Il processo di scioglimento della comunione affidato a notaio
Il processo di scioglimento della comunione affidato a notaio
di Alberto Cardino
Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione
Nell’ambito del giudizio di scioglimento della comunione di cui al titolo V del libro IV del codice di rito, il giudice istruttore può delegare ad un notaio le operazioni divisionali, come espressamente previsto dall’art. 786 c.p.c.
L’ipotesi non deve essere confusa con quella di cui all’art. 730 c.c., che prevede, all’interno dello scioglimento consensuale della comunione, la delega delle operazioni divisionali, con il consenso delle parti, ad un notaio. Notaio che, in caso di mancato accordo sul nominativo, viene designato dal giudice, all’uopo adìto in un procedimento di volontaria giurisdizione. In tale ipotesi, pertanto, l’intervento del giudice è limitato solo alla individuazione del notaio - salvo che lo scioglimento della comunione non dia vita a contestazioni fra le parti - e non ci si trova di fronte ad una divisione di natura contenziosa.
Il notaio nominato nel giudizio divisionale rientra nel più ampio genus degli “altri ausiliari” del giudice, di cui all’art. 68, comma 2, c.p.c. ed è quindi destinatario di un preciso incarico giudiziario(1).
Dopo le modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, lett. t, e lett. u, L. 28 dicembre 2005, n. 263, agli artt. 787 e 788 c.p.c., la vendita di beni, mobili o immobili, facenti parte dell’asse dividendo, può essere delegata anche ad un professionista diverso dal notaio. Rimane, invece, riservata al notaio la delega del complesso delle operazioni divisionali di cui all’art. 786 c.p.c.(2).
A sua volta, il notaio può essere coadiuvato da un esperto nelle operazioni di formazione della massa
da dividersi e delle quote (rectius: porzioni), come ricorda l’art. 194 disp. att. c.p.c. La nomina di tale esperto è però riservata al giudice istruttore, che ne riceve il giuramento, nelle forme previste
dall’art. 193 disp. att. c.p.c. per il curatore dell’eredità giacente(3). Un’eventuale nomina di un esperto direttamente da parte del notaio è affetta da nullità relativa e rimane, perciò, sanata se non dedotta nei termini di cui all’art. 157 comma 2 c.p.c.(4). Tale potere di nomina, secondo un’opinione(5), potrebbe però essere espressamente delegato dal giudice istruttore al notaio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il conferimento dell’incarico giudiziario non esclude, di per sé soltanto, la natura contenziosa dello scioglimento giudiziale della comunione(6). Più controverse le opinioni della dottrina, oscillanti fra natura contrattuale(7 )e natura processuale(8 )della divisione delegata al notaio.
I sostenitori della natura contrattuale fanno leva, soprattutto, sulla necessità che i condividenti prendano parte alle operazioni divisionali e sulla natura privatistica dell’attività notarile. Corollario di tale impostazione è l’impugnativa degli atti divisionali nelle forme previste per i negozi giuridici.
I sostenitori della natura processuale della divisione delegata al notaio, evidenziano, invece, la natura ausiliaria delle operazioni notarili, pur sempre riconducibili ad una delega di funzioni da parte del giudice. Non diversamente da quanto previsto, ad esempio, dagli artt. 534-bis e 591-bis c.p.c. per le vendite delegate nelle espropriazioni mobiliari e immobiliari. A ciò può aggiungersi che il giudice istruttore, nonostante la delega conferita, non perde alcun potere istruttorio o decisorio, in caso insorgano controversie fra le parti (art. 790, commi 3, 4 e 5, c.p.c.).
In ogni caso, nulla esclude una trasformazione della divisione, da giudiziale a consensuale(9).
In particolare, è stato ritenuto che, nel caso in cui il notaio sia investito di tutte le operazioni divisionali, egli opera esattamente come opererebbe su base consensuale. Nel caso in cui la delega sia limitata ad alcune specifiche operazioni - la vendita dell’asse comune, l’estrazione a sorte(10 )- invece, egli altro non è che un sostituto del giudice istruttore(11).
Dalla natura non strettamente contenziosa, ma amministrativa, delle operazioni divisionali delegate, la giurisprudenza di legittimità ha fatto discendere la conseguenza che le comunicazioni del notaio alle parti avvengono con il meccanismo degli avvisi, non delle notificazioni o comunicazioni previste dal codice di rito(12).
Il termine di cinque giorni per l’avviso alle parti dell’inizio delle operazioni, di cui all’art. 790, comma
1, c.p.c., ha natura perentoria e la sua violazione comporta nullità degli atti conseguenti(13), sanata dalla comparizione spontanea delle parti(14). L’avviso deve essere dato con riferimento solo alla prima convocazione delle parti davanti al notaio; non anche per le successive convocazioni, qualora le operazioni divisionali dovessero protrarsi(15).
L’incarico può essere affidato dal giudice al notaio, anche in assenza di specifica istanza o di accordo
fra le parti(16). La natura discrezionale della delega esclude un preciso obbligo motivazionale(17).
La delega non ha, ovviamente, carattere decisorio; il che ne esclude la ricorribilità per cassazione, ex
art. 111 Cost.(18). È stato altresì esclusa l’impugnazione con regolamento di competenza(19).
La delega delle operazioni divisionali può sempre essere revocata da parte del giudice istruttore(20). Sia
nel senso della avocazione a sé delle operazioni in precedenza delegate; sia nel senso della sostituzione del notaio delegato con altro notaio. Si ritiene rinunziabile la delega da parte del notaio(21).
Non è necessaria assistenza difensiva, nel corso delle operazioni divisionali davanti al notaio, come si evince dal tenore dell’art. 790, comma 2, c.p.c.(22)
Come già detto, l’incarico non deve necessariamente concernere la totalità delle operazioni divisionali. È stata ritenuta valida la delega delle sole operazioni di estrazione a sorte. Delega che potrebbe anche essere conferita in sede decisionale, con sentenza non definitiva(23). Nella prassi è comune la delega delle sole operazioni di vendita dei beni comuni, ex artt. 787 e 788 c.p.c.
La necessità di vendita dei beni comuni, peraltro, non può formare oggetto di una decisione del notaio, nel caso in cui sussista fra le parti controversia su tale punto. Controversia che va decisa con sentenza non definitiva, ex artt. 787, u.c., e 788 comma 2 c.p.c. Lo stesso è a dirsi per controversie che potessero sorgere fra le parti circa le modalità di vendita dei beni comuni(24).
