Direttiva 2014/17/UE - Art. 3 - Ambito di applicazione - Commento di Sveva Cordopatri
Direttiva 2014/17/UE
Art. 3 - Ambito di applicazione
Commento di Sveva Cordopatri
Dottore di ricerca in Diritto civile, Università di Roma “Tor Vergata”

Art. 3
Ambito di applicazione

1. La presente direttiva si applica ai:
a) contratti di credito garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali; e
b) contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costrzine edificata o progettata.
2. La presente direttiva non si applica ai:
a) contratti di credito della tipologia «equity release» in cui il creditore:
i) versa una tantum o periodicamente una somma di denaro o effettua altre forme di erogazione creditizia in cambio di una somma derivante dalla futura vendita di un bene immobile residenziale o di un diritto relativo a un bene immobile residenziale; e
ii) non chiederà il rimborso del credito fino al verificarsi di uno o più eventi specifici della vita del consumatore, come definiti dagli Stati membri, salvo in caso di violazione, da parte del consumatore, dei propri obblighi contrattuali che consenta al creditore di risolvere il contratto di credito;
b) contratti di credito mediante i quali un datore di lavoro, al di fuori della sua attività principale, concede ai dipendenti crediti senza interessi o a un Taeg inferiore a quello prevalente sul mercato e non offerti al pubblico in genere;
c) contratti di credito in cui il credito è concesso senza interessi o ulteriori oneri, a esclusione di quelli per il recupero dei costi direttamente connessi alla garanzia del credito;
d) contratti di credito nella forma di concessione di scoperto, qualora il credito sia da rimborsare entro un mese;
e) contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto davanti a un giudice o altra autorità prevista dalla legge;
f) contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente che non rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lettera a.
3. Gli Stati membri possono decidere di non applicare:
a) gli articoli 11 e14 e l’allegato II a contratti di credito per i consumatori, garantiti da ipoteca o altra garanzia simile comunemente usata in uno Stato membro per i beni immobili residenziali, ovvero garantiti da un diritto relativo a beni immobili residenziali, non finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto sul bene immobile residenziale, purché gli Stati membri applichino a tali contratti di credito gli articoli 4 e 5 e gli allegati II e III della direttiva 2008/48/CE; b) la presente direttiva ai contratti di credito relativi a un bene immobile ove il contratto preveda che detto bene non può mai essere occupato come abitazione, appartamento o altro luogo di residenza dal consumatore o da un familiare del consumatore ed è destinato ad essere occupato come abitazione, appartamento o altro luogo di residenza in base a un contratto di locazione;
c) la presente direttiva ai contratti di credito relativi a crediti concessi a un pubblico ristretto in base a disposizioni di legge con finalità di interesse generale, concessi senza interessi o a tassi debitori inferiori a quelli prevalenti sul mercato, oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi debitori non superiori a quelli prevalenti sul mercato;
d) la presente direttiva ai prestiti ponte;
e) la presente direttiva ai contratti di credito in cui il creditore è un’organizzazione che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2008/48/CE.
4. Gli Stati membri che si avvalgono dell’opzione di cui al paragrafo 3, lettera b, garantiscono l’applicazione di un quadro adeguato a livello nazionale per questo tipo di crediti.
5. Gli Stati membri che si avvalgono dell’opzione di cui al paragrafo 3, lettera c o e, garantiscono l’applicazione di adeguate misure alternative per far sì che il consumatore riceva informazioni tempestive circa le caratteristiche, i rischi e i costi principali di tali contratti di credito nella fase precontrattuale e che la pubblicità di tali contratti di credito sia corretta, chiara e non ingannevole.


Ambito soggettivo e oggettivo. Ipotesi incluse

Legittimati a contrarre sono, da un lato, il consumatore e, dall’altro lato, il creditore (o l’intermediario del credito o un rappresentante designato)(1).
L’ambito di applicazione della direttiva non è delimitato dalla sola qualificazione soggettiva delle parti del contratto di credito.
La direttiva 2014/17/UE si colloca nell’alveo tracciato dai provvedimenti comunitari che hanno posto un limite alla autonomia negoziale delle parti, con conseguente sacrificio del potere sovrano di autodeterminazione dei contraenti(2).
Essa si applica «ai contratti di credito garantiti da ipoteca o da altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure ai contratti di credito garantiti da un diritto connesso ai beni immobili residenziali» e «ai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata». La disciplina comunitaria individua una serie eterogenea di negozi(3 )accomunati dalla coincidenza degli elementi soggettivi, dal riferimento agli immobili residenziali e dalla subordinazione alla medesima ratio di tutela del consumatore. I negozi in discorso costituiscono una species del genus dei contratti di credito, come peraltro definiti dall’art. 3 e dall’art. 4, n. 3, della direttiva in commento (che richiama la definizione dell’art. 1, paragrafo 2, lett. c, direttiva 87/102/CE), ovvero del fenomeno di ‘credito al consumo’(4).
La peculiare natura del bene oggetto della garanzia od oggetto dello scopo del credito giustifica la particolarità della disciplina e la precedente esclusione dall’ambito di applicazione delle direttive in materia di credito al consumo. Non si tratta di un bene mobile standardizzato, appartenente alla categoria dei beni di consumo(5 )ma di un bene immobile, suscettibile anche esso di essere destinato al mercato dei consumatori, ma non riguardato dalla disciplina precedente. Ciò in relazione alla specificità delle vicende proprie dei beni immobili, di maggior valore rispetto ai beni mobili, con riferimento alla tutela dell’affidamento dell’acquirente e alla sicurezza del regime circolatorio.
Per espressa previsione normativa(6), i contratti di credito sono quelli con cui «il creditore concede o si impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga»(7). Ne segue che l’ambito di applicazione della disciplina stabilita dalla presente direttiva è residuale, riguardando solamente i contratti di credito garantiti da ipoteca o da altra garanzia analoga o da un diritto connesso sui beni immobili residenziali e quelli finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata(8). Quanto ai «contratti di credito garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali», occorre coordinare la richiamata definizione dei contratti di credito con l’art. 3.
Innanzitutto, la peculiare fattispecie, a prescindere dai singoli tipi cui tali contratti sono riconducibili nel nostro ordinamento, individua un negozio propriamente ed espressamente finanziario e un negozio di garanzia. Il consumatore per l’acquisto o il godimento di un bene ricorre al credito, la cui erogazione è sottoposta alla condizione che il creditore sia garantito dell’adempimento mediante ipoteca o analoga garanzia riguardante un bene immobile residenziale o specifico diritto connesso a un bene immobile residenziale.
Nel caso in cui il credito garantito sia concesso nella forma della dilazione di pagamento o di rateizzazione del corrispettivo (come risulterebbe dall’interpretazione dell’art. 3 coordinata con quella dell’art. 4, n. 3, della presente direttiva) il creditore e l’alienante-disponente verrebbero a coincidere, come nel contratto di compravendita con patto di riscatto o di vendita a rate con riserva della proprietà(9). In tali contratti l’alienante garantisce il proprio credito, concesso sotto forma di dilazione del pagamento, riservandosi il diritto di riscattare la proprietà del bene, ovvero trasferisce il diritto a condizione che il debito sia adempiuto dal consumatore.
Di fatto, se il pagamento del corrispettivo dell’alienazione di un bene immobile è differito, la riserva di proprietà viene spesso preferita all’ipoteca legale, perché l’alienante, rimanendo proprietario, non dovrà, in caso d’inadempimento, ricorrere alla esecuzione forzata(10).
A ben vedere, per il legislatore comunitario è del tutto irrilevante quale sia l’oggetto dei contratti di credito: la qualità del bene come immobile residenziale rileva quale oggetto della garanzia e non anche quale oggetto del credito o dello scopo del credito.
Rientrano nella ipotesi di cui agli articoli 3, paragrafo 1, lett. a, e 4, n. 3, anche il contratto di mutuo, il prestito o il contratto di credito che preveda «una analoga agevolazione finanziaria». Quest’ultima potrebbe, come rilevato(11), estendersi a una serie di finanziamenti diffusi nella prassi quali le convenzioni per l’utilizzazione della carta di credito, con cui il finanziatore si obbliga a versare una somma di denaro pari al prezzo del bene direttamente al fornitore, con successivo addebito nei confronti del consumatore(12), oppure i prestiti concessi da finanziarie a fronte della cessione del quinto dello stipendio, ove il rimborso delle somme erogate dal finanziatore all’alienante avviene mediante l’addebito al correntista-lavoratore di una parte dello stipendio, non superiore al quinto.
Rientra nella categoria dei contratti di credito anche il c.d. leasing finanziario(13), in cui lo scopo del contratto consiste nel finanziamento e la proprietà del bene ne rappresenta la garanzia.
Da tali considerazioni si evince che il legislatore comunitario non ha previsto espressamente che il contratto di credito sia funzionalmente rivolto ad un bene di consumo, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è del tutto irrilevante lo scopo del credito (se cioè il consumatore vi faccia ricorso per acquistare o godere di un bene di consumo). Perché sia disciplinato dalla presente direttiva, quindi per garantire al consumatore un elevato livello di tutela, è sufficiente che il contratto di credito sia assistito da un’ipoteca o da una garanzia analoga relativa ad un bene immobile residenziale(14). A fronte dell’erogazione del credito a favore del consumatore, il creditore ha il diritto di essere garantito mediante la costituzione di un’ipoteca su un bene immobile residenziale del consumatore o mediante la prestazione di «un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro». È da escludersi il riferimento al pegno, dal momento che la garanzia deve avere ad oggetto, per espressa previsione normativa, i beni immobili residenziali.
La ricerca di coordinamento della disposizione che si riferisce ai contratti di credito assistiti da una garanzia «analoga» all’ipoteca «comunemente utilizzata in uno Stato membro» con il sistema normativo nazionale, da un lato, si scontra con il principio del numerus clausus dei diritti reali di garanzia, e, dall’altro lato, presuppone la individuazione della ratio ispiratrice della disciplina in commento. Così, innanzitutto, il riferimento ad un bene immobile residenziale pare richiamare la realità dei diritti di garanzia con la conseguente applicazione della disciplina alla sola ipotesi della garanzia ipotecaria. Inoltre, il riferimento al ‘comune’ utilizzo non riguarda la frequenza temporale di utilizzo di una determinata garanzia nell’ordinamento nazionale, ma è espressione della tecnica di armonizzazione c.d. minimale, cioè del metodo che lascia libero ciascuno Stato membro, con i menzionati limiti, di integrare la disciplina comunitaria a condizione di incrementare la tutela del consumatore.
Da ultimo, la disposizione riguarda anche i contratti di credito in cui la garanzia non ha ad oggetto un bene immobile residenziale, ma «un diritto connesso a un bene immobile residenziale».
Qualche perplessità è indotta dalla formulazione della norma.
Innanzitutto, è dubbio se del diritto connesso all’immobile debba essere titolare il consumatore beneficiario del credito oppure un terzo, purché consumatore: ciò che sembrerebbe richiesto dalla qualifica ‘residenziale’ del bene. Con la conseguenza che dovrebbero considerarsi assoggettati alla disciplina stabilita dalla direttiva 2014/17/UE i contratti di credito in cui sia prestata ipoteca dal terzo datore ovvero fideiussione dal coniuge comproprietario dell’immobile residenziale ovvero da un terzo comproprietario o titolare in comunione di altro diritto reale.
Inoltre, il riferimento alla garanzia relativa ad un diritto ’connesso’ a un bene immobile residenziale non sembrerebbe limitarsi alla mera reiterazione del carattere reale della garanzia ma parrebbe riferirsi, invece, all’oggetto della garanzia, cioè ai diritti reali su cosa altrui, con la conseguente applicazione della disciplina ai contratti di credito garantiti da un diritto di usufrutto, uso, abitazione, servitù. Con specifico riferimento al nostro ordinamento, in considerazione del numerus clausus dei diritti reali di garanzia e del necessario riferimento al diritto di proprietà o a ‘diritti connessi’ ai beni immobili residenziali, la disposizione deve essere interpretata nel senso di ammettere i contratti di credito garantiti da un’ipoteca sul diritto di usufrutto, di superficie, di enfiteusi o sul diritto del concedente il fondo enfiteutico (art. 2810 c.c.). In sintesi, il riferimento necessario allo specifico bene immobile residenziale sembrerebbe pertanto escludere l’applicazione(15 )della disciplina ai contratti assistiti da una garanzia personale(16).

