Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)
Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)
di Stefano Pagliantini
Ordinario di Diritto privato, Università di Siena

La duplice ratio della direttiva 17/2014

Si legge nel terzo considerando della direttiva 17/2014/Ue che il comportamento irresponsabile degli intermediari creditizi ha finito, negli ultimi anni, per «mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico». La proposizione successiva, laddove discorre di «consumatori [che] hanno perso fiducia nel settore finanziario e [di] mutuatari [che] si sono trovati sempre più in difficoltà nel far fronte ai propri prestiti», da cui poi il crescente «aumento degli inadempimenti e delle vendite forzate», restituisce vividamente l’immagine della grave situazione sociale conseguente allo scoppio della bolla immobiliare spagnola. Se l’obbiettivo dunque è duplice, creare da un lato mercati responsabili restaurando dall’altro la fiducia dei consumatori, la natura duale della direttiva 17/2014, perché normativa di regolamentazione del mercato creditizio e nel contempo disciplina di protezione dei consumatori dal sovraindebitamento, traspare apertamente, nel dichiarato intento di rimediare alla cascata di danni macroeconomici incorsi nel frattempo per il mix micidiale di una «scarsa cultura finanziaria» e di «regimi inefficaci, incoerenti o inesistenti per gli intermediari del credito»(1). Dunque una normativa che ambisce a riordinare in modo più efficiente il mercato interno del credito immobiliare ma progettata senza policies di interventi proibitivi su questo o quel prodotto creditizio, neanche rispetto a quei prestiti in valuta estera (art. 23) motivo di grave incognita per il consumatore a causa dei costi che possono originare dal rischio di cambio. La tecnica di regolamentazione prescinde così totalmente dal conio di una mappa di divieti di commercializzazione, mettendo piuttosto in mostra un’intelaiatura incentrata sulla sperimentata formula di una tutela del consumatore a monte del contratto, nell’ottica di un anticipo, al dichiarato fine di imbrigliarlo se non di anestetizzarlo, del rischio di un sovraindebitamento al tempo di una fase precontrattuale che si è concepita marcatamente graduata e, come si è ben detto, incontournable(2). In termini classificatori, la direttiva 17/2014 è di armonizzazione minima ma, rispetto «alle informazioni precontrattuali attraverso il formato del Prospetto informativo europeo standardizzato (Pies) e il calcolo del Taeg»(3), il livello adottato è quello di un’armonizzazione piena.

La trama degli artt. 13 e 14: il formalismo rinnovato di un’informazione obbligatoria trasparente

Prima facie la sagoma degli artt. 13 e 14 non decampa dall’ordito tradizionale della legislazione consumeristica: secondo una logica di gradualità del dovere informativo(4), l’art. 13, intitolato alle Informazioni generali, è la classica disposizione che, nell’ottica di un mercato concorrenziale efficiente, standardizza la strategia informativa dell’offerta di mutui immobiliari onde il consumatore possa confrontare il costo totale e le caratteristiche principali dei diversi prodotti. E così, per accompagnare il consumatore nell’attività di Anbahnung al contratto, viene prescritto:
- un catalogo minimo di informazioni, ll. da a ad n, illustranti l’ossatura del contratto di credito, dalle forme di garanzie richieste alla durata del contratto (ll. c e d), i tipi di tassi debitore disponibili e, nel caso si tratti di crediti in valuta estera, una «spiegazione delle implicazioni per il consumatore» (ll. e ed f), quindi il costo totale del mutuo espresso in percentuale annua (Taeg) ed un’indicazione di eventuali costi aggiuntivi (ll. g ed h), senza tralasciare un’informativa sulle opzioni di rimborso del credito e le condizioni per procedere ad un’estinzione anticipata (ll. i e k), ancora, quando sia necessaria una perizia valutativa dell’immobile, chi debba provvedervi e se sia a titolo oneroso (l. l), nel caso infine la stipula alle condizioni pubblicizzate sia poi condizionata all’acquisto di servizi accessori, un’indicazione degli stessi con l’avvertenza che potranno «essere acquistati da un fornitore diverso dal mutuante» (l. m). Seguono, riproducendo un cliché consolidato, gli imperativi in merito - a disponibilità di queste informazioni, in qualsiasi momento, in via cartacea o su supporto durevole ovvero in forma elettronica; e - una modalità di esternazione improntata a chiarezza e comprensibilità. Il tutto, la ratio dell’art. 13 non ha nulla di trascendentale, al fine di garantire al consumatore una prima conoscenza dell’intera linea di prodotti creditizi, offerti sul mercato, dai singoli intermediari: un’informazione a largo spettro, perciò, che non si confonde né sovrappone alla pubblicità dell’art. 12 perché, come chiarisce il considerando 38, questa ha per oggetto una o più offerte del singolo creditore.
Naturalmente il plesso normativo delle pratiche commerciali scorrette (artt. 20 e ss., cod. cons.) è il comparto destinata ad ovviare ad una condotta inadempiente del professionista, perché un’informazione generale incompleta o decettiva (art. 22, comma 5, cod. cons.) è idonea ad indurre in errore il consumatore, con l’annesso apparato della tutela amministrativa/giurisdizionale ex art. 27 e, se del caso, di quella risarcitoria individuale ex art. 1337 c.c.
