Verifica dell’appartenenza dei beni nelle procedure esecutive. La provenienza successoria
Verifica dell’appartenenza dei beni nelle procedure esecutive. La provenienza successoria
di Annalisa Lorenzetto Peserico
Associato di diritto dell’esecuzione civile, Università di Padova
Notaio in Padova
Nell’affrontare il tema proposto, si può senz’altro partire dal caso che non presenta alcuna difficoltà. Il creditore pignora un bene immobile del suo debitore; e la trascrizione del pignoramento è preceduta dalla trascrizione del titolo d’acquisto mortis causa del bene pignorato a favore dell’esecutato e a carico del de cuius che ne era a sua volta titolare secondo le risultanze dei registri immobiliari. Al momento del(la trascrizione del) pignoramento è cioè già trascritta l’accettazione da parte dell’esecutato dell’eredità del de cuius suo dante causa, il quale risulta a sua volta titolare del bene in forza di un precedente acquisto regolarmente trascritto anteriormente al ventennio.
Qui il pignoramento andrà a colpire un bene dell’esecutato che è tale anche secondo le risultanze dei registri immobiliari.
I problemi nascono quando ci si discosta da questo schema ottimale. In particolare, ed è questo il problema che si intende affrontare, si tratta di verificare la sorte del processo esecutivo instaurato senza che risulti trascritto l’atto di acquisto a favore dell’esecutato. Problema reso attuale da una sentenza della Corte di Cassazione - la n. 11638 del 26 maggio 2014(1).
Vanno premesse due precisazioni che valgono a circoscrivere il campo dell’indagine.
Qui la morte di chi appare titolare del bene pignorato secondo le risultanze dei registri immobiliari è avvenuta prima dell’inizio del processo esecutivo.
Se invece il processo esecutivo fosse iniziato nei confronti di un soggetto, titolare a quel momento del bene pignorato anche secondo i registri immobiliari, e nel corso del processo questo esecutato fosse morto, l’espropriazione potrebbe e dovrebbe senz’altro continuare. La circostanza che il legislatore abbia collocato gli articoli 110 e 111 c.p.c. tra le disposizioni del libro I, riferito ad ogni tipo di processo, esprime infatti in maniera inequivocabile la volontà di evitare che i processi pendenti siano travolti in conseguenza della morte di una parte, in particolare di quella dell’esecutato(2).
Ma in un simile caso anche il decreto di trasferimento andrebbe pronunciato - e trascritto - “contro” di lui. Infatti se si interpreta l’art. 2913 c.c. (secondo cui - come regola generale - non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante … gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento) nel senso di ritenere irrilevante ogni modifica nella titolarità del bene pignorato (e non solo quella riconducibile ad atti volontari di disposizione da parte dell’esecutato(3)), si deve senz’altro concludere che il decreto di trasferimento, come va pronunciato (e trascritto) contro l’esecutato che abbia alienato il bene pignorato, vada pure pronunciato (e trascritto) contro l’esecutato che sia morto in corso di processo(4).
Sarebbe così pienamente rispettato il principio della continuità delle trascrizioni (non si porrebbe quindi alcun problema di “chiudere la catena delle trascrizioni”); e sarebbe del tutto irrilevante ciò che nel frattempo abbia fatto il chiamato all’eredità.
Ed egualmente resta fuori dalla nostra considerazione l’ipotesi in cui il titolare del bene che si intende pignorare sia morto prima del pignoramento, ma nessun chiamato all’eredità abbia acquistato la qualità di erede. Qui il creditore che intendesse iniziare l’espropriazione immobiliare potrebbe utilizzare l’actio interrogatoria prevista dall’art. 481 c.c.; ed arrivare ad individuare l’erede di quel bene in base ad un titolo di acquisto mortis causa senz’altro trascrivibile.
Infatti questa disposizione prevede che chiunque vi abbia interesse chieda all’autorità giudiziaria di fissare un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all’eredità.
Se il chiamato accetta, si trascriverà la relativa accettazione; se nel termine non c’è accettazione il primo chiamato perde il diritto di accettare e si passerà a ripetere la procedura col chiamato successivo. Prima o poi, in altri termini, il creditore si troverà a poter pignorare un bene a carico di un soggetto non solo titolare dello stesso in quanto erede di chi ne aveva in precedenza la titolarità, ma che pure risulta tale dai registri immobiliari stante l’avvenuta trascrizione del titolo di acquisto (l’accettazione così “provocata”)(5).