A tale proposito, occorre ricordare che le vendite di cui agli artt. 787 e 788 c.p.c. avvengono secondo le forme della vendita forzata(25). La purgazione di eventuali ipoteche e pignoramenti può avvenire solo con il decreto di trasferimento, riservato al giudice istruttore(26). L’orientamento di legittimità(27)
- recentemente affermatosi -, che prevede l’opposizione agli atti esecutivi, come rimedio esperibile contro gli atti della vendita divisionale, concerne anche gli atti del notaio delegato.
Sostanzialmente, il notaio non viene investito di alcun potere decisorio, in caso di conflitti fra le parti, essendo tale potere riservato al giudice istruttore dall’art. 790, comma 3, c.p.c.(28)
Parimenti, il notaio non dispone di poteri istruttori, riservati all’autorità giudiziaria che procede(29). Ciò può desumersi, a contrariis, dalla stessa previsione di cui all’art. 194 disp. att. c.p.c.
Le controversie fra le parti concernenti le operazioni divisionali delegate vengono risolte dal giudice istruttore con ordinanza, assunta nel contraddittorio fra le parti, a seguito della trasmissione di apposito processo verbale da parte del notaio (art. 790, commi 3, 4 e 5 c.p.c.).
A tale proposito, va osservato che ciò non può comportare perdita di garanzie per le parti, rispetto all’ordinario procedimento divisionale, nel quale, in genere, le contestazioni delle parti vengono risolte con sentenza non definitiva.
Si ritiene, pertanto, che le contestazioni risolvibili con semplice ordinanza del giudice istruttore siano soltanto quelle di ordine formale sulle operazioni divisionali, sul quomodo dividendum; diverse da quelle di merito(30), sulla formazione della massa, sui debiti, sulla resa dei conti etc. (la contestazione sull’an dividendum sit, di cui all’art. 785 c.p.c., si intende già risolta prima delle delega delle operazioni divisionali). Inoltre, l’ordinanza del giudice istruttore, secondo i principi generali, non potrebbe mai pregiudicare la decisione finale sulla contestazione, qualora questa rimanesse in vita; decisione rimessa alla sentenza (ovvero, qualora la contestazione concernesse le operazioni di vendita, all’opposizione
agli atti esecutivi(31)).
La contestazione principale, non risolvibile con ordinanza del giudice istruttore, naturalmente, è,
solitamente, quella sul progetto divisionale stesso, redatto dal notaio delegato. In tal caso, l’art. 791, commi 2 e 3, c.p.c. prevede l’instaurazione di un contraddittorio davanti al giudice istruttore, il quale procederà ex art. 187 c.p.c. La contestazione andrà, pertanto, risolta con sentenza (salvo, ovviamente, eventuale accordo fra le parti, che il legislatore cerca in ogni modo di agevolare). Come vedremo, l’accordo delle parti sul progetto divisionale, davanti al notaio, deve essere esplicito e non ricavarsi dall’assenza di contestazioni o dalla mancata comparizione.
Non ogni questione insorta nel corso delle operazioni di divisione costituisce causa idonea di sospensione ex art. 790 comma 3 c.p.c., richiedendosi, a tal fine, una contestazione concreta ed effettiva sul modus ed i criteri delle operazioni, che non siano stati già determinati dal giudice(32).
Le questioni sulla divisione già risolte da parte del giudice istruttore non possono essere nuovamente sollevate davanti al notaio delegato, il quale ha l’obbligo di conformarsi alle istruzioni ricevute(33). L’estrazione a sorte delle porzioni corrispondenti a quote eguali deve sempre essere disposta dal giudice(34), come ricorda l’art. 791, u.c., c.p.c. Il notaio delegato provvederà, poi, all’esecuzione materiale dell’operazione di estrazione a sorte.
Le operazioni divisionali vengono descritte in un unico processo verbale, quand’anche frazionate in diversi momenti(35), come dispone l’art. 791, comma 1, c.p.c.
Il verbale di estrazione a sorte è, però, distinto dal verbale complessivo delle operazioni divisionali. Parimenti, va redatto apposito verbale per dare atto delle contestazioni alle operazioni divisionali, ex art. 790 comma 3 c.p.c.(36)
Il verbale, contenente l’accordo delle parti sul progetto divisionale, è soggetto agli artt. 1 comma 2 n.
4, lett. c, 47 e 51 L. 16 febbraio 1913, n. 89. Non è prevista la presenza dei testimoni(37).
L’accordo delle parti sul progetto predisposto dal notaio preclude successive contestazioni dello stesso, anche concernenti l’esclusione di beni, davanti al giudice istruttore(38).
Pertanto, dopo l’accordo delle parti sul progetto divisionale predisposto dal notaio, non può essere chiesta l’esclusione dalla divisione di uno dei beni inclusi nel progetto(39).
Il progetto divisionale predisposto dal notaio, per essere approvato, esige l’accordo espresso di tutti i condividenti e di tutti i creditori intervenuti, come previsto dall’art. 791 comma 2 c.p.c. Tale norma fa riferimento, genericamente, alle parti. Il concetto di parte nella divisione giudiziale notarile va ricavato dall’art. 790, comma 1, c.p.c., che menziona espressamente i condividenti e i creditori intervenuti (non anche i creditori e gli altri soggetti chiamati a partecipare, ex art. 1113, comma 3, c.c., ma, di fatto non intervenuti nel giudizio). Ne consegue che la contumacia di taluno di costoro impedisce l’approvazione del progetto, come pure la mancata comparizione di taluno nel giorno fissato per l’approvazione del progetto da parte del notaio(40). Evidente la diversità della disciplina rispetto al caso di approvazione del progetto davanti al giudice istruttore, nel quale la giurisprudenza di legittimità
assolutamente prevalente ritiene sufficiente il mancato dissenso di taluno dei condividenti per la
formazione dell’accordo divisionale. L’idoneità del consenso tacito della parte non dissenziente alla
formazione dell’accordo sul progetto divisionale, pertanto, non può operare al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 789, comma 3, c.c.(41)
Nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo esplicito sulla divisione, il notaio rimette il verbale, ex art. 791, comma 2, c.p.c., al giudice istruttore, il quale deciderà ex art. 789, u.c., c.p.c.; ovvero, perdurando le contestazioni, ex art. 187 c.p.c., avviando la causa verso la sentenza. Il giudice istruttore, a differenza del notaio, potrà approvare il progetto predisposto dal notaio anche in caso di mancata contestazione, o di mancata comparizione (o di contumacia), di taluna delle parti(42).