Dopo di che, delimitato ex lege il perimetro di un’informazione in incertam personam(5), il discorso si sposta sulle informazioni precontrattuali dell’art. 14: e qui il canovaccio normativo già, in realtà, viene a mostrare una doppia veste. Se da un lato infatti le cadenze dell’informazione obbligatoria, a favore di un contraente non sofisticato, sono quelle canoniche di una realità documentale a contenuto vincolato, l’impronta dall’altro di un formalismo informativo modellato sul canovaccio di un’autentica e reale libertà decisoria del consumatore, un’effettiva Entscheidungs - freiheit si vuol dire riprendendo così la declinazione operativa della Corte di Giustizia(6), è scopertamente tangibile. Ed allora, seguendo il dipanarsi di una trama normativa fatta oggetto, proprio perché market oriented, di un’armonizzazione massima(7), si ha nell’ordine:
- l’obbligo dell’intermediario di fornire delle informazioni precontrattuali personalizzate, perché corrispondenti allo specifico profilo creditizio del consumatore, mediante il Prospetto informativo europeo standardizzato (Pies);
- questo prospetto, documentale o su di un altro supporto durevole nell’ottica ormai consolidata di una forma del’informazione, ha un contenuto analitico vincolato, articolato nelle 15 sezioni in cui si scompone la Parte A dell’Allegato II (§ 2), illustrante i tratti identificativi del tipo di credito offerto;
- un informare che, per evitare l’effetto sorpresa di una consegna del Pies coeva alla stipula del contratto, deve avvenire in tempo utile, prima che il consumatore sia vincolato (§ 1, l. b); diversamente non si avrebbe una decisione contrattuale razionale;
- una documentazione separata, lo si desume dal § 8, per ogni informazione aggiuntiva che il professionista intendesse fornire al consumatore, da allegarsi al Pies. Dunque, è vero, una graduazione dell’informazione(8): il che però non è una novitas in quanto, se le informazioni del Pies sono essenziali, prescrivere una consegna separata di quelle pattizie assicura lo sperimentato risultato utile di arginare un possibile effetto sviante, essendo notorio che un eccesso di informazione opacizza. Del resto anche l’ordine delle informazioni - v. considerando 40 - è un dato basilare.
Nihil novi, quindi(9), ed anche sul piano dei rimedi, non è che si annunci, per incidens, un canone decampante da quello consueto. Infatti, - se il Pies non sarà consegnato, siccome l’obbligo informativo è reputato assolto soltanto colla sua traditio (§ 7, anche per il caso di contratti a distanza relativi ai servizi finanziari), sembra plausibile supporre, in analogia sistematica col combinato disposto degli artt. 125-ter e 125-bis, c. 1 Tub, che si avrà una postergazione del termine per recedere dal contratto. Una postergazione, cave però, sine die per la semplice ragione che il suddetto termine pur sempre inizia a decorrere dal momento in cui il consumatore ha ricevuto tutte le informazioni spettantegli per legge(10);
- se il Pies, terza fattispecie, dovesse invece mostrarsi lacunoso, stante il principio di legalità che regge la nullità per contrarietà a buona fede ex art. 1418, comma 3 c.c., è il rimedio del risarcimento danni ex art. 1337 la sanzione più acconcia alla violazione di una regola di responsabilità, fermo restando naturalmente che se la correlata lacuna contractus dovesse involgere l’importo totale del finanziamento ovvero le condizioni di prelievo o di rimborso, è da supporre che, in analogia di nuovo con quanto disposto dall’art. 126-bis, comma 7, si avrà una nullità (testuale) del contratto;
- ancora, se il Pies, dovesse presentare delle informazioni false, viene da pensare che debba distinguersi: perché, se da un lato la suddetta ingannevolezza può costituire titolo per una responsabilità da contratto valido ma sconveniente, nel caso la falsità attenga invece ai tassi di interesse od alle altre condizioni, in peius rispetto a quanto sia stato pubblicizzato, ha più di un senso pensare che si abbia una nullità delle corrispondenti clausole contrattuali nei termini di cui all’art. 126-bis, comma 7, lett. a, Tub;
- se infine dovesse registrarsi l’ipotesi di una dissonanza tra il Pies ed il successivo contratto di finanziamento, nel senso che questo non riproduca in parte qua quanto contenuto nel prospetto o se ne discosti, siccome l’art. 14 non riconosce alle informazioni del prospetto l’attributo di parte integrante del contratto (artt. 49 e 72, comma 4, cod. cons.)(11 )limitandosi a prescrivere l’obbligo di fornire nuovamente il Pies nel caso le caratteristiche dell’offerta siano diverse (§ 4), a dischiudersi dovrebbero essere i rimedi dell’annullamento ex art. 1439 o del risarcimento ex art. 1440 c.c, colla variabile per altro di una nullità parziale necessaria per l’ipotesi, gemella di quella già regolata dall’art. 126-bis, comma 6, di clausole imputanti dei costi al consumatore non inclusi nel Taeg pubblicizzato ovvero inclusi ma non in modo corretto(12).
Dunque, come si può constatare, un panorama di conseguenze variegato ma che non scantona dallo spartito rimediale contrassegnante la logica di un’informazione unilateralmente protettiva propria di un qualsiasi altro contratto asimmetrico b2c.

