Le prospettive del contributo del Notariato alla difficile opera di risanamento della giustizia civile
Le prospettive del contributo del Notariato alla difficile opera di risanamento della giustizia civile
di Andrea Proto Pisani
già Ordinario di Diritto processuale civile

La giustizia civile è in crisi profonda.
Per superare questa situazione è necessaria una serie coordinata di interventi:
- interventi ordinamentali : qualcosa si è fatto con la revisione nel 2012-13 delle circoscrizioni giudiziarie, circoscrizioni che risalivano all’Italia preunitaria; per sopperire però alle scarse risorse offerte dai giudici togati, occorre agire anche sul versante della magistratura onoraria (giudici di pace, giudici onorari di tribunale e viceprocuratori onorari), intervento questo difficilissimo poiché nel corso degli ultimi venti anni una cattiva amministrazione ha dato luogo al crearsi di un grosso precariato di oltre 5.500 persone (con grosse differenze di trattamento economico), creando aspettative che rendono difficilissimo qualsiasi intervento razionalizzatore: ne è prova il D.d.l. governativo n. 1738/2015 di cui in questi giorni dovrebbe iniziare l’esame da parte della comm. giustizia del Senato;
- indispensabili sono poi interventi di carattere organizzativo, volti a creare un vero ufficio del giudice (del processo si preferisce equivocamente dire ora), volto a munire ciascun giudice togato di uno (o più) ausiliari laureati in giurisprudenza con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e non con rapporto precario, ausiliari cui devolvere tutte le funzioni che non attengono alla attività decisoria in senso stretto, quali le ricerche di legislazione, dottrina, giurisprudenza e anche la redazione di minute ecc.; ma la creazione - al pari di tutti gli altri paesi europei - di un vero ufficio del giudice comporta interventi di spesa (con le ben note difficoltà);
- infine occorre favorire la risoluzione stragiudiziale delle controversie, cosa che si è tentato di fare con l’introduzione di tentativi obbligatori di conciliazione e la negoziazione assistita degli avvocati previsti dal D.lgs. 28/2020 e dal D.l. 132/2014, interventi entrambi però - come vorrei evidenziare nella parte finale di questa mia chiacchierata - caratterizzati da gravi deficienze sul piano tecnico e come tali incapaci di incidere davvero sui grossi numeri della giustizia civile.
In questa delicatissima situazione il contributo dei notai e del Notariato in genere assume una notevole importanza.
Vorrei riportare le parole che nel 1999 formulò al riguardo l’allora Presidente del Consiglio nazionale del Notariato Gennaro Mariconda, parole ancora attualissime: «Oggi siamo direttamente chiamati a dare il nostro contributo per aiutare il paese ad affrontare l’emergenza giustizia. L’infinita durata del processo, sia esecutivo sia ordinario, rappresenta infatti una giustizia non attuata e cioè il venir meno di una delle funzioni fondamentali dell’ordinamento. È una sconfitta della legge che provoca danno non soltanto ai soggetti coinvolti nella singola vicenda ma a tutta la consociazione ed in particolare a quelle componenti che del rispetto della legge e della buona amministrazione della giustizia debbono sentirsi protagonisti e sostenitori. Noi abbiamo cultura, indipendenza, rigore, capacità organizzativa per rispondere positivamente a questo appello ed il Consiglio nazionale del Notariato non farà mancare neanche per un attimo tutto il suo appoggio in strutture e in energie culturali per favorire l’assolvimento del compito che a ciascuno di noi spetterà in questo straordinario sforzo a favore del paese».
Gennaro Mariconda parlava all’indomani della introduzione con la L. 302/1998 della delega ai notai degli incanti nelle espropriazioni forzate immobiliari, delega poi, sul piano oggettivo (e soggettivo), ampliata di molto dalle leggi 80 e 263 del 2005 come ci ha ricordato Ernesto Fabiani nella relazione introduttiva di questo convegno.
È da ricordare poi la L. 24/11/2000 n. 340 che soppresse il giudizio di omologazione dell’atto costitutivo di società per azioni e attribuì al solo notaio il relativo controllo preventivo di legalità (attuale testo dell’art. 2330 c.c.).
