L’intervento del notaio nelle procedure concorsuali: tra vendita secondo il codice di rito, procedure competitive e altri atti dispositivi
L’intervento del notaio nelle procedure concorsuali: tra vendita secondo il codice di rito, procedure competitive e altri atti dispositivi
di Guido Federico
Consigliere della Corte di Cassazione

Introduzione

La liquidazione dell’Attivo fallimentare, pur profondamente rivisitata dalla Riforma, ha mantenuto l’obiettivo di attuare la massima realizzazione dell’Attivo per consentire il miglior soddisfacimento dei creditori.
Sono assenti dal Fallimento, (e in certa misura anche dal Concordato preventivo e dalle altre procedure concorsuali) quegli elementi, più direttamente inerenti alla salvaguardia dei livelli occupazionali ed al c.d. risanamento aziendale che caratterizzano l’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi(1). Accantonata l’abusata nozione di “Privatizzazione delle procedure concorsuali” che, come tutti gli slogan, non solo non rende la complessità dell’istituto, ma è anzi foriera di possibili equivoci e fraintendimenti, mi pare si possano individuare alcune linee guida, che caratterizzano la liquidazione dell’Attivo fallimentare, dopo la Riforma:
a) Il curatore ha la funzione di procedere in via diretta alla gestione ed alla liquidazione del patrimonio fallimentare, con assunzione diretta di responsabilità delle scelte strategiche e gestionali e degli esiti della liquidazione dell’Attivo.
Viene demandata al Comitato dei creditori, ottimisticamente qualificato come «espressione collettiva dell’interesse comune del ceto creditorio» (cosí la Relazione di accompagnamento), il compito di effettuare le valutazioni sulla convenienza economica delle operazioni liquidatorie. Viene dunque attribuito al Comitato dei creditori :
- l’approvazione del programma di liquidazione (art. 104-ter comma 1);
- autorizzazione al curatore a riduzione di crediti, transazioni, rinunzia alle liti, ricognizione di crediti ed atti in genere di straordinaria amministrazione (art. 35 comma 1);
- autorizzazione a non acquisire all’attivo o rinunziare a liquidare uno o più beni (art. 104-ter comma 7);
b) La liquidazione dell’attivo diventa “liquidazione programmata”:
A differenza della normativa antecedente, in cui non era prevista alcuna scansione temporale dell’attività di liquidazione ed il curatore era sostanzialmente libero di procedere alla liquidazione dei beni nei tempi ritenuti più opportuni, nel nuovo sistema è espressamente prevista all’art. 104-ter L.fall. la predisposizione da parte del curatore entro 60 gg. dall’inventario, di un programma di liquidazione che costituisce l’atto di pianificazione ed indirizzo di modalità e termini di realizzazione dell’attivo fallimentare(2).
È possibile derogare alle previsioni del piano e procedere alla liquidazione prima dell’approvazione dello stesso «solo quando dal ritardo può derivare pregiudizio all’interesse dei creditori» (art. 104-ter comma 6).
Il Programma di liquidazione è dunque un atto di indirizzo generale, paradigma dell’attività liquidatoria che individua la strategia di approccio della crisi che il curatore intende perseguire, diretto ad ottimizzare tempi e risultati improntando la procedura a celerità ed efficienza gestionale.
Il Programma deve contenere precisi ed analitici impegni operativi ed è vincolante per il curatore, sí che il mancato rispetto senza giustificato motivo può essere fonte di responsabilità e causa di revoca dell’incarico.
Senza poter evidentemente approfondire l’argomento in questa sede, si puô in sintesi affermare che il Programma dev’essere caratterizzato da analiticità e completezza, ma essere pure dotato di una certa flessibilità, come tutti gli atti che si proiettano in un certo lasso temporale(3).
Con le Misure urgenti in materia fallimentare civile e processuale, di cui al D.l. 83/2015 conv. nella L. 132/2015, è stato inoltre introdotto l’obbligo per il curatore di indicare il termine entro il quale dovrà essere completata la liquidazione dell’attivo, termine che non potrà in ogni caso eccedere i due anni, salva la sussistenza di ragioni che, in relazione a determinati cespiti dell’attivo, non consentano il rispetto di tale termine e che devono essere specificamente indicate.
c) Assume una evidente centralità, in precedenza ignorata (quanto meno a livello legislativo, seppure non nelle “best practies” dei tribunali fallimentari(4)) la res azienda, tanto che si dà la prevalenza alla vendita unitaria del complesso aziendale o di suoi rami rispetto alla vendita atomistica dei singoli beni. Occorre al riguardo fare una precisazione, per eliminare ogni rischio di contraddizione con quanto indicato in premessa, sulle - immutate - finalità della procedura fallimentare.
La centralità della vendita unitaria dell’azienda non significa che il fallimento si ispiri ad una nuova prospettiva di recupero della capacità produttiva dell’azienda, o che in esso confluiscano interessi economici e sociali più ampi, che privilegino il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale.
La funzione del fallimento, preso atto delle nuove caratteristiche dell’azienda, il cui valore principale è sempre più frequentemente costituito da beni immateriali, va piuttosto considerata non più in termini liquidatori-sanzionatori, ma in modo da salvaguardare, ove possibile, l’unitarietà delle strutture aziendali.
E ciò in quanto la vendita unitaria, con una sorta di presunzione di miglior efficienza allocativa, appare normalmente idonea a massimizzare il valore dell’azienda e realizzare quindi il maggior soddisfacimento dei creditori.
La conservazione dei valori aziendali esprime dunque un concetto completamente diverso dal risanamento in quanto la conservazione attiene più specificamente al complesso aziendale mentre il risanamento concerne l’impresa(5).
In particolare, il mantenimento del complesso aziendale è uno strumento conservativo che può essere finalizzato al risanamento ma anche ad altri scopi, tra cui quello liquidatorio, che è certamente privilegiato nel fallimento, mentre nel nuovo Concordato possono convivere entrambe le funzioni. Ciò appare evidente nella recente novella legislativa D.l. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo) conv. nella L. 134/2012, che ha introdotto il c.d. “Concordato con continuità”, che si aggiunge alle precedenti forme di Concordato e si presta a svolgere una funzione di riorganizzazione dell’azienda, con possibilità di salvaguardia del valore di impresa, in via diretta da parte dello stesso imprenditore, o da altri.
Infine va senz’altro evidenziata una deformalizzazione e flessibilità della liquidazione, dettata dall’esigenza di adattare lo strumento (o meglio gli strumenti) liquidatori alle concrete esigenze della procedura e della realtà aziendale da allocare, sempre al fine della migliore e più celere realizzazione dell’attivo.
In questa prospettiva del tutto scontato appare il riferimento al notaio, quale figura istituzionale che, anche alla luce della peculiare esperienza che da oltre un ventennio è stata sperimentata nell’esecuzione individuale, può in concreto coniugare al meglio le esigenze di trasparenza che sono naturalmente connaturate alla procedura concorsuale, con altrettanto evidenti esigenze di efficienza e celerità(6).