Segue: l’obbligo di spiegare e la trasparenza sul funzionamento del contratto in funzione di una Entscheidungs-freheit

Ma c’è pure, si diceva, un approccio qualitativamente diverso: il quid di un’informazione obbligatoria puntuale, ecco il significato agglutinante le 15 sezioni della Parte A dell’Allegato II, che dà sostanza alla trasparenza delle clausole. Il suo perno è l’obbligo di spiegare/illustrare chiaramente il tipo e le caratteristiche salienti del mutuo, quindi il suo ammontare, la struttura dell’ammortamento ed «i rischi potenziali connessi al tasso debitore». Duty to explain o obligation d’éclairer, nelle versioni inglesi e francesi della direttiva, una trasparenza in senso forte, per dirlo in modo conciso, anche se probabilmente, come già è capitato di scrivere altrove(13), l’appellativo meglio calzante è quello di una trasparenza economica della clausola, sull’assunto che chiara sia soltanto la pattuizione che lascia antivedere o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto (di durata) in fieri. Una trasparenza, perciò, che è l’esatto opposto di quanto reputa chi, prendendo spunto dallo standardizzarsi dell’obbligo informativo, lo vede trasformato in un’asfittica realità documentale che «in principio lascia fuori ogni possibile apprezzamento dell’adeguatezza del comportamento del professionista nei confronti di quel consumatore»(14). Donde, per es., la legittimità di quelle clausole tipo, inserite nei contratti di credito, con le quali il consumatore dà atto dell’esecuzione degli obblighi incombenti sul creditore mutuante. Ora, è vero che questa impostazione potrebbe trovare qui un appiglio in due luoghi, in quel § 2 dell’art. 14 che connette l’informazione obbligatoria al fornirla mediante «il Pies di cui all’allegato II» nonché in quel successivo § 3 che, per il caso di un’offerta vincolante per il professionista, fa comunque obbligo di accompagnare la suddetta offerta colla dazione del Pies(15). E tuttavia, se quanto riferito è plausibile, a fare da contrappunto, riallineando così l’informazione ad un target di concreta idoneità della stessa ad un contrarre responsabile, provvede il combinato disposto dell’art. 14, § 1 e dell’art. 16 essendo evidente che, senza delle «spiegazioni adeguate sui contratti di credito», non si potrà avere, la formula francese è più pregnante di quella italiana, una décision en connaissance de cause (§ 1). Una trasparenza forte, se la si prende sul serio, esalta si vuol dire l’analiticità di un contenuto contrattuale obbligatorio per ovviare alle trappole nascoste(16), adattando, come illustra il considerando 48 persino con un eccesso di paternalismo pedagogico, le informazioni «alle circostanze in cui il credito è offerto e al bisogno di assistenza del consumatore». Il focus, nell’ottica di un art. 38 della direttiva de qua letto alla luce della 93/13/Cee, è per conseguenza, sulle clausole relative al prezzo o all’oggetto principale del contratto. Ed infatti, in rapida successione:
a) l’informazione sul tasso debitorio, se fisso o variabile, è funzionale ad un’effettiva e reale decisione negoziale quando l’intermediario specifichi i periodi nei quali il suddetto tasso resterà fisso, la frequenza temporale entro la quale sarà riveduto, se vi sono dei limiti massimi o minimi di oscillazione della variatio. In difetto non si potrà parlare di una consapevolezza del consumatore nell’obbligarsi;
b) nel caso di un prestito in valuta estera, l’analitica dell’informazione precontrattuale implica che venga evidenziato di quanto l’importo del mutuo aumenterà nel caso la valuta nazionale del mutuatario dovesse svalutarsi del 20%, con la variabile dell’indicazione di un ammontare superiore nel caso la moneta nazionale del consumatore «scendesse più del 20%». Ed anche qui, la ragione è semplice: in mancanza di un’indicazione preliminare sul rischio di cambio, come in Kásler Árpád è stato sentenziato, l’alea non è misurabile ed il consumatore peccherebbe della consapevolezza necessaria ad apprezzare se gli convenga oppure no accollarsi un certo rischio;
c) la descrizione del tipo di mutuo sottoscritto include una disclosure sull’ammortamento, perché la convenienza subiettiva di un finanziamento muta se il rimborso riguarderà il solo capitale od anche gli interessi ovvero l’uno e gli altri; l’indicazione delle “altre voci componenti il Taeg”, nella stessa ottica, non è trasparente se l’intermediario non provvede ad elencare separatamente ciascun fattore di costo, il destinatario del pagamento ed il termine; ancora, se il tasso debitorio è variabile, una consapevolezza affidante sul costo assunto implica un esempio di importo massimo che potrà avere la rata o, laddove non sia previsto contrattualmente un limite massimo, l’indicazione di una rata pari al livello più elevato raggiunto dal tasso debitorio nell’ultimo ventennio. E si potrebbe continuare senza però, in questo stilizzare l’immagine di una trasparenza sensibile ad un affidamento ragionevole del consumatore, aggiungere nulla all’ordito di una regola di comportamento del professionista che sembra dunque contemplare:
- un’informazione precontrattuale dettagliata e completa, di «fondamentale importanza», secondo il periodare della Corte di Giustizia(17), al cospetto di un contraente vulnerabile;
- una trasparenza sul funzionamento del contratto, perché l’informazione preliminare si contrattualizza, - il suo contrario, quantunque l’opacità inerisca a clausole principali ex art. 4, § 2 dir. 93/13 perché relative a voci secondarie di prezzo od all’oggetto principale del contratto, introduce - questo il dato saliente - al giudizio di abusività ex art. 33, comma 1 cod. cons. Se infatti trasparente è soltanto il mutuo corredato di clausole la cui giustificazione economica sia comprensibile al consumatore, senza una trasparenza siffatta diviene opaco il costo totale del contratto, donde una rilevanza di rimbalzo dello squilibrio economico. Una vessatorietà, verrebbe da dire, alla tedesca, perché eine unangemessene Benachteiligung può scaturire dalla circostanza che la clausola nicht klar und verständlich ist (§ 307, Abs. 1, BGB), penalizzando così finanziariamente il consumatore. Poi, quanto al posterius di questa declaratoria di vessatorietà, se cioè la soppressione della clausola importerà oppure no un’integrazione del contratto ai sensi dell’art. 126-bis, comma 7, lett. a, Tub, ovvero se potrà persino profilarsi una nullità totale del finanziamento(18), è tutta un’altra questione che introdurrebbe al diverso problema della reale carica dissuasiva, in termini cioè di effettività della tutela ex artt. 38 e 47 Cdfue, del rimedio praticato. Quel che qui viceversa preme mettere in risalto è il quid di una trasparenza economica stilizzante una visuale del contratto che «non è più prigioniera» del formalismo procedurale immunizzante dell’art. 4, § 2 dir. 93/13(19). Quindi non un cambio di paradigma del diritto europeo, semplicemente una Materialisierung dell’informazione a protezione dell’interesse materiale sottostante del consumatore. La leggibilità di un testo contrattuale, composto di un solo documento ed evidenziante graficamente tutti i rischi (Parte A del Pies), in quanto espressivo di una pura trasparenza formale, vale infatti da mera precondizione del negoziare mentre la complessità dell’operazione economica esige qui una trasparenza che, come ancora si legge in Kásler Árpád, sia sinonimo di una possibilità effettiva … di valutare le conseguenze economiche» delle clausole, giacché l’ignorarle per certo falsa la decisione del consumatore di «vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista»(20). Entscheidungs- freheit, per l’appunto, secondo l’espressione invalsa nella migliore dottrina tedesca(21), ottenuta dando effettività alla regola di trasparenza quale tecnica di tutela.
In un’accezione volontaristica, si può chiosare dicendo che c’è un controllo di abusività perché quella clausola avrebbe attirato l’interesse del consumatore: più propriamente si ha una trasparenza riequilibratrice della clausola predisposta, sovrastante la singola obbligazione contrattuale, onde rettificarne o adattarne gli effetti. Quasi una trasparenza che, al pari ma qui in luogo della buona fede(22), si «sovrappone» al contratto come un ordine rimediale ab extra comandato a correggere lo scambio che sia opaco per il consumatore.