Il risultato divisorio consegue all’approvazione del progetto davanti al notaio, avendo il successivo decreto del giudice istruttore, di cui all’art. 195 disp. att. c.p.c., sia nel caso di attribuzione di porzioni diseguali che nel caso di estrazione a sorte per l’assegnazione di quote eguali (le cui operazioni si siano svolte davanti al notaio), una valenza di presa d’atto e di controllo del risultato delle operazioni divisionali(43). Tale decreto, invece, non può risolvere contestazioni fra le parti, a pena di abnormità(44). Ad esempio, una contestazione concernente la regolarità delle operazioni di estrazione a sorte deve essere decisa con sentenza.
L’approvazione del progetto non comporta ancora lo scioglimento della comunione, però, nel caso in cui occorra effettuarsi l’estrazione a sorte. Solo con tale adempimento, infatti, si giunge alla concreta assegnazione delle porzioni corrispondenti a quote eguali e si realizza del tutto l’effetto divisorio. Anche l’esito dell’estrazione a sorte va omologato con il decreto del giudice istruttore di cui all’art.
195 disp. att. c.p.c., sebbene, a rigore, tale norma faccia riferimento solo all’attribuzione delle porzioni corrispondenti a quote diseguali(45).
La formazione dell’accordo divisionale davanti al notaio, non richiede, pertanto, una ulteriore dichiarazione di esecutività, a questo punto pleonastica, davanti al giudice istruttore, ex art. 789, comma 3, c.p.c.(46)
Occorre, invece, il decreto del giudice istruttore di cui all’art. 195 disp. att. c.p.c.(47), necessario per attribuire al progetto approvato natura di titolo esecutivo, come ricorda il comma 2 della norma(48 )(per le eventuali azioni di rilascio, consegna e prestazioni pecuniarie), e per potersi procedere alla trascrizione dell’esito divisionale(49).
Il compenso del notaio delegato va liquidato secondo la tariffa professionale, non potendosi estendere per analogia le disposizioni dettate per i consulenti tecnici(50). Nel caso di delega delle sole operazioni di vendita, peraltro, dovrebbero applicarsi le specifiche tabelle approvate con decreto ministeriale, per le
operazioni delegate nelle espropriazioni forzate(51).
Cenni alla divisione a domanda congiunta
L’art. 76, comma 1, D.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. decreto “del fare”), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, ha introdotto l’art. 791-bis c.p.c., rubricato “Divisione a domanda congiunta”.
Si tratta, in sostanza, di un procedimento di volontaria giurisdizione(52), alternativo al procedimento contenzioso di cui agli artt. 784 e ss. c.p.c., voluto dal legislatore a scopo evidentemente deflattivo delle complesse cause divisionali, sovente pendenti oltre ogni termine di ragionevole durata del processo. La domanda, infatti, consente, analogamente a quanto previsto dall’art. 786 c.p.c., la delega delle operazioni divisionali ad un professionista. Originariamente, era prevista la delega delle operazioni solo al notaio; di poi, in sede di conversione in legge, la possibilità di delega è stata estesa anche alla figura dell’avvocato.
La divisione congiunta presuppone l’assenza di qualsivoglia contestazione sull’an dividendum sit, sulla percentuale di partecipazione alla comunione e su altre questioni pregiudiziali (ad esempio, non deve essere in discussione un’eventuale lesione di legittima e via dicendo)(53).
Contestazioni sul diritto alla divisione possono aversi, ad esempio, qualora taluno dei comunisti invochi un patto di indivisione (art. 1111, comma 2, c.c.), o una destinazione incompatibile con lo scioglimento della comunione (art. 1112 c.c.) o un vincolo testamentario (art. 713 c.c.) etc. etc.
La contestazione sulle quote, preclusiva della divisione a domanda congiunta, può discendere, invece, da una invocata lesione di legittima, da una domanda di usucapione di un comunista nei confronti degli altri, etc. etc. Deve trattarsi di contestazione concernente la quota astratta e ideale, non la porzione concretamente reclamata dei beni comuni, poiché l’apporzionamento dell’asse costituisce, per l’appunto, l‘oggetto delle operazioni divisionali delegabili con la norma in esame.
Le «altre questioni pregiudiziali», ostative alla domanda di divisione congiunta, possono concernere, fra l’altro, la validità della chiamata testamentaria in capo a tutti i coeredi, la validità del negozio di acquisto del bene comune etc. etc.
Ulteriore presupposto è la presentazione di una domanda da parte di tutti i comproprietari(54), nonché da parte di «eventuali creditori e aventi causa che hanno notificato o trascritto l’opposizione alla divisione», con evidente richiamo all’art. 1113, comma 1, c.c. Fra i creditori opponentisi alla divisione vanno ricompresi, per interpretazione prevalente, anche i pignoranti con trascrizione antecedente, stante l’assimilazione dell’atto di pignoramento (o di sequestro conservativo) ad una opposizione alla divisione(55). Gli “aventi causa” sono i titolari di diritti reali minori sui beni comuni o su alcuni di tali beni o sulle quote di questi.
Fra i soggetti che debbono sottoscrivere il ricorso non sono ricompresi quelli di cui al medesimo art.
1113, comma 3, c.c. (cioè i creditori antecedentemente iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile in virtù di atti precedentemente trascritti), pur non essendovi ragione alcuna di non estendere a questi ultimi la medesima cautela prevista per i primi(56). Ciò può spiegarsi considerando che,
in forza del comma 3 dell’art. 791-bis c.p.c., il professionista delegato deve sentire obbligatoriamente
tali soggetti, prima di predisporre il progetto di divisione(57).
La domanda va presentata con ricorso diretto al tribunale territorialmente competente. Id est , in caso di divisione ereditaria, al giudice del luogo di apertura della successione, ex art. 22, comma 1, n. 1, c.p.c., e in caso di divisione ordinaria, al giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la loro maggior parte (art. 23 c.p.c.).
La forma camerale prevista per il procedimento in esame comporta l’inderogabilità della competenza territoriale (art. 28 c.p.c.).
Le sottoscrizioni in calce al ricorso possono essere autenticate da un notaio o da un avvocato. Ma trattasi di formalità non obbligatoria, stante l’inciso «quando le parti lo richiedono», di cui all’art.