Nel corso di questa mia relazione vorrei saggiare la correttezza teorica e le prospettive pratiche di un ampliamento del contributo del Notariato nella difficile opera di risanamento della giustizia civile. Ove si rinunci o, almeno in prima battuta, si prescinda da definizioni contenutistiche della giurisdizione, si può ben dire che l’attività giurisdizionale si caratterizza come attività posta in essere da un giudice: cioè da un soggetto che ai sensi degli art. 101 e ss. Cost. è sottoposto unicamente alla legge (e quindi è terzo rispetto agli interessi su cui è chiamato a provvedere) e indipendente (rispetto a qualsiasi specie di potere o da qualsiasi specie di soggezione).
A questo soggetto volutamente privilegiato dall’ordinamento sono dovute a un complesso di funzioni; funzioni che, alla stregua di una proposta dottrinaria (Montesano), possono distinguersi a seconda che si tratti di funzioni giurisdizionali costituzionalmente necessarie (cioè che il legislatore ordinario non può non attribuire al giudice) e funzioni giurisdizionali costituzionalmente non necessarie (cioè che il legislatore ordinario è libero di attribuire o no al giudice).
L’area della giurisdizione costituzionalmente necessaria coincide nella sua massima parte con l’area della giurisdizione tradizionalmente denominata come contenziosa, o, il che è lo stesso, relativa alla tutela dei diritti soggettivi, degli status e degli interessi legittimi (nonché, sul versante penale, della cognizione e punizione dei reati).
Gli art. 24 e 111 Cost. sono chiarissimi in tal senso: il riconoscimento a livello di diritto sostanziale di una situazione di vantaggio (cioè di un interesse giuridicamente protetto su di un bene o ad un bene) comporta come conseguenza necessaria la concessione del diritto di azione (art. 24), cioè di forme adeguate di tutela giurisdizionale idonee a consentire al titolare della situazione di vantaggio di ottenere tramite il processo, nei limiti del possibile, quelle stesse utilità che non è riuscito a conseguire a causa della mancata o difettosa cooperazione da parte di chi era tenuto al rispetto di regole di condotta poste a garanzia del godimento della singola situazione di vantaggio riconosciuta dal diritto sostanziale.
Limitando volutamente il discorso alla sola tutela giurisdizionale civile dei diritti (e status), è da dire che le forme e i contenuti in cui la giurisdizione contenziosa deve necessariamente articolarsi sono costituiti dal processo a cognizione piena destinato a concludersi con un provvedimento avente attitudine di giudicato formale e contenente un accertamento idoneo al giudicato sostanziale, processo a cognizione piena accompagnato ex ante dalla tutela cautelare ed ex post da adeguate modalità di attuazione o esecutive.
Quanto detto però non significa affatto che nella sua discrezionalità il legislatore ordinario non possa prevedere che taluni specifici diritti non possano essere tutelati anche (cioè fermo restando sempre la possibilità di essere dedotti in ogni tempo davanti al giudice in processi a cognizione piena cautelari e esecutivi) secondo modalità diverse. Mi spiego rapidamente: l’esperienza dei titoli esecutivi di formazione stragiudiziale (penso all’atto pubblico ricevuto dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato a riceverlo; penso all’ordinanza-ingiunzione ex art. 18, comma 6, L. 689/81 con la quale si conclude il procedimento amministrativo che irroga una sanzione amministrativa; penso al decreto con cui il giudice attribuisce efficacia esecutiva al processo verbale di conciliazione di cui all’art. 411 c.p.c. ecc. ecc.) lo dimostra con tutta evidenza.
La considerazione di questa possibilità e di questi istituti consente una prima grossa precisazione. Non tutta la c.d. giurisdizione contenziosa (cioè la tutela dei diritti oggettivi o status costituzionalmente necessaria) deve essere necessariamente attribuita al giudice: ferma la necessità che i diritti e gli status debbano sempre poter essere fatti valere davanti al giudice in processi a cognizione piena con attitudine al giudicato (formale e sostanziale), in processi esecutivi (che mettano a capo i risultati stabili) e in processi cautelari, rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario prevedere che taluni diritti o status possano trovare tutela anche (sottolineo anche) secondo modalità aggiuntive diverse svolte anche da soggetti diversi dal giudice.