Escluse dalla nostra attenzione queste due situazioni, quello che ci si propone di chiarire è la rilevanza o meno sul processo esecutivo iniziato della mancanza della “previa” trascrizione del titolo d’acquisto mortis causa a favore del debitore esecutato. Ci si chiede cioè se, mancando a quel momento la trascrizione, il processo sia senz’altro condannato a non poter proseguire(6).
Oppure se sia possibile ovviare a questa iniziale mancanza consentendo a chi vi abbia interesse - e nel nostro caso sarà evidentemente il creditore procedente - di chiedere lui la trascrizione: trascrivendo il titolo di acquisto a carico del de cuius e a favore dell’erede suo debitore assoggettato al pignoramento arriverà ad assicurare la continuità delle trascrizioni.
Sarebbe infatti certo comunque possibile per il creditore iniziare un nuovo processo una volta che risulti trascritto il titolo di acquisto mortis causa; ma la soluzione potrebbe non essere appagante perché, travolto il primo processo, gli atti di disposizione nel frattempo compiuti dal debitore sarebbero pienamente efficaci ed opponibili. In un tal caso il creditore potrebbe trovarsi a colpire col nuovo pignoramento quello stesso bene già pignorato ma che non è più del suo debitore, esponendosi ad una senz’altro vittoriosa opposizione ex art. 619 c.p.c.
La sentenza che è stata richiamata (Cass., 26 maggio 2014, n. 11638; ma anche - nello stesso senso v. Cass. n. 6833/2015), partendo dal presupposto che l’accettazione di eredità sia un atto di acquisto soggetto a trascrizione (ex art. 2648 c.c.)(7 )e che il primo comma dell’art. 2650 c.c. sia applicabile anche agli atti di acquisto mortis causa(8), deduce che, se non risulta trascritto l’atto di acquisto mortis causa, le successive trascrizioni ed iscrizioni a carico dell’acquirente non producono effetto se non è stato trascritto l’atto anteriore di acquisto. Dunque - nel nostro caso - non produrrebbe effetto la trascrizione del pignoramento quando non fosse preceduta dalla trascrizione dell’atto di acquisto mortis causa a favore dell’esecutato.
Limitarsi a ritenere applicabile il - solo - primo comma dell’art. 2650 significherebbe, evidentemente, condannare senz’altro il processo esecutivo così iniziato ad un esito infausto, a non poter cioè continuare per la realizzazione coattiva della pretesa del creditore.
Ad una diversa conclusione si potrebbe invece giungere se si ritenesse applicabile anche nel nostro caso il secondo comma dello stesso articolo, quello secondo cui «quando l’atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo...».
Infatti non ci si dovrebbe limitare a considerare unicamente il momento della trascrizione del pignoramento; ma si potrebbe dare rilevanza anche alla trascrizione di atti di acquisto mortis causa avvenuta in un momento successivo ed ammettere così che una trascrizione del titolo d’acquisto anche successiva valga a sanare la precedente mancanza.
Questa è la tesi accolta dalle sentenze richiamate (Cass., 26 maggio 2014, n. 11638 e Cass., 3 aprile
2015, n. 6833), più liberale rispetto alla soluzione prima prospettata, che condanna senz’altro alla conclusione il processo solo perché il pignoramento non è preceduto dalla trascrizione del titolo di acquisto a favore del debitore esecutato erede del de cuius titolare del bene secondo le risultanze dei registri immobiliari.
Ed è la tesi, a mio parere, sicuramente preferibile perché appare difficilmente sostenibile che il comma
2 dell’art. 2650 non debba trovare applicazione(9).
Sarà allora il giudice dell’esecuzione, che ex art. 484 c.p.c. ha il potere di condurre nel migliore dei modi il processo a quella che è la realizzazione della tutela giurisdizionale in capo al creditore procedente(10), a dare termine al creditore per ovviare alla discontinuità delle trascrizioni provvedendo lui a trascrivere il titolo d’acquisto mortis causa a favore dell’esecutato ed assicurando così quella continuità che mancava.
E il creditore potrà trascrivere l’accettazione in base alla dichiarazione del chiamato all’eredità contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (comma 2 dell’art. 2648 c.c.). Ma se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità, potrà chiedere la trascrizione sulla base di quest’atto qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (comma 3 dell’art. 2648 c.c.)(11).