791-bis, comma 1, secondo periodo, c.c.
La previsione dell’autenticazione va letta in funzione della trascrizione della domanda, non potendo il conservatore trascrivere domande giudiziali non notificate alle controparti (arg. ex art. 2658, comma
2, c.c.). Infatti, se la divisione concerne beni immobili, la domanda va trascritta, ex art. 2646 c.c., come ogni domanda di divisione giudiziale. Il che, essendo la domanda proposta con ricorso congiunto sottoscritto da tutte le parti interessate, esige l’autenticazione della sottoscrizione delle stesse (art. 2657, comma 1, c.c.). La formalità pubblicitaria produce gli effetti tipici della trascrizione delle domande giudiziali di divisione, segnando il discrimen temporale cui fare riferimento per l’applicazione dell’art.
1113 c.c. (e, pertanto, per l’individuazione dei soggetti che debbono, necessariamente, sottoscrivere il ricorso introduttivo od essere sentiti nel corso delle operazioni)(58).
La mancata sottoscrizione di taluna delle parti è causa di inammissibilità del ricorso. Ove ciò venga successivamente accertato dal professionista incaricato (caso non infrequente nelle operazioni divisionali, che possono riguardare un numero rilevante di parti, con conseguente difficoltà di valutare sin da subito l’integrità del contraddittorio), la dichiarazione di inammissibilità verrà successivamente pronunciata dal tribunale su segnalazione del professionista stesso, con decreto reclamabile ex art. 739 c.p.c. La trascrizione del ricorso verrà quindi cancellata, come dispone il comma 2 dell’art. 791-bis c.p.c.
Nonostante il silenzio della norma, non si scorgono motivi per non consentire una successiva “integrazione del contraddittorio” (in senso improprio, stante quanto si dirà oltre) non compiutamente instaurato, nonostante la natura camerale del procedimento in esame. Integrazione del contraddittorio che, però, non può consistere in una notificazione agli interessati non sottoscrittori dell’avvenuta presentazione del ricorso e del conseguente provvedimento del tribunale che prende atto della carenza delle sottoscrizioni. La norma richiede non che tutti gli interessati partecipino al procedimento o che ne siano notiziati, ma che tutti gli interessati lo promuovano, sottoscrivendo la domanda introduttiva. L’ “integrazione del contraddittorio”, pertanto, dovrà consistere in una espressa adesione al ricorso, in originale presentato solo da alcuni dei legittimati, da parte degli altri interessati rimasti inerti. Si tratta di situazione che, considerando il novero dei legittimati alla presentazione del ricorso congiunto
- comprendente non solo i comproprietari, ma anche gli altri soggetti indicati dal primo comma dell’art. 791-bis c.p.c. - non appare poi così improbabile a verificarsi. Si pensi ad un ricorso congiunto, sottoscritto da tutti i comproprietari, dal creditore pignorante di uno di questi, ma non da un creditore intervenuto nell’espropriazione dal suddetto creditore promossa. Intervenuto che, pure, può giovarsi - ex artt. 2913 e ss. c.c. - della trascrizione del pignoramento, equipollente all’opposizione alla divisione di cui all’art. 1113, comma 2, c.c. Ritenere necessariamente inammissibile una domanda siffatta, senza dare modo al creditore intervenuto di aderirvi, appare sanzione eccessiva e inutilmente automatica(59). Parimenti, non si vedono motivi per consentire la dichiarazione di inammissibilità solo dietro segnalazione del professionista incaricato. In sostanza, ove il tribunale ravvisi immediatamente che il ricorso non è stato sottoscritto da tutti gli interessati, ben potrebbe invitare le parti proponenti a procacciarsi le adesioni di quelli rimaste estranee all’iniziativa e, in mancanza di tali adesioni, dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Il tribunale competente è necessariamente a composizione collegiale (art. 50-bis, comma 2, c.p.c.) e, al suo interno, verrà nominato un giudice relatore, ex art. 738, comma 1, c.p.c. Il decreto di nomina del professionista incaricato sarà reclamabile, ex art. 739 c.p.c., alla corte di appello. Parimenti, altri eventuali decreti che il tribunale dovesse assumere (es. nomina dell’esperto stimatore; dichiarazione di inammissibilità per difetto di sottoscrizione, etc. etc.).
Le operazioni divisionali saranno demandate - come dice la norma - ad un notaio o ad un avvocato aventi sede nel circondario del tribunale adìto. L’indicazione di un determinato professionista compiuta dalle parti è vincolante per il tribunale. In mancanza, o in caso di inidoneità, di tale indicazione, il tribunale deciderà discrezionalmente, nei limiti della competenza circondariale.
Il professionista incaricato ha l’incarico di predisporre il progetto divisionale o, qualora non sia possibile uno scioglimento della comunione in natura per la non comoda divisibilità anche solo di taluno dei beni, di disporne la vendita, necessaria per giungere alla formazione delle porzioni. La vendita avviene nelle forme previste per i professionisti delegati nell’ambito delle espropriazioni forzate immobiliari, di cui al libro III, titolo II, capo IV, sezione III, § 3-bis, del codice di rito (art. 791-bis, comma 3, secondo periodo, c.p.c.).
Il richiamo alle suddette norme induce a ritenere che il professionista incaricato - oltre ad avere sede nel circondario del tribunale adìto - debba rientrare negli elenchi previsti dagli artt. 179-ter disp. att. c.p.c.(60)
L’incaricato può chiedere, in analogia a quanto previsto dall’art. 194 disp. att. c.p.c., di essere ausiliato da un esperto stimatore. La richiesta del professionista incaricato deve ritenersi vincolante per il tribunale. L’art. 791-bis, comma, 1, ultimo periodo, c.p.c. non richiama, quale oggetto di valutazione da parte del tribunale, il presupposto menzionato dall’art. 194 disp. att. c.p.c.: id est la necessità dell’operato di un esperto per la formazione della massa e delle quote (rectius: porzioni). Necessità che, ovviamente, è implicita nella scelta di dotarsi di tale ausiliario ed è comune alla maggior parte delle divisioni. Il Tribunale deve quindi limitarsi a scegliere l’esperto, una volta che la sua necessità gli sia stata rappresentata dal professionista incaricato. È prevedibile che la scelta della persona dell’esperto stimatore, pur rimessa al tribunale, seguirà le indicazioni del professionista incaricato.