Segue

L’art. 3, lett. b, assoggetta alla disciplina della direttiva 2014/17/UE anche i «contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata».
La disposizione si riferisce ai rapporti in cui la richiesta di credito da parte del consumatore è funzionalmente orientata all’acquisto o alla conservazione di un immobile. Il legislatore comunitario incide sulla fattispecie negoziale, richiedendo per l’applicazione della disciplina in esame un collegamento fra il contratto di credito e il successivo negozio. Lo scopo assume rilevanza e viene tipizzato dalla disposizione normativa, che ne rende essenziale la presenza e ne richiede il rispetto per l’applicazione della disciplina(17).
In tali casi, il bene assume rilievo in quanto oggetto del trasferimento del diritto di proprietà oppure del negozio ‘conservativo’. Il legislatore non fa espresso riferimento al ‘bene immobile residenziale’, ma a un ‘terreno’ e a una ‘costruzione edificata o progettata’.
In proposito, il considerando n. 15 individua l’obiettivo della presente disciplina nella assicurazione di una elevata garanzia della tutela del consumatore nel caso in cui egli concluda un contratto di credito relativo ad un bene immobile. Segnatamente, oltre a quello in cui sia concluso un contratto di credito che, a prescindere dalle finalità del credito, sia garantito da un bene immobile, il legislatore richiama anche i casi in cui il consumatore concluda un contratto di rifinanziamento o altri contratti di credito che «aiutano chi abbia la proprietà integrale o parziale di un bene immobile o di un terreno a mantenerla», oppure i contratti di credito «utilizzati per acquistare un bene immobile in alcuni Stati membri …». Inoltre, l’art. 1, in sede di determinazione dell’oggetto della disciplina, si riferisce indistintamente ai contratti «relativi ai beni immobili residenziali»: così, anche l’art. 3, paragrafo 3, lett. b, si riferisce agli immobili che sono «occupati come abitazione, appartamento, luogo di residenza dal consumatore o da un familiare del consumatore». Ne segue che l’analisi del sistema normativo porta a ritenere che l’ambito di applicazione della presente direttiva riguardi i beni immobili che costituiscono la residenza (nel senso di dimora abituale) del consumatore o di un suo familiare.
Sono da considerare alla stregua di negozi con i quali si realizza il fine dell’acquisto(18 )i contratti di compravendita, di permuta, di compravendita con patto di riscatto, caratterizzati dall’effetto traslativo del diritto di proprietà(19).
La direttiva si applica al contratto di mutuo di scopo, perché il contratto di credito appare qualificato dalla previsione della realizzazione necessaria di una finalità legislativamente o convenzionalmente dedotta. Infatti, lo scopo dell’acquisto o della conservazione sotteso alla erogazione della somma partecipa del tessuto negoziale (attraverso la c.d. clausola di destinazione)(20). È da rilevarsi che non tutte le operazioni creditizie sogliono qualificarsi alla stregua di mutuo di scopo, che ricorre in considerazione della rilevanza che il legislatore ha attribuito allo scopo della concessione del credito, che permea la struttura contrattuale e la disciplina finalizzata, appunto, alla realizzazione dello scopo. Il consumatore potrebbe ottenere il finanziamento per l’acquisto o la conservazione di un immobile residenziale concludendo un contratto di leasing(21).
Pare da escludere che la erogazione del credito per l’acquisto (o la conservazione di un diritto) di un immobile residenziale possa avvenire nella forma del ‘leasing traslativo al consumo’(22 )che riguarda beni standardizzati e durevoli, fra i quali non rientrano gli immobili residenziali, ma essa potrebbe essere riconducibile al leasing traslativo (puro)(23 )o alla locazione con patto di trasferimento della cosa locata. Da ultimo, la disposizione si applica ai contratti di credito finalizzati «alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su altra costruzione edificata o progettata».
Fermo che l’espressione ‘conservazione di diritti di proprietà’ potrebbe riferirsi anche alle azioni a difesa della proprietà, non pare possa essere equivocato l’avviso secondo cui il legislatore comunitario ha inteso fare riferimento al credito erogato, secondo il considerando n. 15, “per mantenere” il diritto di proprietà. Si vuol dire che il mutuo potrebbe essere contratto allo scopo di restaurare o conservare, recte, manutenere l’immobile. Si potrebbe prefigurare la stipula di un contratto di mutuo cui accede, ad esempio, il contratto di appalto.
Tuttavia, la disposizione deve essere coordinata con l’art. 46, che integra il contenuto della direttiva 2008/48/CE laddove ne estende l’ambito di applicazione ai contratti di credito «non garantiti finalizzati alla ristrutturazione di un bene immobile residenziale con un importo totale del credito superiore a 75.000 Euro». Pertanto devono essere assoggettati alla disciplina della precedente direttiva sul credito al consumo non solo i contratti di credito non garantiti, finalizzati alla ristrutturazione per un valore del credito compreso fra 200 e 75.000 euro, ma anche quelli per un valore superiore(24).

