Direttiva 2014/17/UE - Art. 1 - Oggetto - Commento di Dario Farace
Direttiva 2014/17/UE
Art. 1 - Oggetto
Commento di Dario Farace
Professore aggregato. Ricercatore confermato di Diritto privato, Università di Roma “Tor Vergata”

Art. 1
Oggetto

La presente direttiva definisce un quadro comune per alcuni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti contratti concernenti i crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali, compreso l’obbligo di effettuare una valutazione del merito creditizio prima di concedere un credito, come base per lo sviluppo di standard efficaci per la stipula in relazione a beni immobili residenziali negli Stati membri, e per alcuni requisiti prudenziali e di vigilanza, anche per quanto riguarda lo stabilimento e la vigilanza di intermediari del credito, rappresentanti designati e enti non creditizi.


L’oggetto nelle direttive europee

L’art. 1 reca l’oggetto («subject matter») della direttiva, e ne apre l’articolato («enacting terms»), seguendo uno schema abbastanza diffuso negli ultimi anni(1). La scelta non è casuale. Nella redazione dei testi normativi europei si tende infatti a seguire uno schema comune, indicato nella Guida pratica comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (destinata a coloro che partecipano alla redazione di testi legislativi delle istituzioni comunitarie), la cui seconda edizione è stata pubblicata nel 2013(2). Tale schema(3 )prevede un articolo iniziale in cui si definiscano oggetto e scopo dell’atto normativo(4).
In particolare, dispone la Guida pratica comune, «The ‘subject matter’ is what the act deals with, whilst its ‘scope’ refers to the categories of situations of fact or of law and the persons to which it applies». L’oggetto assolve un compito più descrittivo che prescrittivo: indica all’interprete la materia in cui interviene la direttiva, mentre lo scopo comprende i soggetti ai quali si applica e le situazioni cui si riferisce. Ma l’art. 1 non si limita ad enunciare il tema affrontato dalla direttiva, ossia la materia su cui verte (si deve ricordare che l’àmbito di applicazione è descritto all’art. 3). Selezionando - anche con un notevole grado di dettaglio, come si vedrà meglio infra - gli elementi più importanti che vengono in rilievo, l’oggetto reca un prezioso contributo per definire la ratio dell’intera direttiva, meritevole di essere tenuto in adeguata considerazione ai fini dell’interpretazione.
Le direttive europee parrebbero prevedere quattro distinte modalità di redazione dell’oggetto. Si può proporre una distinzione, al solo scopo di fornire all’interprete taluni criteri orientativi di lettura.
a) A volte l’oggetto è definito in modo assai scarno, come nella direttiva 48/2008/CE(5 )(modificata dalla direttiva in commento), e poco o nulla si aggiunge rispetto al titolo. L’oggetto diventa così una sorta di duplicato del titolo, per cui la Guida pratica comune ha ritenuto poco opportuna l’adozione di questa tecnica, preferendo comunque che siano fornite indicazioni più dettagliate(6).
b) Altre volte l’oggetto è articolato in maniera assai puntuale, indicando all’interprete con grande chiarezza quali sono i principali temi sui quali interviene la direttiva(7).
c) Non mancano casi, come avviene nell’articolo in commento, in cui si sceglie una via intermedia tra le due precedenti: l’oggetto non è indicato in maniera scarna, ma fornisce all’interprete una serie di elementi rilevanti in modo poco organico e non esaustivo. In questi casi, l’interprete che voglia intendere l’oggetto della direttiva dovrà guardare all’art. 1, ma non soltanto, poiché dovrà desumere i temi principali su cui verte la direttiva anche aliunde.
d) Vi sono direttive in cui la rubrica dell’art. 1 presenta l’oggetto unito ad altri elementi (come lo scopo o l’ambito di applicazione)(8): in questi casi l’interprete avrà il compito di distinguere ciò che attiene all’oggetto da ciò che investe anche altri profili; occorre tener presente che a volte la differenza rispetto al caso sub b) o al caso c) è prevalentemente nominalistica.
È evidente che quanto maggiore è la precisione con cui è indicato l’oggetto della direttiva, tanto più l’interprete sarà agevolato nel suo compito di ricavarne il significato. E che, quanto più dettagliatamente è specificato l’oggetto, tanto più se ne dovrà tenere conto ai fini di una corretta interpretazione della direttiva.

