Direttiva 2014/17/UE - Art. 5 - Autorità competenti - Commento di Giulio Mastropasqua
Direttiva 2014/17/UE
Art. 5 - Autorità competenti
Commento di Giulio Mastropasqua
Dottorando di ricerca in Diritto, economia e istituzioni, Università di Roma “Tor Vergata”
Art. 5
Autorità competenti
1. Gli Stati membri designano le autorità nazionali competenti abilitate a garantire l’applicazione e il rispetto della presente direttiva e assicurano che esse siano dotate dei poteri di indagine e di controllo nonché delle risorse adeguate necessari all’adempimento efficiente ed efficace delle loro funzioni.
Le autorità di cui al primo comma sono pubbliche autorità o organismi riconosciuti dal diritto nazionale oppure da pubbliche autorità espressamente abilitate a tal fine dalla legislazione nazionale. Non sono creditori, né intermediari del credito o rappresentanti designati.
2. Gli Stati membri assicurano che le autorità competenti, tutte le persone che esercitano o hanno esercitato un’attività per conto delle autorità competenti, nonché i revisori o esperti incaricati dalle autorità competenti, siano vincolati dal segreto d’ufficio. Nessuna informazione riservata ricevuta da tali persone nell’esercizio delle loro funzioni può in alcun modo essere divulgata ad alcuna persona o autorità, salvo in una forma sommaria o aggregata, fatti salvi i casi contemplati dal diritto penale o dalla presente direttiva. Tuttavia ciò non osta a che le autorità competenti scambino o trasmettano informazioni riservate ai sensi del diritto nazionale e dell’Unione.
3. Gli Stati membri assicurano che le autorità designate in quanto competenti per garantire l’applicazione e il rispetto degli articoli 9, 29, 32, 33, 34 e 35 della presente direttiva siano alternativamente o congiuntamente:
a) autorità competenti quali definite all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1093/2010;
b) autorità diverse dalle autorità competenti di cui al punto a), purché le leggi, i regolamenti o le disposizioni amministrative nazionali dispongano che esse cooperino con le autorità competenti di cui al punto a) ogniqualvolta necessario per svolgere le loro funzioni ai sensi della presente direttiva, anche ai fini della cooperazione con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) (Abe), come richiesto dalla presente direttiva.
4. Gli Stati membri informano la Commissione e l’Abe circa la designazione delle autorità competenti e le relative modifiche, indicando l’eventuale ripartizione delle funzioni tra le diverse autorità. La prima di tali notifiche va effettuata non appena possibile e comunque al più tardi il 21 marzo 2016.IT 28.2.2014 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 60/51
5. Le autorità competenti esercitano i loro poteri in conformità al diritto nazionale:
a) direttamente in forza della la propria autorità o sotto la supervisione delle autorità giudiziarie; o
b) mediante richiesta alle autorità giudiziarie che sono competenti a pronunciare le decisioni necessarie, eventualmente anche proponendo appello qualora la richiesta di pronuncia delle decisioni necessarie sia stata respinta, salvo per gli articoli 9, 29, 32, 33, 34 e 35.
6. Qualora nel loro territorio esistano più autorità competenti, gli Stati membri provvedono a che le loro funzioni rispettive siano chiaramente definite e a far sì che dette autorità operino in stretta collaborazione per garantire l’efficace espletamento delle rispettive funzioni.
7. La Commissione pubblica un elenco delle autorità competenti nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea almeno una volta all’anno e lo aggiorna costantemente sul suo sito web.
Pluralità delle autorità competenti: inquadramento del problema
L’art. 5, paragrafo 1, impone agli Stati membri di designare le autorità competenti a garantire l’applicazione e il rispetto della direttiva.
Nell’ipotesi in cui si diano nell’ordinamento nazionale più soggetti con poteri di enforcement, lo Stato membro deve provvedere affinchè le rispettive competenze siano definite con chiarezza (art. 5, paragrafo 6).