Individuati i limiti entro cui la giurisdizione contenziosa, la tutela dei diritti e status è costituzionalmente necessaria, è giunto il momento di notare come tradizionalmente il legislatore abbia attribuito al giudice anche compiti di gestione di interessi: è il settore della giurisdizione c.d. non contenziosa o volontaria.
Si tratta di un’area che concerne funzioni ulteriori rispetto a quello della tutela giurisdizionale dei diritti e degli status, area che il legislatore ordinario potrebbe legittimamente rimettere nella sua discrezionalità anche in toto ai poteri privati o alla potestà amministrativa o ad altri soggetti (salvi i controlli giurisdizionali a tutela dei diritti o interessi legittimi su cui i poteri privati o pubblici incidono). Alcuni rapidi esempi.
La nomina e la rimozione di rappresentanti legali ai minori, agli incapaci, ai patrimoni separati o ai gruppi collettivi, può essere liberamente rimessa dal legislatore a potestà amministrative (o in taluni casi anche a poteri privati), come invece al giudice.
La valutazione dell’opportunità di porre in essere atti di straordinaria amministrazione nell’interesse di minori, incapaci, persone giuridiche può essere liberamente rimessa dal legislatore ai poteri dei rappresentanti o invece a potestà amministrative, ovvero ancora al giudice (v., per tutti, gli artt. 17 - nel testo anteriore all’abrogazione disposta dall’art. 13 L. 127/97 - e 374-375 c.c.).
La liquidazione di patrimoni separati o del patrimonio delle persone giuridiche può liberamente essere rimesso dal legislatore alla autonomia dei rappresentanti, o invece a liquidatori nominati dalla autorità amministrativa o dal giudice (v., per tutti gli art. 31, 2275 c.c.).
Il riconoscimento delle persone giuridiche può liberamente essere ricollegato dal legislatore al compimento di atti di autonomia privata, o invece essere rimesso al previo controllo di legittimità (e/o di merito) di una potestà amministrativa, ovvero del notaio ancora del giudice (v., per tutti, l’art. 12 e i vari testi succedutisi dell’art. 2330 c.c.). Le vendite coattive in genere possono essere liberamente rimesse dal legislatore alla potestà amministrativa o al giudice, o a liberi professionisti. L’esemplificazione, come è evidente, potrebbe continuare a lungo.
Quella svolta mi sembra però che nella sua voluta elementarietà ed essenzialità sia sufficiente allo scopo di evidenziare come in queste e nelle molte consimili ipotesi il giudice è chiamato non a risolvere controversie relative a diritti o a status, non ad assicurare la tutela giurisdizionale di diritti o status violati, bensì a gestire interessi di minori, incapaci, patrimoni separati, gruppi collettivi.
Il carattere volontario, costituzionalmente non necessario, di queste attività devolute al giudice deriva dalla circostanza che si tratta di compiti, di funzioni che il legislatore nella sua discrezionalità (volontarietà) poteva anche non affidare al giudice.
Col che, però, il tema della distinzione della giurisdizione contenziosa dalla giurisdizione volontaria è solo impostato. Le vere grosse difficoltà sorgono infatti non riguardo al nucleo centrale delle funzioni giurisdizionali necessarie o contenziose e rispettivamente volontarie o non contenziose, bensì in ordine alle molto estese zone di confine.