L’oggetto della direttiva 2014/17/UE. Due aree semantiche, tre requisiti essenziali e due qualificazioni specifiche

Svolte queste premesse, la formulazione dell’articolo in commento suscita qualche perplessità. Fin dalla prima riga, in cui si dice che la direttiva definisce «un quadro comune per alcuni aspetti»; ove alla lodevole intenzione di dettare un quadro comune («a common framework»), si affianca una certa genericità relativa a quali siano questi «alcuni aspetti» («certain aspects»). Proprio su un punto particolarmente delicato (la definizione di un quadro comune), il rinvio si presenta generico. In parte, come vedremo subito, questi profili sono indicati dall’articolo in commento. In parte, devono essere ricavati da altri luoghi della direttiva, che li esprime in maniera talvolta più specifica e talvolta più generica, o addirittura da altre direttive, che possono contribuire a una maggiore specificazione. Muoviamo con ordine.
La direttiva si pone due obiettivi(9), intimamente connessi e chiaramente indicati. Il primo consiste nella realizzazione di un mercato interno più trasparente, efficiente e competitivo, grazie a disposizioni uniformi, flessibili ed eque, che promuovano sostenibilità sia nella concessione, sia nell’assunzione di prestiti(10). Il secondo obiettivo è la tutela dei consumatori che stipulano contratti di credito relativi a beni immobili(11). I due obiettivi sono intimamente connessi tra loro(12), al punto che potrebbero reputarsi una diadi(13).
Settore ampio, e quanto mai delicato: la crisi finanziaria ha visto molti soggetti finanziati che non sono stati più in grado di rimborsare i prestiti contratti, il che ha portato «all’aumento degli inadempimenti e delle vendite forzate»(14). Da qui la preoccupazione che i finanziamenti relativi, a vario titolo, a beni immobili, siano stipulati in modo consapevole, responsabile e avveduto, in modo che i debitori possano effettivamente rimborsarli.
Parrebbe che il testo dell’articolo permetta di individuare due distinte aree semantiche. La prima, più ampia, comprende tutti i contratti con cui si concede ai consumatori un finanziamento relativo, a vario titolo, ad un bene immobile (costruzione, acquisto, ristrutturazione e così via). Ma ad alcuni di questi contratti la direttiva non si applica. Occorre definire una seconda area, posta all’interno della prima e avente contorni più sfumati, che indica il vero oggetto della direttiva.
La determinazione di tale seconda area non appare agevole.
Innanzitutto, l’articolo in commento si riferisce espressamente ai «contratti concernenti i crediti ai consumatori garantiti da un’ipoteca o altrimenti relativi a beni immobili residenziali», ma tale formulazione pare approssimativa sia per difetto, sia per eccesso. Per difetto, in quanto l’art. 3 dispone espressamente, alla lett. b, che la direttiva si applica ai contratti di credito «finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata», senza alcun riferimento a forme di garanzia. E già il considerando n. 18 afferma che i contratti di credito non garantiti con cui si finanzia il restauro di un bene immobile residenziale per un importo superiore ad euro 75.000 dovrebbero ricadere nell’àmbito di applicazione della direttiva 2008/48/CE: il che è puntualmente previsto dall’art. 46 (v.), che modifica in questo senso l’art. 2 della direttiva appena citata. I contratti non garantiti che prevedono finanziamenti di importo inferiore sono dunque regolati dalla direttiva in commento: anche se siano sprovvisti di ogni tipo di garanzia.
L’approssimazione parrebbe invece aver luogo per eccesso con riferimento a tutti contratti che, pur rientranti nella previsione dell’art. 1, sono invece esclusi con espressa deroga: è il caso, ad esempio, del prestito vitalizio ipotecario(15 )(v. infra, sub art. 4).
Per quanto riguarda la prima area semantica, l’articolo in commento parrebbe indicare tre requisiti essenziali, sui quali insiste tutta la direttiva (che li menziona anche nel titolo):
1) la qualità soggettiva delle parti, di cui una deve essere un «consumatore», ossia una persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività commerciale o professionale(16), e l’altra un operatore professionale;
2) il tipo negoziale, caratterizzato dalla causa di finanziamento(17): il contratto stipulato deve essere un contratto di credito, ossia un contratto con cui un soggetto, nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, concede, o si obbliga a concedere, un finanziamento al consumatore(18);
3) la natura del bene, che deve essere un immobile destinato ad uso residenziale («residential immovable property»).
La mancanza di uno solo tra questi requisiti parrebbe escludere un atto dall’àmbito di applicazione della direttiva.
All’interno di tale area, si può delineare lo specifico oggetto della direttiva. Che potrebbe essere così definito: tutti i contratti di credito stipulati tra un consumatore (soggetto finanziato) e un operatore professionale (finanziatore o intermediario del credito) - salve le eccezioni previste - in cui il finanziamento
a) sia assistito da una garanzia ipotecaria o di altro genere su un bene immobile residenziale, oppure b) sia erogato per acquistare o conservare la proprietà di un terreno o di una costruzione edificata o progettata.
La direttiva fa espressamente salva la potestà degli Stati membri di estendere l’àmbito di applicazione della direttiva anche oltre le previsioni della medesima: ad esempio, a favore di soggetti che non siano consumatori(19). Una tale estensione operata dai legislatori nazionali non appare incompatibile con la ratio della direttiva. La dottrina ha già avuto modo di rilevare come le direttive europee siano utili per l’interpretazione del diritto statale(20).
L’articolo in commento individua specificamente alcuni elementi che devono comporre il quadro comune delineato della direttiva e che potremmo quindi qualificare essenziali. Vi sono poi altri elementi, non ricompresi nell’art. 1, che potremmo chiamare accessori, per i quali la direttiva rinvia alla futura valutazione dei legislatori nazionali e di successive norme europee. Intanto, si può segnalare come la direttiva, sin dall’articolo in commento, ponga l’accento sulla fase precontrattuale, specificando una serie di obblighi e di requisiti che devono caratterizzarla. Tale fenomeno non pare generato(21), ma certamente potenziato, dalla considerazione della crisi economico-finanziaria cui la direttiva fa più volte riferimento.

