a carattere non reale ma obbligatorio, sussistendo i requisiti necessari per la conversione del contratto nullo ai sensi dell’art. 1424 c.c.(29).
Servitù prediali, servitù irregolari e atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
La dottrina notarile ha ripreso la questione delle servitù prediali e delle servitù irregolari con riguardo all’introduzione nell’ordinamento dell’art. 2645-ter c.c., secondo cui - come noto - gli atti in forma pubblica, con i quali beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, vengono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiata, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione.
Sempre tale norma prevede, inoltre, che i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione(30).
Si è osservato che non si può negare che il meccanismo del vincolo possa essere adottato per avvicinarsi,
‘imitandolo’, a qualche singolo diritto reale, e «ottenere risultati ulteriori (magari in violazione) rispetto al diritto reale tipico»: il principio dell’art. 2645-ter c.c. presenta un «non disprezzabile significato nel superare certe attuali carenze riguardanti i diritti reali di godimento» e, in particolare, la norma menzionata viene proposta in relazione al disposto dell’art. 1028 c.c., riguardante la destinazione industriale del fondo.
Si ritiene, infatti, che possa essere utilizzato per realizzare una fattispecie rapportabile alla servitù aziendale(31). La ratio del vincolo viene individuata nella possibilità di circolazione del diritto insieme con l’azienda, poiché la persona fisica beneficiaria appare tale anche per il suo collegamento con l’impresa. In tale fattispecie, la circolazione è, comunque, sempre collegata alla determinabilità di un certo beneficiario.
«Ovviamente sarà l’autonomia privata che dovrà chiarire il punto (anche per quanto concerne la cedibilità per consenso anticipato del costituente il vincolo) e, sempre ovviamente, la trasmissibilità sarà apprezzata sotto il profilo del ‘meritevole’. In altre parole, il costituente il vincolo può prevedere che la destinazione di un bene sia correlata ai bisogni di ‘quel’ beneficiario come fine primario e in questi casi, salvo eccezioni, la regola sarà l’incedibilità. Ma può essere che la ragione del vincolo consista, invece, nell’esaltare gli aspetti valoristici di un bene (ad esempio quando il vincolo concerne un’azienda) in quanto collegato ad un soggetto che si vuole favorire e, in questi casi, mi sembra, la soluzione dovrà intendersi rovesciata e ben potrà ritenersi cedibile la posizione soggettiva, ad esempio, a favore del nuovo titolare dell’azienda»(32).
L’utilitas e la questione della servitù di parcheggio
Un ulteriore (rispetto all’oggetto) possibile fattore evolutivo delle servitù prediali è dato dall’elemento dell’utilità: l’utilitas è fondamentale per individuare l’esistenza stessa e la possibilità di costituzione del diritto de quo.
Per determinare l’utilitas, nell’ordinamento vigente come in quello romano, è necessario avere riguardo al suo fondamento oggettivo e reale sia dal lato attivo, sia da quello passivo: essa deve costituire un vantaggio diretto del fondo dominante, uno strumento per migliorare l’utilizzazione di quest’ultimo. Rimane, quindi, attuale la definizione romana: l’utilitas è qualitas fundi, ut bonitas, salubritas, amplitudo (D.
50, 16, 86), che viene tenuta presente, ad esempio, dai passi in D. 8, 3, 4; D. 8, 3, 5 e D. 8, 3, 6, ove serve per distinguere fra servitù prediali e servitù personali (usufrutto e uso)(33).
A questo riguardo, prendiamo spunto da questioni con frequenza presenti nei rogiti notarili, occupandoci dell’utilizzo dei posti di parcheggio in edifici condominiali (e correlativamente della problematica delle servitù irregolari); ulteriori spunti verranno tratti dalla possibilità di applicazione dell’art. 1052 c.c., sul passo coattivo, alle abitazioni civili.
Il parcheggio dell’automobile (e, in genere, di veicoli) in spazi condominiali non viene considerato rientrare normalmente nello schema di alcun diritto di servitù: si è precisato che il parcheggio di autovetture su di un’area può costituire manifestazione legittima di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù.
Quest’ultimo diritto è, infatti, contraddistinto dalla così detta realitas (intesa come inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso), che nell’ipotesi in esame si ritiene difetti: si considera presente, infatti, una mera commoditas di parcheggiare l’auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate), commoditas che non appare in alcun modo integrare gli estremi dell’utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio personale dei proprietari(34).
Queste considerazioni comportano, fra l’altro, che, in tema di possesso, l’utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un’area condominiale ai fini di parcheggio, non è tutelabile con l’azione di reintegrazione del possesso di servitù prediale, nei confronti di colui che, nell’asserita qualità di proprietario, l’abbia, ad esempio, recintata o abbia apposto una sbarra all’ingresso del cortile, precludendone l’accesso ai terzi.
Al fine dell’esperimento dell’azione di reintegrazione occorre, infatti, un possesso qualsiasi anche se illegittimo e abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell’auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù prediale(35). La clausola negoziale con cui venga costituita una servitù di parcheggio può, così, dare luogo a una servitù irregolare (ricorrendone i presupposti) oppure essere nulla, per impossibilità dell’oggetto(36).