La nuova “vendita” fallimentare

La vendita competitiva

Norma di riferimento della nuova vendita fallimentare è l’art. 107 L.fall., sorta di “norma generale di chiusura”, che, con la nozione di Vendita competitiva, introduce la più evidente novità della nuova liquidazione fallimentare.
Com’è noto il D.lgs. 169/07 (c.d. Correttivo) ha previsto, con l’art. 107 comma 2, la possibilità per il curatore di prevedere nel programma di liquidazione che le vendite di beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate secondo le disposizioni del codice di rito in quanto compatibili, affiancando cosí tale modalità alla c.d. “Vendita competitiva”, che risulta il paradigma generale della vendita.
È peraltro sufficiente mettere a confronto il I e II comma della citata disposizione, per rilevare come il criterio ordinario, la regola della liquidazione venga individuato nel ricorso alle Procedure competitive. La “vendita competitiva” è inoltre espressamente richiamata dall’art. 105 L.fall. come ordinaria modalità per la vendita dell’azienda.
Anche dopo il Correttivo, dunque, la nozione di Procedure competitive mantiene carattere di centralità nella liquidazione fallimentare e costituisce l’elemento di maggiore difficoltà ricostruttiva, in quanto non si innesta su un paradigma già predisposto dal legislatore(7).
A seguito delle già citate Misure urgenti ex D.l. 83/2015 conv. nella L. 132/2015, il modello competitivo diviene il paradigma liquidatorio anche del Concordato preventivo, prevalendo anche sul c.d. “concordato preconfezionato”, nel quale, cioè, il proponente abbia già individuato nella proposta un acquirente dell’azienda, di uno dei suoi rami ovvero di specifici beni.
L’apertura di un “procedimento competitivo” prevale, dunque, sulla proposta concordataria confermandosi in tal modo che la modalità competitiva della vendita e l’apertura al mercato costituisce un criterio inderogabile della liquidazione, che viene sottratto all’“area disponibile” dell’accordo concordatario e prevale sull’autonomia privata.
Le nuove disposizioni in materia di concordato preventivo, che introducono l’art. 163-bis, specificamente intitolato “offerte concorrenti”, e modificano l’art. 182, indicano chiaramente la prevalenza del modello competitivo sulle modalità liquidatorie individuate nella proposta concordataria.
Tali modalità assumono dunque valore meramente orientativo, vista l’introduzione di un procedimento competitivo, che, analogamente a quanto stabilito in materia fallimentare, individua quali requisiti essenziali della liquidazione dei beni (ma anche dell’affitto di azienda e degli atti di straordinaria amministrazione) la predisposizione di adeguate forme di pubblicità ex art. 490 c.p.c. e l’apertura al mercato con eventuale gara tra più offerenti(8), quali pre-requisiti di legittimità di ogni vendita in ambito concordatario.
Sulla base di quanto desumibile dalle pur scarne disposizioni dell’art. 107 comma 2 può affermarsi che il nuovo modello, che si impone, anche alla luce delle menzionate modifiche in materia di concordato preventivo, sempre di più come paradigma generale della liquidazione in ambito concorsuale, contraddice e supera l’equazione tra rigido formalismo e trasparenza, ed in questo senso appare diretta emanazione delle best practies delle esecuzioni individuali, che hanno dimostrato come efficienza e flessibilità possono ed anzi devono coesistere con la massima trasparenza. Viene così affermandosi un modello idoneo a relazionarsi adeguatamente al mercato, intercettandone le esigenze e recependone gli strumenti di maggiore efficacia, al fine della realizzazione del miglior prezzo di realizzo, sia in ambito fallimentare che di concordato preventivo, senza però alcun compromesso in termini di garanzie e trasparenza.
Ma il ricorso al nuovo modello appare altresì riconducibile e costituisce, a parere di chi scrive, la diretta conseguenza di due profonde innovazioni della nuova liquidazione dell’Attivo:
- Il ruolo propulsivo, di assoluto protagonista della fase liquidatoria, attribuito al curatore;
- L’assunzione della vendita dell’intero complesso aziendale, dei suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili “in blocco” quale prioritario parametro d’azione, assumendo la liquidazione parcellizzata dei singoli beni carattere del tutto residuale.
In tale prospettiva appare, evidentemente, del tutto anacronistica oltre che fonte di inutili complicazioni la rigida distinzione della struttura procedimentale della vendita sulla base alla differente natura dei beni, laddove il codice di rito non prevede (e non consente) invece la vendita del complesso aziendale. La nuova vendita competitiva risulta allora improntata ad un criterio di semplificazione unitaria, ma anche di flessibilità dei modelli di liquidazione al fine (come espressamente ribadito nella Relazione di accompagnamento) di intercettare il più efficiente modello relazionale con il mercato.
Il legislatore della Riforma non ha dunque delineato un determinato modello procedimentale, limitandosi a tracciare una sorta di cornice, volta ad individuare i tratti essenziali e le condizioni imprescindibili, più che una precisa struttura, della vendita, mantenendo quale principale criterio di riferimento quello di economicità e di realizzazione del maggior soddisfacimento dei creditori.
In via di prima approssimazione può dunque affermarsi che la nozione di procedure competitive implica l’assunzione di un modello decisionale di selezione dell’aggiudicatario che assume a suo connotato intrinseco l’apertura alla competizione tra gli offerenti quale essenziale strumento per coniugare la necessaria rapidità con la trasparenza e l’individuazione del miglior prezzo, che solo l’apertura al mercato e dunque il riscontro delle offerte concretamente prestate in relazione ad un determinato bene, può consentire(9).
Questo mi pare il principale criterio ispiratore della Vendita fallimentare dopo la Riforma, criterio guida delle scelte gestionali degli organi della procedura.
Tale modello “aperto” risulta dunque caratterizzato da un nucleo essenziale di condizioni fondative ed imprescindibili:
a) adeguatezza informativa: forme di pubblicità adeguate alla natura ed al valore dei beni;
b) congruità dei valori di stima, garantita dalla nomina di operatori esperti;
c) deformalizzazione del procedimento di vendita, per consentire la necessaria flessibilità, che sia però presidiato da regole certe e predeterminate;
d) un sistema incrementale di offerte, quale strumento di selezione dell’aggiudicatario.
Nei limiti di tali condizioni, al curatore è attribuita un’ampia discrezionalità nel determinare il modello di vendita più adeguato, consentendo cosî di adattare la realizzazione delle attività della procedura alle esigenze del caso concreto.