Come accennato, la redazione del progetto potrebbe richiedere la vendita di beni non comodamente divisibili in natura (art. 720 c.c.), quale passo necessario per giungere alla formazione di un asse concretamente apporzionabile secondo le quote di partecipazione. La vendita di beni appartenenti all’asse comune potrebbe anche conseguire alla necessità del pagamento di debiti ereditari, ex art.
719 c.c.
Non è agevole comprendere stante il richiamo alle norme sulle vendite delegate nelle espropriazioni immobiliari «in quanto compatibili», compiuto dal comma 3, secondo periodo, dell’art. 791-bis c.p.c. quali possono essere, in concreto, i compiti assegnati, in sede esecutiva, al professionista incaricato. Balza all’occhio che, nella procedura in esame, non vi è alcun giudice dell’esecuzione da cui possa promanare un’ordinanza di vendita cui l’incaricato deve conformarsi, come previsto dall’art. 591-bis, comma 1, c.p.c. Parimenti, nemmeno è ipotizzabile che il professionista incaricato predisponga un decreto di trasferimento (art. 591-bis, comma 3, n. 11), e comma 8, c.p.c.), da emettersi poi da parte del giudice dell’esecuzione.
In coerenza con il carattere il più possibile degiurisdizionalizzato della divisione a domanda congiunta, sono dell’avviso che, in caso di vendita di beni, non occorra un decreto di trasferimento da parte del giudice, come invece avviene nelle espropriazioni immobiliari, a favore dell’aggiudicatario. Il tribunale collegiale adìto per la divisione a domanda congiunta non è assimilabile ad un giudice dell’esecuzione, gravato dei compiti di cui all’art. 591-bis c.p.c. Il tribunale interviene unicamente per la designazione del professionista incaricato e dell’esperto stimatore, per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e per la declaratoria di esecutività del progetto divisionale(61). La risoluzione dei conflitti insorti sulla vendita dei beni comuni o sul progetto predisposto dal professionista appartiene, poi, al medesimo tribunale adìto (nel senso del medesimo ufficio giudiziario), ma nella diversa sede contenziosa, non in quella di volontaria giurisdizione, nella quale nasce il procedimento in esame.
Il raffronto con il giudice istruttore della divisione giudiziaria ordinaria, al quale è certamente riservata l’emissione del decreto di trasferimento dei beni venduti ex artt. 787 e 788 c.p.c., non appare corretto. Il giudice istruttore è il dominus della causa divisionale ed appare del tutto consequenziale a tale posizione la potestà traslativa dei beni che, in tale ambito, debbano essere alienati. Il tribunale adìto in sede di volontaria giurisdizione, invece, ha compiti assai più limitati, come già detto.
La soluzione più logica appare quella di consentire al professionista incaricato la redazione degli atti di vendita strumentali allo scioglimento della comunione, esattamente come potrebbe accadere nell’ambito di operazioni divisionali consensuali. Il che potrebbe non porre alcuna difficoltà, nel caso in cui tale professionista fosse un notaio. Mentre non è chiaro come potrebbe un avvocato redigere un atto di vendita fra privati - vuoi nella forma dell’atto pubblico, vuoi in quella della scrittura privata autenticata - trattandosi di atti esclusi dalla sua competenza professionale.
Inevitabile è quindi la nomina congiunta di un notaio, da parte dei condividenti accordatisi sulla vendita.
Una volta effettuate le vendite necessarie, il professionista redigerà il progetto divisionale, nel termine
- da ritenere ordinatorio - di trenta giorni dal versamento del prezzo (delle vendite stesse), dandone avviso alle parti e agli altri interessati(62).
Avverso la determinazione di vendere beni comuni(63 )o avverso il progetto divisionale, ogni parte
ed ogni interessato può ricorrere al tribunale nel termine perentorio di trenta giorni dalla ricezione dell’avviso.
Il procedimento impugnatorio delle determinazioni del professionista incaricato è regolato dalle norme sul procedimento sommario, di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. È stata espressamente vietata la trasformazione del rito sommario in rito ordinario, essendosi esclusa l’applicabilità dei commi 2 e
3 dell’art. 702-ter c.p.c. Ciò, indipendentemente dalla difficoltà delle questioni che dovessero essere agitate con l’opposizione. Sebbene determinate problematiche siano ostative all’introduzione della divisione a domanda congiunta, non è detto non residuino questioni non semplici da risolvere. Ad esempio, la resa dei conti fra condividenti. Il che può rendere il rito sommario non facilmente compatibile con l’opposizione.
Deve essere chiarito che il tribunale destinato a risolvere i conflitti sulla vendita o sul progetto divisionale, non è il medesimo tribunale adìto con la domanda di divisione congiunta (pur appartenendo entrambi gli organi al medesimo ufficio giudiziario, individuato come sopra detto). Quest’ultimo è un collegio che opera in un ambito di volontaria giurisdizione. Il primo è un organo monocratico che opera in ambito contenzioso (non vi sono ragioni, infatti, per riservare ad un organo collegiale la risoluzione dei conflitti divisori(64)).
Nel caso di opposizione sulla necessità della vendita, il tribunale chiamato a dirimere la controversia
potrebbe disporre direttamente tale adempimento, ove ritenuto necessario, anche tenendo conto che, ben difficilmente, l’opponente presterebbe poi il relativo consenso davanti ad un notaio incaricato di redigere il relativo atto (vedi meglio supra). Il giudice potrà quindi conferire delega (anche al medesimo professionista incaricato dal collegio ab ovo), nell’ambito del rito sommario di opposizione, esattamente come potrebbe fare il giudice istruttore della divisione giudiziale ordinaria, ex art. 788, comma 4, c.p.c. (il tutto non aiuta certo a comprendere dove finisca la semplificazione che costituirebbe la ratio dell’istituto in esame e della scelta del rito sommario). Sostanzialmente, la risoluzione della controversia può non consistere in un mero accertamento sulla necessità della vendita, ed imporre, pertanto, il ricorso alla procedura di vendita forzata (delegata o meno). Inevitabili sono, però, gli interrogativi sulla compatibilità fra rito sommario e incidente traslativo.
Le controversie insorte nel corso del procedimento di vendita, come già detto per la divisione giudiziale notarile, andranno risolte, invece, con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi(65).