In questo modo il processo esecutivo andrà avanti e consentirà al creditore la realizzazione della sua pretesa.
Il vero problema si pone quando l’esecutato sia erede del soggetto che risulta ancora titolare del bene pignorato dai registri immobiliari; ma non esista nessun atto trascrivibile come accettazione che il creditore possa utilizzare. Si pensi ai casi di cui all’art. 485 c.c.: il chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari che non compie l’inventario nel termine indicato dalla legge o prorogato dal giudice è considerato erede puro e semplice; ed egualmente è considerato erede puro e semplice il chiamato che abbia compiuto l’inventario ma non abbia deliberato se accetta o rinunzia all’eredità nel termine di quaranta giorni dal compimento dell’inventario. Oppure al caso di cui all’art. 487 c.c.: anche il chiamato all’eredità che non è nel possesso dei beni ereditari che abbia fatto la dichiarazione di accettare con beneficio di inventario ma non compie l’inventario nel termine indicato dalla legge o prorogato dal giudice è considerato erede puro e semplice.
Ci si domanda allora se e come, in simili casi, si possa tutelare il creditore.
Queste sentenze - e spesso anche la dottrina - hanno ritenuto che, qualora il creditore procedente non abbia un titolo idoneo alla trascrizione da cui risulti che il suo debitore/esecutato rivesta la qualità di erede di chi appare dai registri immobiliari titolare del bene pignorato, anche se il suo debitore è senz’altro erede e quindi è senz’altro titolare del bene pignorato, il processo non può che avere un esito infausto. E l’esito infausto è ricostruito in questo modo: non come estinzione (perché le cause di estinzione sono considerate tassative) ma come improcedibilità.
Si apre così il problema di individuare quale trattamento riservare a questa categoria - dell’improcedibilità - non prevista dalla legge. Si ha infatti una specifica disciplina per quanto attiene l’estinzione: sia con riguardo al provvedimento che viene pronunciato (ordinanza) sia con riguardo alla doglianza ammessa avverso detto provedimento (reclamo).
Mentre per l’improcedibilità tutta la disciplina è da costruire: e se non ci sono difficoltà nell’ammettere che il provvedimento debba rivestire la forma dell’ordinanza stante che questa è la forma “normale” dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione, resta aperto il problema se si possa utilizzare contro l’ordinanza di improcedibilità il rimedio del reclamo previsto per l’ordinanza di estinzione; oppure se si debba ricorrere al rimedio generale costituito dall’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Ed è quest’ultima la soluzione ormai adottata dalla giurisprudenza(12).
Rimane da valutare quale tutela accordare a questo punto al creditore che si sia visto dichiarare improcedibile il processo da lui instaurato perché non ha potuto assicurare la continuità delle trascrizioni in mancanza di un titolo idoneo alla trascrizione da cui risulti che il suo debitore/esecutato riveste la qualità di erede di chi appare dai registri immobiliari titolare del bene pignorato.
Si dice (non tenendo conto del fattore tempo né della possibile malizia del suo debitore che nel frattempo potrebbe aver trasferito ad altri il bene): il creditore può instaurare un nuovo processo esecutivo su quello stesso bene una volta che si sia previamente procurato un titolo idoneo alla trascrizione, titolo da trascrivere contro il de cuius (titolare secondo le risultanze dei registri immobiliari) e a favore del di lui erede, suo debitore. Effettuata la trascrizione, il nuovo pignoramento colpirà finalmente un bene che risulterà dai registri immobiliari del debitore esecutato, erede del de cuius.
E si indica come titolo che il creditore dovrebbe procurarsi una sentenza che accerti la qualità di erede del suo debitore(13).
Ora la sentenza è senz’altro titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c.; ed è anche vero che, secondo l’art. 2651, si devono trascrivere le sentenze da cui risulta acquistato per usucapione ovvero in altro modo non soggetto a trascrizione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2 e 4 dell’art. 2643 (in primo luogo il diritto di proprietà di beni immobili)(14). E, coerentemente, il comma 1 dell’art. 2653, al n. 1, menziona come soggette a trascrizione le domande dirette all’accertamento della proprietà e di altri diritti reali di godimento su beni immobili regolando gli effetti della sentenza di accoglimento.