L’utilitas nelle servitù e i valori costituzionali
Quale esempio in senso evolutivo, questa volta positivo ai fini del riconoscimento dell’utilitas (e, quindi, della servitù prediale), si può portare la servitù coattiva di passaggio per fondo non intercluso, di cui all’art. 1052 c.c., secondo cui il proprietario di un fondo con accesso alla via pubblica inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo medesimo e non ampliabile, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino - comma 1 -, purché venga accertata la necessità della servitù per rispondere alle esigenze dell’agricoltura o dell’industria - comma 2 -(37).
In base alla norma in esame, dunque, il passaggio non spetta di diritto, poiché, come viene precisato nella relazione al Re (n. 498) e nella relazione della commissione reale (p. 87), la costituzione della servitù de qua viene subordinata alla presenza di un interesse collettivo.
Ciò costituisce un’innovazione sia con riguardo alla disciplina romana (D. 11, 7, 12) sia rispetto al codice previgente(38), poiché bastava un accesso insufficiente o inadatto e non ampliabile, affinché il richiedente avesse diritto alla costituzione del passaggio, senza necessità di esigenze di carattere generale.
A questo riguardo, per un’evoluzione attraverso il parziale ritorno su nuove basi all’antico, si evidenzia l’intervento giurisprudenziale che, dapprima seguendo puntualmente le indicazioni della Corte costituzionale, e poi generalizzandole, ha ampliato la gamma delle esigenze che consentono l’acquisizione della servitù di passaggio(39).
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1052, comma 2, c.c., nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo possa essere concesso dall’autorità giudiziaria, se la domanda risponde alle esigenze di accessibilità - di cui alla legislazione riguardante i portatori di handicap - degli edifici destinati a uso abitativo(40).
Le esigenze abitative sono, infatti, riferibili agli interessi fondamentali della persona e l’omessa previsione dell’esigenza di accessibilità della casa di abitazione, da un lato, lede il principio personalista che ispira la Costituzione (fine ultimo dell’organizzazione sociale è lo sviluppo di ogni singolo soggetto); dall’altro, impedisce o ostacola la socializzazione degli handicappati, comportando anche una lesione del diritto di costoro alla salute psichica, tutelata come quella fisica (art. 32 Cost.).
Sempre alla luce del dettato costituzionale, la previsione della servitù in esame trova conferma considerando la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), poiché il peso imposto sul fondo altrui appare potersi annoverare fra i limiti alla proprietà privata determinati dalla legge per assicurarne la funzione sociale stessa(41).
Quanto al requisito dell’utilitas, l’accessibilità propria degli edifici abitativi non è riferibile alla persona dei proprietari più che ad una qualitas fundi (e non difetta, quindi, il carattere della predialità proprio delle servitù): le norme sull’eliminazione delle barriere architettoniche hanno, infatti, posto l’accesso agevole agli immobili per persone con ridotta capacità motoria come requisito oggettivo ed essenziale degli edifici privati di nuova costruzione, a prescindere dalla loro concreta appartenenza a soggetti portatori di handicap.
Se l’accessibilità costituisce una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione a uso di civile abitazione (art. 2, L. n. 13 del 1989; art. 2, D.m. 14 giugno 1989, n. 236)(42), ciò può, tuttavia, risultare insufficiente rispetto allo scopo perseguito, qualora le innovazioni necessarie alla piena accessibilità dell’immobile risultino nel caso concreto impossibili oppure eccessivamente onerose o, comunque, di difficile realizzazione.
In relazione a tali fattispecie, la mancata previsione dell’accessibilità dell’immobile fra le esigenze che ex art. 1052, comma 2, c.c., legittimano la costituzione della servitù coattiva di passaggio, dunque, lede i princìpi costituzionali che l’accessibilità dell’abitazione è intesa a realizzare.
La predialità non appare, inoltre, incompatibile con una nozione di utilitas che abbia riguardo, specie per gli edifici di civile abitazione, alle condizioni di vita dell’uomo in un determinato contesto storico e sociale, purché detta utilitas sia inerente al bene, così da potersi trasmettere a ogni successivo proprietario del fondo dominante.
Dopo la pronunzia costituzionale, la giurisprudenza ha fatto applicazione della nuova portata dell’art.
1052 c.c.(43): la medesima questione dell’interesse generale all’accessibilità delle abitazioni proprie o altrui, con riguardo alla tutela di soggetti con difficoltà motorie, si è proposta anche assumendosi che l’abbattimento o l’aggiramento di un ostacolo che si trova dinanzi alla soglia di casa costituisce, per tali soggetti, il superamento di un ostacolo sul cammino verso la normalità, per cui il giudice può ordinare a un condominio di astenersi dal porre autovetture o motocicli o altri mezzi meccanici nell’area antistante la proprietà del disabile e di consentire allo stesso il passaggio con autovettura per raggiungere la propria abitazione(44).