Ai sensi del paragrafo 3, peraltro, gli Stati debbono in ogni caso assicurare che, in relazione a determinate funzioni (relative all’abilitazione e alla vigilanza su creditori e intermediari del credito(1)), autorità competenti siano, alternativamente:
a) quelle(2) abilitate nello Stato, in forza di legge o di regolamento, all’esercizio della vigilanza sugli enti creditizi:
b) autorità diverse da quelle di cui al punto a), purché le leggi, i regolamenti o le disposizioni amministrative nazionali dispongano che esse cooperino con le autorità competenti di cui al punto a) ogniqualvolta necessario per svolgere le loro funzioni ai sensi della presente direttiva, anche ai fini della cooperazione con l’Autorità europea di vigilanza (Abe).
Sicché, se per le funzioni sopra specificate non pare sussistere il rischio di conflitti, il tema del concorso di competenze tra autorità indipendenti sembra porsi con esclusivo riguardo all’applicazione della disciplina a tutela del consumatore.
È questo un tema certo non nuovo, all’attenzione di giurisprudenza e dottrina fin dal recepimento della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette. Esso trae origine dalla natura trasversale(3) delle disposizioni in materia di pratiche scorrette - applicabili a tutti i settori di mercato - e dalla conseguente trasversalità dell’azione dell’Agcm (autorità generalista), suscettibile di concorrere con gli interventi di enforcement di altre autorità amministrative, preposte a garantire applicazione e rispetto di discipline settoriali che rechino, tra l’altro, disposizioni a tutela del consumatore.
La competenza dell’Agcm nei settori regolati
Il D.lgs. 2 agosto 2006, n. 146, di attuazione della direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali scorrette, ha riformato gli artt. 18-27 del codice del consumo e ha individuato nell’Agcm l’autorità competente per l’applicazione della nuova disciplina. Dispone l’art. 27, comma primo, cod. cons. che «l’autorità garante della concorrenza e del mercato esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo», potendo: a) inibire la continuazione delle pratiche commerciali scorrette ed eliminarne gli effetti; b) disporre la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, anche assumendo informazioni; c) vietare la diffusione o la continuazione della pratica scorretta, anche con mezzi pubblicitari; d) applicare sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Quid iuris nell’ipotesi in cui la scorrettezza commerciale sia perpetrata in un settore sottoposto all’attività di vigilanza di un’Autorità indipendente diversa dall’Agcm? Quale Autorità potrà o dovrà intervenire? Il tema del coordinamento fra l’attività delle Autorità di settore (Consob, Agcom, Banca d’Italia) e dell’Autorità generalista (Agcm) è intimamente connesso e finisce sovente per confondersi con quello, preliminare, riguardante l’individuazione della disciplina a tutela del consumatore applicabile nei mercati di settore. Sembra allora venire in rilievo, in primo luogo, l’art. 3, par. 4, dir. 2005/29, ai sensi del quale le (altre) norme comunitarie, che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, se contrastanti con le disposizioni della direttiva prevalgono su di esse limitatamente agli aspetti regolati. Sul punto, chiarisce il considerando n. 10: essendo necessario garantire un rapporto coerente tra la direttiva 2005/29 e il diritto comunitario esistente, essa si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore.
Specularmente il legislatore nazionale, piuttosto che regolare direttamente il profilo della competenza, si è limitato a disciplinare il concorso fra norme: ai sensi dell’art. 19, comma 3, cod. cons., in caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle norme nazionali di recepimento, che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette, prevalgono sulle disposizioni di cui al titolo III del codice del consumo. Il tema del concorso di competenza tra Agcm e autorità di settore sembra quindi che debba e possa essere risolto muovendo dall’esegesi della disposizione da ultimo richiamata.
Le actiones finium regundorum del Consiglio di Stato e il Decreto sulla c.d. spendig review
La prima importante pronuncia arriva nel 2008, allorché il Consiglio di Stato è chiamato ad esprimere il proprio parere sull’applicabilità, al settore dei servizi finanziari, del titolo III cod. cons. e, correlativamente, sulla competenza dell’Agcm rispetto alle pratiche scorrette degli operatori di tale settore(4). Nella specie, la vicenda all’esame del Consiglio riguardava la disciplina della trasparenza e della completezza di informazioni fornite ai risparmiatori, tanto in sede di emissione di titoli, quanto nella fase di circolazione. Con riferimento a tali operazioni, le regole di comportamento rivolte agli intermediari erano (e sono) individuate dall’art. 21(5) del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”, Tuf) e da disposizioni di dettaglio emanate con regolamento dalla Consob(6). A fronte della violazione delle disposizioni di legge o di regolamento, erano (e sono) attribuiti alla Consob, competente a vigilare sulla condotta dei prestatori di servizi di investimento, poteri inibitori (art. 51 Tuf) e sanzionatori (art. 190 Tuf).