La regola prudenziale di assistenza e di avvertimento nell’attività di avviamento al contratto

Fin qui il continuum col più recente pregresso della legislazione consumerista: ora al tocca al novum declinato con le fattezze, venendo subito al punto, di un obbligo ex lege di assistenza/consulenza e di avvertimento del consumatore nella selezione del “prodotto mutuo immobiliare” più adeguato, nel senso di adatto, come recita l’art. 16, § 1, «alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria». Prestito responsabile o sostenibile è infatti un sintagma che sta ad indicare una fattibilità del mutuo, intesa come una rispondenza del finanziamento a quell’interesse materiale del consumatore che fa da sostrato all’operazione, coniugando così probabilità di restituzione ed appetibilità del mutuo proposto rispetto alle alternative di finanziamento praticabili. L’obbligo di assistenza e di avvertimento, dischiudendo così una funzione collaborativa del professionista intermediario «nel processo decisionale del consumatore»(23), sottende infatti un servizio di consulenza basculante tra un partecipare fattivamente (nella scelta) ed un allertare (sui rischi dell’indebitamento) fino ad un consiglio negativo, nel caso il profilo finanziario corrente del consumatore non si mostrasse pertinente. Se il devoir de mise en garde, creazione pretoria francese con le fattezze miste di un’informazione-consiglio(24), è scopertamente il suo archetipo di riferimento(25), il disposto dell’art. 124, comma 5 Tub, sui chiarimenti che il finanziatore è tenuto a fornire nei contratti di credito al consumo, non contempla in realtà una regola di condotta funzionalizzata che sia ontologicamente diversa.
Dunque uno statuto protettivo, quello della direttiva 17/2014, provvisto sì di una veste specifica ma non, come sarebbe facile equivocare, un mutamento di policy legislativa rispetto al problema dell’asimmetria informativa che affligge qualsiasi contratto asimmetrico: è piuttosto, come certifica la metrica dell’informazione obbligatoria nei contratti di vendita e di servizi secondo il canone dell’art. 5 dir. 2011/83, che il dovere di informazione non è un qualcosa di asettico ma va contestualizzato rapportandolo al tipo di negoziazione in fieri. Cioè allo spicchio di mercato - qui quello creditizio - interessato. Ma vediamo meglio nel dettaglio.
Rispetto ad un bene mobile di consumo o ad un servizio, tipici search goods in quanto le loro caratteristiche essenziali sono apprezzabili ex ante per effetto di un’informazione resa disponibile, la trasparenza della clausola esplicita in effetti quella funzione di ausilio e di sostegno strumentale a che si abbia una decisione responsabile del consumatore. Qui, si vuol dire, la presunzione di un consumatore, che negozia in modo razionalmente efficiente quando sia stato debitamente informato, funziona e, per il suo medio, si continua a puntellare l’assioma secondo cui più transazioni efficienti, in quanto massimizzanti il benessere individuale, concorrono a massimizzare il public interest del benessere collettivo(26). Epperò questa stessa precomprensione si inceppa quando invece si abbiano dei credence goods, quali tipicamente sono i prodotti di risparmio, in quanto beni i cui attributi qualificativi non risultano per definizione conoscibili dal consumatore medio neppure ex post. Rispetto ad essi il sopperire all’asimmetria informativa mediante set, fittamente articolati, di mandatory disclosure non risolve per la costitutiva inattitudine del consumatore medio a processare da solo le caratteristiche salienti del prodotto offerto(27). Risultato, un comportamento economico irrazionale, nel senso di inefficiente, nonostante la disponibilità dell’informazione(28). Nasce di qui, allora, il quid pluris ed alii connotante l’agire del professionista che offra beni di risparmio(29): un quid pluris ed alii tradotto, nel linguaggio della direttiva 17/2014, in un’attività di consulenza illustrante il complesso dei costi/benefici del prodotto - mutuo, un saldo non traducibile dal consumatore, concentrato questi com’è in realtà sull’interesse al godimento anticipato del bene - casa, in una personale valutazione di utilità che sia realmente affidante. E allora siccome un prestito irresponsabile, per il moral hazard di un professionista invocante l’autoresponsabilità di un consumatore sprovveduto e/o incosciente, genera situazioni di market failure pregiudicanti l’interesse generale, il rischio di condotte speculative di operatori spregiudicati (o negligenti) è controbilanciato dall’imposizione a loro carico di uno strumentario di condotte prudenziali conformative scortanti, quasi a mo’di un corredo virtuoso, la scelta appropriata del consumatore. In altri termini, l’obbligo di assistenza chiarificatrice e di avvertimento è un contrappunto legale avente una natura bicefala: è in primis una tecnica di regolazione del mercato e, nel contempo, uno strumento responsabilizzante il professionista a protezione del mutuatario.
Sull’immagine di un droit protecteur, piuttosto che di un droit directeur, complementare al quale è la figura del consumatore come contraente debole sarà portato naturalmente ad impostare il discorso chi predilige l’idea di una libertà sempre per lo più «disqualifiée», da supportare nella scelta con un dovere di assistenza chiamato a fungere da tecnica di riequilibrio del contratto di credito(30). Nell’ottica, che invece più convince, di un droit directeur, la prospettiva mette piuttosto in luce come sia la stessa tipologia del prodotto ad occasionare una regola prudenziale di adeguatezza del mutuo, perimetrante la condotta del professionista in un’attività di avviamento al contratto contemplante una pluralità di steps, secondo una sequenza che vede in successione