Nel varco apertosi con le pronunzie a favore di soggetti a vario titolo svantaggiati, si è poi fatta strada un’interpretazione ulteriormente estensiva dell’art. 1052, comma 2, c.c., che tende di fatto a riportare l’applicabilità della norma vigente a ogni fattispecie in precedenza possibile oggetto della corrispondente disposizione del codice del 1865: si ammette che la costituzione della servitù in esame possa avvenire, in genere, anche ai fini di consentire una piena accessibilità alla casa di abitazione, indipendentemente dai requisiti necessari per adibirla alle necessità di soggetti portatori di handicap(45)e la dottrina considera possibile l’applicazione analogica dell’art. 1052, comma 2, c.c., qualora si sia in presenza di scopi di rilevanza sociale non inferiore a quella delle esigenze agricole oppure industriali(46).
(1) Al riguardo, R. TRIOLA, Le servitù, in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2008; A. BURDESE, Le servitù prediali. Linee teoriche e questioni pratiche, Padova, 2007; G. BRANCA, Servitù prediali, 6 ed., in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1987; M. COMPORTI, Le servitù prediali, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, vol. 8, Proprietà, t. II, Torino, 1982; P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali, Milano, 1974; B. BIONDI, Le servitù, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, vol. XII, Milano, 1967; G. GROSSO e G. DEIANA, Le servitù prediali, 3 ed., in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1963; F. MESSINEO, Le servitù, Milano, 1949; L. BARASSI, I diritti reali limitati, Milano, 1947; L. CARIOTA FERRARA, Delle servitù prediali, in Comm. cod. civ., a cura di D’Amelio e Finzi, Libro della proprietà, Firenze, 1942.
(2) In questi termini, I. BIROCCHI, Autonomia privata tra ordini e mercato: leggendo Rolandino, Domat e Portalis, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, a cura di F. Macario e M.N. Miletti, Milano, 2006, p. 105.
(3) In materia, ex multis, I. BIROCCHI, op. cit., p. 126, secondo cui, caduta la visione gerarchica della società e venuta meno l’idea che questa rispondesse a una convergenza metafisica dei fini, la nuova concezione orizzontale del consorzio civile, basata sull’eguaglianza di diritto, comportava la ricostituzione della stessa intorno al valore terreno dei beni e all’iniziativa di ciascuno per raggiungere il proprio benessere. Di qui la centralità della proprietà, che, tendenzialmente libera da vincoli, rientra in una prospettiva dinamica, dove la tutela del godimento e della disponibilità è in funzione non solo della possibilità che i beni vengano messi a frutto, ma anche dell’«incessante movimento per scambiarla». La proprietà, da perno dell’ordine economico naturale, assurgeva a fondamento dell’ordine sociale, poiché collegata al «commercio abbandonato a se stesso», cioè al mercato, pensato come compositore dell’equilibrio tra le esigenze disparate nascenti da bisogni e aspettative individuali. Sul numero chiuso dei diritti reali, fra gli altri: M. COMPORTI, Tipicità dei diritti reali e figure di nuova emersione, in AA.VV., Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, vol. II, Milano, 2006, p. 769; V. MANNINO, «La tipicità dei diritti reali nella prospettiva di un diritto europeo uniforme», in Europa e dir. priv., 2005, p. 945; A. FUSARO, «Il numero chiuso dei diritti reali», in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 439; E. CATERINI, Il principio di legalità nei rapporti reali, Napoli, 1998; M. COSTANZA, Numerus clausus dei diritti reali e autonomia contrattuale, in Studi in onore di C. Grassetti, vol. I, Milano, 1980, p. 421; A. BELFIORE, Interpretazione e dommatica nella teoria dei diritti reali, Milano, 1979; P. VITUCCI, «Autonomia privata, numero chiuso dei diritti reali e costituzione convenzionale di servitù», in Riv. dir. agr., 1972, I, p. 855. Per una ricostruzione critica dal diritto romano al codice vigente, V. GIUFFRÈ, L’emersione dei iura in re aliena ed il dogma del numero chiuso, Napoli, 1992, passim.
(4) Cfr. Cass., 26 settembre 2000, n. 12765, in Rep. Foro it., 2000, voce Proprietà, n. 16; Cass., 1 aprile 2003, n. 4914, ivi, 2003, voce Agricoltura, n. 103, precisa che, circa i contratti agrari, l’art. 8, comma 1, L. 26 maggio 1965, n. 590, é norma di stretta interpretazione, poiché apporta speciali limitazioni al diritto di proprietà, e contempla, dunque, un numero chiuso di situazioni soggettive protette: essa non può trovare applicazione oltre i casi previsti (si tratta della medesima ratio, in base a cui i privati non possono creare iura in re aliena ulteriori rispetto a quelli ex lege).
(5) Si veda G. DI ROSA, Proprietà e contratto. Saggio sulla multiproprietà, Milano, 2002. In materia, anche: E. MALAGOLI, «La direttiva 2008/122/Ce sulla multiproprietà», in Contr. e impr./Europa, 2009, p. 984; U. MORELLO e G. TASSONI, voce Multiproprietà [aggiornamento-2003], in Digesto disc. priv., sez. civ., t. II, Torino, 2005, p. 896; G. ALPA, «Il recepimento della direttiva comunitaria in materia di multiproprietà: un’analisi comparativa», in Europa e dir. priv., 1998, p. 193; G. DE NOVA, «Multiproprietà e disciplina dei contratti», in Riv. dir. priv., 1999, p. 5; G. CASELLI, La multiproprietà, Milano, 1999; U. VINCENTI, Multiproprietà immobiliare, Padova, 1992; A. DE CUPIS, «Multiproprietà e comproprietà», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 1024; F. SANTORO PASSARELLI, «Multiproprietà e comproprietà», ibidem, p. 19.