Relazione tra gli organi della procedura

Prima di esaminare la natura dell’intervento del notaio nelle procedure concorsuali e segnatamente nell’attività liquidativa appare opportuno affrontare, su un piano generale, i rapporti tra gli organi della procedura nell’ambito alla liquidazione dell’attivo, anche alla luce delle modifiche apportate dal Correttivo.
La reiterata affermazione del curatore quale organo propulsivo della liquidazione fallimentare e l’attribuzione a tale organo della scelta in ordine alle modalità della vendita nonché la nuova disposizione dell’art. 104-ter L.fall., in forza della quale il G.D. non approva più il Programma di liquidazione (come nella normativa Ante Correttivo), limitandosi ad autorizzare gli atti ad esso conformi, impone un riesame delle Relazioni tra gli organi del fallimento nella liquidazione dell’Attivo.
Se la centralità del ruolo del curatore nella realizzazione del patrimonio fallimentare costituisce una precisa scelta legislativa ed un essenziale elemento di novità della Riforma, deve ritenersi che tale accresciuta autonomia non possa svolgersi senza un adeguato contrappeso sul piano del controllo giurisdizionale, onde l’interpretazione” riduttiva” che tende ad escludere ogni possibilità del G.D. di incidere sul Programma di liquidazione non appare condivisibile.
Seppure la lettera dell’art. 104-ter L.fall. sembra limitare alla sola conformità al programma l’ambito di controllo del G.D., tale norma non può che leggersi alla luce del generale potere di vigilanza che gli artt. 25, 31 e 36 L.fall. attribuiscono all’organo giurisdizionale, nonché alla luce dei principi della legge delega la quale, com’è noto, all’art. 1 comma 6 lett a, n. 10, prevede «la predisposizione da parte del curatore di una programma di liquidazione da sottoporre, previa approvazione del comitato dei creditori all’autorizzazione del G.D».
Sul piano generale dell’equilibrio tra le funzioni dei diversi organi della procedura non può evidentemente immaginarsi l’attribuzione al G.D. di un mero compito di certificazione delle scelte effettuate dal curatore ed approvate dal comitato dei creditori.
Fermo dunque il generale potere del G.D. di vigilare e controllare la regolarità della procedura, l’autorizzazione ex art. 104-ter L.fall. introduce, o meglio esplicita uno specifico controllo sul momento attuativo, e tale controllo, sebbene successivo all’approvazione del programma, è “controllo pieno di legalità” ed ha ad oggetto sia la conformità dell’atto al programma, come specificamente previsto dall’art. 104-ter L.fall., che, in generale, la sua legittimità(10).
Tale controllo costituisce dunque essenziale momento di completamento della generale approvazione del programma, spettante al comitato dei creditori.
Questa diversificazione appare funzionale al nuovo assetto degli organi della procedura.
Al Comitato dei creditori vengono riservate le scelte di merito sulle modalità gestionali, mentre all’organo giurisdizionale viene mantenuto l’essenziale controllo di legalità degli atti di gestione, che non può peraltro che essere analitico, ed avere ad oggetto i singoli atti di liquidazione.
A conferma di tale assunto devono evidenziarsi:
a) la prassi adottata da moltissime sezioni fallimentari dei Tribunali di emanare indicazioni e disposizioni di carattere generale ai curatori sui criteri per la redazione del Programma di liquidazione e sulle diverse modalità di liquidazione dell’attivo.
b) il mantenuto potere di revoca del curatore da parte del G.D.;
c) il potere sostitutivo del G.D. al comitato dei creditori in caso di inerzia o impossibilità di funzionamento di tale organo ex art. 41 comma 4 L.fall.
d) il potere generale di sospensione della vendita in capo al G.D. ex art. 108, comma 1, L.fall. «qualora ricorrano gravi e giustificati motivi».
In conclusione non mi pare che possa parlarsi di degiurisdizionalizzazione della liquidazione dell’attivo, ove con tale nozione si intenda una esclusiva attribuzione al curatore della responsabilità della realizzazione del patrimonio fallimentare.