Ipotesi escluse

L’ambito di applicazione della direttiva 2014/17/UE è delimitato dal legislatore comunitario anche in negativo, mediante la indicazione delle ipotesi escluse dalla disciplina.
Innanzitutto, la disciplina non si applica ai contratti di credito c.d. equity release, in cui il creditore eroga al consumatore, in un’unica soluzione o periodicamente, una somma di denaro o ‘altre forme di erogazione creditizia’ a fronte della attribuzione del diritto al corrispettivo della futura vendita del diritto di proprietà o di altro diritto relativo a un bene immobile residenziale sottoposta alla condizione che si verifichi uno specifico evento della vita del consumatore(25). Vi rientra il c.d. prestito vitalizio ipotecario, menzionato dallo stesso legislatore comunitario al considerando n. 16, che ha la funzione di allargare il mercato del credito alle persone che abbiano compiuto sessantacinque anni e siano proprietari di un immobile, senza aggravio sul proprio reddito(26).
Il pagamento del corrispettivo di queste forme di mutuo avviene successivamente ed è posto a carico di soggetti diversi dal beneficiario del credito.
La divergenza di ratio e di struttura del contratto - che consiste nel garantire liquidità immediata al beneficiario con la conseguente maggiorazione della di lui propensione al consumo senza alcun rimborso da parte di costui - rende inapplicabile ai contratti di credito c.d. equity release la disciplina in esame, soprattutto quella relativa alla valutazione del merito di credito del debitore o alle informazioni precontrattuali, giacché, nel primo caso, la erogazione è diretta dal creditore al consumatore e non viceversa e, nel secondo caso, perché le informazioni precontrattuali sono differenti.
Inoltre, devono essere esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/17/UE, per espressa previsione normativa (considerando n. 16), i negozi di vendita della nuda proprietà, che hanno funzione simile ai prestiti vitalizi ipotecari, ma che non contemplano la erogazione del credito. Così, la vendita della ‘nuda proprietà’ può avvenire mediante il contratto di rendita vitalizia, con cui l‘acquirente- creditore(27 )si obbliga a pagare il prezzo della vendita dell’immobile durante la vita del venditore- consumatore (art. 1964 c.c.) e non in un’unica soluzione.
Il legislatore comunitario esclude(28), altresì, i contratti di credito conclusi dal datore di lavoro «al di fuori della propria attività principale» senza la previsione di interessi o a un Taeg inferiore a quello prevalente sul mercato. In buona sostanza, parrebbe trattarsi, laddove non siano previsti interessi, di contratti di mutuo a titolo gratuito. Ciò che costituirebbe la ragione giustificatrice di tale esclusione. Infatti, si evince dal considerando n. 17, che gli Stati membri possano omettere di applicare la direttiva ai contratti di credito che siano concessi a un pubblico ristretto e a condizioni vantaggiose. Inoltre, posto che il creditore è colui che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, concede o si impegna a concedere crediti nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, allora il datore di lavoro che conceda credito «al di fuori della sua attività principale» resterebbe per definizione fuori dell’ambito riguardato dalla disciplina di cui alla direttiva 2014/17/UE. Ma tale chiave di lettura, in sé troppo rigorosa, induce a rinvenire la ragione della esclusione, anche in questo caso, nella divergenza di ratio del caso specifico. Invero, l’ipotesi menzionata veniva del pari esclusa correntemente dall’ambito di applicazione dell’art. 2 della direttiva 2008/48/CE, il cui contenuto era stato integralmente trasfuso nell’art. 121 Tub. In effetti, i presupposti della concessione del credito rendono il contratto un ‘contratto di credito di nicchia’, come definito dal legislatore comunitario, da assoggettare ad una disciplina specifica.
La disciplina irrogata dalla direttiva non riguarda i contratti di credito concessi a titolo gratuito, cioè senza interessi o ulteriori oneri a carico del consumatore, «salvo quelli derivanti dal recupero dei costi direttamente connessi alla garanzia del credito»(29). Invero, è da intendere a titolo gratuito il contratto in cui il consumatore, contestualmente o meno alla concessione di credito, non assume ulteriori obblighi, se non quelli derivanti dal pagamento nel termine stabilito delle rate. La gratuità giustificherebbe l’esclusione perché il soggetto che riceve il vantaggio della liquidità, pur essendo un consumatore, non assume al contempo alcun obbligo aggiuntivo. Non ricorre, pertanto, la posizione di debolezza di una delle parti, melius, non viene intaccato l’equilibrio fra le posizioni delle parti all’interno del sinallagma contrattuale. In sintesi, la disciplina della direttiva 2014/17/UE non si applica ai contratti di credito a titolo gratuito e neppure ai contratti di credito i cui unici oneri riguardino «il recupero dei costi direttamente connessi alla garanzia del credito» come, ad esempio, nel caso in cui l’inadempimento dell’obbligazione principale ovvero del contratto di credito costringe il creditore a sopportare i costi di recupero. In altre parole, il contratto è da ritenere sempre e comunque a titolo gratuito anche quando si debbano sopportare dei costi per l’escussione della garanzia, ad esempio, per l’espropriazione del bene ipotecato(30).
Inoltre, sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva i contratti di credito conclusi «nella forma di concessione di scoperto, qualora il credito sia da rimborsare entro un mese». Si tratta del caso in cui il creditore, qui un istituto di credito, concede un finanziamento per un periodo molto breve. In effetti, il contratto consente al creditore di lucrare un corrispettivo irrisorio e, pertanto, resta estraneo, al pari dei contratti di credito a titolo gratuito, alla disciplina della direttiva.
Il legislatore comunitario esclude altresì i «contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto davanti a un giudice o altra autorità prevista dalla legge». Dal tenore letterale della disposizione si potrebbe evincere che il legislatore comunitario si sia riferito alla genesi del contratto di credito, cui abbia ‘partecipato’ un terzo. Così, l’accordo di composizione della crisi teso a superare la situazione di sovraindebitamento in cui versa il consumatore(31). L’accordo di composizione diviene lo strumento di ‘ristrutturazione dei debiti’ del consumatore; esso si configura quale rimedio predisposto dal legislatore per il caso in cui il consumatore-debitore si trovi in una situazione di squilibrio fra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte. Il rinvio è anche alla conciliazione giudiziale, ovvero all’accordo raggiunto dinanzi al mediatore, posto che è dubbio ravvisarne altre applicazioni nell’ordinamento italiano.
La presenza del ‘giudice’ o ‘di altra autorità prevista dalla legge’ nella fase genetica del rapporto di credito, pur non essendo tale da conferire il crisma di garanzia della posizione di debolezza del consumatore, sarebbe idoneo ad incidere ex se sull’autonomia contrattuale delle parti che, seppure non limitata, potrebbe venire veicolata dall’intervento del soggetto terzo. L’intervento di tale autorità determinerebbe una diminuzione del rischio e un mutamento della natura dell’accordo rispetto ai contratti di credito ipotecari ordinari di cui all’art. 3, paragrafo 1, tale da giustificarne l’esclusione dalla disciplina della direttiva 2014/48/UE.
Infine, fra le ipotesi escluse, vi è quella dei «contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente che non rientrano nell’ambito di applicazione del paragrafo 1, lett. a». Sono esclusi allora i negozi in cui la diluizione nel tempo del pagamento del corrispettivo di altro negozio non è garantita né da un’ipoteca né da altra garanzia connessa a beni immobili residenziali. Sembrerebbe escluso il caso in cui la dilazione non sia gravata da spese nei confronti del consumatore, cui non sono posti a carico interessi, e riguardi il pagamento di un debito esistente che ha origine in un contratto di credito non garantito e non riguardante beni immobili residenziali. Con la conseguente questione relativa alla estensione dell’ambito di applicazione alle ipotesi in cui il contratto di credito, nella forma della dilazione di pagamento, ancorché gratuito, sia garantito da un’ipoteca ovvero da un diritto connesso ai beni immobili residenziali.
In definitiva, la previsione dei casi esclusi, che costituiscono norme eccezionali non suscettibili di applicazione analogica ex art. 14 disp. prel. c.c., trova una giustificazione sia di ordine ‘quantitativo’ e sia di ordine ‘qualitativo’. Nella valutazione complessiva delle prestazioni contrattuali è eccessivo predisporre meccanismi di tutela in favore del consumatore al di sotto di una determinata soglia; di contro, al di sopra di tale soglia, è inutile perché il consumatore è necessariamente avvertito. Nei casi sub art. 3, paragrafo 2, lett. b, c, d ed f, i contratti di credito non impongono interessi oppure il credito viene adempiuto con un unico pagamento o velocemente, con la conseguenza che il consumatore non corre rischi perché restituisce quanto ricevuto presto e senza ingenti spese. Ciò che rappresenta la ratio di tali esclusioni, come confermato dal considerando n. 17, che dispone che «la presente direttiva non dovrebbe applicarsi ad altri tipi di contratto di credito di nicchia, specificamente elencati, che sono diversi per natura e rischi dai crediti ipotecari standard e richiedono pertanto un approccio ad hoc».