(6) La denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostituisce quella di “Trattato che istituisce la Comunità europea” ed è prevista dall’art. 2, punto 1, L. 2 agosto 2008, n. 130 (ratifica e esecuzione del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, modificante il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi).
(7) Così, C. COSENTINO, Forme di appartenenza e interessi protetti. Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, Napoli, 2010, p. 182. Sulla possibilità di applicare i princìpi della normativa comunitaria nella disciplina dei diritti reali, caratterizzata dalla regola del numero chiuso, si veda B. AKKERMANS, The Principle of Numerus Clausus in European Property Law, Antwerp-Oxford-Portland, 2008, p. 525. Circa i diritti reali e, in particolare, la proprietà nel diritto europeo e comunitario, a cura di G. D’Amico, Proprietà e diritto europeo, Napoli, 2013; C. CASTRONOVO e S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, vol. II, Proprietà, obbligazioni, contratti, Milano, 2007, p. 2; e, in generale, sulla Carta dei diritti fondamentali Ue, P. GROSSI, «Le molte vite del giacobinismo giuridico (ovvero: la ‘carta di Nizza’, il progetto di ‘costituzione europea’, e le insoddisfazioni di uno storico del diritto)», in Jus, 2003, p. 405.
(8) Ex multis, F. MESSINEO, op. cit., p. 32; e, per la dottrina notarile, E. MARMOCCHI, Presentazione del tema, in Le servitù prediali fra tradizione e attualità, a cura di Marmocchi, Milano, 2012, p. 9 e ss., che qualifica i brocardi, attraverso cui si esprime la disciplina delle servitù, meccanismi concettuali di stabilizzazione. Per il diritto romano, fra gli altri: F. TUCCILLO, Studi su costituzione ed estinzione delle servitù nel diritto romano, Napoli, 2009; M.F. CURSI, Modus servitutis. Il ruolo dell’autonomia privata nella costruzione del sistema tipico delle servitù prediali, Napoli, 1999; A. BURDESE, voce Servitù prediali (diritto romano), in Noviss. Dig. it., vol. XVII, Torino, 1976, p. 118; G. GROSSO, Le servitù prediali nel diritto romano, Torino, 1969; B. BIONDI, Le servitù prediali nel diritto romano, 2 ed., Milano, 1954; ID., La categoria romana delle servitutes, Milano, 1938. Più in generale, per elementi di interpretazione storica sui diritti reali, P. GROSSI, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, Napoli, 2006; ID., Il dominio e le cose - Percezioni medievali e moderne nei diritti reali, Milano, 1992; G. GROSSO, Schemi giuridici e società nella storia del diritto privato romano, Torino, 1970; ID., I problemi dei diritti reali nell’impostazione romana, Torino, 1944. Sull’importanza della tradizione giuridica, in generale, si veda, per tutti, P. GROSSI, Introduzione, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, cit., p. 10, che afferma: «Il richiamo alla tradizione significa diffidenza verso ogni improvvisazione e volontà di costruire non sull’effimero, facendo tesoro di quei momenti dialettici, che sono la ricchezza dei tempi trascorsi, che consolidano il presente grazie a un prezioso contrappunto comparativo».
(9) La stessa giurisprudenza non ha avuto occasione di pronunziarsi in materia, se non con Corte giust. Ce, grande sez., 16 luglio 2009, n. 428, H. c. Secretary of State for Food, in Dir. economia, 2009, p. 831, e Riv. dir. agr., 2009, 3, p. 208, secondo cui uno Stato membro può comprendere nelle proprie norme per le buone condizioni agronomiche e ambientali ai sensi dell’art. 5 e dell’all. IV, regolamento Ce del Consiglio 29 settembre 2003, n. 1782 (che stabilisce norme comuni sui regimi di sostegno diretto nell’àmbito della politica agricola comune, istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e modifica precedenti regolamenti), requisiti di manutenzione dei sentieri visibili gravati da servitù di passaggio pubblico, purché detti requisiti contribuiscano a mantenere tali sentieri come elementi caratteristici del paesaggio o, eventualmente, a evitare il deterioramento degli habitat.
(10) Cfr. Cass., 15 aprile 1999, n. 3749, in Vita not., 1999, p. 778.
(11) Cfr. Cass., 10 ottobre 2000, n. 13487, in banca dati Leggi d’Italia; Cass., 2 giugno 1992, n. 6652, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 1029. Sulle servitù reciproche, BRANCA, op. cit., p. 65; BIONDI, Le servitù, cit., p. 116; TRIOLA, op. ult. cit., p. 29.
(12) Per quanto riguarda la funzione, le obbligazioni e le relative responsabilità del notaio, si rimanda, da ultimo, a G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, 2 ed., in Il Codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2014, p. 541 e ss.; fondamentale rimane F. CARNELUTTI, «La figura giuridica del notaro», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 921.