In particolare la distinzione presenta difficoltà soprattutto riguardo a due settori: in primo luogo tutte le ipotesi di procedimenti bilaterali o plurilaterali, nelle quali al giudice è devoluta la gestione d’interessi (di minori, incapaci, patrimoni separati, gruppi collettivi) che sono in conflitto con interessi altrui, è immanente la possibilità che l’attività di gestione dell’interesse entri in contrasto - incida si dice - su veri e propri diritti o status altrui: si pensi alle ipotesi di rimozione del tutore (art. 384 c.c.), di revoca dell’amministratore di condominio (art. 1129, comma 1, c.c. e 64 disp. att. c.c.), di revoca di amministratori e di sindaci di società per azioni (art. 2409, comma 4, c.c.). In tutte queste ipotesi a fronte dell’interesse del minore, dell’incapace, del patrimonio separato, del gruppo collettivo da gestire, da amministrare, vi sono corposi diritti soggettivi del tutore, amministratore di condominio, liquidatore, sindaco, amministratore societario rimosso, diritti che non possono non trovare tutela (nonché solo risarcitoria) in un processo a cognizione piena davanti al giudice.
Sarebbe poi da accennare come settore in cui sono massime le difficoltà di distinguere tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria, le ipotesi di tutela dell’interesse dei minori a fronte del diritto- potestà (responsabilità), dei genitori. Si va dalle già gravissime ipotesi di rimozione dall’amministrazione, di decadenza dalla potestà, di “provvedimenti convenienti” ivi compreso l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare, di affidamento temporaneo del minore in mancanza di assenso dei genitori (artt. 330, 333, 334, c.c. e art. 4 L. 184/83), alla dichiarazione dello stato di adottabilità (artt. 8-21 L. 184/83), alla dichiarazione di adozione (artt. 25-28 L. 184/83). In casi di questa specie la contrapposizione tra gestione dell’interesse del minore e tutele del diritto-potestà parentale (responsabilità genitoriale) è massima: soprattutto, a differenza di quanto può avvenire nelle ipotesi cui si è precedentemente accennato, la contrapposizione non sembra componibile in modo alcuno tramite la scissione tra giurisdizione non contenziosa sulla gestione dell’interesse del minore e giurisdizione contenziosa sulla tutela del diritto del genitore.
Delimitati i settori in cui la giurisdizione civile è costituzionalmente necessaria, deve cioè necessariamente essere attribuita al giudice, da quelli in cui non lo è, si sono poste le premesse teoriche indispensabili per assolvere uno degli scopi principali di questa relazione: verificare se ed in che limiti il Notariato, i notai possono inserirsi nella indispensabile opera di risanamento della giustizia civile cui si accennava all’inizio.
A mio avviso i settori in cui ciò è possibile sono soprattutto due:
a) in primo luogo il settore della c.d. giurisdizione volontaria caratterizzata da procedimenti unilaterali e bilaterali in assenza (e forse anche talvolta in presenza) di conflitto d’interessi (che non assurgano però a livello di veri e propri diritti soggettivi);
b) in secondo luogo il settore del tentativo di conciliazione stragiudiziale e -come dirò- di decisione allo stato degli atti.
Iniziamo dalle ipotesi di giurisdizione volontaria che ben potrebbero essere devolute ai notai. Innanzitutto vengono in considerazione le ipotesi di nomine di rappresentanti a minori, incapaci, patrimoni separati e di autorizzazioni a compiere negozi o a stare in giudizio.
Non è questa la sede per indicare analiticamente le singole ipotesi.
Sia pertanto sufficiente indicare che nella categoria ora enunciata rientrano a titolo di esempio la nomina del tutore e protutore ex art. 346, la nomina del curatore dell’eredità giacente ex art. 528 c.c.; forse vi potrebbero rientrare la nomina del curatore speciale (ex art. 320, ultimo comma, 321 8e 394, ultimo comma, e 395 c.c.) in ipotesi di conflitto di interessi fra figli e genitori esercenti la potestà o di rifiuto dei genitori a compiere un atto nell’interesse del figlio, la nomina dell’amministratore alla comunione ex art. 1105, ultimo comma, c.c.; non vi dovrebbero rientrare invece i provvedimenti di rimozione del tutore per negligenza, abuso di poteri, ecc., ex art. 384 c.c., di esclusione dall’amministratore del coniuge che abbia male amministrato ex art. 183 c.c., di rimozione del genitore dall’amministrazione ex art. 334 c.c., di revoca dell’amministratore di condominio se vi sono fondati sospetti di irregolarità ex art. 1129, comma 11, c.c. e 64 disp. att. c.c. ecc.