Segue

Alla medesima ratio è collegata la possibilità attribuita agli Stati membri, in conformità con il principio dell’armonizzazione c.d. minimale, di non applicare la direttiva.
Segnatamente, il legislatore comunitario dispone che sia consentito - in deroga alla disciplina prevista dagli art. 11 e 14 e dall’allegato II della direttiva - applicare gli art. 4 e 5 e gli allegati II e III della direttiva 2008/48/CE «limitatamente ai contratti di credito non finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto su un bene immobile residenziale, benché garantiti da ipoteca o da altra garanzia simile comunemente utilizzata in uno Stato membro per i beni immobili residenziali, ovvero garantiti da un diritto relativo ad un bene immobile residenziali».
La disposizione dunque limita l’oggetto della deroga alle informazioni di base da includere nella pubblicità e a quelle precontrattuali personalizzate; subordina la deroga all’applicazione della disciplina stabilita dalla direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito al consumo; e precisa l’ambito di applicazione della deroga ai contratti di credito garantiti, non finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto su un bene immobile residenziale(32).
Così, per i contratti di cui all’art. 3, paragrafo 1, lett. a, della direttiva 2014/17/UE, la scelta della disciplina relativa alle informazioni precontrattuali e pubblicitarie di base viene rimessa al legislatore nazionale, perché lo scopo del finanziamento, consistente nell’acquisto o conservazione di un bene immobile residenziale, non configura elemento essenziale della fattispecie (costituita da un negozio appartenente alla ‘categoria’ dei contratti di credito e da un negozio appartenente alla ‘categoria’ dei contratti di garanzia). Il legislatore nazionale può stabilire che il creditore non indichi la garanzia nel prospetto informativo ovvero il numero di rate, se previste, o l’avviso sull’incidenza della fluttuazione del tasso di cambio sul costo del credito per il consumatore o, ancora, quella relativa ai rischi specifici connessi ai contratti di credito.
Così, anche le informazioni precontrattuali di base possono essere fornite dal creditore con un modulo più sintetico di quello previsto dall’art. 14 e dall’allegato II della direttiva.
Pare plausibile ritenere che la norma trovi giustificazione nella predisposizione di un livello di tutela di contenuto minimo (specificamente quello stabilito dagli art. 4 e 5 della direttiva 2008/48/CE) con la conseguente eventuale esclusione dai prospetti di determinate informazioni che non sono ritenute indispensabili per i contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un diritto su un bene immobile residenziale. Presumibilmente la scelta tende a garantire al consumatore un determinato livello di conoscenze al momento della conclusione del contratto di credito finalizzato all’acquisto o alla conservazione del diritto su un bene immobile residenziale.
Sennonché, la disposizione di cui all’art. 3, paragrafo 3, lett. a, deve essere coordinata con la disposizione di cui all’art. 2, paragrafo 2, della direttiva, secondo la quale agli Stati membri è inibito di introdurre o mantenere norme «divergenti da quelle di cui all’art. 14, paragrafo 2, e all’allegato II parte A)», che sanciscono l’obbligo di fornire le informazioni precontrattuali su supporto cartaceo o altro supporto durevole mediante il Pies e alle modalità di compilazione del Pies. Le norme parrebbero dar luogo prima facie ad un’incongruenza. A ben vedere, però, l’art. 14 della direttiva ha il medesimo contenuto di quello dell’art. 5 della direttiva 2008/48/CE, e ne diverge soltanto laddove intesta il modulo alle «informazioni europee di base relative al credito ai consumatori» .
Inoltre, la direttiva può non essere applicata ai «contratti di credito relativi a un bene immobile ove il contratto preveda che detto bene non può mai essere occupato come abitazione, appartamento o altro luogo di residenza dal consumatore o da un familiare del consumatore ed è destinato ad essere occupato come abitazione, appartamento o altro luogo di residenza in base a un contratto di locazione»(33). Seppure con qualche incertezza di formulazione, il testo della disposizione fa parola di contratti di credito «relativi ad un bene immobile residenziale» che non è di proprietà del consumatore ma che può essere da questi detenuto in forza di un contratto di locazione che stabilisca che l’immobile «non può mai essere occupato come abitazione, appartamento o altro luogo di residenza dal consumatore o da un familiare del consumatore». In effetti, l’equivoco testuale può essere fugato dal richiamo delle disposizioni delle precedenti direttive (direttiva 2008/48/CE e 87/102/CE e dall’art. 121 T.U.)(34), le quali, ancorché dirette ad operare in ambiti diversi, contemplano e disciplinano il contratto di credito finalizzato alla locazione(35). Gli elementi della fattispecie sono il contratto di credito relativo a un bene immobile concesso in locazione e la clausola con cui si dispone che il consumatore-conduttore non possa mai acquistarne la proprietà.
Interpretata secondo il suo tenore letterale, la disposizione parrebbe riferirsi alla erogazione di credito finalizzata esclusivamente alla locazione semplice di un immobile residenziale contenente la clausola che vieti espressamente il trasferimento della proprietà, con la conseguente dubbia applicazione della disciplina ai contratti di locazione privi di tale clausola(36). Per tale via, la locazione semplice conclusa dal consumatore potrebbe accedere ad un’operazione di finanziamento dotata di tutti i connotati sostanziali dei contratti di credito al consumo e la presenza dell’anomala clausola di intrasferibilità costituirebbe il discrimen tra le fattispecie che possono essere sottratte e quelle che sono invece da ricomprendere nell’ambito di applicazione della direttiva, con il conseguente allargamento degli spazi di tutela del consumatore(37).
Sennonché, la interpretazione sarebbe incoerente(38 )e ingiustificata dal momento che il ‘normale’ ambito di applicazione della direttiva 2014/17/UE è costituito dai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un bene immobile residenziale. Così, la disposizione deve essere riferita alla locazione finanziaria, c.d. leasing, che di norma prevede il passaggio di proprietà, allo spirare del rapporto contrattuale, in capo al locatario contro il pagamento di un corrispettivo collegato all’esercizio del diritto di opzione(39).
È da distinguere il tipo di contratto de quo dal contratto di leasing finanziario c.d. puro(40 )ed è da valutare se, in considerazione della qualità dell’utilizzatore (consumatore) e delle peculiarità dell’oggetto (bene immobile residenziale), la configurazione degli interessi delle parti assuma una rilevanza tale da costituire un’ipotesi contrattuale ai sensi dell’art. 1322 c.c. ovvero dia luogo a un vero e proprio contratto di leasing traslativo al consumo(41).
Non pare di trascurare che la direttiva 2008/48/CE era ritenuta applicabile anche ai contratti di leasing immobiliare, beninteso nel rispetto dei limiti massimi di importo richiesti dalla direttiva(42).
La ratio della direttiva 2014/17/UE è esplicitata dal considerando n. 17, che dispone che tali contratti di credito comportano rischi e presentano caratteristiche che li distinguono dai contratti di credito standard e dunque sono da assoggettare ad una disciplina più dettagliata. Infatti, la scelta dello Stato di escludere questi contratti dall’ambito assoggettato alla disciplina in esame è consentita a condizione che l’ordinamento nazionale disponga in maniera più adeguata. L’intenzione del legislatore comunitario pare essere dunque quella di estendere la disciplina garantista sui mutui ipotecari anche ai contratti di credito non finalizzati all’acquisto: segnatamente ai contratti di leasing conclusi dal consumatore e relativi ai beni immobili residenziali in cui non venga esercitata l’opzione per il trasferimento della proprietà in capo al conduttore.
L’art. 3, paragrafo 3, lett. c, consente agli Stati di escludere «i contratti di credito concessi a un pubblico ristretto in base a disposizioni di legge con finalità di interesse generale» a condizioni vantaggiose(43). Il considerando n. 17 subordina tale potere alla predisposizione da parte del legislatore nazionale di meccanismi alternativi idonei ad assicurare che gli obiettivi programmatici relativi alla stabilità e al mercato interno siano raggiunti senza impedire l’inclusione finanziaria e l’accesso al credito.
Gli Stati possono predisporre strumenti differenti da quelli previsti dalla direttiva nei casi in cui i contratti di credito siano concessi da un’organizzazione compresa fra quelle indicate dall’art. 2, paragrafo 5, della direttiva 2008/48/CE(44), quale, ad esempio la cooperativa di credito.
Lo specifico scopo perseguito, la disciplina garantista a favore dei propri membri e la predisposizione di misure di favore (ad esempio, Taeg inferiore a quello prevalente sul mercato) sono da sole sufficientemente protettive degli interessi dei membri, tali da rendere inutile l’applicazione della direttiva.
L’art. 3, paragrafo 5, prescrive che gli Stati che decidano di non applicare la disciplina ai contratti individuati dal precedente paragrafo 3, lettera c, o e, debbono comunque garantire l’adozione di misure alternative che consentano al consumatore nella fase precontrattuale di essere adeguatamente informato circa le caratteristiche, i rischi e i costi che comporta la conclusione di tali contratti e che la pubblicità sia corretta, chiara e non ingannevole.
Da ultimo. Gli Stati membri possono non applicare la direttiva ai “prestiti ponte”(45), generalmente utilizzati quale strumento transitorio di accesso alla liquidità(46).
Le ragioni che hanno determinato il legislatore comunitario a rimettersi alla scelta del singolo Stato membro risiedono, anche in questo caso, nella specifica natura e nei rischi che discendono da tale contratto di credito (considerando n. 17).
Quanto alla natura, il ‘prestito ponte’ potrebbe ricondursi al contratto di mutuo a termine o sottoposto al verificarsi di una determinata condizione; generalmente è a titolo oneroso e prevede, in correlazione alla durata limitata, corrispettivi alti.
Quanto ai rischi, esso è un finanziamento postergato rispetto al mutuo tradizionale, poiché in caso di inadempimento del beneficiario dell’erogazione, l’adempimento del debito-ponte è subordinato all’adempimento del debito principale. Così il rischio del creditore è rappresentato dall’investimento che, avendo generalmente natura personale, non è assistito da garanzia ipotecaria; di contro, il rischio del consumatore è quello di dover sostenere costi alti per il denaro erogato, a causa della propria incerta solvibilità.

Ratio della disciplina

Si evince dalla delimitazione dell’ambito di applicazione della direttiva 2014/17/UE che la esclusione di determinati fatti è giustificata dalla presenza di meccanismi giuridici o di fatto idonei di per sé ad assicurare un sufficiente grado di tutela al consumatore. Di contro, le ipotesi incluse sono connotate da disomogeneità di struttura: il legislatore si riferisce ai contratti di credito garantiti da un diritto su un bene immobile residenziale e ai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà sui beni immobili residenziali.
La diversità dei sistemi normativi dei singoli Stati membri attinenti ai negozi relativi ai beni immobili residenziali - determinata dalle differenti situazioni congiunturali, economiche e sociali - non ha consentito al legislatore comunitario di fare esclusivo riferimento ai negozi garantiti da ipoteca, ma ha addirittura comportato l’inclusione dei contratti di credito finalizzati all’acquisto e alla conservazione di un bene immobile residenziale. Così che il comune denominatore della disciplina comunitaria è costituito dal riferimento ai contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali.
Pertanto, la disciplina dei contratti di credito al consumo, connotati dall’intervento del terzo finanziatore specializzato, che di norma ha il potere di determinare la distribuzione del rischio relativo all’operazione da lui dominata, è ex se squilibrata.
La ratio ispiratrice del sistema predisposto dalla direttiva è da rinvenire nell’esigenza di apprestare tutela a chi sollecita la apertura di una linea di credito indipendentemente dal fine specifico dell’acquisto o della conservazione, purché attinente ad un bene immobile residenziale. Per vero, tali contratti erano stati esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive in materia di credito al consumo (87/102/ CE e 2008/48/CE) a causa delle difficoltà di «individuare il limite di demarcazione» tra operazioni implicanti l’acquisto o il mantenimento del diritto di proprietà e operazioni motivate da situazioni giuridiche diverse(47).
L’art. 3, paragrafo 1, lett. a, induce a ritenere, ancorché non ne faccia menzione espressa, che il contratto di credito garantito da ipoteca, da altra garanzia analoga o da un diritto connesso a un bene immobile residenziale sia concluso per soddisfare l’obbligazione del pagamento del prezzo derivante dall’acquisto dello stesso bene, come conferma, del resto, il considerando n. 15 della direttiva.
La peculiarità dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali comporta un approccio diverso da quello seguito per la disciplina accordata alla più ampia categoria dei crediti al consumo. La posizione di contraente debole tenuta dal consumatore è determinata dal diverso peso economico, dal differente patrimonio di conoscenze e soprattutto dalla peculiarità dell’oggetto del contratto di credito. Sebbene l’art. 3 distingua i contratti di credito garantiti da un diritto su un bene immobile residenziale dai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un immobile (terreno, costruzione edificata o progettata), l’inciso ‘bene immobile residenziale’ lascia intendere che il legislatore comunitario abbia voluto fare espresso riferimento al luogo di ‘abitazione’ (i.e. dimora abituale). Come peraltro conferma l’analisi del sistema disegnato dal legislatore comunitario all’art. 4 e all’art. 1, in cui manca una definizione di bene immobile residenziale; dal considerando n. 13 e dal considerando n. 14, che precisano l’ambito di applicazione della disciplina(48); e dall’art. 3, paragrafo 3, lett. b, che esclude l’applicazione della direttiva ai contratti di locazione ad uso abitativo.
La preordinazione del bene al soddisfacimento di esigenze personali e primarie giustifica il maggiore livello di protezione da assicurare al consumatore che assuma delle obbligazioni per l’acquisto o la conservazione o per la destinazione a strumento di garanzia. Ciò che autorizza a ritenere che oggetto di tutela è specificamente il diritto di proprietà o altro diritto reale su bene immobile residenziale.
La posizione di contraente debole del consumatore deve essere tutelata mediante il ricorso a meccanismi protettivi che operano nel corso dello svolgimento dell’intero rapporto contrattuale. E, invero, il legislatore comunitario si mostra consapevole dell’importanza e della particolarità della natura dei contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali e delle conseguenze che il loro inadempimento può comportare per il consumatore.
Così, il considerando n. 22 evidenzia l’opportunità che nel materiale pubblicitario e nelle informazioni precontrattuali personalizzate forniti al consumatore siano indicati “i rischi specifici”, cioè eventuali fatti che incidano, o possano incidere, sul costo del credito; le conseguenze della prestazione della garanzia e la sua eventuale disciplina; le informazioni precise sullo status degli intermediari del credito e la indicazione della loro precipua relazione con il creditore. Esso richiede altresì che venga assicurato un certo livello di professionalità in capo agli operatori coinvolti nella conclusione di contratti di credito relativi a beni immobili e sia assicurata la vigilanza sull’attività di costoro. Il considerando n. 23 dispone che i consumatori abbiano a disposizione, oltre a quello per l’esercizio del diritto di recesso, un periodo di tempo adeguato di riflessione per considerare le ‘implicazioni’ discendenti dalla conclusione del contratto di credito (proposta irrevocabile). Il considerando 24 aggiunge che sia opportunamente predisposto un adeguato sistema di tutele in materia di ‘commercializzazione abbinata’, in cui con i contratti di credito siano offerti prodotti o servizi aggiuntivi. Da ultimo, il considerando n. 27 a fronte delle conseguenze che potrebbero discendere dal pignoramento del bene ipotecato per il creditore, il consumatore e, in genere, per la stabilità finanziaria, richiama il creditore a prestare la dovuta attenzione nella fase precontrattuale verso la valutazione del ‘rischio del credito’ e a tenere, nella fase dell’esecuzione del rapporto, un atteggiamento ‘tollerante’ e a ricorrere ad «altri strumenti, prima di dare avvio a procedure di pignoramento»(49).
In conclusione, la ratio del sistema normativo può essere rinvenuta nella predisposizione di regole idonee a ripartire equamente il rischio contrattuale connesso all’esecuzione del rapporto negoziale. Le disposizioni sono così spiccatamente di favore nei confronti del soggetto economicamente meno forte e presumibilmente meno esperto e tendono a garantire o, quantomeno, a recuperare la parità fra le parti contrattuali(50).
È pertanto auspicabile che il legislatore nazionale presti particolare attenzione e cura in sede di recepimento della direttiva e di predisposizione della relativa normativa di attuazione.