(13) A questo riguardo, J. PUIG BRUTAU, Fundamentos de derecho civil, 2 ed., t. III, vol. 2, Barcelona, 1973, p. 363. Rispetto al codice del 1865, G. VENEZIAN, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, in Dir. civ. it., a cura di Fiore, continuato da Brugi, 2 ed., vol. II, rivisto da Maroi, Napoli-Torino, 1936, p. 914, osserva che il titolo può dare un regolamento più esteso, conferendo facoltà proprie dell’usufrutto (facoltà di vendere i prodotti del fondo; o di locare la casa), o può restringere o determinare la misura del frui, ma non fino a sottrarre l’uso alle sue cause necessarie di estinzione. I privati potrebbero, poi, modificare i limiti negativi ex lege (destinazione economica del bene, soddisfacimento di bisogni attuali dell’usuario), ma non attribuire solo singole facoltà (si creerebbe un diritto atipico e obbligatorio) o consentire la facoltà di cessione, che snatura l’uso in usufrutto. Per B. WINDSCHEID, Diritto delle Pandette, trad. di Fadda e Bensa, vol. I, rist., Torino, 1930, § 207, p. 743 e ss., se il diritto di uso è il diritto di usare di una cosa altrui, impiegandola agli scopi raggiungibili senza appropriazione dei frutti, tuttavia il soggetto a cui è concesso il diritto «non è limitato necessariamente al suindicato contenuto; egli può benissimo in un dato caso avere anche un diritto di godimento dei frutti più o meno esteso, come pure la facoltà di cedere l’uso ad altri. È cioè possibile che il concedente abbia voluto di più di quanto portano le espressioni: diritto d’uso, uso; in questo caso l’interprete può ben far valere, di fronte all’espressione imperfetta, la vera volontà del concedente», particolarmente in materia testamentaria.
(14) Sul punto, in questo senso: D. BARBERO, L’usufrutto e i diritti affini, Milano, 1952, p. 52; G. GROSSO, Questioni in materia di usufrutto con riguardo al nuovo codice civile, in Scritti storico giuridici, t. II, Diritto privato. Cose e diritti reali, Torino, 2001, p. 407. In materia, anche G. MUSOLINO, L’usufrutto, nella collana Strumenti del diritto. Diritti reali, a cura di Boero e Musolino, Bologna, 2011, p. 143.
(15) In questo senso, si esprime L. BARASSI, I diritti reali limitati, Milano, 1947, p. 110.
(16) Si veda A. NATUCCI, La tipicità dei diritti reali, Padova, 1982; M. COSTANZA, «Realità e relatività della situazione proprietaria», in Giust. civ., 2008, I, p. 1260, comunque, rileva che l’affermazione di principio circa la tipicità dei diritti reali non appare trovare sempre pieno riscontro: lo stesso legislatore «non ha escluso la modulazione delle relazioni fra il soggetto e la res quale conseguenza di specifiche determinazioni convenzionali attraverso le quali le regole della titolarità reale si intensificano o si attenuano, generando diritti e obblighi che relativizzano la situazione soggettiva in funzione delle esigenze dei singoli interessati». Circa il diritto di uso, G. PALERMO, L’uso, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 2 ed., vol. 8, Proprietà, t. 2, Torino, 2002, p. 144, rileva che l’uso «non si riduce a singole forme di utilizzazione, anche se il titolo - legale o negoziale - di acquisto originario o derivativo del diritto può in certa misura condizionare, e variamente circoscrivere, la sfera di libera attività, riconosciuta al titolare».
(17) Cfr. Cass., 10 maggio 2004, n. 8853, in Rep. Foro it., 2004, voce Servitù, n. 12. Cass., 25 gennaio 1992, n. 820, in Arch. civ., 1992, p. 791, opportunamente precisa che, a differenza delle servitù volontarie (che possono avere a oggetto una qualsiasi utilitas, purché ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario), le servitù prediali coattive formano un numerus clausus, sono cioè tipiche (ciascuna di esse ha il contenuto predeterminato dalla legge), e non sono ammissibili altri tipi al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma, per il soddisfacimento di necessità ritenute meritevoli di tutela. Così, ad esempio, è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano, dovendosi escludere un’applicazione estensiva dell’art. 1033 c.c. sulla servitù di acquedotto, per la non assimilabilità delle due situazioni, per i caratteri peculiari di struttura e funzione di ciascuna di esse (in particolare, la pericolosità insita nell’attraversamento sotto terra delle forniture del gas non ricorre nella servitù di acquedotto).
(18) In proposito, si veda, da ultimo, G. MUSOLINO, «Il contenuto delle servitù prediali: l’oggetto e il modo», in Riv. not., 2011, p. 851.
(19) Così, M. COSTANZA, «Realità e relatività della situazione proprietaria», cit., p. 1262.
(20) In proposito, fra gli altri, P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali, cit., p. 47; M. ALLARA, Le nozioni fondamentali del diritto civile, 5 ed., vol. I, Torino, 1958, p. 598.