Delega ai notai

Passando al ruolo dei soggetti esterni nella liquidazione si osserva che il presupposto normativo dell’intervento del notaio (come di altri professionisti) nelle procedure concorsuali viene comunemente individuato, a parte la previsione generale di cui all’art. 32 L.fall. - in forza della quale il curatore può delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del Comitato dei creditori - in due disposizioni della Liquidazione dell’attivo, gli artt. 104-ter comma 3 e l’art. 107 comma 1 L.fall., la prima inserita nella disciplina del Programma di liquidazione, l’altra in quella che regola la vendita fallimentare.
Le due disposizioni, a parte una certa imprecisione terminologica, sono - credo volutamente - caratterizzate da genericità ed indeterminatezza semantica sì da consentire, attribuendone la scelta agli organi della procedura, di modulare l’intervento del notaio (e degli altri professionisti) nella liquidazione dell’attivo con estrema varietà di modi e gradi di intensità.
La possibilità di esternalizzazione va dunque dal compimento di singoli atti, quali, tipicamente, la Relazione notarile ex art. 567 c.p.c., ovvero la stipula dell’atto di vendita all’esito di procedura competitiva gestita dal curatore, alla delega della stessa fase della vendita.
Alla vendita competitiva si affianca inoltre, come già rilevato, la vendita secondo il codice di rito di cui all’art. 107, comma 2, L.fall.
Considerata dunque l’ampiezza e eterogeneità delle forme che l’intervento del notaio può rivestire nella procedura fallimentare, non sembra possibile attribuire connotazione unitaria all’intervento suddetto.
L’ipotesi forse meno problematica è la vendita secondo il codice di rito ex art. 107, comma 2, L.fall. In questo caso non mi pare sussistano dubbi circa la diretta applicabilità dell’art. 591-bis c.p.c. e devono quindi ritenersi del tutto valide le conclusioni della prevalente dottrina, che qualifica l’attività del notaio come “sostitutiva” di quella del giudice(11).
In questo caso, analogamente a quanto previsto nell’esecuzione individuale, il G.D. delegherà direttamente il notaio per l’espletamento della vendita e, non sussistendo, evidentemente, alcun problema di compatibilità dell’istituto della delega ex art. 591-bis c.p.c. con la sede concorsuale(12), l’intervento del notaio avrà la stessa natura e gli stessi caratteri che nell’esecuzione individuale: egli, dunque, redigerà l’avviso di vendita, curerà la pubblicità, fisserà le modalità della vendita e tutti gli altri adempimenti.
Diversa è invece la posizione del notaio in caso di “vendita competitiva”.
Qui il criterio di riferimento non è più l’art. 591-bis c.p.c. e la disciplina del codice di rito (richiamata dall’art. 107 comma 2 L.fall.) e l’intervento del notaio trova il suo fondamento nella disciplina della legge fallimentare.
Anche in forza della legge fallimentare, come abbiamo visto, le attività di vendita possono essere oggetto di delega, il cui contenuto e limiti non sono specificamente determinati.
Il notaio può essere delegato al compimento di singoli atti della vendita competitiva, come la redazione della relazione notarile o l’atto di vendita, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, vale a dire un negozio avente natura privatistica, all’esito di procedimento di selezione dell’acquirente mediante procedura competitiva.
In questo caso il ruolo del notaio è senz’altro riconducibile alla figura dell’ausiliario, ma, coerentemente con quanto già rilevato in ordine alle relazioni tra gli organi della procedura, non mi pare che la posizione di tale organo possa ricondursi a quella dell’ausiliario del curatore ex art. 32 L.fall., quanto piuttosto di ausiliario del G.D., organo cui è, come abbiano visto, demandato il controllo di legalità della liquidazione, che si estrinseca in forme specifiche, in relazione ai singoli atti, ed in forma generale, mediante le istruzioni, circolari etc. etc. emanate dalle Sezioni fallimentari dei diversi Tribunali, circa i criteri generali e le modalità della liquidazione.
Giova ribadire che esula dalla competenza del G.D. ogni valutazione sul “merito” e sulla “convenienza” delle scelte di liquidazione, ma spetta invece all’organo giurisdizionale un pieno controllo di legalità e quindi, in particolare, sull’osservanza, da parte del curatore, dei parametri di legittimità della vendita competitiva indicati nell’art. 107 comma 2 L.fall. come sopra evidenziato.
In ultima analisi, seppure in via immediata e diretta è il curatore ad esercitare l’attività gestionale e di liquidazione, deve ritenersi riconducibile al G.D., mediante l’attività di autorizzazione e controllo di legalità e di decisione dei reclami eventualmente proposti avverso gli atti posti in essere dal curatore, la riferibilità della liquidazione dell’attivo.
È dunque in via diretta all’autorità giurisdizionale che il notaio si rapporta.
Ciò premesso, deve rilevarsi che pure nell’ambito della vendita competitiva, può essere delegata al notaio l’intera fase della vendita.
Il che è certamente possibile, sulla base dell’ampia previsione dell’art. 104-ter L.fall. («il curatore può essere autorizzato dal G.D. ad affidare talune incombenze …») e comunemente praticato, in alcuni Tribunali, soprattutto per la cessione di azienda e per la vendita di immobili.
Mi sembra interessante, in questa sede, richiamare la prassi del Tribunale di Bologna che prevede, valorizzando la previsione dell’art. 104-ter L.fall. che anticipa già alla fase della Programmazione il coinvolgimento del professionista, che la sezione del Programma che riguarda specificamente la vendita dei beni venga redatta, congiuntamente, da curatore e notaio, ottimizzando, già in questa fase, la specifica competenza del notaio al fine di effettuare un programmazione precisa ed analitica su tempi e modalità della vendita, inserendo già nel Programma di liquidazione talune indicazioni sul contenuto dei successivi atti di vendita e clausole di particolare utilità per l’alienazione del bene. Anche in questo caso il notaio svolge funzione di ausiliario del Giudice, esercitando, questa volta, un’attività che non è integrativa ma sostitutiva di quella del curatore fallimentare, che, secondo la previsione dell’art. 107 L.fall. è l’organo cui è demandato il compito di procedere alla gestione e liquidazione del patrimonio fallimentare.
Ulteriore spunto di riflessione è dato dalla prassi del Tribunale di Bologna che, anche nel caso di vendita competitiva, e quindi anche al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 107, comma 2 - vendita secondo il codice di rito - prevede che il trasferimento del bene sia attuato mediante un decreto di trasferimento, emesso dal G.D., per la cui redazione il G.D. delega un notaio.
Presupposto di tale prassi è la considerazione che la vendita competitiva non è un rigido schema procedimentale ma un “modello aperto”, o, se si preferisce, una cornice, con l’unico limite del rispetto delle condizioni fondative di cui all’art. 107 L.fall.
Anche nell’ambito della c.d. vendita competitiva è dunque possibile, purchè ciò sia previsto nel Programma di liquidazione, l’applicazione della disciplina del codice di rito, con la possibilità, dunque, di utilizzare, quale atto di trasferimento del bene, un provvedimento del giudice anziché un atto negoziale.
Unico limite posto dall’art. 107 comma 2 L.fall. è quello della compatibilità, ferma, come sarà infra meglio chiarito, l’identica natura di vendita coattiva della vendita in ambito fallimentare, indipendentemente dalle forme (anche di natura privatistica) utilizzate.
Non sussiste dunque una contrapposizione tra due distinti modelli: vendita secondo il codice di rito da un lato e vendita competitiva dall’altro, ma sono possibili, in sede fallimentare, forme di ibridazione, con il solo limite della condizioni (che attengono alle finalità e non alla struttura in senso stretto del procedimento di vendita) di cui all’art. 107 L.fall. ed il limite della compatibilità di cui all’art. 107 comma 2 L.fall.
La su mezionata opzione interpretativa risulta confermata dal D.l. 83/2015 conv. nella L. 132/2015 che ha ulteriormente avvicinato la c.d. vendita competitiva alla vendita secondo il codice di rito, prevedendo, da un lato, che le vendite e gli atti di liquidazione possono prevedere il versamento rateale del prezzo secondo le disposizioni degli artt. 569 comma 3, 574 e 587 c.p.c., e dall’altro l’applicabilità, in ogni caso, della pubblicità prevista dall’art 490 c.p.c.
Tale conclusione, inoltre, ben si coniuga con l’altro presupposto già evidenziato, secondo cui il G.D. esercita sempre un controllo di legalità ed è a lui riconducibile la liquidazione dell’attivo, e con la portata generale dell’art. 591-bis c.p.c., vero e proprio paradigma della c.d. vendita con delega, che caratterizza la vendita coattiva in generale e che ha certamente ispirato anche il legislatore fallimentare. Se si accetta questa impostazione si possono utilizzare nella vendita competitiva anche altre disposizioni processuali, le quali, seppure inserite nel codice di rito possono ritenersi proprie della vendita coattiva, come la decadenza dell’aggiudicatario e la perdita della cauzione ex art. 587 c.p.c., purchè tali elementi siano dettagliatamente indicati nel Programma di liquidazione, principale criterio di riferimento dell’attività di liquidazione del curatore.
In particolare, la possibilità di disporre il trasferimento del bene mediante decreto emesso dal G.D. anche all’esito di “vendita competitiva”, appare funzionale a quelle esigenze di efficienza e trasparenza che presidiano la liquidazione dell’attivo fallimentare.
Si evita infatti lo scollamento tra fase di trasferimento e fase di purgazione dei gravami e si concentra in un unico provvedimento, affidato ad un soggetto direttamente nominato dall’organo giurisdizionale e sotto il suo diretto controllo, e dotato di specifica competenza in materia, quale il notaio, il compito di redigere il decreto (che verrà poi emesso dal G.D.), applicando anche in campo concorsuale la c.d. “Delega frazionata” e realizzandosi così, anche in tale settore, la maggiore efficienza procedimentale.

Modelli della vendita competitiva

Sulla base delle pur scarne indicazioni legislative appare possibile tentare, alla luce delle considerazioni sopra effettuate, un’indicazione di massima dei modelli di liquidazione utilizzabili dalle procedure fallimentari, pur nella consapevolezza degli inevitabili rischi connessi alla schematizzazione(13):

1. Vendita a procedure competitive rigide

La vendita senza incanto appare l’ordinario modello di relazione con il mercato, preferibile, in virtù del carattere già vincolante dell’offerta indipendentemente dalla (eventuale) gara, e che anche nelle esecuzioni individuali risulta, soprattutto dopo la recente riforma del D.l. 162/14 convertito nella L. 132/2014, senz’altro il principale sistema di vendita coattiva, apparendo residuale l’utilizzazione della vendita con incanto (esperibile, ex art. 572 comma 3 c.p.c., quando il giudice ritiene probabile che la vendita con il sistema dell’incanto possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene determinato a norma dell’articolo 568).
Condizioni ordinarie di operatività di tale sistema di vendita, condivise da ogni modello di selezione caratterizzato da forte terzietà, saranno dunque:
- Adeguata pubblicità su quotidiani, siti istituzionali etc. etc.
- Divisione in lotti;
- Indicazione del prezzo base d’asta;
- Forma scritta per la formulazione dell’offerta;
- Asseverazione per il tramite di una caparra confirmatoria;
-Termine per il versamento del prezzo