Sempre nella categoria ora in esame rientrano a titolo di esempio le autorizzazioni ad negotia o a stare in giudizio ex art. 320, comma 3, 4, e 5, art. 371, comma 1, nn. 2 e 3, art. 371, comma 2, artt. 372 a 376, 424, 425, 460, comma 2, 493, 694, 703 c.c.; mentre forse potrebbero rientrarvi, sempre ad esempio, l’autorizzazione con cui si supplisca al rifiuto di consenso di un coniuge in regime di comunione legale al compimento di un atto di straordinaria amministrazione la cui stipulazione sia «necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda» ex art. 181 c.c.; escluderei invece che vi rientrino le procedure bilaterali di fissazione di termini e di imposizione di cauzione cui si riferiscono gli art. 749 e 750 c.p.c.
In tutte le ipotesi or ora individuate le attribuzioni conferite al giudice (giudice tutelare o tribunale collegiale) prescindono del tutto sia dalla presenza anche di un mero conflitto di interessi in atto (o di un conflitto con veri e propri diritti soggettivi), sia dalla professionalità specifica del giudice; l’unico vero motivo per cui queste attribuzioni sono conferite al giudice è la terzietà ed indipendenza che esso garantisce. Ma se le cose stanno in questo modo, allora non mi sembra irragionevole ipotizzare che queste attribuzioni possano essere devolute ai notai, cioè a soggetti estranei sì alla magistratura, ma estranei anche alla pubblica amministrazione, soggetti titolari di pubbliche funzioni dei quali l’ordinamento garantisce al massimo grado l’indipendenza e l’autonomia (da qualsiasi altro organo che possa influenzare l’operato) nonché la terzietà rispetto agli interessi coinvolti dalla loro attività (v. art. 28 L.N.). Vi è di più, dato che il proprium dell’attività notarile consiste nella «funzione, insieme garantista e creativa, che il notaio svolge nella sostanza del regolamento negoziale» (Nigro), la professionalità specifica del notaio sembra giustificare molto più di quanto non sia per il giudice l’attribuzione di questi compiti.
È quanto, con riferimento al controllo preventivo di legalità dell’atto costitutivo di società per azioni è stato fatto dalla L. 340/2000 (art. 2330 c.c.).
Con un certo qual coraggio (utilizzando l’art. 68, comma 2, c.p.c. nel senso proposto da Ernesto Fabiani) si potrebbe infine pensare di attribuire (se del caso ad istituendi uffici composti da notai) la quasi totalità delle funzioni oggi attribuite al giudice tutelare.
Sempre nell’ambito della c.d. giurisdizione volontaria caratterizzata da provvedimenti, questa volta bilaterali, in assenza di conflitti di interessi si colloca la separazione consensuale di cui agli art. 158 c.c. e 711 c.p.c. e il divorzio per decorrenza dei termini. Ma come è noto il D.l. 132/2014 e la relativa legge di conversione hanno di recente compiuto scelte diverse da quella del ricorso ai notai.
Avvicinandomi alla parte finale della mia relazione, vorrei accennare ora al contributo che i notai potrebbero fornire riguardo al tentativo obbligatorio di conciliazione decisione agli stati degli atti, in funzione di effettiva (e non declamatoria, come invece D.lgs. 28/2010 e D.l. 132/2014) deflazione del carico di lavoro dei giudici togati.
Vorrei iniziare richiamando l’attenzione sulla L. 689/1981 c.d. di depenalizzazione e alle altre leggi successive nello stesso senso. Con queste leggi fu attuata nel penale una operazione di vasta portata: la c.d. depenalizzazione. Molti illeciti furono depenalizzati e trasformati da reati di competenza dei magistrati in illeciti amministrativi. L’accertamento in prima battuta di questi illeciti amministrativi fu attribuita ad autorità amministrative (normalmente al prefetto) le quali, a termine di rudimentali processi in contraddittorio, emanavano (e emanano), in caso di accertamento positivo dell’illecito, c.d. ordinanze esecutive irrogatrici di sanzioni amministrative, ordinanze suscettibili di essere “opposte” per qualsiasi motivo di fatto o di diritto davanti al giudice civile (giudice di pace o tribunale).