- il prius di una valutazione del merito creditizio ex art. 18,
- senza un “indebito ritardo” il medio delle informazioni precontrattuali personalizzate dell’art. 14,
- infine il posterius delle spiegazioni adeguate dell’art. 16, quale supplemento ad adiunvandum di una decisione informata del consumatore. L’incedere della regola prudenziale imputata all’intermediario va infatti capovolto, se lo si vuole comprendere a pieno, rispetto all’ordine topografico della direttiva. Come i considerando 44 e 55, per la verità, ben illustrano(31).
Ognuna dalla propria angolazione, le due visuali richiamate hanno per altro in comune l’ubi consistam del discorso, se è vero che quest’obbligo di assistenza è sistematizzato dalla direttiva 17/2014, nel senso di tradotto in un quid coessenziale allo stesso oggetto del contratto di credito. Non dunque, com’è viceversa nel diritto vivente francese, un dovere di protezione intermittente, eventuale perché occasionato da una congiuntura circostanziale specifica «emportant un risque financier susceptible d’affecter la solvabilité de l’emprunter»(32). Secondo una logica precauzionale stricto sensu, questo obbligo di assistenza e di helping è trasfigurato dalla direttiva 17/2014 in uno standard conformativo, questo si vuol dire, del contratto di mutuo al consumatore perché titolo intaccante (ed attaccante) il risparmio del consumatore. È qui, ci sembra, che si radica quella specificità alla quale fa espresso richiamo il considerando 22 laddove ragiona di mutui immobiliari come contratti «che giustificano un approccio differenziato».
In dottrina, prendendo spunto dalla circostanza che le informazioni personalizzate dell’art. 14 postulano una previa informativa del consumatore ex art. 20, onde il professionista possa procedere ad un vaglio approfondito del merito di credito, si è parlato di una «sorta di circolarità del sistema di disclosure messo a punto dalla direttiva»(33). Il che, per inciso, è vero ma pure logico in quanto, sulla premessa che dev’esservi un’adeguatezza tra il tipo di indebitamento e la situazione patrimoniale dell’obbligato, è lo stesso qualificativo personalizzate a chiamare in causa una fase precontrattuale innervata
- a) da un obbligo di informazione reciproco e
- b) da una regola di diligenza, nell’adempimento della prestazione professionale, non standardizzata ma di tipo casistico ed in concreto perché implicante una valutazione raccordata, come recita l’art. 20, § 1 sul “reddito e le spese del consumatore” ed alle altre informazioni sulla sua “situazione economica e finanziaria”. Un’istruttoria alla quale è connaturata una stima di valutazione previsionale sulla solvibilità del singolo mutuatario, se è vero che l’an del prestito si lega ad un giudizio prognostico sul fatto che “gli obblighi derivanti dal contratto … saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte”(art. 18, § 5, l. a). Dunque spazio ad una valutazione di eventi futuri che potrebbero incorrere in executivis, come ad es. una riduzione del reddito se la durata del mutuo si troverà a superare quella dell’età lavorativa del mutuatario ovvero, laddove dovesse trattarsi di un prestito in valuta estera, delle «oscillazioni negative del tasso di cambio» (considerando 55).
Ricapitolando, allora, una sagoma dell’art. 14 nel quale sono stilizzate, quasi a mo’ di una ri-regulation del settore,
- un’informazione obbligatoria trasparente, di ausilio ad un consenso consapevole e di contrasto a clausole economiche penalizzanti;
- un obbligo di consulenza che assiste il consumatore nella scelta del prodotto mutuo più appropriato e, al tempo stesso, adeguato, perché tarato sul suo profilo finanziario(34). Due doveri diversi, anche rimedialmente, epperò facce di una regola prudenziale, conformativa dell’agire del professionista, la quale, seppur complessa, è comunque unica. Stipulativamente, un’informazione/comunicazione ed un’informazione/consulenza(35), se si vuole, ma in quanto da collante v’è un obbligo di spiegazione che innerva la trasparenza e, al tempo stesso, dà corpo al dovere di messa in guardia. Il continuum è nel sintagma decisione informata dell’art. 14, § 1. Vero infatti, come si diceva, che il § 7 dell’art. 14, collo statuire che «i requisiti relativi alle informazioni da fornire al consumatore prima della conclusione» si reputano soddisfatti mediante la consegna del Pies, dà un che di meccanicistico ad una regola prudenziale del professionista che viceversa nasce e si svolge dinamicamente. Epperò, in analogia con quanto si è suggerito per il combinato disposto dell’art. 124, commi 1 e 2 Tub(36 )qui oltretutto irrobustito dal valore aggiunto di un “almeno” che nel credito al consumo non c’è(37), sembra avere più di un senso riconoscere alla presunzione del § 7 una natura relativa: diversamente le spiegazioni adeguate dell’art. 16, quali informazioni aggiuntive che si sommano a quelle dell’art. 14 (§ 2, l a) - i), avrebbero una valenza puramente virtuale(38). E le informazioni aggiuntive de quibus possono servire, lo si ripete, anche a meglio illustrare la funzionalità di certe voci secondarie di prezzo che l’esempio rappresentativo del Pies non abbia del tutto fugato. D’altronde, più un’operazione è complessa, più la corrispondente attività di informazione dovrà elevarsi di livello(39).
Con una formula di sintesi si può plausibilmente discorrere di una regola prudenziale nella quale la trasparenza e l’adeguatezza del prestito, in un’economia incentrata sul debito, sono dei presidii, secondo un’ottica di precautionary approach, al perseguimento di quell’interesse generale sotteso a politiche di efficiente contrasto a situazioni di market failure.