Giova ricordare come la stessa direttiva 2005/29 evidenziasse che nel settore finanziario, tenuto conto della complessità dei servizi prestati e dei gravi rischi inerenti, fosse necessario prevedere norme speciali a tutela del consumatore (quindi, obblighi specifici nei confronti degli intermediari). Pertanto, pur in un contesto di armonizzazione massima(7), la direttiva sulle pratiche commerciali scorrette non pregiudicava il potere degli Stati membri di andare, nel settore finanziario, al di là delle sue disposizioni, al fine di tutelare gli interessi economici dei consumatori.
Muovendo dall’esistenza di un duplice apparato normativo, preordinato alla tutela del medesimo interesse (i.e. quello ad un corretto svolgersi delle relazioni tra professionisti e consumatori), il Consiglio di Stato, rilevata la necessità di eliminare in radice, per ragioni di coerenza, non contraddizione, economia ed efficacia, la duplicazione degli interventi, ha individuato nel principio di specialità il criterio discretivo della competenza. Una specialità predicata dal Consiglio di Stato non con riferimento alle singole norme (sulla scorta dell’art. 19, comma 3, cod. cons.), ma con riguardo all’ordinamento finanziario complessivamente inteso(8): «è la caratteristica distinta del settore finanziario a identificare
… le ragioni della specialità. Non pare infatti dubitabile che il settore finanziario rappresenti, per le sue caratteristiche, le sue pratiche, la sua ragione e le sue stesse norme un contesto di sistema, distinto rispetto al mercato in generale». Donde «la conclusione nel caso in esame pare dunque essere che la normativa di ordine speciale del D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevale, anche ai fini della identificazione dell’Autorità competente ad intervenire, sulla normativa di ordine generale di cui al D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206»(9).
In merito all’art. 19, comma 3, cod. cons., il Consiglio ha ritenuto che la disposizione andasse interpretata nel senso di escludere l’applicazione del titolo III cod. cons., sì come l’enforcement dell’Agcm, laddove una disciplina speciale di settore recasse puntuali obblighi di correttezza e fosse assistita da concreti poteri sanzionatori.
Considerazioni in tutto analoghe sono state svolte dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel
2012, con riferimento al settore delle telecomunicazioni(10). Anche in tale ambito, argomentando dalla riaffermazione del principio di specialità per ordinamenti, è stato escluso l’intervento dell’Agcm: nel settore delle comunicazioni la disciplina a tutela del consumatore appare sufficientemente completa, idonea ad assicurare all’utente un’adeguata protezione contro i comportamenti scorretti degli operatori, e tale da rendere non necessaria l’applicazione del codice del consumo, titolo III.
L’opzione ermeneutica del giudice amministrativo è stata infine recepita dal legislatore con l’art. 23, comma 12-quinqiesdecies, D.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modifiche dalla L. 7 agosto 2012, n. 135 (c.d. spending review): è riaffermato il ruolo dell’Agcm quale autorità competente ad accertare e sanzionare le pratiche scorrette, salvi i casi in cui esse siano poste in essere in «settori in cui esista una regolazione, di derivazione comunitaria, con finalità di tutela del consumatore affidata ad un’autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati»(11).
Le decisioni del Consiglio di Stato, sì come l’intervento normativo del 2012, sono ispirate dall’esigenza di evitare che un concorso di competenze potesse comportare la duplicazione della sanzione (ne bis in idem)(12). In tal senso deve essere intesa l’applicazione del cirterio di specialità per ordinamenti e non per norme, poiché da essa deriva, quale naturale conseguenza(13), l’individuazione univoca dell’autorità competente in via esclusiva (quella di settore).