Norme di struttura e norme di comportamento

L’art. 3 della direttiva 2014/17/UE non determina il contenuto dei contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali. La disposizione ha delimitato l’ambito di applicazione della disciplina riferendosi ai contratti di credito garantiti e ai contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un bene immobile(51). Specificamente essa definisce l’ambito di applicazione della direttiva, individuando quei fatti che costituiscono la fattispecie contrattuale del credito al consumo rilevante per l’applicazione della presente disciplina. Il legislatore comunitario si riferisce a più negozi (contratto di credito e negozio di garanzia oppure contratto di credito e negozio traslativo) fra loro connessi.
All’uopo, occorre preliminarmente precisare che l’intero sistema normativo non delinea la fattispecie contrattuale del credito al consumo nei suoi elementi costitutivi essenziali, sulla falsariga dell’art. 1325 c.c., cioè non individua i requisiti essenziali del contratto. La prescrizione relativa alla forma e al contenuto non attiene alla struttura contrattuale minima, ma alla fase delle trattative, o, meglio, alla predisposizione del modello Pies e, ancor prima, alla pubblicità relativa ai contratti di credito. Essa impone l’osservanza di un modello precostituito dal legislatore comunitario che riguarda specificamente le informazioni necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, a valutarne le implicazioni e a prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere, o meno, un contratto. Come dire che la costruzione del regolamento contrattuale, nella prospettiva del legislatore comunitario, rimane interamente affidata alla informazione fornita mediante la pubblicità delle condizioni contrattuali e mediante le informazioni precontrattuali.
Il Pies deve essere redatto secondo determinati requisiti di forma e di contenuto prescritti rispettivamente dall’art. 14 e dall’allegato II della direttiva(52).
A ben vedere, la disciplina comunitaria si limita ad individuare lo schema contrattuale, lasciando libero ciascuno Stato di indicare gli elementi essenziali dell’accordo, probabilmente per evitare che situazioni giuridiche analoghe aventi origine da rapporti di natura diversa, o addirittura che lo stesso istituto, possano essere assoggettati nello stesso ordinamento(53 )a regimi giuridici diversi.
I vari contratti di credito utilizzati per finanziare il consumo relativamente all’immobile residenziale si distinguono sotto il profilo della struttura per il numero delle parti coinvolte, dell’oggetto e della causa. In determinati casi la funzione creditizia non assume autonoma rilevanza (vendita a rate) e si attua all’interno di un contratto tipico come modalità di adempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo; in altri casi l’operazione complessiva di acquisto a credito si attua attraverso più contratti (vendita, mutuo) che suscitano dubbi in ordine alla ricostruzione in termini di collegamento negoziale ovvero di contratto plurilaterale(54).
Dalla analisi della disposizione si evince che essa contempla un contratto di credito (nella forma della dilazione di pagamento, prestito o analoga agevolazione finanziaria) cui accede un negozio di garanzia oppure a un contratto di credito ‘connesso’ con un contratto finalizzato all’acquisto o alla conservazione di un bene. La qualità del bene (immobile residenziale) è allora il comune denominatore della disciplina di rapporti strutturalmente disomogenei.
Le componenti essenziali della fattispecie negoziale nel complesso sono il contratto di credito e il negozio di garanzia oppure il contratto di credito e il negozio traslativo.
Si pone, a questo punto, la questione della rilevanza del legame fra i diversi negozi.
Quanto ai contratti di credito garantiti, occorre innanzitutto precisare che la fattispecie normativa individua espressamente il negozio di credito e il negozio di garanzia.
Non pare possa essere revocata in dubbio la sussistenza del collegamento negoziale(55 )‘necessario’(56). Infatti, nei negozi accessori, come quelli di garanzia, il nesso necessario si riferisce al momento della funzione e a quello dell’efficacia(57): con la conseguente rilevanza della connessione sulle vicende dei singoli negozi, segnatamente del negozio principale su quello accessorio.
Il collegamento ricorre anche nel caso in cui la concessione del credito al consumatore rivesta la forma della dilazione di pagamento o della rateizzazione del corrispettivo (della vendita) da parte dello stesso alienante(58): nel caso in cui sia costituita l’ipoteca, a tale negozio è connesso quello di garanzia. Di contro, nel caso in cui il contratto sia finalizzato all’acquisto e il ‘negozio’ di credito consista nella concessione della dilazione del pagamento, potrebbe ritenersi che il collegamento si attui all’interno di un contratto traslativo tipico e costituirebbe mera modalità di adempimento dell’obbligo di pagamento del prezzo.
Tuttavia, la lettera della direttiva osta a una tale interpretazione perché il legislatore comunitario elenca, fra i vari contratti di credito, la dilazione di pagamento(59).
Quanto agli altri contratti di credito, diversi da quello di dilazione di pagamento, finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà sul bene immobile residenziale, la fattispecie non contempla espressamente un legame, ma il contratto di credito rappresenta l’antecedente logico-giuridico del successivo negozio. In tali casi la combinazione dei negozi è preordinata alla soddisfazione di una funzione; così, per la realizzazione di un risultato determinato si pone in essere un differente e distinto complesso di atti, gli uni e gli atri comunque preordinati al raggiungimento di un fine unitario.
La direttiva 2014/17/UE non definisce espressamente tali negozi alla stregua di contratti collegati, ma la preordinazione alla realizzazione dell’operazione unitariamente intesa non pare lasciare dubbi. La realizzazione del risultato finale dell’operazione ovvero il perseguimento dello scopo, lungi dal configurare la causa in senso tecnico del rapporto, tantomeno il motivo, configura tuttavia lo «scopo negoziale concreto, ovvero intento empirico comune a tutte le parti e a cui tutte rivolgono l’effetto negoziale»(60). Così, la rilevanza del ruolo nell’economia negoziale fa assurgere lo scopo al rango di elemento essenziale della fattispecie.
Anche in tali casi occorre valutare se e in quali termini il legame assume rilevanza tale da influire sulle vicende dei singoli negozi, posto che il legislatore non stabilisce una disciplina specifica relativa alle vicende dei contratti di credito e di acquisto(61).
Connessa con la precedente è la questione relativa alla individuazione della struttura, unitaria o plurima, della fattispecie negoziale nelle ipotesi di finanziamento(62).
I contratti di credito di cui all’art. 3, lett. a, (garantiti da ipoteca o da analoga garanzia o da un diritto su un bene immobile residenziale) possono essere bilaterali, melius, riguardare le medesime parti ovvero parti diverse. Segnatamente, le parti del contratto di credito concluso nella ‘forma’ della dilazione di pagamento, mutuo, e così via, sono diverse da quelle del negozio di garanzia, qualora la garanzia sia prestata da un altro soggetto: è il caso del terzo datore di ipoteca che concluda la convenzione con la quale si attribuisce il diritto di iscrivere ipoteca(63).
I contratti di credito di cui all’art. 3, lett. b, (finalizzati all’acquisto o alla conservazione di un bene immobile residenziale) possono perfezionarsi mediante un modulo bilaterale o trilaterale. Invero, il credito nella forma della dilazione di pagamento, del prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga, è concesso dal creditore o dall’intermediario del credito per l’acquisto del bene immobile residenziale da parte del sovvenuto consumatore. Le parti sono allora le medesime nel caso del contratto di compravendita finanziato mediante concessione della dilazione del pagamento; sono diverse nel caso in cui il credito sia concesso mediante mutuo o prestito o nella forma del leasing.