Prestito responsabile e dissuasività dei rimedi

Dunque, si diceva, un obbligo di assistenza e di collaborazione nella scelta di un prestito responsabile. Non c’è però un obbligo «volto ad ottenere risultati» e tanto meno è prospettabile un obbligo di non contrarre (duty to deny)(40), foss’anche nella veste di un dovere generale di non immettere in circolazione, per l’integrità del mercato, dei prodotti mutuo dannosi o inadeguati(41). In realtà la cifra identificativa dell’art. 14 sta tutta nel suo primo paragrafo, con quel recitativo sulle informazioni personalizzate qualificate come necessarie a che il consumatore possa, nell’ordine, confrontare (i crediti), valutarne (tutte le implicazioni), prendere infine una decisione consapevole - perché informata - sull’opportunità di stipulare il mutuo. Vero è che la climax verbale della direttiva restituisce l’immagine di «un’effettività della … scelta decisoria»(42 )forse più spiccata di quella che assicura l’art. 124, c. 1 Tub per il credito al consumo: ma, similmente del resto a quanto si registra per tutta l’area del credito mobiliare, la scelta di merito circa lo stipulare oppure no il contratto rimane di esclusiva pertinenza del consumatore. Anche il disposto dell’art. 16, § 1, laddove funzionalizza le spiegazioni adeguate sul contratto e gli eventuali servizi accessori proposti alla valutazione del consumatore corrobora, insieme al cooling off period dell’art. 14, § 6, quest’interpretazione, facendo così decisamente inclinare il discorso verso la sperimentata figura di un consenso informato(43). Per altro, il limitare lo spettro delle condotte esigibili alla coppia duty to explain/to warn non è che svilisca o stemperi l’intensità di un obbligo al quale pur sempre corrisponde un diritto del consumatore ad una scelta responsabile. Un prestito insostenibile, nella misura in cui spoglia il consumatore della c.d. chance di non contrarre, ove fosse stato consigliato ed informato esaustivamente, comunque infatti innesca una tutela risarcitoria per finanziamento dannoso traducibile nella formula di una responsabilità da contratto valido ma sconveniente(44). Sarebbe artificioso dedurre una nullità virtuale di protezione, figura intrigante ma troppo lasca(45), da quell’art. 18, § 5 che statuisce di un professionista erogante il finanziamento «solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto … saranno verosimilmente adempiuti», non foss’altro perché la direttiva 17/2014 manifestamente tara la protezione non su di un divieto del contratto bensì su di una regola composita di responsabilità. Il consumatore vanta infatti una pretesa nei riguardi dell’intermediario e la nullità dell’art. 1418, c. 1 notoriamente colpisce «la funzione della regola» che il contrasto esprime, «non già il contrasto … tra la norma imperativa ed il comportamento di uno soltanto dei contraenti»(46). D’altra parte una nullità del contratto, se non soccorre uno speciale regime restitutorio di aperto favor, sul tipo per intendersi di quella restituzione rateizzata e circoscritta alle sole somme utilizzate che si incontra nell’art. 125-bis, comma 9 Tub, non giova al consumatore, col risultato che costui non sarebbe incentivato a denunziare l’insostenibilità del finanziamento.
Altrove, segnatamente in quel sistema francese ove l’idea di un’invalidità o di un’inefficacia del contratto di prestito irresponsabile mai ha attecchito, è la déchéance du droit aux intérêts la sanzione canonica per una prestazione professionale negligente od avventata dell’intermediario creditizio: ed il fatto che da ultimo la Crédit Lyonnais (C-565/12), in una fattispecie di credito mobiliare, abbia censurato un’interpretazione giurisprudenziale fautrice di una reviviscenza automatica del diritto agli interessi legali(47), non è che appanni la carica di dissuasività insita in una decadenza - v. artt. 311-48 e 312-33, comma 5 cod. consomm. - comunque finanziariamente penalizzante per il professionista scorretto.
Già altrove si è avuto modo di esaminare una pronuncia, richiamante quella deterrenza dei rimedi secondo un canone di effettività della tutela coniugante strict liability (del professionista) ed elevato livello di protezione (del consumatore), che la direttiva 17/2014, ha ben presente nel suo art. 38. Il succo di Le Crédit Lyonnais, in quel rimando ad una valutazione comparativa tra la remunerazione del finanziamento in costanza degli interessi e quella conseguente ad una decadenza davvero persuasiva solo al cospetto di un utile percetto dal professionista scorretto notevolmente inferiore al guadagno occorso da un contratto regolare, sta tutto in realtà nell’obbligo fatto, ai giudici nazionali, di interpretare teleologicamente - more comunitario si vuol dire - il diritto interno, in modo da attuare lo scopo della direttiva. In prima battuta, cioè la finalità contingente immediata, il problema assume così la fisionomia di una decadenza dagli interessi rivisitata, sì da restituirle quella definitività che una risorgenza automatica del tasso legale compromette vistosamente. Il giudice nazionale è tenuto d’ufficio a vagliare casisticamente la misura di dissuasività di una decadenza che si apprezza evidentemente in rapporto all’ammontare del credito (da restituire) ed alla situazione finanziaria dell’obbligato, se è vero che il totale percepito dal mutuante va sempre correlato al tempo che si renderà necessario per effettuare il rimborso della somma prestata. In termini più generali, l’obbiettivo è invece più ambizioso perseguendosi dalla Corte, senza troppe nuances, il risultato di rinsaldare l’effettività della tutela giurisdizionale, nel canone degli artt. 38 e 47 Cdfue, quale principio delimitante la cornice entro cui l’autonomia degli Stati membri è ammessa a muoversi. Con un art. 19, § 1 Tue, che fa obbligo agli Stati membri di adottare i rimedi giurisdizionali necessari a garantire «una tutela giurisdizionale effettiva» nelle materie presidiate dal diritto europeo, la Corte in realtà contamina le forme protettive nell’ottica di un’armonizzazione evolutiva dei rimedi(48).
Non è affatto poco perché sentenziare che un rimedio nazionale non è effettivo equivale a praticare un effetto orizzontale indiretto, sottoponendo il profilo in bianco del rimedio, nonostante formalmente permanga(49), ad un test europeo di efficacia dissuasiva/deterrente provvisto di un’indubbia funzione selettiva.


(1) Così il quarto considerando. Si consideri, per dare un’idea delle dimensioni del problema, che il valore dei prestiti ipotecari corrispondeva, nel settembre del 2013, al 52% del Pil dell’Ue.

(2) Cfr. L. FÉRIEL, «L’évolution européenne du devoir de mise en garde du banquier», in Dalloz, 2014, p. 878.

(3) Così il settimo considerando.

(4) Lo fa puntualmente notare T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in Contratti, 2014, in corso di stampa.

(5) Perché rivolta alla generalità del mercato: v., in una prospettiva ad ampio raggio, AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistema nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», in Banca borsa tit. cred., 2014, I, p. 398 e ss. e A. DOLMETTA, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 88.

(6) Espressa principalmente nelle sentenze Invitel, C-472/10, RWE Vertrieb, C-92/11 e Kásler Árpád, C-26/13. Per la direttiva v. il considerando 40.

(7) Altrimenti non si potrebbe avere «un autentico mercato interno, con un livello elevato ed equivalente di protezione dei consumatori»: così l’incipit del settimo considerando. Per altro, dal § 5 dell’art. 14, si evince che, nel caso già siano in uso dei prospetti contemplanti obblighi informativi «equipollenti a quelli previsti all’allegato II», gli Stati membri sono legittimati a prescriverne il loro utilizzo per un quinquennio.

(8) È l’avviso di T. RUMI, op. cit.

(9) Specie per chi veda l’informazione obbligatoria ormai tramutata «in (mera) comunicazione e/o consegna di formulari a contenuto legalmente predeterminato, lungo un percorso di progressiva standardizzazione delle condotte (specie della parte professionale)»: così R. ALESSI, «Gli obblighi di informazione tra regole di protezione del consumatore e diritto contrattuale europeo uniforme e opzionale», in Eur. dir. priv., 2013. Il che, seppur vero, va però coordinato con la nitida emersione, non una semplice rifinitura infatti è, di una trasparenza riequilibratrice e di contrasto alle clausole lato sensu di prezzo del contratto b2c. V. infra nel testo § “Segue: l’obbligo di spiegare e la trasparenza sul funzionamento del contratto in funzione di una Entscheidungs-freheit”, testo e nt. e, in precedenza, sul duplice volto del precetto generale di chiarezza e comprensibilità, volendo S. PAGLIANTINI, Trasparenza contrattuale, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012, p. 1280 e ss., mentre sulle modalità di manifestazione del consenso quali tecniche di tutela v., per tutti, F. ADDIS, Diritto comunitario e ´riconcettualizzazione` del diritto dei contratti: accordo e consenso, in Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità delle fonti e unitarietà degli ordinamenti, Napoli, 2010, p. 273 e ss.