A seguito dell’accoglimento dell’opposizione il giudice «dà le disposizioni necessarie per la prosecuzione
delle operazioni divisionali e rimette le parti davanti al professionista incaricato» (art. 791-bis, comma
4, terzo periodo, c.p.c.). Non si comprende, innanzitutto, perché, in caso di rigetto dell’opposizione, non contemplata dalla norma, il giudice non dovrebbe provvedere nel medesimo modo. Nemmeno è chiaro se “il giudice” sia il tribunale, in composizione collegiale, competente sulla domanda di divisione congiunta; ovvero il tribunale, in composizione monocratica, chiamato a risolvere il conflitto insorto fra le parti (ovvero la corte di appello, in caso di proposizione di appello avverso la decisione, ex art.
702-quater c.p.c.). Preferisco ritenere che il giudice, nel caso in questione, sia quello pronunciatosi in sede contenziosa. Anche per la mancanza della previsione di qualsivoglia meccanismo di riassunzione davanti al tribunale in sede camerale e per non appesantire troppo il passaggio dalla decisione alla prosecuzione delle operazioni divisorie.
La mancata opposizione degli interessati, invece, rende definitivo il progetto divisionale - o la decisione sulla vendita dei beni, sebbene tale ipotesi non sia stata menzionata nel comma 5 dell’art. 791-bis c.p.c. - e comporta il deposito di questo nella cancelleria del giudice, che lo approva con decreto(66). Il controllo è da intendersi di natura formale, senza esami sul merito del progetto(67). A questo punto, il professionista incaricato dovrà eseguire gli adempimenti terminali della divisione approvata (trascrizioni, registrazioni, volturazioni etc.).
Parimenti, il professionista incaricato procederà alla eventuale estrazione a sorte per l’assegnazione
delle porzioni corrispondenti a quote eguali o alla attribuzione di porzioni diseguali, secondo il progetto approvato.
In conformità con quanto previsto dall’art. 195, comma 2, disp. att., c.p.c., il decreto emesso dal giudice avrà valore di titolo esecutivo; ad esempio in relazione ai conguagli previsti dal progetto divisionale approvato.
L’effetto divisionale costituisce pur sempre il frutto di un accordo fra le parti, sia pure trasfuso in un progetto approvato con decreto, non idoneo a creare giudicato. Da ciò consegue che potranno essere esperite le normali impugnazioni previste per gli atti di natura negoziale (es. rescissione per lesione). A meno che, ovviamente, la contestazione non abbia dato vita all’impugnazione con rito sommario della quale si è detto, destinata a sfociare in un’ordinanza decisoria, idonea a creare giudicato ed impugnabile solo con i mezzi processuali.
Si è ritenuto che, una volta concluso il procedimento divisionale a domanda congiunta - o per accordo delle parti o per decisione, passata in giudicato, a seguito di opposizione ex art. 791-bis, comma 4, c.p.c. - sia sempre possibile a chi vi ha interesse dedurre le contestazioni preclusive della domanda di divisione congiunta, circa l’an dividendum sit o sulla estensione delle quote(68).
Essendo, però, l’assenza di contestazione pregiudiziali un requisito di accesso all’istituto in esame, vi è da chiedersi come si concilierebbe, ad esempio, una contestazione sull’an dividendum sit con il prestato consenso alla divisione a domanda congiunta(69). Consenso che deve intendersi, pertanto, esteso al riconoscimento dell’assenza delle questioni pregiudiziali menzionate nel primo comma dell’art. 791-bis c.p.c.(70)
In conclusione, ritengo che le aspettative riposte dal legislatore nella funzione deflattiva dell’istituto in questione siano destinate a rimanere deluse.
Non si riesce a comprendere per quale motivo i comproprietari che sono d’accordo sul diritto alla divisione, sulle rispettive quote e sulle altre, eventuali, questioni pregiudiziali (impugnative di testamento, diritti dei legittimari etc.), avrebbero bisogno di farsi indicare dal tribunale un notaio in grado di elaborare un progetto divisionale, anziché rivolgersi direttamente allo stesso, nell’ambito di un rapporto di natura privatistica.
Ancora, non è chiara la differenza fra l’istituto in esame e il procedimento di volontaria giurisdizione di cui all’art. 730 c.c., se non nel modo di dirimere le controversie che dovessero sorgere nel corso delle operazioni divisionali. Ordinario nel caso dell’art. 730 c.c.; sommario, nel caso dell’art. 791- bis c.p.c. I due istituti sembrano, altrimenti, l’uno la copia dell’altro, con una disciplina di maggior dettaglio per quello di più recente introduzione; il quale, però, a differenza di quello di cui all’art. 730 c.c., prevede il conferimento dell’incarico anche a favore di un avvocato(71).
Escluse le anzidette questione preliminari, fra le parti potrebbero, comunque, residuare problematiche relative al rendimento dei conti (art. 723 c.c.). Ad esempio avendo uno dei comproprietari affrontato spese nell’interesse dell’asse comune o incamerato frutti da questo generati. Ma è chiaro che, in caso di controversia su tale punto - molto frequente, specie nelle divisioni ereditarie - il professionista incaricato non avrebbe alcun potere istruttorio per accertare le poste rispettivamente dovute e richiedibili e, fatalmente, un progetto divisionale redatto tenendo conto - o non tenendo conto - di tali spese o di tali entrate, sarebbe inevitabilmente destinato a sfociare in un’impugnativa che, rispetto alla divisione contenziosa ordinaria, avrebbe soltanto il pregio (posto che sia tale) di poter essere risolto con il ricorso al procedimento sommario (in questo riposa la sostanziale differenza con il procedimento di cui all’art. 730 c.c.).
Una concreta differenza rispetto alla delega di cui all’art. 786 c.p.c. sembra, inoltre, risiedere nel fatto che, nella divisione giudiziaria notarile, il disaccordo delle parti sul progetto divisionale comporta l’immediata trasmissione degli atti al giudice istruttore, come previsto dall’art. 791, comma 2, c.p.c. Nella divisione a domanda congiunta, invece, il dissenso delle parti rispetto al progetto redatto dal professionista incaricato richiede una specifica impugnativa, atta ad originare un procedimento governato dagli artt. 702-bis e ss. c.p.c. Ma, tecnicalità a parte, è evidente che, nella sostanza, il dissenso delle parti, nell’una come nell’altra ipotesi, non può che dar vita ad un contenzioso che solo l’autorità giudiziaria può dirimere.