Tale veduta, dietro l’apparente coerenza, non ha potuto celare il sacrificio della logica della complementarietà(14) delle tutele (generale e settoriale), che aveva ispirato il legislatore comunitario e, in particolare, l’art. 3, paragrafo 4, direttiva 2005/26. Una logica che, per vero, era stata ben intesa dalla stessa Agcm: «il quadro di tutela offerto dal codice del consumo non presenta carattere sussidiario rispetto a quello derivante da specifiche discipline in settori oggetto di regolazione. Si rivela invece uno strumento di tutela ulteriore … La normativa contenuta nel codice del consumo è destinata ad aggiungersi al novero delle tutele attribuite al consumatore, rispondendo all’esigenza di coprire quello che altrimenti sarebbe un vuoto di tutela»(15).
La tutela del consumatore nel settore creditizio
Quando nel 2012 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato fu chiamata a pronunciarsi in ordine alla competenza dell’Agcm nel settore dei servizi creditizi, affermò che il Tub perseguiva finalità che, pur genericamente riconducibili al corretto e trasparente funzionamento del mercato nel settore di riferimento, non comprendevano fra di esse la tutela del consumatore in quanto tale. Muovendo da questa premessa e dalla considerazione che, nei settori c.d. regolati, la disciplina del codice del consumo si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, fu affermata la competenza dell’Agcm in materia di tutela del consumatore nel mercato creditizio(16).
Come noto, ai sensi dell’art. 5 del Tub, le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza ad esse attribuiti, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza, alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Tra le finalità della vigilanza non rientra la tutela del cliente.
Giova peraltro rammentare come, fin dai primi anni duemila, le analisi della Banca d’Italia avevano fermato l’attenzione sul c.d. rischio reputazionale, i.e. sui possibili effetti negativi, in termini di stabilità aziendale e settoriale, di condotte che, poste in essere in violazione di norme primarie o secondarie, minassero la fiducia del pubblico nei confronti della banca o dell’intermediario creditizio(17). La corretta gestione dei rapporti con la clientela era valutata come un efficace strumento per la minimizzazione del rischio reputazionale(18), e quindi, per questa via mediata, incoraggiata e promossa dalle autorità di vigilanza. Questo percorso evolutivo si è consolidato al punto da spingere autorevoli voci ad affermare che la tutela del consumatore rientrasse a pieno titolo (già prima del D.lgs. 141/2010) tra le finalità della vigilanza creditizia(19). Un assunto, quest’ultimo, revocato in dubbio dalla giurisprudenza: l’Adunanza Plenaria 14/2012 sottolineava che, ferma la mancanza di una disciplina di settore tendenzialmente esaustiva, non fosse desumibile dalle disposizioni del T.U. una ratio orientata (anche) alla tutela dell’utenza e dei consumatori, in quanto latori di un interesse più ampio e generale rispetto a quelli più specificamente riferibili alla figura del risparmiatore.
Oggi il contesto normativo è mutato: con il determinante apporto del legislatore comunitario(20), il Testo unico bancario è stato nel tempo integrato da un complesso di disposizioni tese a promuovere l’adeguata tutela dei consumatori.
In tal senso vale la pena ricordare il D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, attuativo della direttiva c.d. Psd (direttiva 2007/64/CE), e, soprattutto, il D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che recepisce la direttiva sul credito ai consumatori (direttiva 2008/48/CE).
L’art. 127, comma 01, Tub(21) annovera oggi tra gli scopi dell’attività di vigilanza bancaria la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei rapporti con la clientela.
In accordo con le nuove finalità e con le novelle normative, alle autorità creditizie, in particolare alla Banca d’Italia (nei confronti di banche e intermediari finanziari) e all’Oam (nei riguardi di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi), sono conferiti poteri ispettivi (artt. 128(22) e 128-undecies, comma 4(23) Tub), inibitori (art. 128-ter(24) e 128-duodecies(25) Tub) e sanzionatori (art. 144 e ss. Tub) per garantire il rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza e correttezza.