Segue. Casi dubbi

Il legame fra il negozio di credito e quello di garanzia o quello fra negozio di credito e il contratto traslativo potrebbe assumere rilevanza tale da condizionarli: le vicende o, addirittura, la disciplina di un contratto possono influire su quelle dell’altro.
È oramai pacifico che fra negozio principale e negozio accessorio, fra cui rientrano i negozi di garanzia, la rilevanza del collegamento è decisiva, con la conseguenza che la invalidità, la inefficacia, o altro, del negozio principale determina la caducazione di quello subordinato. Così, la inefficacia o la invalidità del contratto di credito determina la rispettiva inefficacia o invalidità del negozio di garanzia(64). Ancora più estese e intense possono essere le conseguenze della riconosciuta rilevanza del collegamento sulle vicende del negozio di credito e/o del negozio traslativo.
In proposito, occorre ribadire che, sebbene il legislatore comunitario non lo prescriva espressamente, la conclusione del contratto di credito sottende ed è preordinata ad uno scopo traslativo. In tanto l’art. 3 estende l’ambito di applicazione della direttiva 2014/17/UE ai contratti di credito, in quanto essi siano finalizzati, all’interno di una unitaria operazione di finanziamento, a far sì che il consumatore acquisti o conservi il proprio immobile residenziale.
Così, non può negarsi rilevanza al legame negoziale, nell’ambito di un’operazione di finanziamento, qualora le parti del contratto di credito coincidano con quelle del contratto di acquisto (ad esempio, vendita con riserva della proprietà(65), oppure vendita in forma di locazione ex art. 1526, comma terzo, c.c.). In tali ipotesi, lo scopo, divenuto elemento essenziale della fattispecie, assume rilevanza anche ai fini dell’applicabilità degli art. 1362, 1366 e 1375 c.c.
L’unitarietà dello scopo perseguito dalle parti mediante il ricorso a due negozi differenti può evincersi anche dalla individuazione nel contratto di credito del bene da acquistare con le somme finanziate (ad esempio, mutuo di scopo). Con la conseguenza che, anche in tal caso, un contratto o addirittura entrambi i contratti finirebbero per risentire reciprocamente delle vicende dell’altro. Invero, la direttiva omette di definire le conseguenze derivanti dall’inadempimento, dalla impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, dall’invalidità e dalla inefficacia del contratto di acquisto, sul rapporto discendente dal contratto di credito.
Nessuna indicazione viene data dalla direttiva neppure relativamente alla estensione o meno al finanziatore del regime della responsabilità per l’eventuale inadempimento del venditore, con la conseguente questione se possa il consumatore agire nei confronti del creditore(66).
Di contro, numerosi dubbi riguardano la incidenza dell’inadempimento del contratto di credito sul contratto collegato: ovvero, se nel caso di inadempimento, per vero poco frequente, del finanziatore che si è obbligato a finanziare l’acquisto, il consumatore possa opporre all’alienante l’ inadempimento del finanziatore.
Infine, si pone anche la questione dell’inadempimento dell’acquirente nei confronti del finanziatore che possa legittimare la risoluzione della vendita. Così, in caso di inadempimento del consumatore acquirente, pare opportuno, in mancanza di una più precisa prescrizione, fare riferimento alla disciplina nazionale dei tipi contrattuali: nel caso della vendita con riserva della proprietà si applica l’art. 1525 c.c. Si ritiene che nel caso in cui il prezzo sia stato pagato, non sia consentito agire per la risoluzione a causa dell’esigenza di tutela del consumatore. Questione ancor più complessa pone l’applicabilità della disciplina dell’inadempimento nel contratto di mutuo di scopo: se cioè all’inadempimento consegua la risoluzione e il recupero delle somme erogate oppure la sospensione del finanziamento.
La direttiva si limita a disciplinare gli aspetti relativi alla fase delle trattative e alle informazioni precontrattuali nonché al diritto di ‘adempimento anticipato’. Il riferimento ai requisiti di struttura della fattispecie contrattuale è dunque possibile solo a scopo descrittivo, dovendosi coordinare con il comportamento delle parti contraenti nella fase della contrattazione e con la specifica disciplina nazionale nella fase della esecuzione contrattuale.
A ben vedere, la soluzione delle questioni è volutamente rimessa alla disciplina nazionale, nel rispetto del metodo dell’armonizzazione minimale. Tuttavia, la imprescindibile libertà riconosciuta ai legislatori dei singoli Stati membri nel rispetto di principi radicati nella propria tradizione culturale verosimilmente condurrà ad una differente applicazione della disciplina sui contratti di credito relativi ai beni immobili residenziali.


(1) Infra, sub art. 4. Al riguardo occorre rilevare che numerosi dubbi sono stati sollevati (cfr. G. OPPO, «La direttiva comunitaria sul credito al consumo», in Riv. dir. civ., 1987, II, p. 540) relativamente alla qualifica di consumatore laddove l’oggetto acquistato sia impiegato in una attività professionale che non ha propriamente carattere imprenditoriale, tanto che per tale motivo l’attività professionale è alleviata dagli oneri propri di quelle imprenditoriali oppure è destinataria di benefici a queste estranei (ad esempio, il lavoro autonomo o le professioni intellettuali: ipotesi in cui il carattere ‘personale’ dell’attività le pone in relazione all’oggetto in termini più vicini a quella di consumo che di destinazione all’impresa). Ovviamente il ‘consumo’ è inteso non nel senso di funzionalità o utilità del bene, ma nel senso di sua concreta destinazione a soddisfare, nella valutazione sociale, un bisogno proprio del soggetto perciò la delimitazione per esclusione è apprezzabile solo per l’impiego del bene o servizio nell’esercizio di attività imprenditoriale.

(2) A titolo esemplificativo, il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 disciplina la responsabilità del produttore per i prodotti pericolosi; la direttiva 85/557/CEE i contratti negoziati fuori dei locali commerciali; le direttive 87/102/ CEE e 90/88/CEE disciplinano il credito al consumo; la direttiva 84/450/CEE la pubblicità ingannevole; la direttiva 90/314/CEE disciplina i viaggi, le vacanze e i circuiti ‘tutto compreso’; la direttiva 97/7/CE tutela il consumatore per contratti conclusi a distanza; le direttive 87/102/CEE e 2008/48/CE riguardano i crediti al consumo.

(3) I contratti di credito disciplinati dalla direttiva 87/102/ CEE sono stati ricondotti a una “macrocategoria ‘transtipica’” (G.DE CRISTOFARO, Premessa, in AA.VV., La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2009, p. XII). F. MACARIO, Norme in attuazione delle direttive comunitarie in tema di credito al consumo, in G. CANALE - F. MACARIO - S.T. MASUCCI, Commentario, coordinato da Lipari, in Nuove leggi civili commentate, 1994, p. 745, in proposito, definisce la alacre attività normativa comunitaria alla stregua di «ridefinizione sistematica dei rapporti patrimoniali fra privati riguardante la materia contrattuale stricto sensu intesa, mediante la regolamentazione delle situazioni giuridiche intersoggettive all’interno del mercato unico». Con la conseguenza che si sostituisce alla regola della autonomia contrattuale il principio di tutela del consumatore o, meglio, di rilevanza della qualità economica del soggetto contraente.

(4) Al credito al consumo si riconduce ogni ‘operazione finanziaria’ intesa a consentire il godimento immediato di beni da parte i soggetti che, non disponendo dei mezzi per il pagamento in contanti, dovrebbero altrimenti attendere il conseguimento dei propri redditi futuri. Così, G. CARRIERO - G. CASTALDI, Le direttive comunitarie sul credito al consumo, in AA.VV., La nuova legge bancaria, a cura di P. Ferro Luzzi - G. Castaldi, Milano, 1996, p. 1795; F. MACARIO, op. ult. cit., p. 749, per cui, dal punto di vista economico, l’operazione di credito al consumo si caratterizza, come noto, per la connessione esistente tra l’acquisto di beni e servizi e il prestito necessario al pagamento, in una sorta di ‘composizione’ in un’unica operazione economica dei diversi atti negoziali.

(5) Occorre precisare che non si tratta di vera e propria categoria di beni, accanto a quelle individuate dagli art. 812 e ss. c.c. che trovi una materiale rispondenza nella realtà naturale, ma si tratta di insieme di beni mobili, anche da assemblare, materiali o immateriali, che siano destinati al mercato dei consumatori, salve le esclusioni poste dall’art. 128 cod. cons. Così, AA.VV., Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, Torino, 2006, p. 269.

(6) Infra, sub art. 4, n. 3.

(7) La definizione è la medesima di quella elaborata dalle direttive 87/102/CE e 2008/48/CE.

(8) Tale categoria di contratti era stata espressamente esclusa dall’ambito di applicazione delle precedenti direttive in materia di credito al consumo (direttiva 87/102/CE art. 2, paragrafo1) per la peculiare natura del credito.

(9) Secondo Trib. Bari, sez. I, 2 maggio 2012, n. 1536, la vendita con riserva della proprietà può essere applicata anche al compravendita di immobili e ai diritti di uso, superficie, usufrutto.

(10) Alla quale dovrebbe far luogo in ipotesi di vendita del bene assistita da garanzia ipotecaria.

(11) F. MACARIO, Il credito al consumo, in I contratti dei consumatori, a cura di E. Gabrielli - E. Minervini, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno - E. Gabrielli, Torino, 2006, p. 566; F. MACARIO, Il percorso dell’armonizzazione nel credito al consumo: conclusione di un iter ultraventennale?, in AA.VV., La nuova disciplina europea del credito al consumo, cit., p. 11.

(12) Sono da rilevare i dubbi in dottrina sulla pacifica inclusione di tali convenzioni nell’ambito dei contratti di credito, posto che - pur configurando un finanziamento in considerazione dalla possibile rateizzazione per il rimborso del prezzo di acquisto o del ritardo con esso viene addebitato al consumatore - l’attribuzione della provvista potrebbe non es-sere utilizzata per uno scopo di consumo. Infatti la ‘facilitazione finanziaria’ è fuori dal controllo del finanziatore e non è ex se tale da caratterizzare il finanziamento.