Non si è mai dubitato della legittimità costituzionale di una simile operazione; basti pensare infatti per tutti alla efficacia esecutiva di lodi arbitrali, di conciliazioni obbligatorie o raggiunte a termine da una procedura di negoziazione assistita da avvocati, si pensi soprattutto al fenomeno dei titoli esecutivi stragiudiziali: dall’atto pubblico, alla scrittura privata autenticata, alla cambiale in regola col bollo (che è addirittura una scrittura privata non autenticata).
Questa via si è tentato di seguire con la previsione della conciliazione obbligatoria ex D.lgs. 28/2010 (e successive modificazioni).
Questa via, pur avendo impegnato molti operatori giuridici, non ha dato buoni frutti così come poco è da sperare dalle convenzioni negozialmente assistite dagli avvocati.
Il motivo di tale insuccesso deriva a mio avviso da due fattori:
a) il tentativo obbligatorio di conciliazione si svolge quasi sempre davanti a un terzo che è del tutto ignaro dei termini effettivi della controversia;
b) non è previsto soprattutto alcuno strumento tecnico volto a far sì che le parti indichino in questa fase tutte le domande eccezioni e prove (precostituite e costituende, neanche quelle prove atipiche costituite dalle scritture contenenti dichiarazioni di terzi o consulenze tecniche stragiudiziali): che cioè le parti calino le proprie carte, scarichino tutte le loro batterie (tanto non è previsto neanche dalla procedura di convenzione negoziazione assistita che pure si svolge con l’assistenza di avvocati). Orbene, un intervento ragionevole (e non illusorio come quello previsto dal D.lgs. 28/10 o dal decreto legge 132/2014) potrebbe essere il seguente: prevedere che con riferimento ad alcune, determinate categorie di controversie relative a diritti disponibili, individuate in ragione della materia (ad es. tutte o quasi le controversie di lavoro e previdenziali, controversie locatizie, controversie in materia di diritti reali, controversie da infortunistica stradale, controversie successorie e altre da individuare), sia introdotto, in via legislativa, quale condizione di procedibilità del processo, il preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi ad un terzo imparziale (notai, funzionari specializzati delle Camere di commercio, ex avvocati dello Stato, ex giudici onorari, ex funzionari della pubblica amministrazione, ecc.).
Perché un simile istituto abbia successo, possa incidere sui grandi numeri che affliggono la giustizia civile, occorre però prevedere:
a) in primo luogo, che il tentativo di conciliazione sia effettuato da un collegio di conciliazione costituito da un terzo tendenzialmente imparziale che lo presiede e da due rappresentanti delle parti (che ben potrebbero o addirittura dovrebbero essere gli stessi difensori) appositamente designati dalle parti stesse;
b) in secondo luogo: - che la richiesta del tentativo di conciliazione debba contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei termini della controversia, dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa e delle prove di cui si dispone con produzione dei documenti (e delle prove atipiche costituite dalle scritture contenenti dichiarazioni di terzi o consulenze tecniche stragiudiziali); - che debba essere preventivamente comunicata alla controparte e che questa debba depositare osservazioni scritte tramite le quali prendere posizione specifica sui fatti posti dall’istante a fondamento della sua pretesa, sollevare eccezioni e indicare i mezzi di prova di cui si dispone con produzione dei documenti (e delle prove atipiche) ed eventuale proposizione di domande riconvenzionali. Per rendere effettiva tale fase preparatoria del procedimento, occorrerebbe prevedere che nel successivo, eventuale, processo davanti al giudice non possono essere proposte domande o allegati fatti eccezioni prove non proposte o allegati nella fase del tentativo obbligatorio di conciliazione;
c) in terzo luogo, che davanti al collegio di conciliazione debbano comparire personalmente le parti per essere interrogate liberamente;
d) in quarto luogo, che il collegio di conciliazione, anziché limitarsi a formulare una proposta per la bonaria composizione della controversia, una volta fallita anche quest’ultima possibilità di accordo, il collegio, o meglio il suo presidente debba redigere un verbale nel quale decidere la controversia allo stato degli atti, ed il verbale contenente tale accertamento, ove sia nel senso di accoglimento della istanza, abbia ex lege valore a tutti gli effetti di titolo esecutivo stragiudiziale. Si tratterebbe, nella sostanza, in caso di accoglimento della istanza, di creare una nuova ipotesi di titolo esecutivo di formazione stragiudiziale alla stessa stregua di quanto ad es. effettuato dall’art. 18 L. 689/1981 riguardo alla ordinanza irrogatrice di sanzioni amministrative.