Nel medesimo solco si colloca la creazione dell’Arbitro bancario e finanziario, istituito in attuazione del primo comma dell’art. 128-bis Tub. L’attività dell’Arbitro si inserisce a pieno titolo tra gli strumenti vòlti a promuovere l’efficienza e la competitività del sistema finanziario: attraverso la definizione delle liti si incentiva il rispetto dei principi di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela, si incrementa la fiducia del pubblico nei prestatori dei servizi e si prevengono i rischi legali e reputazionali degli intermediari. L’istituzione dell’Abf è vòlta, mediante l’assunzione di decisioni rapide, imparziali e a costi contenuti, a conferire effettività alle tutele previste dal Tub(26).
In tale contensto si è rinnovata la necessità di una riflessione in ordine ai confini e ai possibili conflitti di competenza tra Agcm e autorità creditizie.
In carenza di un coordinamento normativo efficace, il coordinamento spontaneo fra Autorità è parso il più idoneo a perseguire le esigenze di coerenza ed efficienza degli interventi amministrativi. L’Agcm e la Banca d’Italia hanno così stipulato un Protocollo di Intesa (del 22 febbraio 2011), ai sensi del quale: l’Agcm informa tempestivamente la Banca d’Italia circa l’avvio di procedimenti tesi ad accertare la sussistenza di pratiche commerciali scorrette; la Banca d’Italia, ricevuta l’informativa, segnala all’Agcm eventuali provvedimenti sanzionatori adottati con riferimento ai fatti segnalati(27).
L’intervento della Commissione europea e il nuovo art. 27, comma 1-bis, cod. cons.
Nell’ottobre del 2013 la Commissione europea richiamò l’attenzione dell’Italia sulla scorretta attuazione ed esecuzione della direttiva 2005/29. A seguito degli ultimi sviluppi giurisprudenziali e legislativi, l’attuazione della direttiva in Italia fu valutata non conforme al diritto dell’Unione e con lettera di messa in mora del 17 ottobre(28), fu avviata una procedura di infrazione(29).
Questi, in sintesi, i rilievi della Commissione:
a) l’art. 3, paragrafo 4, dir. 2005/29, applica il criterio di specialità, disponendo che le norme settoriali in materia di tutela del consumatore prevalgono sulle previsioni della direttiva qualora si tratti di norme di derivazione comunitaria (i), che disciplinano aspetti specifici (ii) sempre che vi sia contrasto tra esse e la direttiva (iii). In particolare il termine contrasto deve essere inteso come riferito all’incompatibilità tra norme: il criterio di specialità è predicato con riguardo alle singole disposizioni, non già agli ordinamenti (generale e settoriale);
b) gli obblighi e i divieti specifici recati dalle norme settoriali, se non contrastanti con i precetti generali della direttiva, si aggiungono a questi ultimi;
Questa soluzione, a parere della Commissione, è imposta dalla ratio che ispira la direttiva 2005/29: essa è concepita quale disciplina di completamento rispetto alle altre norme comunitarie applicabili alle pratiche commerciali scorrette e opera come rete di sicurezza, garantendo un elevato livello di tutela in tutti gli ambiti del mercato e colmando le eventuali lacune delle discipline settoriali.
Nell’intenzione del legislatore comunitario, in altri termini, la disciplina speciale non esaurisce lo statuto giuridico del rapporto professionista-consumatore, se non con riguardo agli specifici profili disciplinati da disposizioni di settore propriamente speciali(30). Fuori da tali ipotesi, è necessario valutare la condotta del professionista in base alla disciplina generale a tutela del consumatore.
A seguito della messa in mora e con l’intento di superare la procedura di infrazione(31), il legislatore, con un nuovo intervento di riforma, ha optato per una soluzione diametralmente opposta a quella precedentemente individuata(32). L’art. 1, commi 6, lett. a, e 7, D.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, di attuazione della dir. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, ha abrogato l’art. 23, comma 12-quinquiesdecies, D.lgs. 95/2012 e ha introdotto all’art. 27 del Codice del consumo il comma 1-bis: anche nei settori sottoposti alla vigilanza di autorità di settore, «la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze».
La disposizione presta il fianco ad alcuni rilievi critici(33).
Non sfuggirà, in primis, che essa, pur vòlta - per espressa dichiarazione del legislatore - a superare la procedura di infrazione, lungi dal concentrarsi sull’individuazione della disciplina sostanziale applicabile alle pratiche scorrette nei settori regolati (quindi sul criterio di specialità per norme), si occupa essenzialmente del riparto di competenza tra Autorità(34). Parrebbe di assistere ad una nuova confusione di piani - quello della disciplina applicabile e quello della competenza per l’enforcement - non diversamente da quanto accaduto con l’art. 23, comma 12-quinqiesdecies, D.l. 25/2012.