2. Vendite a procedure competitive semplificate

In esse il modello di riferimento è senz’altro individuabile nella vendita mobiliare ad offerte private, prevista della vecchia legge fallimentare, in cui si riconosceva al G.D. un ampio margine di discrezionalità in ordine alla determinazione delle concrete modalità di espletamento della vendita.
In tale modello l’individuazione del contraente da parte del curatore dovrà dunque avvenire secondo il modello della gara tra offerenti (ossia della c.d. licitazione privata), individuati all’esito di una fase esplorativa caratterizzata da imprescindibili forme di pubblicità dei singoli beni.
In tali vendite, sebbene esigenze di snellezza giustifichino una procedura semplificata, sarà richiesta l’indicazione di elementi minimi quali:
- determinazione del prezzo base, modalità di corresponsione, aggiudicazione a mezzo gara con successione incrementale delle offerte, elementi questi implementabili in forza di ogni ulteriore condizione giustificata dalla proficua alienazione del bene quali l’asseverazione dell’offerta in forza di caparra confirmatoria.

3. Vendita a trattativa privata

La vendita a trattativa privata deve ritenersi tendenzialmente incompatibile con il sistema della vendita competitiva, (anche sul piano semantico il concetto di competitivo appare contrapposto a quello di privato) che pone quale elemento qualificante l’apertura al mercato e quindi (in via direttamente consequenziale) ex art. 107 L.fall. «… adeguate forme di pubblicità, massima informazione e partecipazione degli interessati».
L’assenza di trasparenza nel criterio di selezione del contraente, la mancanza di adeguate forme di pubblicità inducono pertanto ad escludere la vendita a trattiva privata dal perimetro delle c.d. vendite competitive.
Da ciò discende che il ricorso alla vendita a trattiva privata è del tutto residuale, dovrà essere specificamente giustificato da peculiari esigenze della procedura e dunque tendenzialmente ammesso nella sola ipotesi:
- di beni di scarso valore, in cui, in una valutazione benefici/costi appaiono prevalenti ragioni di economia e speditezza della procedura;
- in situazioni di eccezionale urgenza ex art. 104-ter L.fall. in cui l’esigenza di celerità possa giustificare la deroga all’ordinario sistema, quando cioè (ex art. 104-ter comma 7) dal ritardo possa derivare pregiudizio all’interesse dei creditori.
In ogni altra ipotesi, il chiaro disposto dell’art. 107 comma 1 L.fall. non sembra consentire deroghe, posto che i requisiti minimi ivi indicati non appaiono in alcun modo derogabili, e non è neppure previsto, a differenza di quanto indicato al comma 2 alcun limite di compatibilità.
In termini Cass. n. 27667/2011 secondo cui l’art. 107 L.fall. pur attribuendo al curatore ampia discrezionalità circa le modalità di vendita dei beni nel fallimento, esige che la vendita avvenga previa adeguata pubblicità e tramite procedure competitive, sia che si tratti di vendita con incanto, ovvero per offerte private od in altre forme, ed esclude quindi che essa avvenga a trattativa privata diretta tra il curatore ed il terzo, senza che altri soggetti abbiano avuto la possibilità di partecipare con le proprie offerte.
Per ragioni analoghe, devono pure escludersi dal novero delle procedure competitive tutti quei sistemi che non contemplino una gara tra offerenti, quali le procedure ad offerte chiuse, in cui si procede alla scelta sulla base dell’offerta maggiore, senza ulteriore gara tra interessati, nonché tutte quelle procedure che prevedono la possibilità che all’inadempimento dell’aggiudicatario subentri automaticamente l’ultimo degli offerenti(14).
Ulteriore conferma della esclusione della vendita a trattativa privata deriva dal già citato D.l. n. 83/2015 conv. nella L. 132/2015, che modificando l’art. 107 L.fall. ha ivi espressamente previsto l’obbligo per il curatore di effettuare “in ogni caso”, al fine di garantire la massima informazione e partecipazione degli interessati, di effettuare la pubblicità di cui all’art. 490 c.p.c., almeno trenta giorni prima della procedura competitiva.