Ci si è chiesti se la domanda di divisione congiunta può essere avanzata in un ambito endoesecutivo, quale modo di introduzione del giudizio divisionale di cui all’art. 600, comma 2, c.p.c. Non si ravvisano motivi di fondo per escludere tale possibilità. Il richiamo al codice civile contenuto nell’art.
600, comma 2, c.c., attiene non alla procedura adottabile, ma alla previsione sostanziale dello scioglimento della comunione. Ciò posto, appare davvero utopistico ritenere che il comproprietario esecutato si presterà a proporre una domanda di divisione congiunta, non avendo egli alcun interesse ad una rapida definizione dell’espropriazione forzata iniziata in suo danno e degli incidenti cognitivi che in questa si possono innestare(72).
(1) Sia consentito il rinvio a R. BELLÈ e A. CARDINO, La custodia giudiziale, Milano, 2014, p. 4-9.
(2) A. DE DONATO, «La divisione a domanda congiunta», in Riv. not., 2014, 5, p. 1074. Vedi, sul punto, le osservazioni di R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, in Le riforme del processo civile. Dalla digitalizzazione del processo alla negoziazione assistita, a cura di A. Didone, Milano, 2014, p. 1077, nota 7.
(3) A.G. DIANA, La proprietà immobiliare urbana, VII, Il procedimento divisorio, II, Milano, 2007, p. 1161-1162.
(4) Cass., 30 ottobre 1961, n. 2490.
(5) R. GOVEANI, «L’intervento del notaio nella divisione giudiziale», in Riv. not., 1988, VI, p. 1277.
(6) Cass., 29 luglio 1966, n. 2117.
(7) G. TOMEI, Divisione giudiziale, in Enc. giur., XI, Roma, 1989, p. 9; F. CARNELUTTI, «Meditazione sul processo divisorio», in Riv. dir. civ., 1946, II, p. 22.
(8) R. LOMBARDI, Contributo allo studio del giudizio divisorio. Provvedimenti e regime di impugnazione, Napoli, 2009, p. 339- 342; M. CRISCUOLO, «Il giudizio di scioglimento delle comunioni ordinarie ed ereditarie», in http://appinter. csm.it p. 86-87; M.R. MORELLI, La comunione e la divisione ereditaria, 2ª ed., Torino, 1998, p. 307; A. PROTO PISANI, «Delegabilità ai notai delle operazioni di incanto nella espropriazione forzata immobiliare», in Foro it., 1992, V, c. 446.
(9) M. CANNIZZO, Le successioni. IV. Divisione, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, Torino, 1999, p. 105.
(10) Cass., 7 ottobre 1967, n. 2313.
(11) G. DI IOIA, Commento agli artt. 784-791 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, Vol. VII, Tomo III, a cura di L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani e R. Vaccarella, Torino, 2014, p. 757.
(12) Cass., 26 gennaio 2000, n. 869.
(13) Cass., 22 ottobre 2009, n. 22390; App. Palermo, 22 maggio 1957, in Banca dati Utet giuridica, 2007.
(14) E. FAVARA, «Il notaio quale ausiliario del giudice nelle operazioni divisorie», in Vita not., 1960, p. 371.
(15) App. Genova, 6 febbraio 1953, citata in A.G. DIANA, op. cit., p. 1167.
(16) Cass., 13 gennaio 1983, n. 254; Cass., 10 giugno 1958, n. 1910.
(17) Cass., 13 gennaio 1983, n. 254.
(18) Cass., 19 novembre 2008, n. 27523.
(19) Cass., 9 aprile 2013, n. 8660.
(20) A.G. DIANA, op. cit., p. 1159.
(21) G. DI IOIA, op. cit., p. 758.
(22) G. DI IOIA, op. cit., p. 790.
(23) Cass., 7 ottobre 1967, n. 2313.
(24) R. GOVEANI, op. cit., p. 1271; G. PAVANINI, Divisione giudiziale, in Enc. dir., Vol. XIII, , Milano, 1964, p. 439.
(25) Cass., 8 giugno 2001, n. 7785.
(26) G. DI IOIA, op. cit., p. 767.
(27) Cass., S.U., 29 luglio 2013, n. 18185. In precedenza, difformemente si era espressa Cass., 22 gennaio 2010, n. 1199, che aveva ricondotto gli atti di vendita divisionale del notaio delegato ad una mera funzione attuativa dello scioglimento della comunione. Il che escludeva il ricorso all’art. 617 c.p.c. e imponeva, piuttosto, un’autonoma azione di nullità.
(28) V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Dei procedimenti speciali, III, Napoli, 1964, p. 617; G. PAVANINI, op. cit., p. 478. Contra: C. VOCINO, «La funzione processuale del notaio», in Riv. not., 1956, 16.
(29) Cass., 30 ottobre 1961, n. 2490.
(30) E. REDENTI, Diritto processuale civile, III, Procedimenti speciali di cognizione e cautelari. Procedimenti di esecuzione. Giurisdizione volontaria. Delibazione. Arbitrati, Milano, 1957, p. 420.
(31) Vedi supra, nota 27.
(32) Cass., 20 dicembre 1969, n. 4012; Cass., 10 giugno 1958, n. 1910.
(33) Cass., 20 dicembre 1969, n. 4012.
(34) Cass., 28 giugno 1957, n. 2529.
(35) M. MARZO, «Delega di operazioni divisionali al notaio e controllo degli atti delegati», in Arch. giur., 1983, p. 384.
(36) M. MARZO, op. cit., p. 384.
(37) A. DE DONATO, op. cit., p. 1074; G. DI IOIA, op. cit., p. 794.
(38) Cass., 22 febbraio 1952, n. 463; G. DI IOIA, op. cit., p. 795.
(39) Cass., 30 settembre 1948, n. 1649.
(40) Cass., 6 ottobre 1978, n. 4464; Cass., 30 aprile 1955, n. 1216 (secondo la quale «la mancata comparizione delle parti avanti al notaio equivale a dissenso»); Cass., 10 ottobre 1953, n. 3291 («… dinanzi al notaio la contumacia di uno o più interessati impedisce la formazione dell’accordo negoziale»). A. DE DONATO, op. cit., p. 1074. Minoritaria è rimasta l’opinione opposta (P. PAJARDI, «La funzione del notaio nel giudizio divisorio», in Giur. it., 1956, I, p. 223), che ritiene quindi non ostativa la contumacia di taluno dei condividenti alla formazione di un accordo divisionale davanti al notaio. In realtà, va osservato che nulla esclude che una parte possa essere contumace nel giudizio divisionale e comparire, poi, davanti al notaio per approvare il progetto da questi redatto. Inoltre, non si vede come la mancata comparizione delle parti ad una frazione soltanto delle operazioni delegate al notaio, magari di carattere meramente esecutivo, (ad esempio: l’estrazione a sorte), potrebbe impedire la conclusione del procedimento delegato. Sostanzialmente, la comparizione delle parti personalmente davanti al notaio appare indispensabile solo per la parte e dell’attività delegata strettamente collegata all’espressione del consenso delle parti.