Ciò che resta da verificare è se davvero nel nostro caso il creditore possa procurarsi una sentenza che accerti la qualità di erede del suo debitore, o - se si preferisce - il diritto in capo all’erede sul bene da pignorare, già del de cuius; sentenza che sia trascrivibile a carico del de cuius e a favore dell’erede. Solo così, infatti, sarà possibile assicurare la continuità delle trascrizioni.
Questa sentenza dovrà essere una sentenza di merito pronunciata in esito ad un ordinario processo di cognizione.
Ora, per entrare nel merito e procedere all’esame della fondatezza della domanda, il giudice deve valutare preliminarmente la sussistenza - fra l’altro - delle condizioni dell’azione: l’esistenza in capo all’attore dell’interesse ad agire e della legittimazione ad agire.
L’interesse ad agire da un punto di vista concreto il nostro creditore lo ha senz’altro perché ha bisogno di trascrivere quella sentenza per trascrivere fruttuosamente il nuovo pignoramento.
Se ci si attiene però ad una nozione di interesse ad agire in mero accertamento collegata alla necessità di eliminare l’incertezza riguardo al diritto fatto valere(15), nel nostro caso potrebbe non esserci mai stata stata incertezza sul punto che l’esecutato fosse l’erede di chi appariva titolare del bene pignorato secondo le risultanze dei registri immobiliari. Quello che ha condannato all’improcedibilità il processo esecutivo non era una incertezza da eliminare ma la mancanza della continuità delle trascrizioni. Solo ritenendo, come pure si è fatto, che ci sia interesse ad agire quando, per un soggetto, il ricorso all’organo giurisdizionale per la tutela dei propri diritti rappresenta l’estremo rimedio(16), nel nostro caso si potrebbe riconoscere esistente, in capo al creditore, questo interesse ad agire.
Ma anche sotto il profilo della legittimazione ad agire non mancano i dubbi.
Se la sentenza cui si vuole arrivare è una sentenza trascrivibile a carico del de cuius e a favore dell’erede da cui risulti la qualità di erede (o la titolarità del bene già pignorato in capo all’erede e non più in capo al defunto), si può considerare legittimato ad agire il creditore? Instaurerà - sembra - il giudizio facendo valere secondo l’art. 2900 c.c. i diritti e le azioni del suo debitore: chiederà cioè lui, in luogo del suo debitore rimasto inerte, l’accertamento della qualità di erede o della titolarità del bene già pignorato.
Questo processo deve avere però un convenuto, e il convenuto non può che essere l’erede. Avremmo quindi il creditore che agisce in luogo del suo debitore nei confronti del medesimo suo debitore.
Si consideri o meno possibile per il creditore che si sia visto dichiarare improcedibile il primo processo per mancanza di continuità delle trascrizioni procurarsi una sentenza da trascrivere a carico del de cuius, già titolare del bene secondo le risultanze dei registri immobiliari, e a favore dell’erede suo debitore (ed iniziare, dopo averla trascritta, un nuovo processo esecutivo)(17), ciò che resta da chiedersi è questo. Quale sia la ragione che ha portato a sostenere comunque la necessità che si chiuda la catena delle trascrizioni per poter far avanzare il processo esecutivo verso la sua naturale conclusione.
O - se si preferisce - perché si condanni il processo all’improcedibilità quando la trascrizione del pignoramento non è preceduta dalla trascrizione a favore dell’esecutato del suo acquisto a carico del de cuius che risulta titolare del bene pignorato, né si è potuto provvedere alla trascrizione nel termine accordato dal giudice dell’esecuzione.
E la ragione - si trova ripetuto - consiste nella necessità di tutelare l’acquirente in vendita forzata. Si vuole con ciò evitare che questo potenziale acquirente risulti evitto(18).
In altre parole non si va avanti col processo esecutivo a continuità delle trascrizioni non verificata perché, così facendo, si evita di arrivare alla vendita forzata e dunque a trovarsi dinnanzi ad un acquirente che potrebbe risultare evitto.
Una tale argomentazione varrebbe se fosse fondata la premessa che ne costituisce il presupposto: quando la continuità delle trascrizioni sussiste (nel nostro caso il pignoramento colpisce un bene che dalle risultanze dei registri immobiliari è già dell’esecutato perché la trascrizione del pignoramento è preceduta dalla trascrizione del titolo d’acquisto mortis causa a suo favore) l’acquirente in vendita forzata non può subire l’evizione.