(10) Col dubbio, se non si incista la differentia specifica sulla tipologia dell’ operazione creditizia, che non abbia una qualche plausibile ragione il disallineamento con la disciplina generale di un recesso di pentimento ormai provvisto, quand’anche il consumatore non sia stato correttamente informato, di un termine di perenzione annuale: v. art. 53, comma 1, per i contratti a distanza e per quelli negoziati fuori dei locali commerciali ed art. 73, comma 3, in materia di contratti di multiproprietà ed affini.

(11) Amplius S. PAGLIANTINI, «La riforma del codice del consumo ai sensi del D.lgs. 21/2014: una rivisitazione (con effetto paralizzante per i consumatori e le imprese ?)», in Contratti, 2014, p. 796 e ss.

(12) Per ipotizzare, com’è per l’informazione obbligatoria nei contratti di vendita e di servizi di cui al nuovo art. 48 c. cons, che le informazioni personalizzate introducono alla risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., si dovrebbe infatti accostare il Pies a quell’art. 129, comma 2, lett. c, cod. cons., quanto all’obbligo del venditore di consegnare res conformi alle caratteristiche che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi che il bene abbia in virtù di un affidamento formatosi sulla scorta delle dichiarazioni pubbliche fatte. Il sottinteso della ricostruzione de qua impinge evidentemente nell’idea che l’informazione europea sia stata trasfigurata in una tecnica di costruzione del regolamento contrattuale, secondo un canovaccio illustrato principalmente da V. SCALISI, «Il contratto e le invalidità», in Riv. dir. civ., 2006, p. 245 e ss. e ripreso, più recente, da F. RENDE, «Le regole di informazione nel diritto europeo dei contratti», in Riv. dir. civ., 2012, p. 190 e ss.

(13) V. S. PAGLIANTINI, «L’equilibrio soggettivo dello scambio (e l’integrazione) tra Corte di Giustizia, Corte Costituzionale ed Abf: “il mondo di ieri” o un trompe l’oeil concettuale?», in Contratti, 2014.

(14) Così R. ALESSI, op. cit.

(15) Un Pies la cui consegna, e nella prospettiva della dottrina citata ha tutta l’aria di essere un altro dato che corrobora, gli Stati membri, ai sensi del § 4 dell’art. 14, sono facoltizzati a contemplare come obbligatoria «prima della proposta di qualsiasi offerta vincolante per il creditore». Sulla diversa questione di una (ri)consegna del Pies, ancorché fosse già stato trasmesso, ove le condizioni economiche o normative dell’offerta fossero diverse, v. supra § “La trama degli artt. 13 e 14: il formalismo rinnovato di un’informazione obbligatoria trasparente”, testo e nt.

(16) Di talché, forte è il sospetto di abusività, per evidente contrasto col principio di effettività, delle clausole legittimanti il professionista a provare l’adempimento dei propri obblighi precontrattuali e contrattuali mediante delle clausole standard con le quali «il consumatore dà atto dell’esecuzione degli obblighi stessi, senza presentare i documenti da esso emanati e consegnati al debitore»: Facet SA c. Henry, causa C-225/14, ancora pendente. In dottrina v., incisivamente, V. DI CATALDO, «L’ordinamento italiano del mercato finanziario tra continuità e innovazioni. Le ragioni del cliente», in Banca, borsa, tit. cred., 2013, p. 234. Non solo, nell’ottica di una trasparenza puntellante l’affidamento ragionevole del consumatore, neanche è da trascurare la prescrizione che si legge nel § 11 dell’art. 14, laddove il recitativo fa obbligo di consegnare una copia della bozza del contratto di credito, obbligo che supplisce al diritto di recesso nei casi in cui il ius poenitendi non sia contemplato e che degrada al rango di una variabile - dovendo comunque il professionista, quando il recesso sia previsto, proporre «al consumatore di fornire una copia della bozza del contratto» - negli altri casi. Orbene, siccome il Pies, come si segnala nel testo, è obbligatorio in caso di offerta vincolante per il mutuante, non v’è chi non veda come la bozza de qua si vada a sommare agli steps informativi precedenti in un modo che dovrebbe implementare, contro l’effetto sorpresa, il livello di attenzione del consumatore. Ed allora, opacità delle clausole come indice qualificato di una contravvenzione al duty to explain?

(17) V. C. Giust. Ue, 30 aprile 2014, causa C-26/13, Árpad Kásler e Hajnalka Káslerné Rábai c. OTP Jelzálogbank Zrt, § 70.

(18) Nullità del contratto che, nei termini di un massimo effetto utile per il consumatore, avrebbe il vantaggio di quel regime restitutorio premiale che si legge nell’art. 125- bis, c. 9 Tub.

(19) V., per citazione, A. DI MAJO, «Giustizia e materializzazione nel diritto delle obbligazioni e dei contratti tra (regole) di fattispecie e (regole) di procedura», in Eur. dir. priv., 2013.

(20) Così C. Giust. Ue, 30 aprile 2014, cit. § 70.

(21) Il riferimento, evidentemente, è a C.W. CANARIS, «Wandlungen des Schuldvertragsrechts - Tendenzen zu seiner “Materialisierung”», in AcP, 200, p. 276 e ss.

(22) Alla quale si riferisce A. DI MAJO, op. cit., p. 810. Per una trasparenza riequilibratrice si pronunzia espressamente AUR. MIRONE, op. cit., p. 392.

(23) Così T. RUMI, op. cit.

(24) V. Cass. civ., 12 luglio 2005, in Bull., 2005, n. 327; Cass. comm., 20 giugno 2006, ivi, 2006, IV, n. 145 e soprattutto Cass., Ch. Mixte, 29 giugno 2007, in Dalloz, 2007, 1950, Obs. Avena-Robardet.

(25) Ma in pienezza, per così dire, in quanto consustanziale al mutuo immobiliare b2c. V. comunque infra.

(26) V., per tutti, le felicissime considerazioni d’insieme che si leggono in F. DENOZZA, «La frammentazione del soggetto nel pensiero giuridico tardo-liberale», in Riv. dir. comm., 2014, I, p. 13 e ss.

(27) Come fa notare pure G. LA ROCCA, «Jus poenitendi e servizi di investimento (a margine di Cass. 3 aprile 2014,n. 7776)», in Riv. dir. banc., diritto bancario.it, 13, 2014, p. 4, la complessità e struttura del mercato finanziario hanno «impedito che si assistesse a quell’empowerment del cliente realizzatosi, o forse solo in corso di realizzazione, nel mercato dei beni di consumo».