Natura giuridica della vendita fallimentare

Come si è detto, nella nuova vendita fallimentare la scelta del legislatore della Riforma è stata quella di stabilire talune esigenze indefettibili più che indicare un rigido schema procedimentale, lasciando alla discrezionalità degli organi della procedura la responsabilità di individuare le modalità in concreto più adatte in relazione alle particolare caratteristiche dei diversi procedimenti.
Ciò posto, la ricostruzione della natura giuridica e degli effetti sostanziali degli atti di liquidazione del novellato sistema deve prescindere dalla ampia varietà di forme che, come abbiamo visto, la vendita può rivestire, e non può che muovere dall’elemento di continuità con la disciplina pregressa, connaturato alla stessa funzione esecutiva della liquidazione fallimentare.
Come evidenziato dalla migliore dottrina e dalla giurisprudenza formatasi già nella disciplina anteriore alla riforma, ogni vendita effettuata in sede concorsuale, indipendentemente dal dato formale che abbia struttura di provvedimento o di negozio è vendita giudiziaria, onde non si è mai dubitato della natura coattiva della vendita fallimentare, anche se effettuata a trattativa privata o nella c.d. vendita a offerte private.
Cosí, anche prima della Riforma, il consolidato orientamento giurisprudenziale affermava che la vendita fallimentare, ancorché utilizzi forme tipiche dell’autonomia privata, è pur sempre vendita giudiziale forzosa, che ha luogo nell’ambito e per le finalità della procedura, onde per gli aspetti connessi alle finalità della liquidazione concorsuale è soggetta alla disciplina della legge fallimentare(15).
L’identità della funzione liquidatoria, il particolare regime di legittimazione dell’alienante, cioè la mancanza del consenso del fallito alla vendita, l’attuazione dell’interesse (di natura pubblicistica) di soddisfacimento dei creditori, il particolare regime di scelta e selezione dell’acquirente sono tutti elementi che inducono ricondurre anche la vendita competitiva ai trasferimenti coattivi.
Milita a favore di tale conclusione innanzitutto il mantenimento del potere autorizzatorio del giudice delegato, riflesso del controllo di legalità demandato a tale organo, che consente di qualificare tuttora la vendita fallimentare come emanazione di un potere di iurisdictio esecutiva, anche se la liquidazione sia attuata con libertà di forme.
In secondo luogo, il potere purgativo riconosciuto dall’art. 108 ult. comma al G.D. rende evidente che le forme negoziali della vendita non alterano il regime circolatorio realizzato dalle vendite coattive, di cui vengono riprodotti i profili autoritativi, ritenuti coessenziali alla garanzia di massima efficienza e trasparenza della liquidazione.
Non sembra dunque si possa dubitare della natura di trasferimenti coattivi delle vendite fallimentari, con conseguente tendenziale applicabilità degli artt. 2919 - 2924 e 2929 c.c., che della vendita forzata disciplinano gli effetti, pur se con qualche adattamento derivante dalla trasposizione in sede fallimentare alla luce del nuovo sistema di liquidazione dell’Attivo.
Occorre dunque distinguere tra elemento strutturale e funzionale dell’istituto:
- sotto il primo profilo la “vendita competitiva” è vendita negoziale, attuata in forme privatistiche;
- sotto il secondo - avuto riguardo agli effetti - va qualificata come vendita coattiva.
Dalla natura coattiva della vendita fallimentare discende anzitutto l’applicabilità dell’art. 2919 c.c. L’acquisto del bene dal fallimento ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato o del fallito.
Si attua dunque una parificazione dell’acquirente/aggiudicatario al creditore pignorante nel senso dell’inopponibilità all’acquirente dei diritti acquistati dai terzi se non opponibili al pignorante (art. 2913 c.c.).
Altra norma rilevante è, com’è noto, l’art. 2922 c.c.
Nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per vizi della cosa ed essa non può essere impugnata per causa di lesione, con la sola eccezione del c.d. aliud pro alio, configurabile sia quando la cosa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nel Programma di liquidazione o manchi delle qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale, sia quando risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che, avuto riguardo a quanto indicato nel Programma, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto.
Sulla base di questo principio la S.C. ha affermato l’esistenza di aliud pro alio nel caso di un immobile qualificato come “terreno edificabile” mentre dopo la vendita era risultato che su di esso vi erano già due capannoni ed un alloggio ed il valore del bene era dunque notevolmente superiore al prezzo di aggiudicazione (Cass. 21249/10).
Tale errata descrizione dell’immobile nell’ordinanza di vendita, si è ritenuto integrare un vizio della vendita, qualificabile come aliud pro alio, in quanto incidente in modo decisivo sulla formazione del consenso sull’oggetto della vendita assimilabile ai vizi di cui agli artt. 1427 e 1429 c.c.
È stato pertanto ritenuta esperibile l’azione di annullamento ex art. 1441 c.c. dalla parte interessata (curatore fallimentare).
Secondo un diverso orientamento, recentemente affermato dal giudice di legittimità in materia di esecuzione individuale, per far valere il c.d. aliud pro alio, sarebbe invece esperibile, in via esclusiva, lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi(16), che trova il suo equivalente in sede fallimentare nel reclamo ex art. 26 L.fall.
Vanno infine evidenziati i limiti di l’applicabilità dell’art. 2929 c.c. in ordine al rilievo giudiziale delle nullità.
In linea di principio la nullità dell’atto esecutivo non ha efficacia nei confronti dell’aggiudicatario, ai fini di garantire la stabilità dell’acquisto e rafforzare la tutela dell’aggiudicatario, salva l’ipotesi di collusione tra creditore procedente ed aggiudicatario.
È stato peraltro affermato che la fase della vendita prevede una serie di attività (pubblicità, pagamento del prezzo) la cui mancanza o irregolarità vizia lo stesso atto di trasferimento ed è opponibile all’aggiudicatario, con conseguente inapplicabilità della norma dell’art. 2929 c.c.(17)
Secondo il consolidato orientamento della S.C., infatti, nel processo d’espropriazione forzata (che s’articola in una pluralità di fasi, ciascuna delle quali si chiude con un atto esecutivo, rispetto al quale gli atti precedenti della medesima hanno funzione preparatoria), la fase della vendita (che inizia dopo l’ordinanza con cui si stabiliscono le modalità e la data della vendita forzata e si conclude con il provvedimento di trasferimento coattivo del bene che segue l’aggiudicazione) comprende atti preparatori oltre l’ordinanza stessa (quali le forme di pubblicità legale e quella aggiuntiva disposta dal giudice, l’assenso dei creditori ammessi al passivo con diritto di prelazione, le modalità previste dalla legge per il versamento del prezzo) la cui mancanza o irregolarità vizia di nullità lo stesso atto che si pretende di trasferimento, con conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 2929 c.c., secondo la quale la nullità degli atti esecutivi precedenti alla vendita non ha effetto riguardo all’aggiudicatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente, poiché, in tal caso, la nullità degli atti presupposti si riverbera sul preteso atto di trasferimento ed è opponibile all’aggiudicatario. Sicché, la preclusione nei confronti dell’aggiudicatario delle eccezioni di nullità del processo esecutivo opera solo quando la vendita, come atto finale del processo esecutivo, sussista e sia esente da vizi formali, sia che si tratti di vizi che la colpiscano direttamente, sia che si tratti di vizi che riguardino gli atti presupposti(18).
In applicazione di detto consolidato orientamento deve ritenersi configurabile la nullità dell’aggiudicazione in ipotesi di:
- mancanza di gara, o gara effettuata a condizioni palesemente difformi rispetto a quelle indicate nel Programma di liquidazione;
- mancanza di pubblicità o sua effettuazione con modalità diverse da quelle previste nel programma di liquidazione;
- mancato deposito in cancelleria della documentazione relativa agli esiti delle procedure ex art. 107 comma 5 L.fall.
- atto di liquidazione effettuato senza autorizzazione del G.D. o con modalità difformi da quanto previsto nel Programma di liquidazione approvato (p.e. vendita effettuata a trattativa privata, a fronte di previsione di vendita competitiva, senza specifica autorizzazione degli organi della procedura).
Del resto, con riferimento a tali atti “preparatori” (pubblicità, gara, versamento del prezzo, autorizzazioni) non può ritenersi sussistente una effettiva estraneità dell’acquirente che giustifichi la piena tutela dell’acquisto da costui effettuato.
Ancora, deve ritenersi applicabile anche alle vendite coattive la disposizione dell’art. 46 D.P.R. 380/2001(T.U. edilizia) che esclude la nullità per gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali.
Gli artt. 173-bis e 173-quater disp. att. c.p.c., peraltro, impongono all’esperto di indicare nella relazione di stima ed al professionista delegato di riportare nell’ avviso di vendita la regolarità edilizia ed urbanistica, nonché la dichiarazione di agibilità ed il certificato di destinazione urbanistica del bene. A differenza di quanto avviene per le vendite di diritto privato, le irregolarità urbanistiche non precludono dunque il trasferimento del bene all’esito delle vendite forzate, ma è essenziale, al fine di escludere l’eventuale azione di aliud pro alio da parte dell’aggiudicatario e comunque profili di responsabilità a carico degli organi della procedura, che tali caratteristiche siano indicate nell’ordinanza di vendita.