Ma questo nel nostro ordinamento non è vero.
Per rendersene conto si può partire dalla prima disposizione dettata in tema di effetti sostanziali della vendita forzata. L’art. 2919 c.c. enuncia quella che è la regola generale applicabile sempre alle espropriazioni immobiliari: la vendita forzata trasferisce all’acquirente - solo - i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione.
Risulta chiaro che si tratta, quindi, di un acquisto a titolo derivativo.
È pur vero che nell’ ”immaginario collettivo” chi acquista in vendita forzata appare un soggetto pienamente tutelato perché entra a contatto col processo ed acquista sotto l’egida dell’autorità giudiziaria, e dunque sembrerebbe protetto per definizione. In altre parole chi compra all’interno di un processo dovrebbe per definizione “comprare bene”.
Ma la disciplina positiva è di segno opposto trattando questo acquisto - esattamente come quello che si fonda su un contratto di compravendita immobiliare - quale acquisto a titolo derivativo.
Ed infatti il codice, due articoli dopo, regola espressamente il caso dell’evizione, sul presupposto quindi che l’acquirente in vendita forzata possa subirla; e lo fa in maniera peggiorativa rispetto al caso di vendita volontaria. Il compratore evitto può sempre chiedere al suo venditore il risarcimento del danno (sempreché la garanzia per evizione non sia stata contrattualmente esclusa); mentre chi ha acquistato in vendita forzata non può così rivalersi nei confronti dell’esecutato perché l’uno - il venditore - ha “voluto” vendere, l’esecutato ha semplicemente subito l’esecuzione. E quindi non si può certo chiedere a lui il risarcimento del danno.
Nel nostro sistema, dunque, l’acquirente in vendita forzata di un bene immobile corre il rischio di rimanere evitto.
Ed allora - tornando al nostro tema - c’è da chiedersi se la continuità delle trascrizioni metta al riparo l’acquirente dal pericolo dell’evizione. Se si possa cioè affermare che se l’esecutato risulta titolare del bene pignorato in forza di una sequenza di atti di acquisto tutti regolarmente trascritti - per semplicità se è assicurata la continuità delle trascrizioni fino a lui - l’acquirente in vendita forzata sia preservato dal pericolo dell’evizione. In altre parole se l’acquirente possa subire l’evizione solo in caso di discontinuità; e solo in questo caso possa trovare applicazione la relativa disciplina.
Ancora una volta la risposta è negativa.
È un dato ormai certo che, per considerare acquistato un immobile da chi lo abbia usucapito, non è necessario ci sia un previo processo di accertamento della titolarità del diritto in capo a questo soggetto, né di conseguenza la trascrizione della relativa sentenza. Soggetto che ne potrà - anche in assenza - senz’altro liberamente disporre(19).
Questa affermazione - di non richiedere il previo accertamento del diritto in capo all’acquirente per usucapione né la trascrizione della relativa sentenza - è stata giustificata dicendo che, altrimenti argomentando, si finirebbe per limitare le potenzialità dell’acquisto. Se si è divenuti a tutti gli effetti titolari del diritto (per usucapione) non ci sarebbe ragione per poi escludere che questa titolarità si esplichi anche col compimento di atti di disposizione senza che nient’altro vada richiesto(20).
La conclusione è senz’altro a favore di chi ha acquistato per usucapione. Ma la non necessità né del previo accertamento in capo all’acquirente del suo diritto né della trascrizione della relativa sentenza perché questo soggetto possa essere considerato titolare a tutti gli effetti implica una sicura conseguenza: si dovrà considerare senz’altro uscito un bene immobile dal patrimonio di un certo soggetto se un altro lo abbia usucapito; e questo anche se il primo continua ad apparirne titolare secondo il sistema pubblicitario.
Quando allora si trascrive l’atto di pignoramento a carico di un soggetto che risulta a tutti gli effetti titolare del bene pignorato secondo i registri immobiliari, non si ha comunque la certezza che l’esecutato in realtà a quel momento lo sia perché altri potrebbe aver usucapito il bene in suo danno. In questo caso la catena delle trascrizioni risulta chiusa; in mancanza di un’opposizione all’esecuzione da parte di chi ha usucapito il giudice dell’esecuzione andrà avanti col processo esecutivo; si arriverà ad individuare l’acquirente, al pagamento del prezzo, alla pronuncia del decreto di trasferimento e alla sua trascrizione.