La valutazione del merito creditizio

Tra gli elementi essenziali viene innanzitutto in rilievo l’«obbligo di effettuare una valutazione del merito creditizio prima di concedere un credito» («an obligation to carry out a creditworthiness assessment before granting a credit»). L’art. 1 specifica immediatamente che tale obbligo costituisce una «base per lo sviluppo di standard efficaci per la stipula». La valutazione del merito creditizio è espressamente definita dall’art. 3 della direttiva in commento come «la valutazione delle prospettive che le obbligazioni debitorie risultanti dal contratto di credito siano rispettate». Sulla valutazione del merito creditizio si rinvia in particolare al commento relativo agli articoli del capo VI (artt. 18 e ss.), specificamente dedicato ad essa(22). In questa sede ci si deve limitare a svolgere due notazioni. La prima: la direttiva in commento dedica un’attenzione ben più ampia alla verifica del merito creditizio rispetto alla precedente direttiva 2008/48/CE: non solo l’intero capo VI (artt. 18-20), ma anche vari considerando (55, 56, 57, 58, 59 e 61) e altri articoli (1, 4, 7, 21, 23), ove (all’art. 4) è contenuta anche la definizione. Tanta insistenza parrebbe spiegarsi considerando la valutazione del merito creditizio come inscindibilmente legata alla tutela del consumatore, e - di conseguenza - alla ratio dell’intera direttiva(23). La seconda notazione: come si vedrà meglio nel commento agli artt. 18 e ss., il merito creditizio non muta funzione né caratteristiche essenziali in base al tipo di contratto che viene in rilievo. Esso potrà e dovrà incidere solo su talune modalità della valutazione (un finanziamento può essere concesso, ad esempio, per acquistare un bene immobile di rilevante importo come un bene di consumo: si imporranno evidentemente considerazioni ben diverse), ma la struttura del merito creditizio come valutazione di possibilità e prospettive che il debitore onori il suo impegno non sembra mutare. Coerentemente con le considerazioni svolte nel paragrafo precedente, parrebbe che la definizione contenuta nella direttiva in commento possa giovare all’interpretazione della direttiva 2008/48/CE e dell’art. 124-bis Tub, ove si parla del merito creditizio senza fornire all’interprete indicazioni più specifiche. In altre parole, la direttiva in commento parrebbe fornire una sorta di inquadramento generale del merito creditizio, suscettibile di applicazione anche al di fuori degli àmbiti espressamente considerati. Se queste conclusioni sembrano accettabili, da esse discende l’ulteriore conseguenza che, delle due aree semantiche evocate nel paragrafo che precede, la valutazione del merito creditizio apparterrebbe più alla prima che alla seconda.