(21) Il riferimento è a Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3723, in Vita not., 2009, p. 875, secondo cui l’art. 1056 c.c., in base al quale ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche in conformità delle leggi in materia, integra il quadro normativo di riferimento nel senso che, se non si vuole che, in ogni occasione in cui si presenti un’innovazione tecnologica (idonea a consentire la produzione dell’energia elettrica e il suo trasferimento in modo diverso da quello tradizionale), il legislatore debba intervenire (definendo, volta per volta, le modalità di costituzione ed esercizio della servitù di sorvolo dell’area interessata), si deve coerentemente ammettere che il potere concesso all’autorità amministrativa dalle norme richiamate consenta la definizione di modalità e contenuti propri per ogni diversa tipologia di impianto produttivo di energia da fonte rinnovabile.
(22) In proposito, già R. DE RUGGIERO, Introduzione alle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile, Napoli, 1911, p. 523.
(23) Sulla cessione di cubatura è ricca la letteratura che trova spazio nelle riviste promosse dal ceto notarile (ad esempio, N.A. CIMMINO, «La cessione di cubatura nel diritto civile», in Riv. not., 2003, p. 1113; V. VANGHETTI, «Profili civilistici della c.d. cessione di cubatura», in Notariato, 1996, p. 417; P.L. TROJANI, «Tipicità e numerus clausus dei diritti reali e cessione di cubatura. Lo stato della dottrina e della giurisprudenza ed una ipotesi ricostruttiva originale», in Vita not., 1990, p. 285; P. GRASSANO, «La cessione di cubatura», in Riv. not., 1992, p. 1069; M. DI PAOLO, «Trasferimenti di cubatura d’area e numero chiuso dei diritti reali», ivi, 1975, p. 547; G.B. PICCO e A.M. MAROCCO, «I così detti trasferimenti di cubatura», ivi, 1974, p. 626; R. TRIOLA, «La cessione di cubatura: natura giuridica e regime fiscale», ivi, 1974, p. 115). Si vedano, inoltre, A. GAMBARO, La proprietà edilizia, in Tratt. dir. civ., diretto da Rescigno, VII, 1, Torino, 1982, p. 527; A. CANDIAN, voce Trasferimento di volumetria, in Digesto, disc. priv., sez. civ., (aggiornamento), Torino, 2000, p. 735; oltre a R. COLLETTI, «Le servitù e la cessione di cubatura. Spunti e riflessioni», in Nuova rass. leg. dott. e giur., 1996, p. 68.
(24) A questo riguardo, si rimanda a G. FRANCIOSI, Studi sulle servitù prediali, Napoli, 1967, p. 215.
(25) Così, B. BIONDI, La categoria romana delle servitutes, Milano, 1938, p. 429.
(26) Fra le altre, Cass., 22 ottobre 1997, n. 10370, in Rep. Foro it., 1997, voce Servitù, n. 2, e, in dottrina, da ultimo, G. MUSOLINO, Uso, abitazione e servitù irregolari, nella collana Strumenti del diritto. Diritti reali, a cura di Boero e Musolino, Bologna, 2012, p. 505 e ss., oltre a G. BRANCA, op. cit., p. 19. Nel senso dell’ammissibilità delle servitù irregolari, si veda comunque C. MAIORCA, Comm. al Codice civile, Libro della tutela dei diritti, Firenze, 1943, p. 54 e ss.; e, sotto il vigore del codice abrogato, F. SANTORO PASSARELLI, «I diritti di uso limitato», in Riv. it. sc. giur., 1927, p. 101 e ss., secondo cui è possibile costituire vincoli reali di parziale godimento su un fondo a favore di una persona, come, ad esempio, il diritto reale di uso limitato alla caccia e alla pesca, il diritto di pascolo, il diritto di attingere acqua.
(27) In tal senso, Cass., 29 agosto 1998, n. 8611, in Giur. it., 1999, c. 2267; Cass., 29 agosto 1991, n. 9232, in Rep. Foro it., 1991, voce Servitù, n. 4; Cass., 11 marzo 1981, n. 1387, ivi, 1981, voce Contratto in genere, n. 72, secondo cui il contratto con il quale una parte autorizza lo scarico di materiale di risulta su porzione di terreno di sua proprietà e l’altra si obbliga, per il caso in cui intenda effettuare lo scarico, di eseguire l’operazione in maniera da realizzare il livellamento della porzione del fondo con altra finitima (sita a livello più alto) e la sua coltivabilità, può ricondursi alla figura delle servitù irregolari.
(28) Così, Cass., 11 gennaio 1999, n. 190, in Riv. not., 1999, p. 1215, e Arch. civ., 1999, p. 999, secondo cui, ad esempio, non costituisce una duplice servitù, di passaggio e di parcheggio, una convenzione fra privati con la quale il venditore di un appartamento altresì conceda all’acquirente, in sede di stipula dell’atto pubblico di alienazione, il diritto di uso di uno scantinato al fine di parcheggiarvi un’autovettura - nonché il diritto di passaggio sull’area che ne consente l’accesso -, diritto non riconosciuto, in seguito, dagli eredi dello stesso venditore.
(29) Sul punto, Cass., 4 febbraio 2010, n. 2651, in Mass. Foro it., 2010; Cass., 27 ottobre 2006, n. 23145, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in genere, n. 556.