Eppure, per il principio dell’art. 2913 c.c., l’acquirente potrà senz’altro subire l’evizione perché un altro soggetto - chi era l’effettivo titolare del diritto al momento della trascrizione del pignoramento - risulta l’effettivo titolare.
In conclusione: nemmeno la continuità delle trascrizioni vale a mettere al riparo l’acquirente in vendita forzata dal pericolo dell’evizione. Imporre quindi al creditore pignorante di assicurare la continuità delle trascrizioni, pena l’improcedibilità del processo esecutivo, non vale comunque a proteggere senz’altro l’acquirente.
Esiste allora nel nostro caso un mezzo per assicurare la tutela all’acquirente in vendita forzata?
Si è detto che chi abbia acquistato un immobile per usucapione può senz’altro porre in essere un atto di disposizione senza la necessità di farlo precedere dall’accertamento giudiziale dell’acquisto e dalla trascrizione della relativa sentenza. La tutela del compratore si fonderà sulla circostanza che nell’atto risultino ben evidenziati la mancanza della continuità delle trascrizioni e gli effetti di questa mancanza quali sanciti dal primo comma dell’art. 2650 c.c.
Quello che è rilevante, quindi, è che chi acquista sia messo in condizione di rendersi conto della criticità della situazione.
Torniamo allora al caso di pignoramento di un bene che risulta dai registri immobiliari non dell’esecutato, bensì del de cuius, quando non sia possibile procedere alla trascrizione di un atto di accettazione espressa o tacita nemmeno in un momento successivo perché un tale atto manca. Per tutelare l’acquirente, piuttosto che dichiarare l’improcedibilità del processo esecutivo, si potrebbe pensare di far ben constare la mancanza della continuità delle trascrizioni e le conseguenze che ne possono derivare nella relazione dell’esperto e nella pubblicità del provvedimento che dispone la vendita(21).
Certo questa criticità inciderà sul prezzo perché chi acquista sta acquistando un oggetto per così dire rischioso. Già l’esperto nella sua valutazione indicherà un prezzo più basso, e il mercato farà la sua parte nel far spuntare un prezzo più vile.
Se si pensa però che il ricavato è destinato al creditore procedente, per questo creditore sarà sempre meglio ottenere il ricavato anche se non vale ad estinguere per intero il suo credito piuttosto che vedersi chiudere il processo esecutivo con un’ordinanza di improcedibilità(22).
Ma forse, seguendo questo stesso ragionamento, si può aggiungere un’ultima osservazione.
È stato detto che nella nostra ipotesi, in caso di mancanza di continuità delle trascrizioni e di un titolo che il creditore possa comunque lui utilizzare per ovviarvi, non si potrà certo pensare che sia il debitore esecutato a provvedere (accettando l’eredità e trascrivendo l’accettazione)(23).
Questo è vero se il processo è destinato all’improcedibilità.
Quando si ipotizzasse che, invece, il processo esecutivo può proseguire, si arriverebbe alla vendita forzata. E qui sì che l’esecutato, non penalizzato dalla discontinuità delle trascrizioni, avrebbe un vantaggio nel caso in cui si spunti un maggior prezzo. Questo sia che il prezzo vada per intero al creditore procedente in quanto il debito risulterà estinto in misura maggiore quanto maggiore sarà la somma ricevuta dal suo creditore; sia che a lui spetti il residuo. Si potrebbe allora pensare che anche questo soggetto - l’esecutato - se comunque il processo esecutivo proseguisse e non fosse dichiarato improcedibile, avrebbe tutto l’interesse ad eliminare la criticità che abbatte il prezzo.
E lo potrà senz’altro fare accettando l’eredità e trascrivendo il relativo atto; assicurando così la continuità delle trascrizioni.
Si finirebbe in tal modo per porre in essere una pressione sul debitore inducendolo a tenere un comportamento che in fondo giova a lui oltre che al creditore procedente. Situazione di pressione che, nelle finalità, finirebbe col non essere poi così lontana da quelle “misure di coercizione indiretta”
introdotte dal legislatore dettando l’art. 614-bis c.p.c.(24)
(1) V. anche, nello stesso senso, Cass. 15 dicembre 2014/13 aprile 2015 n. 6833 che ne richiama «l’ampia ed esaustiva motivazione».