Gli standard efficaci per la stipula. I requisiti prudenziali e di vigilanza

Il quadro comune che la direttiva tende a realizzare deve servire come base per raggiungere, essenzialmente, due scopi: lo sviluppo di «standard efficaci per la stipula» («effective underwriting standards») e la definizione di «alcuni requisiti prudenziali e di vigilanza» («certain prudential and supervisory requirements»). La formulazione dell’art. 1 appare, nuovamente, piuttosto vaga e generica. Da un lato, tale genericità permette di non definire una volta per tutte le caratteristiche dei modelli normativi evocati come standard, che quindi possono mutare nel tempo. Dall’altro, vi sono luoghi della direttiva che valgono a fornire qualche chiarimento. Il considerando n. 7(24), ad esempio, consente di individuare alcuni di questi modelli normativi, come il formato del prospetto informativo europeo standardizzato (Pies) e il calcolo del tasso annuo effettivo globale (Taeg)(25).
Per questi ultimi profili l’armonizzazione(26 )recata dalla direttiva è massima, come espressamente previsto dall’art. 2, comma 2 della direttiva in commento (cui si rinvia). In una direttiva che si caratterizza invece per un’armonizzazione minima, è appena il caso di osservare quanta rilevanza abbia questa disposizione, nella prospettiva di un’efficace protezione del consumatore(27).
Gli standard introdotti dalla direttiva pertengono altresì ai requisiti prudenziali e di vigilanza, molto opportunamente richiamati anche dal considerando n. 8 della direttiva in commento(28). Appare molto sentita l’esigenza di armonizzare le disposizioni che riguardano la vigilanza e i controlli relativi ai soggetti finanziatori (v. a tale riguardo gli artt. 128-ter e 144 Tub, su misure inibitorie e sanzioni). Sono fatti oggetto di specifica attenzione lo stabilimento (establishment) e la vigilanza di intermediari del credito, rappresentanti designati e enti non creditizi (supervision of credit intermediaries, appointed representatives and non-credit institutions).
Su questi profili, si rinvia più specificamente ai commenti relativi agli artt. 29-35 (capi XI e XII) della presente direttiva. Qui si può soltanto ricordare la particolare attenzione che il diritto europeo dedica ai princìpi della libertà di stabilimento (su cui v. ora gli artt. 49-55 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, Tfue) e della libera prestazione di servizi (artt. 56-62 Tfue) all’interno dell’Unione europea. Si tratta di due libertà fondamentali, la cui incidenza nel Tub è stata puntualmente avvertita dalla dottrina(29). La direttiva in commento costituisce una ulteriore attuazione di questi princìpi.
È infine opportuno ricordare come i profili legati a vigilanza e controlli, particolarmente ricorrenti nella direttiva in commento, sono posti in intima connessione con la responsabilità gravante sui finanziatori(30).


(1) Per tutte, direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/ CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE; direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE. Come esempi in cui l’art. 1 reca come rubrica “Oggetto e ambito di applicazione”, v. per tutte la direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, e la direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sull’efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/ CE.

(2) Che qui si citerà dal testo inglese: Joint Practical Guide of the European Parliament, the Council and the Commission for persons involved in the drafting of European Union legislation.

(3) Guideline n. 15: «as far as possible, the enacting terms shall have a standard structure (subject matter and scope - definitions - rights and obligations - provisions delegating powers and conferring implementing powers - procedural provisions - measures relating to implementation - transitional and final provisions)». Molto opportunamente la dottrina pone in rilievo l’importanza della Guida pratica comune: contenendo le regole, le tecniche e le indicazioni seguite nell’emanazione degli atti normativi europei, essa costituisce uno strumento prezioso anche per l’interprete che voglia intendere il loro significato. Cfr. sul punto E. RUSSO, L’interpretazione dei testi normativi comunitari, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti, Milano, 2008, p. 54: la «Guida pratica comune … descrive ampiamente le regole per la stesura dei testi legislativi comunitari, e quindi, nello stesso tempo, lascia indurre le regole per la interpretazione di essi, dovendosi presumere che il “legislatore” si sia attenuto alle predette regole di stesura».

(4) Cfr. la Guideline n. 13: «where appropriate, an article shall be included at the beginning of the enacting terms to define the subject matter and scope of the act». Aggiunge la Guida pratica comune (13.2) che «A first article, defining the subject matter and scope, is common in international agreements and is also often found in Union acts. Whether or not it is useful should be decided on a case-by-case basis».

(5) Il cui art. 1 recita: «La presente direttiva ha per obiettivo l’armonizzazione di taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori».

(6) Cfr. la Guideline n. 12.4: «Even where it is not possible to avoid using words that form part of the title of the act (for example, in the article which defines the subject matter and scope of the act), there must be some added value, with a more detailed description of the parameters of the text».