La sospensione della vendita

Il procedimento di liquidazione concorsuale risulta caratterizzato dalla previsione di un articolato sistema di sospensione delle operazioni di vendita esteso e non linearmente consequenziale(19), declinato, come di seguito meglio evidenziato, in forme diverse, quale strumento, di carattere generale, diretto a garantire il coerente svolgimento della liquidazione dell’attivo.
Il nuovo art. 108 L.fall. prevede anzitutto un duplice potere di sospensione del giudice delegato:
- un potere di sospensione delle operazioni di vendita qualora ricorrano “gravi e giustificati motivi”, su istanza del fallito, del comitato dei creditori, o di ogni altro interessato;
- un potere di arresto del perfezionamento delle operazioni di vendita su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito della documentazione comprovante gli esiti delle procedure competitive, quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto tenuto conto delle condizioni di mercato.
Quanto alla prima figura di sospensione, si osserva come il legislatore abbia attribuito al G.D. un potere generale di sospensione, operando un richiamo ai tipici presupposti di interruzione della sequenza delle attività esecutive, subordinandolo alla ricorrenza di gravi e giustificati motivi.
Tale potere è attivabile su istanza di parte, con legittimazione attribuita al fallito, al comitato dei creditori, o ai terzi interessati (e dunque sia creditori ipotecari, pignoratizi, sequestranti, sia terzi interessati all’acquisto) e costituisce un potere discrezionale (preceduto dal parere del Comitato dei ceditori) che, per la sua ampia formulazione, deve ritenersi applicabile a qualunque tipo di vendita ed anche alle vendite urgenti, e viene esercitato con decreto motivato, reclamabile ex art. 26 L.fall.
Il potere di sospensione del giudice delegato, esercitabile anche dopo il provvedimento di aggiudicazione ed il pagamento del prezzo, fino a quando non venga emesso il decreto di trasferimento, è dunque suscettibile di interpretazione estensiva, in quanto volto ad evitare che il trasferimento si perfezioni in capo all’aggiudicatario in presenza di situazioni che facciano ritenere il prezzo offerto inferiore a quello giusto, e consente pertanto anche la revoca della aggiudicazione, giustificandosi il sacrificio delle aspettative dell’aggiudicatario con la finalità pubblicistica sottesa all’art. 108 cit.
Il potere di sospensione costituisce dunque manifestazione del più ampio potere di vigilanza del G.D., diretto a salvaguardare la coerenza tra atto autorizzato ed operazioni di vendita del curatore e garantire, dunque, l’attuazione della razionalità progettuale del Programma di liquidazione ed evitare il perfezionamento di atti caratterizzati da irragionevolezza economica.
In assenza di rigidi presupposti, può essere fondato su ragioni di legittimità ma anche di merito, ivi comprese valutazioni di carattere strettamente economico su convenienza della vendita e non risulta necessariamente subordinato al verificarsi di nuove circostanze, dovendo dunque ritenersi che l’autorizzazione ex art. 104-ter L.fall. non abbia alcuna efficacia preclusiva.
I gravi motivi non sono tipizzati ed appaiono senz’altro ravvisabili, in via meramente esemplificativa, nell’esistenza di vizi di legittimità, nell’estraneità dell’atto al Programma di liquidazione o nell’adozione di modalità non competitive per la vendita e nel verificarsi di incidenti nella fase di selezione dell’acquirente, quali l’esistenza di interferenze illegittime o l’esistenza di una proposta di concordato fallimentare ignorata dal curatore.
Accanto al generale potere di sospensione l’art. 108 prevede una più specifica ipotesi di interruzione del perfezionamento della vendita, «quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato».
L’ambito applicativo della disposizione presuppone dunque che la procedura di vendita si sia conclusa con l’individuazione del contraente e che il prezzo offerto risulti assai inferiore a quello realizzabile: esso si colloca dunque tra la fase dell’aggiudicazione e quella del decreto di trasferimento.
La richiesta di inibire il perfezionamento della vendita può essere proposta dal fallito, dal comitato dei creditori o da altri interessati nel termine, perentorio, di 10 giorni successivi al deposito della documentazione afferente agli esiti della procedura competitiva ex art. 105, comma 7, L.fall. L’istanza postula che il ricorrente fornisca elementi della sproporzione che lamenta, quali stime e listini aventi ad oggetto beni del medesimo genere di quello aggiudicato o, soprattutto, che presenti una nuova offerta irrevocabile e cauzionata di importo superiore a quello realizzato all’esito della procedura di aggiudicazione.
L’art. 107 al comma 4 assegna al curatore analogo potere di sospensione laddove pervenga un’offerta migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo offerto, reclamabile ai sensi dell’art. 36 L.fall.
L’art. 107, comma 4 L.fall., nello stabilire che il curatore fallimentare «può» e non «deve» sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto, gli attribuisce per ciò stesso un potere discrezionale con riguardo alla valutazione dell’effettiva convenienza della sospensione (e del conseguente, necessario, rinnovo della procedura adottata per la liquidazione dei beni), che non si basa su di un mero calcolo matematico, ma ben può sorreggersi sulla considerazione di elementi di natura non strettamente economica, quale, ad esempio, l’opportunità di procedere ad una rapida chiusura della procedura fallimentare, che, ove non appaia fondato su presupposti palesemente errati o su motivazioni manifestamente illogiche o arbitrarie, si sottrae al sindacato giurisdizionale. (Cass. 5203/14).

Cancellazione vincoli pregiudizievoli

Come si è già evidenziato, il mantenimento in capo al G.D. del potere di purgazione dai vincoli pregiudizievoli sui beni venduti in sede fallimentare conferma la natura di vendita coattiva della c.d. “vendita competitiva”.
Ai sensi dell’art. 108 comma 2 il G.D., eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, è tenuto a procedere, con proprio decreto, alla cancellazione:
- delle iscrizioni relative a diritti di prelazione;
- trascrizioni dei pignoramenti, sequestri ed ogni altro vincolo su beni immobili e mobili registrati, iscritto o trascritto prima o dopo la sentenza di fallimento, che va anch’essa cancellata con il medesimo ordine.
Tale decreto costituisce un atto autonomo, successivo al perfezionamento della vendita ed alla riscossione dell’intero prezzo.
L’atto traslativo si perfeziona dunque con la presenza dei gravami esistenti e successivamente si dà luogo all’emissione di apposito decreto di cancellazione.