(2) E questo sia che si ritengano sia che non si ritengano applicabili gli artt. 110 e 111 c.p.c.: cfr. A. LORENZETTO PESERICO, «Successione durante il processo esecutivo e trascrizione del decreto di trasferimento», Studio n. 28- 2008/E, in Studi e materiali, 2008, p. 1689.
(3) V. A. LORENZETTO PESERICO, op. cit.
(4) Contra cfr. E. FABIANI, «Successione nel processo esecutivo e trascrizione del decreto di trasferimento», in Studi e materiali, 2005, 2, p. 394; G. PETRELLI, «Trascrizione degli acquisti mortis causa e espropriazione forzata immobiliare», in Notariato, 2003, p. 495.
(5) Sull’inutilizzabilità dell’actio interrogatoria se c’è già stato un acquisto mortis causa v. M.R. CAMPANILE, «Rilevanza della trascrizione dell’accettazione dell’eredità nelle procedure di espropriazione forzata immobiliare e ruolo del giudice in caso di omissione», Studio n. 32-2007/E, in Studi e materiali, 2009, p. 1184.
(6) Nel senso che la trascrizione del pignoramento, in mancanza della trascrizione di un acquisto mortis causa nel ventennio precedente, non produce effetto cfr. G. PETRELLI, op. cit., p. 491.
(7) Non solo in caso di accettazione espressa, ma anche in caso di accettazione tacita: v. sul punto M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1178 e ss. (e i relativi richiami).
(8) V. ancora M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1180.
(9) Cfr. M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1199.
(10) V. così M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1200.
(11) Per l’inutilizzabilità come titolo per la trascrizione della denuncia di successione v. da ultimo E. SACCHETTINI, in Guida al dir. “Il Sole 24 Ore” n. 22/23 maggio 2015, p. 50. Per l’inutilizzabilità della domanda di voltura della stessa v. ancora una volta Cass. n. 11638/2014; M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1190; in senso contrario, ma senza porsi il problema della mancanza di forma, Cass. 11 maggio 2009, n. 10796; Cass. 12 aprile 2002, n. 5226.
(12) Nel senso che avverso l’ordinanza di improcedibilità si proponga l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (e non il reclamo di cui all’art.630) v. Cass., 12 febbraio 2008, n. 3276; ma anche Trib. Napoli, 28 novembre 2013, n. 13453/13.
(13) V. così espressamente Cass. n.11638/2014 che parla di «sentenza che accerti l’acquisto della qualità di erede e di beni ereditari».
(14) E qui saremo senz’altro in un caso in cui un diritto su un bene immobile si è acquistato senza un titolo trascrivibile.
(15) V. A. ATTARDI, voce Interesse ad agire, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 521 (ed ivi ampi richiami); ID., Diritto processuale civile, I, Padova, 1994, p. 73 ss.
(16) V. così A. ATTARDI, voce Interesse ad agire, cit., p. 516- 517; ID., Diritto processuale civile, cit., I, p. 72.
(17) Ma è evidente che, se si concludesse nel senso dell’impossibilità per il creditore di procurarsi una sentenza trascrivibile, si potrebbe ipotizzare la violazione dell’art. 24 Cost. perché questo soggetto si troverebbe ad essere privo di tutela: non potrebbe realizzare in via coattiva la propria pretesa stante l’impossibilità di procurarsi un titolo trascrivibile.
(18) V. così, ancora una volta, Cass. n. 11638/2014.
(19) V. Cass. 5 febbraio 2007, n. 2485, in Notariato, 2007, 6, p. 628, con nota di C. BOTTA, «Acquisto per usucapione e validità dell’atto di trasferimento dell’immobile» (ed ivi altri richiami di dottrina e giurisprudenza).
(20) V. così - espressamente - sempre Cass., 5 febbraio 2007, n. 2485.
(21) V. così M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1200.
(22) Il creditore, naturalmente, potrà instaurare un nuovo processo esecutivo per ottenere la differenza, non conseguita nel primo.
(23) Cfr. M.R. CAMPANILE, op. cit., p. 1200, che parla di «presumibile difetto di collaborazione del debitore esecutato».
(24) Non potendo “costringere” l’esecutato ad un fare infungibile, come sarebbe accettare l’eredità con un atto trascrivibile, lo si indurrebbe a farlo per evitare conseguenze a sé sfavorevoli.
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