(28) V. la rigorosa messa a punto di M. LIBERTINI, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, in www.agcm.it, 13 ove il rilievo dirimente che «la libertà di scelta del consumatore non potrà mai avere, nei mercati finanziari, lo stesso ruolo che ha nei mercati dei beni di consumo, ripetuto o durevole». Più di recente anche GIUL. SCOGNAMIGLIO, «La tutela delle ragioni del cliente: dagli obblighi di comportamento agli “interventi sui prodotti”?», in Riv. dir. impr., 2013, p. 340 mette in risalto che la complessità del finanziamento chiama spesso in causa «conoscenze specialistiche e raffinati strumenti di analisi matematica, che il cliente medio (e mediamente colto) certamente non possiede».

(29) Per il riflesso sull’atteggiarsi del recesso di pentimento, senza per intendersi che la previsione di un dies ad quem sani l’eventuale inadempimento del professionista, può vedersi S. PAGLIANTINI, «L’ibridazione del nuovo recesso di pentimento», in Riv. dir. civ., 2014, in corso di stampa.

(30) Un contratto del quale il professionista ignora «les spécificités, la technicité et les conséquences à long terme»: così L. FÉRIEL, op. cit., p. 877, con specifico riguardo agli artt. 6 e 16 della direttiva 17/2014/Ue. Più in generale v. poi ROCHFELD, «La protection du consommateur – contractant dans l’Union européenne: quelques enseignements sur le statut de la liberté contractuelle et des contrats à durée indéterminée», in Rev. des contrats, 2013, p. 847.

(31) Naturalmente, quando nel testo si discorre di una decisione informata, perché assistita dalla consulenza dell’intermediario, non si intende dire che la situazione riproduca un obbligo assimilabile a quello di «servire al meglio gli interessi dei clienti»: così, invece, G. LA ROCCA, op. cit., p. 5.

(32) Così L. FÉRIEL, op. cit., p. 878.

(33) Così T. RUMI, op. cit.

(34) V., nel senso del testo, T. FEBBRAJO, La tutela del consenso del consumatore: disciplina vigente e prospettive di rifor ma, in AA.VV., La tutela del consumatore nelle posizioni di debito e di credito, Napoli, 2010, p. 218.

(35) L’intrigante coppia speculativa è in R. ALESSI, I doveri di infor mazione, in C. CASTRONOVO - S. MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007, II, p. 440 e ss.

(36) V., in special modo, AUR. MIRONE, op. cit., p. 403, nt. 85.

(37) V. incipit del § 7 dell’art. 14.

(38) E d’altra parte, come nota V. DI CATALDO, op. cit., p. 234, «un servizio consulenziale [è] implicito in quasi ogni servizio finanziario». Per inciso, un onere di provare che l’informazione fornita era esaustiva e le spiegazioni adeguate, allorquando il mutuo abbia comunque avuto un effetto pregiudizievole per il consumatore, si sostanzia, è vero, in una probatio assai difficile per il professionista, tanto che non sembra azzardato parlare di una forma mascherata di garanzia ex lege per il consumatore. Che tutto questo poi si traduca, incentivando al tempo stesso il contenzioso giudiziario, in «un incremento dei costi dei servizi … spalmato sulla massa dei fruitori…», così GIUL. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 339, è senz’altro veritiero ma dischiude tutto un altro discorso.

(39) Il che non sfugge a G. LA ROCCA, op. cit., p. 10.

(40) Così G. PIEPOLI, «Sovraindebitamento e credito responsabile», in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, p. 60 mentre, con specifico riguardo alla direttiva 17/2014, valorizzando quell’uniquement che, nella versione francese, è il pendant del “solo” figurante in quella italiana, compare nell’art. 18, § 5, all’opposto si pronuncia L. FÉRIEL, op. cit., p. 878.

(41) Secondo quello che è, a margine dell’art. 124 Tub, l’argomentare di A. DOLMETTA, op. cit., p. 123 e ss.

(42) Cfr. A. DI MAJO, op. ult. cit., p. 805.

(43) Così puntualmente, in tema di credito ai consumatori, AUR. MIRONE, op. cit., p. 403, nt. 85.

(44) L’idea di un’alea negativa non rifiutata, in luogo di una chance positiva perduta, si incontra nella pagina di G. PIEPOLI, op. cit., p. 64 e ss. mentre la tutela da un pure economic loss, irrisarcibile in via aquiliana e perciò filtrato dal medio di un’obbligazione senza prestazione, è in L. MODICA, «Concessione abusiva di credito ai consumatori», in Contr. e impr., 2012, p. 512 e ss. Né è da escludere un rimando all’art. 1227 per il caso di un concorso del fatto colposo del consumatore.

(45) V., in luogo di tanti, le rigorose pagine di G. D’AMICO, «Diritto europeo dei contratti (del consumatore) e nullità virtuale (di protezione)», in Contratti, 2012, p. 977 e ss.

(46) Così la nitida pagina di G.B. FERRI, Introduzione alla invalidità, in Di Majo, Ferri - Franzoni, Il contratto in generale, VII, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, XIII, Torino, 2002, p. 23.

(47) V. C. giust. Ue, 27 marzo 2014, con un bel commento di G. POISSONNIER, «Une première étape vers un vraie déchéance du droit aux intérêts en droit du crédit à la consommation», in Dalloz, 2014, p. 1307 e ss. Nel panorama italiano un’interessante disamina critica della vicenda si legge in T. RUMI, «Verifica del merito creditizio ed efficacia dei rimedi a tutela del consumatore», in Contratti, 2014. Il diritto del professionista agli interessi legali, in ragione dell’applicazione combinata degli artt. 1153 cod. civ. e 313-3 cod. mon et fin., nonostante il contrario avviso della giurisprudenza di merito, costituiva un dato pacifico dopo l’arrêt Theret del 2002: v. Cass. civ., 26 novembre 2002, in Dalloz, 2003, 273 ed in Riv. trim. dr. com., 2003, p. 357 e ss., Obs., Bouloc.

(48) Per un’illustrazione più diffusa di questo assunto sia consentito il rinvio a S. PAGLIANTINI, «Effettività della tutela giurisdizionale, consumer welfare e diritto europeo dei contratti nel canone interpretativo della Corte di Giustizia: traccia per uno sguardo d’insieme», in Nuove leggi civ. comm., 2014, in corso di stampa.

(49) Ma non più dunque nell’impostazione classica di un’individuazione delle fattispecie rimettendo al singolo legislatore l’individuazione del rimedio ritenuto più opportuno e, soprattutto, più conforme alla tradizione e al «sistema propri di ciascun ordinamento»: così G. D’AMICO, op. cit., p. 977.

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