(7) Così avviene ad es. nella direttiva 2013/36/UE: « La presente direttiva fissa norme concernenti: a) l’accesso all’attività degli enti creditizi e delle imprese di investimento (congiuntamente “enti”); b) i poteri e gli strumenti di vigilanza per la vigilanza prudenziale sugli enti da parte delle autorità competenti; c) la vigilanza prudenziale sugli enti da parte delle autorità competenti in una maniera coerente con le norme fissate nel regolamento (UE) n. 575/2013; d) gli obblighi di pubblicazione per le autorità competenti nel settore della regolamentazione prudenziale e della vigilanza sugli enti».

(8) Cfr. l’art. 1 della direttiva 2014/23/UE, rubricato “Oggetto e ambito di applicazione”.

(9) In dottrina v. per tutti S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)», in Contr. e impr. Europa, 2014, 19, p. 523 e ss.

(10) Come indicato nel considerando n. 6.

(11) Come indicato nel considerando n. 6 e n. 15.

(12) Cfr. per tutti S. TOMMASI, «Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali», in Contratti, 2011, p. 957.

(13) V. il considerando n. 8 della direttiva in commento, e già il considerando n. 1 della raccomandazione della Commissione del 1° marzo 2001 n. C (2001) 477 sull’infor mativa precontrattuale fornita ai consumatori dagli istituti di credito che offrono mutui per la casa d’abitazione, che esordisce così: «La realizzazione di un mercato unico per i servizi finanziari, che offra ai consumatori un alto livello di tutela, costituisce un obiettivo prioritario per la Comunità».

(14) Come indicato nel considerando n. 3.

(15) Sulla figura, introdotta nel nostro ordinamento dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 (art. 11-quaterdecies, comma 12), v. C. CACCAVALE, Contratto e successioni, in Trattato del contratto, diretto da E. Roppo, vol. VI, p. 525-526; A. CHIANALE, L’ipoteca, in Tratt. dir. civ. Sacco, II ed., Torino, 2010, p. 140; F. PADOVINI, Le posizioni contrattuali, in Tratt. dir. succ. donaz. Bonilini, I, Milano, 2009, p. 547; F. CHESSA, «Il prestito vitalizio ipotecario», in Imm. e propr., 2006, p. 305 e ss.; sia altresì consentito un rinvio a D. FARACE, voce Prestito vitalizio ipotecario, in Enc. giur. Treccani, Agg. XV, Roma, 2007. Assai di recente, la L. 2 aprile 2015, n. 44 ha sostituito il testo dell’art. 11-quaterdecies, comma 12, aggiungendovi i commi 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies, 12-sexies.

(16) Secondo la definizione contenuta all’art. 3, lett. a, della direttiva 2008/48/CE, ed espressamente richiamata dalla direttiva in commento (v. in particolare sub art. 4). Sulla direttiva 2008/48/CE, cfr. La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2009.

(17) Cfr. G. DE CRISTOFARO, «La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario», in Contratti, 2010, p. 1050: «La disciplina del credito al consumo rimane pertanto una disciplina transtipica, destinata cioè a trovare applicazione ad una vasta categoria di operazioni negoziali, comprensiva di una pluralità di differenti tipologie di contratti e pattuizioni (mutui, aperture di credito, leasing finanziario, etc.) il cui comune denominatore è rappresentato dalla causa di finanziamento».

(18) Sulla definizione di contratto di credito, v. più diffusamente sub art. 3.

(19) V. espressamente il considerando n. 13.

(20) Cfr. P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 1992, spec. p. 136 e ss., ove si legge: «Un ruolo propriamente ermeneutico da attribuire alle direttive presuppone quindi che queste non siano ancora direttamente efficaci ed applicabili sì che il giudice nazionale, non potendo applicarla, può pur sempre proporre della norma interna un’interpretazione conforme alla direttiva» (p. 137); L. DANIELE, «Novità in tema di efficacia delle direttive comunitarie non attuate», in Foro it., 1992, IV, c. 173 e ss., in cui si legge (c. 178): «che la direttiva sia o meno direttamente efficace, i singoli hanno comunque la facoltà di invocarne le disposizioni e di pretendere dal giudice nazionale una pronuncia ad esse conforme. Poco importa poi se ciò avviene in concreto seguendo metodi diversi, cioè attraverso la disapplicazione di norme nazionali difformi e l’applicazione diretta della direttiva (quando questa è direttamente efficace), ovvero attraverso un’opera di rimodellazione giudiziale della norma interna per renderla conforme alla direttiva (quando tale caratteristica è assente). Ciò che realmente rileva è che la direttiva non attuata o male attuata costituisca, nell’uno come nell’altro caso, l’unico parametro normativo cui il giudice nazionale dovrà attenersi per la soluzione del caso di specie. Resta dunque confermata la fondatezza di quell’opinione dottrinale già richiamata …, secondo la quale la giurisprudenza della corte si starebbe muovendo nel senso di sancire l’applicabilità da parte del giudice nazionale di qualsiasi direttiva non attuata»; E. RUSSO, op. cit., p. 43.