(30) Nell’ampia letteratura sugli atti di destinazione, fra gli altri: M. IEVA, «La trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche (art. 2645-ter c.c.) in funzione parasuccessoria», in Riv. not., 2009, p. 1289; G. PALERMO, La destinazione di beni allo scopo, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, II, 2, La proprietà e il possesso, Milano, 2009, p. 387; G. GABRIELLI, «Vincoli di destinazione importanti, separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 321; G. OPPO, «Brevi note sulla trascrizione di atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.)», in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 1; E. RUSSO, «Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati (art. 2645-ter c.c.)», in Vita not., 2006, p. 1238; F. GAZZONI, «Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c.», in Giust. civ., 2006, II, p. 165.
(31) Così, G. BARALIS, «Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter c.c.», in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, in questa rivista, 2007, p. 139 e ss., secondo cui la costituzione attraverso lo strumento indicato dall’art. 2645-ter c.c. di una tale servitù aziendale possiede «una formidabile valenza commerciale». Inoltre, «il discorso diventa più problematico quando il contenuto del vincolo si apparenta con il contenuto di un diritto reale». «Certamente può costituirsi una servitù il cui contenuto è mantenere a verde un fondo (servente) a vantaggio dell’amenità di immobili civili; può vincolarsi, però, a tali fini di amenità, ex art. 2645-ter c.c., il fondo che, nell’ipotesi di cui sopra, sarebbe servente a favore del titolare del fondo vicino? Direi sì perché il contenuto del vincolo non è eguale a quello del diritto reale (avremmo in questo caso, infatti, una servitù personale) e basta pensare alla diversa tutela della servitù, anche in sede possessoria, rispetto al vincolo e, quindi, come posso convenire in sede di diritto personale un limitato servizio a favore degli immobili civili, così potrei ‘surrogare’ la servitù con il vincolo speciale, ‘intermedio’ fra diritto personale e diritto reale. Ma il problema diventa assai più complesso in altri casi: se vincolo a favore di una persona una casa, destinandola alla sua abitazione e, dopo di lui, dei suoi eredi, con l’intesa che possono fruire dell’abitazione anche coloro che non facciano parte della famiglia di tale soggetto, e per la durata massima possibile, ho forti dubbi che il vincolo ‘resista’: esso infatti è contrario alla struttura del diritto di abitazione del quale in un certo modo il vincolo tende ad essere un surrogato, elusivo, di principi fondanti ed ineludibili del diritto reale. A mio parere in questo caso, pur dando atto della diversità delle due situazioni giuridiche dal punto di vista strutturale, il vincolo sarebbe, lo si ripete, in sostanziale contrasto con il diritto reale di abitazione e costituirebbe un mezzo indiretto per violare un aspetto fondante del diritto reale tipico in ragione della sua opponibilità che lo ‘imparenterebbe’, si fa per dire, al diritto reale. Analogamente la concessione di un vincolo di destinazione in ordine ad un immobile civile a favore di un certo soggetto, per lunga durata, con obbligo di migliorarlo e di pagare un canone periodico ripete in un certo senso lo schema enfiteutico (con l’aggravante che viene meno ogni potere di affrancazione) e valgono quindi le considerazioni relative al caso precedente». Sulle servitù industriali, si rimanda, da ultimo, a G. MUSOLINO, «Le servitù industriali e le servitù aziendali. La qualificazione della posizione soggettiva in considerazione del modus servitutis e della distinzione fra utilitas e commoditas», in Riv. not., 2013, p. 72.
(32) Il riferimento è nuovamente a G. BARALIS, op. cit., p. 148.
(33) A questo riguardo, da ultimo, M.F. CURSI, op. cit., p. 230. Sulla nozione di utilitas, fra gli altri, P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali, cit., p. 117; G. BRANCA, op. cit., p. 17.
(34) Cfr. Cass., 6 novembre 2014, n. 23708, in Foro it., 2015, I, c. 3416, con nota di BONA, «Per la servitù di passaggio»; Cass., 13 settembre 2012, n. 15334, in Riv. not., 2012, 1134, con nota di G. MUSOLINO, «Il parcheggio fra servitù prediale, servitù irregolare e servitù personale (diritto di uso)», e Giust. civ., 2012, I, p. 2271; Cass., 23 settembre 2009, n. 20409, in Nuova giur. civ. e comm., 2010, p. 279, con nota di ESPOSITO, «Considerazioni sull’ammissibilità della servitù di parcheggio»; Cass., 21 gennaio 2009, n. 1551, in Rep. Foro it., 2009, voce Possesso, n. 2; Cass., 28 aprile 2004, n. 8137, in Arch. circolaz. e trasp., 2004, p. 972.
(35) Si esprimono in tal senso: Cass., 13 settembre 2012, n. 15334, cit.; Cass., 21 gennaio 2009, n. 1551, cit.
(36) Cfr. Cass., 6 novembre 2014, n. 23708, cit., secondo cui tale nullità può essere dedotta per la prima volta anche in sede di legittimità ai sensi dell’art. 1421 c.c.