(13) Su cui più approfonditamente Infra. V. anche M. GORGONI, «Il credito al consumo e ‘leasing’ traslativo al consumo», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1992, p. 1124, e F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 564.

(14) Diversamente, la mancanza di un esame preventivo sulla specifica destinazione del finanziamento da parte del creditore, quindi, la sostanziale non conoscibilità dello scopo del credito, condurrebbero ad escludere tali contratti dall’ambito di applicazione della presente disciplina. A ben vedere, come autorevolmente rilevato (G. OPPO, op. cit., p. 376 e F. MACARIO, Il credito al consumo, cit., p. 567), il legislatore comunitario fonda la qualificazione del contratto sulle qualità economico- soggettive dei contraenti.

(15) In proposito, in conformità alla ratio di tutela del consumatore, occorre rilevare che il concetto di garanzia cui il legislatore comunitario si riferisce è da intendersi in senso ampio, cioè ai contratti di credito collegati ai negozi che svolgono una funzione di garanzia, che determinerebbe una sorta di collegamento funzionale fra obbligazione di garanzia e obbligazione principale, così M. FRAGALI, Della fideiussione. Del mandato di credito, in Comm. c.c. A. Scialoja - G. Branca, IV, Bologna-Roma, 1968, p. 129; tuttavia essa si scontra con i limiti del nostro ordinamento, pertanto, è da escludersi l’estensione della disciplina ai contratti assistiti da una garanzia personale ‘satisfattoria’, come appunto la fideiussione, e, del pari, da una garanzia ‘indennitaria’, come nel caso del contratto autonomo di garanzia.

(16) La direttiva 2014/17/UE potrebbe ritenersi applicabile alla anticresi, la cui applicazione pratica è però piuttosto scarsa e la cui funzione di garanzia non è pacificamente riconosciuta, cfr. M. COMPORTI, Diritti reali in generale, in Tratt. A. Cicu - F. Messineo, VIII, Milano, 1980, p. 254; V. TEDESCHI, L’Anticresi, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p.656; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1950, p. 177.

(17) V. Infra.

(18) Non si fa in questa sede riferimento ai contratti di credito, per non incorrere in una inutile ripetizione.

(19) In taluni casi i due negozi (di credito e di acquisto) possono coincidere, come nel caso della dilazione di pagamento del corrispettivo della vendita.

(20) Cfr. A. ZIMATORE, Mutuo di scopo, in AA.VV., Dizionari del diritto privato, a cura di N. Irti, Varese, 1980, p. 606, che individua il tratto caratteristico nella «finalizzazione dello schema negoziale al conseguimento della prestazione di realizzare lo scopo» che trova logica collocazione nella legislazione sul credito speciale, fonte della tipicità del mutuo di scopo.

(21) Si intende la locazione di beni mobili o immobili acquistati o fatti costruire dal locatore su indicazione dell’utilizzatore che ne assume tutti i rischi e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione dietro versamento di un prezzo prestabilito A. MUNARI, Il leasing finanziario nella teoria dei crediti di scopo, Milano, 1989, p. 275 e 665 e F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2007, p. 1307.

(22) Per tutti, cfr. M. GORGONI, op. cit., p. 1124, figura di origine giurisprudenziale, i cui caratteri sono stati enucleati dalla Corte Suprema di Cassazione in sei sentenze del 1989. Il negozio si distingue dal leasing finanziario (puro) per la natura non necessariamente imprenditoriale dell’utilizzatore; per la durata del contratto determinata in funzione dell’effetto traslativo; per la natura durevole e standardizzata o non strumentale del bene oggetto del contratto: requisiti che lo inseriscono fra le operazioni di credito al consumo.

(23) Tradizionalmente si riteneva applicabile la disciplina del leasing finanziario puro solamente agli imprenditori. Più approfonditamente Infra, § “Segue.

(24) Ulteriore questione, che dovrebbe essere affrontata nella sede più appropriata, consiste nella possibilità di applicare la disciplina ad altri istituti, quali la multiproprietà, il trust, il privilegio speciale immobiliare per un credito derivante dalla mancata esecuzione del contratto preliminare.

(25) Tale contratto di credito si risolerebbe ovviamente in caso di inadempimento da parte del consumatore dei propri obblighi contrattuali, come nel caso di risoluzione del contratto di vitalizio oneroso di cui all’art. 1877 c.c. Pare essere questo il significato dell’inciso di cui all’art. 3, paragrafo 2, lett. a, n. 2.

(26) Introdotto in Italia con la L. n. 28 del 2 dicembre 2005, l’equity release o reverse mortgage consente al consumatore, che conserva il possesso dell’immobile fino al momento della morte, di ottenere liquidità immediata, pari ad una percentuale del valore complessivo dell’immobile, su cui viene iscritta ipoteca in favore del creditore. Alla morte del beneficiario, gli eredi saranno tenuti ad adempiere in un’unica soluzione il debito. Tale contratto non era sconosciuto in Italia, ove già gli art. 36 e ss. del Tub disponevano che i finanziamenti fondiari possono prevedere «il rimborso integrale in un’unica soluzione alla scadenza», tuttavia la novità introdotta nel 2005 consiste nella possibilità di capitalizzazione annuale di interessi e spese alla scadenza del mutuo.

(27) Nel senso della definizione di cui all’art. 4 della presente direttiva.

(28) Le ipotesi richiamate dalla disciplina comunitaria ricalcano, in parte e pedissequamente, quelle già previste dalla direttiva 2008/48/CE.

(29) La direttiva 2008/48/CE menzionava lo stesso caso di esclusione dall’ambito di applicazione della propria disciplina, ma non faceva alcun riferimento al recupero dei costi connessi alla garanzia.

(30) Anche perché in tale ipotesi il costo relativo al recupero della garanzia di un credito attiene alla fase patologica della esecuzione dell’accordo e non a quella genetica con la conseguenza che, non incidendo sulla natura e sulla struttura dell’accordo di credito, non ne modifica la disciplina.

(31) AA. VV., Composizione della crisi da sovraindebitamento, a cura di F. Di Marzio - F. Macario - G. Terranova, Milano, 2012, p. 66.

(32) A ben vedere, le differenze di disciplina sono limitate, quanto all’obbligo di fornire informazioni pubblicitarie di base, alla indicazione dell’identità del creditore, o dell’intermediario del credito o del rappresentante designato; alla indicazione della sussistenza di una garanzia, se il contratto di credito lo prevede; all’indicazione del numero di rate, qualora vi sia una dilazione; alla previsione di eventuali modifiche relative all’importo che il consumatore è tenuto a pagare dovute all’incidenza delle fluttuazioni del tasso di cambio; alle modalità in cui devono essere rese tali informazioni, e, infine, alla possibilità che gli Stati prevedano l’obbligo di avvertire i consumatori sui rischi specifici connessi ai contratti di credito. Quanto all’obbligo di fornire le informazioni precontrattuali personalizzate, le divergenze sono più marcate e attengono all’introduzione del Pies, prospetto informativo europeo standardizzato; alla possibilità che gli Stati membri, prima di qualsivoglia proposta vincolante del creditore, stabiliscano l’obbligo di fornire il Pies, che dovrà essere nuovamente consegnato nel caso di modifica delle caratteristiche della proposta; al periodo entro il quale il consumatore possa decidere, che potrà essere qualificato quale periodo di riflessione (proposta irrevocabile), di recesso o entrambi.

(33) L’art. 1, lett. b, della direttiva 87/102/CE escludeva dall’ambito di applicazione i contratti di locazione, purché non contenenti una clausola per cui «il diritto di proprietà passi alla fine al locatario». Così, l’art. 121 T.U., all’opposto, stabiliva che la disciplina non si applicasse ai contratti di locazione contenenti la clausola che «in nessun momento la proprietà della cosa locata possa trasferirsi, con o senza corrispettivo, al locatario».

(34) La direttiva 2014/17/UE non esclude i contratti di credito collegati a un contratto di locazione, ma attribuisce allo Stato membro la possibilità di scelta della disciplina. Essa pare non riferirsi letteralmente ed esclusivamente alla locazione semplice, ma fa espresso riferimento ai contatti di credito, con il conseguente rinvio alla locazione finanziaria. In tal senso, F. MACARIO, Credito al consumo, in AA.VV., Testo unico bancario. Commentario, a cura di M. Porzio, Milano, 2010, p. 1035; ID., Norme in attuazione delle direttive comunitarie in tema di credito al consumo, cit., p. 788.

(35) In tal senso già F. MACARIO, ult. op. cit., p. 1035; ID., Norme in attuazione delle direttive comunitarie in tema di credito al consumo, cit., p.790.

(36) Di norma tale clausola non viene inserita nel contratto di locazione data l’estraneità della causa del negozio al trasferimento della proprietà del bene detenuto.

(37) Sul punto, anche se in commento alla direttiva 87/102/ CE e all’art. 12 T.U, F. MACARIO, Norme in attuazione delle direttive comunitarie in tema di credito al consumo, cit., p. 788.

(38) L’erroneo esclusivo riferimento alla locazione semplice discenderebbe anche dalla constatazione che la connaturata diluizione del pagamento del canone per il tempo del godimento dell’immobile non costituisce una forma di dilazione di pagamento, ma attiene all’esecuzione del contratto.

(39) In proposito, occorre chiarire che il leasing finanziario presenta specifici requisiti soggettivi e oggettivi che lo qualificavano tradizionalmente alla stregua di contratto di impresa. Da un punto di vista soggettivo è richiesto che l’utilizzatore sia un’impresa commerciale o industriale (cfr. A. MUNARI, op. cit., p. 249, il quale chiarisce che il requisito soggettivo è soddisfatto non tanto quando l’utilizzatore sia un imprenditore o un professionista, quanto piuttosto allorché il bene oggetto del contratto sia suscettibile di utilizzazione professionale, indipendentemente dalla qualifica soggettiva di chi lo utilizza. La definizione deve essere riferita a chiunque sia in grado di inserire il bene strumentale in un contesto produttivo o professionale, o comunque utilizzarlo per detto fine. Va da sé che il consumatore sarebbe escluso. Occorre, però, segnalare che, da alcuni anni gli istituti finanziari hanno esteso la disciplina del leasing finanziario immobiliare anche ai privati che vogliono acquistare una seconda casa, anche questo con diversi vantaggi tra cui l’esclusione dell’ipoteca, presente invece nei mutui.