(41) Sia consentito il rinvio a A. CARDINO, Comunione di beni ed espropriazione forzata, Torino, 2011, p. 428.
(42) G. DI IOIA, op. cit., p. 790. Contra: Trib. Genova, 29 marzo 1943, in Rep. Foro it., 1943-45, voce Divisione, 27.
(43) Cass., 29 ottobre 1992, n. 11758.
(44) G. DI IOIA, op. cit., p. 800.
(45) Cass., 29 ottobre 1992, n. 11758. G. DI IOIA, op. cit., p. 800; M. MARZO, op. cit., p. 388. Contra: Cass. 7 aprile 1943, in Rep. Foro it., 1943, voce Divisione, n. 26.
(46) G. DI IOIA, op. cit., p. 793. Contra: A. DE DONATO, op. cit., p. 1074.
(47) Contra: G. PAVANINI, op. cit., p. 479.
(48) R. GOVEANI, op. cit., p. 1272.
(49) G. DI IOIA, op. cit., p. 800.
(50) Cass., 22 novembre 1999, n. 12949.
(51) Vedi il D.m. 15 ottobre 2015, n. 227. CRISCUOLO, op. cit., p. 91.
(52) Il comma 1, quarto periodo, dell’art. 791-bis c.p.c., richiama espressamente gli artt. 737 e ss. c.p.c.
(53) «Quando non sussiste controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali».
(54) Definiti, non è chiaro il motivo, come “eredi o condòmini”. È da ritenere che il termine condominio sia inteso come equipollente della comunione, come avviene per l’art. 23, comma 1, c.p.c. (vedi Cass., 11 giugno 2015, n. 12148).
(55) A. CARDINO, op. cit., p. 162 e ss.
(56) La partecipazione alle operazioni divisionali di soggetti non comunisti si spiega con il pregiudizio che una divisione non equanime potrebbe portare alla garanzia del credito o al loro diritto, gravanti sulla quota di uno dei condividenti.
(57) R. GIORDANO, Commento all’art. 791-bis c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, cit., p. 810, ritiene, invece, che fra i sottoscrittori del ricorso congiunto debbano esservi anche i soggetti indicati nell’art. 1113, comma 3, c.c.
(58) Nota, peraltro, L. DI COLA, «La divisione su domanda congiunta: il nuovo art. 791-bis c.p.c.», in Riv. dir. proc., 2014, p. 1080, che con il deposito del ricorso ex art. 791- bis c.p.c. non viene domandata la divisione giudiziale, ma solo la nomina del professionista cui delegare le operazioni. Ditalché la previsione della trascrizione del ricorso ricadrebbe nel comma 1, sulle divisioni consensuali, e non nel comma 2, sulle divisioni giudiziali e le opposizioni, dell’art. 2646 c.c. Diversamente si esprime, invece, R. GIORDANO, op. cit., p. 814.
(59) Va sottolineata la diversa opinione di L. DI COLA, op. cit., p. 1085, secondo la quale le parti che devono necessariamente sottoscrivere, a pena di inammissibilità, il ricorso, sono solo i comproprietari, non anche i creditori ed aventi causa di cui primo comma dell’art. 791-bis c.p.c.. Il tenore testuale del terzo comma dell’art. 791-bis, c.p.c., però, a mio parere, non permette questa conclusione. In senso contrario alla possibilità di integrazione del contraddittorio è anche la Relazione governativa al D.l. 69/2013.
(60) R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, cit. p. 1080-1081.
(61) Ritiene applicabile l’istituto del ricorso ex art. 591- ter c.p.c., per il caso di difficoltà insorte nel corso delle operazioni di vendita, R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, cit., p. 1083. Prospettiva, invece, rifiutata da R. GIORDANO, op. cit., p. 832.
(62) Per “altri interessati” debbono certamente intendersi quelli menzionati nel comma 3, primo periodo, dell’art. 791-bis c.p.c.
(63) Uno dei motivi di opposizione alla vendita potrebbe essere la determinazione di uno dei condividenti di chiedere l’attribuzione dell’intero non comodamente divisibile, ex art. 720 c.c., soluzione destinata a prevalere sulla vendita. Vedi le osservazioni di R. GIORDANO, op. cit., p. 827-828, sulla praticabilità di tale ipotesi anche nell’istituto in esame.
(64) R. GIORDANO, op. cit., p. 843.
(65) R. GIORDANO, op. cit., p. 832-833. Vedi anche supra, nota 61.
(66) È stata sottolineata la differenza fra il decreto di cui all’art. 791-bis, ultimo comma, c.p.c., e l’ordinanza di cui all’art. 789, comma 3, c.p.c. da L. DI COLA, op. cit., p. 1075, sotto il profilo solo la seconda si può fondare anche sulla non contestazione ed è quindi adottabile anche nella contumacia di taluna delle parti. Peraltro, è bene notare che l’art. 791-bis, ultimo comma, c.p.c. non esige una manifestazione espressa di consenso, bastando alla emissione del decreto dichiarativo della esecutività del progetto di divisione la semplice mancata opposizione entro il termine di cui all’art. 791, comma 4, c.p.c.. Il che differenzia l’istituto in esame da quello della divisione giudiziale notarile (vedi supra, spec. nota 41).
(67) L. DI COLA, op. cit., p. 1079, nota 19.
(68) L. DI COLA, op. cit., p. 1080.
(69) R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, cit., p. 1084.
(70) R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, cit., p. 1078.
(71) L. DI COLA, op. cit., p. 1080, ritiene che, dopo l’introduzione dell’art. 791-bis c.p.c., anche nell’ambito del procedimento di cui all’art. 730 c.c. possa essere nominato un avvocato.
(72) R. LOMBARDI, Scioglimento di comunioni: un nuovo modulo procedimentale, cit., p. 1079.
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