(21) Si trova ben presente fin dalla raccomandazione della Commissione del 1° marzo 2001 n. C (2001) 477, cit.

(22) Con un’apposita trattazione dedicata alla direttiva in commento, cfr. l’approfondita analisi di E. PELLECCHIA, «L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore: spunti di riflessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”», in Nuove leggi civ., 2014, p. 1089 e ss., spec. p. 1103 e ss.

(23) Il considerando n. 3 esordisce affermando: «La crisi finanziaria ha dimostrato che un comportamento irresponsabile da parte degli operatori del mercato può mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte, in particolare i consumatori, e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico. Molti consumatori hanno perso fiducia nel settore finanziario e i mutuatari si sono trovati sempre più in difficoltà nel far fronte ai propri prestiti». Maggior forza è contenuta nel considerando n. 4, che inizia così: «Sono stati individuati diversi problemi nei mercati del credito ipotecario all’interno dell’Unione legati al comportamento irresponsabile nella concessione e accensione dei mutui e al potenziale margine per comportamenti irresponsabili da parte degli operatori del mercato, fra cui gli intermediari del credito e gli enti non creditizi».

(24) Nel quale si legge: «Per creare un autentico mercato interno, con un livello elevato ed equivalente di protezione dei consumatori, la presente direttiva stabilisce disposizioni che devono essere oggetto di piena armonizzazione relativamente alle informazioni precontrattuali attraverso il formato del Prospetto informativo europeo standardizzato (Pies) e il calcolo del Taeg».

(25) Su Pies e Taeg, v. più diffusamente i commenti agli artt. 13, 14 e 17. In dottrina, cfr. A. LAS CASAS, «“Informazioni generali” e “informazioni personalizzate” nella nuova direttiva sui mutui ipotecari ai consumatori», in Pers. e merc., 2015, p. 251 e ss.; T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in Contratti, 2015, p. 70 e ss.

(26) Su armonizzazione e credito al consumo, cfr. per tutti G. DE CRISTOFARO, «La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”», in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 255 e ss., nonché F. MACARIO, «Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?», in Riv. dir. priv., 2009, p. 71 e ss.

(27) Cfr. N. ZORZI GALGANO, Il contratto di consumo e la libertà del consumatore, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ. Galgano, Assago, 2012, p. 115, la quale, a proposito della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, pone in risalto il rapporto tra livello di armonizzazione e protezione del consumatore: «malgrado si tratti, si ripete, di una misura normativa di armonizzazione massima ed in questo senso diretta comunque ad impedire quella frammentazione normativa resa possibile dalle direttive di armonizzazione minima che non permette un livello alto di protezione degli interessi economici dei consumatori e non permette dunque una piena tutela della loro libertà in relazione alle operazioni economiche poste in essere da uno o più professionisti, si tratta pur sempre di una direttiva (non di un regolamento)».

(28) Secondo il quale «La presente direttiva dovrebbe migliorare le condizioni per l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno ravvicinando le legislazioni degli Stati membri e definendo standard qualitativi per alcuni servizi, in particolare per quanto riguarda la distribuzione e l’erogazione di crediti attraverso creditori e intermediari del credito, nonché la promozione di buone pratiche. La definizione di standard qualitativi per i servizi di erogazione di crediti implica necessariamente l’introduzione di alcune disposizioni in materia di abilitazione, vigilanza e requisiti prudenziali».

(29) Cfr. Gius. NAPOLETANO, Succursali e libera prestazione di servizi, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di E. Galanti, Padova, 2008, p. 429. Osserva l’A. che «Le libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi sono state tra i primi istituti giuridici ad essere utilizzati dalla Comunità europea per accrescere la concorrenza nel settore bancario, inizialmente, e negli altri ambiti della finanza privata successivamente».

(30) V. i considerando n. 28 e 69.

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