(40) Per distinguerlo dal ‘leasing traslativo al consumo’, diverso dal punto di vista soggettivo, oggettivo e per la disciplina. Infatti, configurando operazione di credito per il godimento di beni standardizzati e durevoli, generalmente mobili, che conservano il loro valore economico fino all’esercizio del diritto di opzione, il leasing traslativo comporta un’opzione per il trasferimento della proprietà del bene a seguito del pagamento di un canone residuo. Occorre anche chiarire che tradizionalmente si distingue il leasing finanziario dal leasing operativo, cioè il contratto avente ad oggetto beni mobili standardizzati solitamente concessi in godimento direttamente dal produttore per un periodo inferiore alla loro ‘vita tecnologica’.

(41) Anche il contratto c.d. sale and lease-back esibisce uno scopo di garanzia perché i singoli passaggi giuridici dell’operazione rivelano l’unicità causale che conduce a ravvisare un trasferimento di proprietà iniziale a fronte di una erogazione di denaro. Tuttavia, i soggetti legittimati a contrarre sono la società finanziaria e l’impresa proprietaria alienante che intende acquisire liquidità. Ne segue che l’operazione (successiva) di leasing è un meccanismo per mantenere il godimento con la facoltà per il concessionario alla scadenza di riacquistare la proprietà o continuare il godimento oppure consegnare il bene. È da osservare che sono state avanzate eccezioni sulla sua ammissibilità nel nostro ordinamento a causa del divieto di patto commissorio. Inoltre, il sale and lease back si differenzia dal leasing finanziario che è il meccanismo indiretto mediante il quale l’imprenditore vuole acquisire il bene produttivo.

(42) L. FABII, Ambito di applicazione della direttiva sul credito al consumo, in AA.VV, La disciplina comunitaria del credito al consumo, in Quaderno di ricerca giuridica della consulenza legale, a cura di F. Capriglione, Roma, 1987, p. 48.

(43) Sono condizioni vantaggiose: l’assenza di interessi o la previsione di interessi debitori a un tasso inferiore rispetto a quello prevalente sul mercato o, comunque, condizioni più favorevoli rispetto a quelle prevalenti sul mercato e con tassi di interesse debitori non superiori.

(44) Si tratta delle organizzazioni istituite per il reciproco vantaggio dei propri membri; che perseguono fini sociali in forza della legislazione nazionale; ricevono e garantiscono i risparmi dei propri membri; forniscono loro credito sulla base di un Taeg inferiore a quello prevalente sul mercato.

(45) Su cui Infra, art. 4. Qui basti rilevare che, di derivazione anglosassone, il ‘bridge loan’ è concesso dagli istituti di credito per un breve periodo di tempo, in attesa di essere sostituito con la ricezione di altri fondi, di solito un finanziamento permanente a lungo termine. Il prestito-ponte può riguardare anche la finanza aziendale o internazionale, ma, in questa sede, il legislatore comunitario si riferisce allo strumento utilizzato dal consumatore in situazioni quotidiane.

(46) È, fra gli altri, il caso del consumatore che voglia acquistare una nuova casa e, in attesa di liquidità derivante dalla vendita dell’altra casa di sua proprietà, richieda all’istituto di credito la concessione del prestito, garantito generalmente da un’ipoteca sul bene posto in vendita, e per un periodo di tempo limitato. V., Infra, sub art. 4.

(47) Cfr. parere del Parlamento europeo del 1981.

(48) Segnatamente il considerando n. 13 individua l’oggetto unico o principale del contratto di credito nei beni immobili residenziali, ma non esclude che gli Stati membri «estendano le misure adottate in conformità della stessa per proteggere i consumatori con riguardo a contratti di credito relativi ad altre forme di beni immobili».

(49) All’uopo, si stabilisce che «gli Stati membri non dovrebbero impedire alle parti di un contratto di credito di convenire espressamente che il trasferimento della garanzia reale è sufficiente a rimborsare il credito». Sarebbe allora da discutere, nella sede opportuna, se tale disposizione incontri, nel nostro ordinamento, il limite del divieto del c.d. patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.

(50) In tal senso, anche se con riferimento alla disciplina della direttiva 87/102/CE, cfr. G. CANALE - F. MACARIO - S.T. MASUCCI, op. cit., p. 833.

(51) A ben vedere, non si tratta di norme di condotta perché la conseguenza giuridica non consiste nella qualificazione deontica di un comportamento, ma si tratta di norme ‘costitutive’ o di struttura, giacché la conseguenza consiste nella produzione di determinati effetti in via di ‘automatismo giuridico’.

(52) Diversamente da quanto previsto nella direttiva 2008/48/CE, il legislatore non individua una struttura contrattuale minima relativa ai profili formali, pubblicitari e contenutistici.

(53) In considerazione dell’obiettivo della direttiva, consistente nel perseguimento di uniformità di trattamento nei diversi Stati membri per il credito relativo agli immobili residenziali.

(54) G. COPPOTELLI, Le norme sui contratti, in La nuova legge bancaria, a cura di P. Ferro Luzzi - G. Castaldi, Milano, 1996, p. 1871.

(55) L’indagine sulla sussistenza del collegamento esibisce diversi criteri: la volontà delle parti, perché l’interdipendenza è tale che esse non avrebbero concluso un contratto in mancanza dell’altro; la connessione economica dell’operazione; o la causa. Parte della dottrina (per tutti, R. SCOGNAMIGLIO, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 376) è oramai concorde nel ritenere insufficiente il riferimento ai primi due criteri e si sofferma sulla fattispecie concreta, perché «l’interprete non può non rispettare l’identità e l’autonomia delle fattispecie negoziali tipiche e non gli è dato confonderle in una fattispecie (unitaria) atipica, sia pure constante di una pluralità di elementi tipici» (G. OPPO, op. cit. p. 543). Così, perché vi sia pluralità di negozi collegati e non un negozio unitario, e quindi reazione della violazione del sinallagma di un contratto sul sinallagma dell’altro, si deve prescindere dalla pluralità di soggetti, di prestazioni o delle denominazioni in direttiva.

(56) Per collegamento necessario si intende la fattispecie in cui il legame è insito negli stessi negozi, quali oggettivamente sono posti in essere. Esso si contrappone all’altro criterio del collegamento volontario perché i negozi, altrimenti indipendenti l’uno dall’altro, si trovano tuttavia ad essere vincolati in vista della pratica destinazione agli stessi imposta dalle parti (Così, R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 378).

(57) I negozi collegati necessariamente sogliono essere classificati in riferimento all’influenza sulla vita di un altro negozio; alla funzione e agli effetti.

(58) Invero, la diluizione nel tempo del pagamento del corrispettivo della compravendita non tocca né l’unicità né la tipicità del negozio traslativo (così, G. OPPO, op. cit., p. 542, anche se in riferimento al diverso ambito di disciplina individuato dalla direttiva 1987/102/CE che riteneva applicarsi la disciplina propria del tipo in aggiunta a quella stabilita dal legislatore comunitario). La dilazione dell’esecuzione della prestazione configura così, per espressa previsione normativa (art. 4), un contratto di credito.

(59) È da avvertire che la natura giuridica è stata oggetto di varie elaborazioni dottrinali. Fra tutti, cfr. C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1972, p. 522.

(60) Così, G. OPPO, op. cit., p. 544. Giova chiarire in proposito che l’Autore si riferisce ai contratti di credito soggetti alla disciplina prevista dalla direttiva 87/102/ CEE, ma le sue riflessioni ben possono attagliarsi ai fatti disciplinati dalla direttiva 2014/17/UE.

(61) L’art. 15 della direttiva 2008/48/CE individua espressamente i contratti di credito collegati e richiede che il contratto di credito serva esclusivamente a finanziare un contratto relativo alla fornitura di merci o servizi specifici e che tali contratti costituiscano «oggettivamente un’unica operazione commerciale».

(62) A. MUNARI, op. cit., p. 31; M. GORGONI, op. cit., p. 1151, ‘finanziamento’ è un concetto di matrice economica, il cui significato giuridico appare tutt’altro che pacifico. Esso consisterebbe nella immediata riduzione delle disponibilità economiche di un soggetto, finanziatore, a fronte dell’incremento patrimoniale del sovvenuto, per tale intendendosi una qualunque utilitas da cui discenda il potere di sfruttare a pieno ogni risorsa del bene e non sia limitato al semplice godimento, con obbligo a carico del sovvenuto di restituire il tantundem, eventualmente maggiorato di un margine di profitto per il finanziatore.

(63) Per completezza, può darsi anche il caso in cui la ipoteca sia costituita mediante dichiarazione unilaterale del concedente.

(64) R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 379; F. MESSINEO, voce Contratto collegato, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 375; M. GIORGIANNI, «Negozi giuridici collegati», in Riv. it. sc. giur., 1937, p. 276.

(65) Si ritiene, infatti, che essa possa avere ad oggetto anche gli immobili. Nonostante la discussa natura della vendita con riserva della proprietà, vi è chi ravvisa in essa un contratto collegato con uno scopo di garanzia, in seguito al quale l’alienante conserverebbe sul bene un diritto reale di garanzia, il c.d. riservato dominio, mentre all’acquirente sarebbe trasferita immediatamente la proprietà, con le relative conseguenze sul piano sostanziale e processuale; C.M. BIANCA, op. cit., p. 55; F. GAZZONI, op. cit., p. 1114).

(66) Sulla falsariga di quanto avviene in base alla direttiva 2008/48/CE per cui l’ordinamento italiano àncora la responsabilità sussidiaria del finanziatore alla esistenza di un accordo di esclusiva per la concessione del credito ai clienti del fornitore (art. 125, comma 4, T.U.).

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