Vi è di più. Con un poco di immaginazione si potrebbe - e a mio avviso si dovrebbe - pensare che l’accertamento allo stato degli atti sia idoneo a costituire non solo ex lege titolo esecutivo di formazione stragiudiziale, ove sia nel senso di accoglimento dell’istanza, ma, indipendentemente dal se l’accertamento sia positivo o negativo, sia anche destinato a divenire immutabile ove nessuna delle parti instauri un processo (ex art. 645 c.p.c.) a cognizione piena di primo grado entro un determinato termine perentorio. Anche qui il regime della ordinanza irrogatrice di sanzioni amministrative sta ad indicare quanto meno la possibilità di una tale scelta.
I rilievi da sempre svolti dalla dottrina processualistica sulla teoria degli equivalenti giurisdizionali, e le riflessioni svolte, anche di recente, sulla giurisdizione quale potere di attuare in forma ultima il diritto oggettivo, sono tutti nel senso di dare piena giustificazione sistematica all’ipotesi prospettata, nonché a porla a riparo da qualsiasi sospetto di illegittimità costituzionale.
Questa proposta, se adeguatamente attuata, avrebbe i vantaggi:
aa) di essere a costo zero o quasi perché il compenso del terzo graverebbe sulle parti (e in ultimo sulla parte soccombente);
bb) di non preveder l’assistenza degli avvocati perché essi sarebbero già componenti del collegio di conciliazione e sarebbero sempre retribuiti dalla parte (e in ultimo dalla parte soccombente);
cc) di incidere davvero sui grossi numeri della giustizia civile, perché, una volta introdotto il regime di preclusioni di cui supra ho detto, è ragionevole prevedere che il numero delle opposizioni davanti al giudice dovrebbe essere notevolmente ridotto;
dd) essa opererebbe - è opportuno aggiungere - la più grossa privatizzazione mai tentata nella giustizia civile (per trovare qualcosa di analogo occorre risalire alla attribuzione di efficacia esecutiva alla cambiale disposta dal cod. comm. del 1882), ma tale privatizzazione non sarebbe in modo alcuno adeguamento al liberismo sfrenato che sembra caratterizzare l’attuale fase dei rapporti politico sociali, e lascerebbe inalterate le garanzie e l’equilibrio delle parti.
In questo settore - a mio avviso di grandissimo rilievo pratico - i notai - ove sostengano tale proposta - sarebbero chiamati a svolgere un ruolo rilevantissimo: si pensi, per tutte, alle controversie in tema di diritti reali, alle controversie condominiali, a quelle successorie, a quelle di scioglimento della comunione legale fra coniugi, ecc.


Relazione conclusiva al convegno sulle “Deleghe di giurisdizione” organizzato dalla Scuola Superiore per la Magistratura e dalla Fondazione del Notariato il 17 e 18 giugno 2015, già pubblicata in Il giusto processo civile, 2015, p. 779 e ss. La relazione è dedicata a Salvatore Tondo, grande amico e nume tutelare del Notariato, grazie al quale circa venticinque anni fa entrai in contatto col Notariato ed ebbi a conoscere persone dal grande spessore umano e culturale fra cui mi piace ricordare gli amici Giorgio Baralis e Nicola Raiti. Nella relazione utilizzo, spero con qualche approfondimento, studi pubblicati sul Foro italiano del 2000 e dal 2003 in poi.

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