(37) In materia, G. BRANCA, op. cit., p. 226; A. BURDESE, Le servitù prediali, cit., p. 242, nt. 172; M. G. GROSSO e G. DEIANA, op. cit., p. 1752; M. COMPORTI, Le servitù prediali, cit., p. 234; M. COSTANZA, «Il comma 2 dell’art. 1052 e la rispondenza alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria», in Giust. civ., 2007, I, p. 687. Sulla le servitù di passaggio coattivo, anche G. MUSOLINO, «Servitù di passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso», in Riv. not., 2007, p. 943; P. VITUCCI, «Per l’interpretazione razionale delle norme sull’ampliamento coattivo del passaggio e sul passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso», in Dir. e giur. agr. e amb., 1994, p. 268; D. BARBERO, «Il sistema degli artt. 1051 e 1052 c.c. nella determinazione del passaggio coattivo», in Riv. dir. civ., 1962, I, p. 103.
(38) Per l’art. 593 c.c. abr., il proprietario del fondo circondato da fondi altrui, o che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto di ottenere il passaggio sui fondi vicini per la coltivazione e l’uso conveniente del proprio fondo stesso (comma 1); la stessa disposizione si applica a chi, avendo un passaggio nei fondi altrui, abbisogni, al fine suddetto, di ampliarlo per il transito di veicoli (comma 3). Sulla corrispondenza fra D. 11, 7, 12 e la disciplina degli artt. 1051, 1052 e 1053 c.c., si veda L. BARASSI, I diritti reali limitati, cit., p. 215.
(39) Per P. VITUCCI, Utilità e interesse nelle servitù prediali, cit., p. 119 e ss., peraltro, «l’utilità, caratteristica della servitù controllata sì dalla legge, ma foggiata dalle parti a mezzo del contratto e sulla misura del loro interesse, si presenta in funzione così spiccatamente individuale, da sfuggire al confronto con le più avanzate formule costituzionali: a queste manca tuttora quel tanto di rodaggio sul piano dei rapporti interprivati, che consenta di dire se il controllo possa esercitarsi sull’atto costitutivo, contrapponendo i limiti dell’art. 41 Cost. alla tradizione individualistica del contratto, ovvero a livello dell’effetto, cercando di modellare l’utilità della servitù sulla funzione sociale della proprietà o sul fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo (art. 42 e 44). Le idee nuove e la realtà normativa in cui esse si sono tradotte stentano insomma a far presa su materie che una tradizione di raffinato tecnicismo sembra voler mettere al riparo da ogni progresso … davvero vitale deve dirsi l’idea di fondo dell’istituto, se neppure l’insensibilità di esso alle spinte dei tempi nuovi riesce a renderlo desueto».
(40) Cfr. Corte cost., 10 maggio 1999, n. 167, in Riv. not., 1999, p. 978, con nota di F. GAZZONI, «Disabili e tutela reale», e Giur. cost., 1999, p. 1615, con nota di P. VITUCCI, «Il passaggio coattivo e le persone handicappate», e Rass. dir. civ., 1999, p. 688, con nota di P. PERLINGIERI, «Principio personalista, funzione sociale della proprietà e servitù coattiva di passaggio».
(41) In tema di funzione sociale della proprietà, oltre a RENNER, Gli istituti del diritto privato e la loro funzione sociale, Bologna, 1981, si segnalano: G. B. FERRI, «La formula “funzione sociale” dalle idee del positivismo giuridico alle scelte del legislatore del 1942», in Riv. dir. priv., 2003, p. 673; L. PERFETTI, «Libertà economiche e loro funzione sociale nel disegno della carta costituzionale», in Iustitia, 1989, p. 170; P. PERLINGIERI, «Proprietà, impresa e funzione sociale», in Riv. dir. impr., 1989, p. 207; G. ALPA, «Funzione sociale della proprietà e potere di destinazione dei beni», in Quad. reg., 1988, p. 37; U. NATOLI, «“Funzione sociale” e “funzionalizzazione” della proprietà e dell’impresa», in Riv. giur. lav., 1973, p. 139; i tre diversi saggi di L. NIVARRA, U. MATTEI e M.R. MARELLA, raccolti sotto il titolo comune «Il ritorno della funzione sociale della proprietà», in Riv. crit. dir. priv., 2013, p. 503 e ss.
(42) Sul requisito legislativo sotteso all’art. 1052, comma 2, c.c. della necessità di un interesse generale, osserviamo che la normativa ha innalzato il livello di tutela dei portatori di handicap, segnando un mutamento di prospettiva (la tutela di tali soggetti é divenuta uno dei motivi di fondo della legislazione abitativa) rispetto al modo stesso di affrontare le questioni attinenti alle persone invalide, questioni considerate ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dovere essere assunti dall’intera collettività.
(43) Cfr. Cass., 28 gennaio 2009, n. 2150, in Riv. not., 2009, p. 1521, con nota di G. MUSOLINO, « La servitù coattiva di passaggio per fondo non intercluso e gli interessi generali della collettività».
(44) Sul punto, Trib. Catanzaro, 9 febbraio 2010, n. 177, ined., ma rinvenibile in banca dati De Jure.
(45) A questo riguardo, cfr. Cass., 16 aprile 2008, n. 10045, in Vita not., 2008, p. 957.
(46) Si esprime in tal senso C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. VI, La proprietà, Milano, 1999, p. 684.
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