Adempimento del preliminare di vendita transazione

Nel caso in cui, nel fallimento del promittente alienante di un bene immobile, il curatore, invece che optare per lo scioglimento dal contratto preliminare stipulato dalle parti e trascritto ex art. 2645-bis c.c. anteriormente alla sentenza di fallimento, decida di subentrare nel contratto ai sensi dell’art. 72
L.fall., si pone il problema della possibilità di cancellare, all’esito del perfezionamento dell’ atto di vendita, i vincoli pregiudizievoli iscritti o trascritti sul bene anteriormente alla sentenza di fallimento(20). In questo caso il trasferimento del bene, quale effetto della stipula del contratto definitivo in adempimento dell’obbligo contrattuale, si colloca fuori dal perimetro della liquidazione dell’attivo ed appare riconducibile alla disciplina dei rapporti giuridici pendenti.
È dunque esclusa la diretta applicazione dell’art. 108 L.fall.
Una volta, peraltro, che l’art. 108 comma 2 L.fall. ha disallineato il potere di cancellazione dei vincoli pregiudizievoli dal decreto di trasferimento, prevedendone l’emissione anche all’esito di un atto di trasferimento di natura privatistica, si pone la questione dell’applicabilità, in via analogica, dell’art. 108 ult. comma, L.fall. all’atto di vendita, o della transazione avente ad oggetto il trasferimento di beni immobili, stipulati dalla curatela, attesa la sostanziale identità del negozio stipulato all’esito di procedura competitiva di selezione dell’aggiudicatario con la vendita conclusa a titolo di adempimento contrattuale o nell’ambito di una transazione.
Ove sia ritenuta ammissibile l’estensione analogica della disposizione dell’art. 108 comma 2, deve in ogni caso ritenersi analogicamente estensibile a tale ipotesi, identica essendone la ratio, l’onere di comunicazione previsto dall’art. 107 comma 3 L.fall. onde il curatore dovrà dare notizia della vendita del bene, mediante notificazione, a ciascuno dei creditori ipotecari o muniti di privilegio sul bene medesimo. La possibilità di un uso generale del potere di purgazione, anche in sede di atto di vendita stipulato in adempimento del preliminare (o in sede transattiva), se da un lato appare del tutto coerente con la sostanziale assimilabilità dei negozi di vendita, trova però un ostacolo nell’esigenza di tutela del creditore ipotecario con garanzia iscritta anteriormente alla trascrizione del preliminare.
Premesso, infatti, che ai sensi dell’art. 72 L.fall. in caso di subentro nel contratto il promissario acquirente sarà tenuto al pagamento alla curatela fallimentare della differenza tra il corrispettivo pattuito e gli acconti già corrisposti, il diritto di credito del creditore ipotecario, avente diritto di prelazione sul ricavato, potrebbe in concreto essere pregiudicato nel caso che il prezzo residuo sia inferiore all’ammontare del proprio credito.
In tal caso, la cancellazione del privilegio anteriormente iscritto, in difetto di prova che il creditore ipotecario non avrebbe potuto conseguire in sede esecutiva un risultato migliore, non appare ammissibile, in quanto non risulta giustificata dal carattere universale dell’esecuzione concorsuale.
In conclusione deve ritenersi che il decreto di cancellazione nel caso in esame, come in quello, ad esso assimilabile, di transazione regolarmente autorizzata ed avente ad oggetto il trasferimento di un bene immobile o mobile registrato(21), sia ammissibile solo nel caso in cui non vi siano trascrizioni o iscrizioni anteriori alla sentenza di fallimento, o nel caso in cui l’atto di vendita non pregiudichi in concreto il diritto dei creditori privilegiati.


(1) Così G. BOZZA, «Liquidazione dell’attivo in funzione di recupero dei valori aziendali», in Il fall., 2014, p. 849.

(2) F. FREZZA, Il Programma di liquidazione, in Trattato diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore, A. Bassi, III, Padova, 2011.

(3) S. BONFATTI, La liquidazione dell’attivo, in S. BONFATTI - P.F. CENSONI, Le disposizioni correttive ed integrative della riforma della legge fallimentare, in cui si evidenzia il carattere velleitario della pretesa di conseguire un programma analitico e dettagliato in soli 60 giorni.

(4) Si rinvia ex plurimis a G.C. RIVOLTA, L’Affitto e la vendita dell’azienda nel fallimento, Milano, 1973 e G. BOZZA, «La vendita dell’azienda nel Fallimento», in Il fall., 1987, p. 283 e ss.

(5) G. BOZZA, «Liquidazione dell’attivo in funzione di recupero …», cit., p. 850.

(6) L. PANZANI - S. BONFATTI, La Riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2008, p. 401 e ss.

(7) P. LICCARDO - G. FEDERICO, Commento all’ art. 107, in Il Nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, Torino, 2007, p. 1781 e ss.

(8) Nel caso del concordato preventivo il legislatore ha predisposto, rispetto alla disciplina fallimentare, un più dettagliato “procedimento competitivo” secondo la formulazione dell’art. 163-bis L.fall. Tale procedimento appare senz’altro riconducibile al modello della “vendita senza incanto”, che risulta, anche in conseguenza delle recenti modifiche in ambito di espropriazione individuale previste dal D.l. 162/14 convertito nella L. 132/2014 e con l’introduzione dell’art. 163-bis L.fall., l’ordinario paradigma di vendita coattiva.

(9) P. LICCARDO - G. FEDERICO, op. cit., p. 1784.

(10) Vedi al riguardo, F. FIMMANÒ, «La liquidazione dell’attivo fallimentare nel correttivo alla Riforma», in Dir. fall ., 2007, I, p. 851; D. FINARDI, «La nuova disciplina della liquidazione dell’attivo in particolare sulle novità del c.d. Correttivo 2007», in Dir. fall., 2008, I, p. 417.

(11) La proposta di delegare ai notai le vendite immobiliari venne avanzata, com’è noto, da A. PROTO PISANI nello studio «Delegabilità ai notai delle operazioni di incanto nell’esecuzione forzata immobiliare», in Foro it., 1992, V, c. 444; Sulla funzione processuale del notaio, per tutti, cfr. E. FABIANI, «Funzione processuale del notaio ed espropriazione forzata», in Studi e materiali, 2002, 2, p. 517 e ss.

(12) Per una lettura ante Riforma, ma con valutazioni di carattere generale tuttora attuali e rilevanti, cfr. E. FABIANI, «Delegabilità ai notai delle operazioni di vendita immobiliare con incanto in sede fallimentare», in Studi e materiali, 2004, 1, p. 230 e ss.

(13) Al riguardo P. LICCARDO - G. FEDERICO, op. cit., p. 1789 e ss.

(14) In termini, P. LICCARDO - G. FEDERICO, op. cit., p. 1790.

(15) Cass., 17 aprile 2002, n. 13583, in Il fall., 2003, p. 43 secondo cui il poter di revoca dell’autorizzazione a vendere al miglior offerente è applicabile anche alla procedure per la vendita di beni mobili ad offerte private, poiché l’attività svolta dal G.D. corrisponde sostanzialmente a quella svolta dallo stesso G.D. o dal G.E., quando procede alla liquidazione delle attività con l’osservanza delle norme del codice di rito (Cass., 20 settembre 1993, n. 9624, in Il fall., 1994, p. 269).

(16) «Nella vendita forzata l’aggiudicatario del bene pignorato, in quanto parte del processo di esecuzione, ha l’onere di far valere l’ipotesi di “aliud pro alio” con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, che va esperita - nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione - comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria», così Cass., sez. III, n. 7708 del 2 aprile 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014, parte I, p. 873, con nota di F. Cossignani.

(17) Cass. n. 9212 del 1 settembre 1999.

(18) Cass. n. 13824 del 9 giugno 2010.

(19) P. LICCARDO - G. FEDERICO, Commento art. 108, in Il nuovo diritto fallimentare , cit ., p. 1797.

(20) Deve precisarsi che la disciplina dell’art. 72 e la relativa facoltà di subentro del curatore non si applica nel caso di preliminare di vendita avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo, destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, ovvero un immobile ad uso abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività dell’impresa acquirente, per il quale l’art. 72 comma 8 L.fall. prevede una disciplina particolare.

(21) Secondo il consolidato orientamento della S.C., formatosi già sotto il vigore della disciplina anteriore «in tema di liquidazione dell’attivo immobiliare nella procedura fallimentare, il divieto di vendere un bene immobile nelle forme della trattativa privata - desumibile dall’art. 108 L.fall. vigente “ratione temporis” - non trova applicazione se il trasferimento avvenga mediante una transazione autorizzata dal giudice delegato, in quanto il negozio transattivo ha un oggetto più ampio della vendita essendo destinato, attraverso reciproche concessioni, alla definizione di una oggettiva situazione di litigiosità tra le parti», Cass. n. 25136/2008.

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