La stessa opzione in punto di competenza, peraltro, si presta ad alcuni rilievi critici: quid nel caso in
cui una condotta rilevi sia quale violazione delle disposizioni di settore, sia quale pratica scorretta? A rigore, non senza forti perplessità, dovrebbe escludersi la competenza dell’Autorità di settore, la quale resta ferma solo nei casi in cui la violazione della disciplina di settore non integri anche gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Di più: affermata la competenza dell’Agcm, nelle ipotesi di doppia rilevanza, quale disciplina dovrebbe essa applicare - quella del codice del consumo, rispetto alla quale è dotata di poteri di enforcement, ma in spregio al criterio di specialità, ovvero quella settoriale, per la cui applicazione restano competenti le autorità di settore?
Un’ulteriore notazione è sollecitata dall’inciso che, nell’attribuire la competenza all’Agcm, fa salvo il rispetto della regolazione vigente: esso, secondo la relazione illustrativa del Governo, varrebbe ad escludere che una pratica commerciale conforme alle norme di settore possa essere valutata come scorretta ai sensi del Codice del consumo(35). L’interpretazione autentica del legislatore appare distante dalle indicazioni fornite dalla Commissione, la quale, con efficace metafora, aveva descritto la disciplina della direttiva 2005/29 come rete di sicurezza: un complesso di disposizioni vòlte a sanzionare condotte conformi ai precetti di settore, ma concretamente scorrette in base ai parametri aperti dalla direttiva
2005/29.
In armonia con le indicazioni comunitarie, l’inciso dovrebbe dunque essere interpretato nel senso di precludere l’intervento sanzionatorio dell’Agcm solo limitatamente agli aspetti dell’operazione specificamente regolati dalla disciplina di settore, se contrastante con quella del codice del consumo.
Ferme le perplessità sulla formulazione della disposizione e sulle scelte di fondo del legislatore, più convincente sarebbe parsa una differente soluzione(36): posto che il diritto comunitario impone che le disposizioni della direttiva 2005/29 si applichino in tutti i settori del mercato, non sarebbe parso incongruo - né d’altronde è precluso dalla direttiva 2005/29 - attribuire alle autorità di settore il potere di valutare, qualificare e reprimere le pratiche commerciali scorrette, quali definite dal Codice del consumo, limitatamente ai settori di competenza; eventualmente, a garanzia di maggiore uniformità, prevedendo il parere obbligatorio dell’Agcm.
Il Protocollo di intesa 2014 tra Agcm e Banca d’Italia: l’attuale assetto delle competenze
Il 14 ottobre 2014 Banca d’Italia e Agcm hanno sottoscritto un secondo Protocollo di intesa in materia di tutela dei consumatori nel mercato bancario e finanziario, con cui si impegnano a coordinare gli interventi istituzionali nei comuni settori di interesse.
In particolare, ciascuna si obbliga a segnalare all’altra se, nell’ambito dei procedimenti di propria competenza, emergano violazioni suscettibili di essere sanzionate dall’altra Autorità, in base alle disposizioni che questa sia preposta ad applicare.
È inoltre previsto che l’Agcm, al termine dell’istruttoria sulle operazioni eseguite da soggetti vigilati dalle autorità creditizie, richieda alla Banca d’Italia il parere di cui all’art. 27, comma 1-bis, cod. cons. Analogo parere viene sollecitato anche quando il professionista presenti all’Agcm la dichiarazione di impegno a cessare la pratica scorretta ai sensi dell’art. 27, comma 7, cod. cons., sempre che non si tratti di gravi violazioni e che l’impegno non sia reputato manifestamente inidoneo.
La disposizione più significativa del Protocollo è quella di cui all’art. 3, comma 3: «[I]n base a quanto previsto nell’articolo 27, comma 1-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il rispetto della regolazione vigente da parte del professionista esclude, limitatamente a tale profilo, la configurabilità di una condotta contraria alla diligenza professionale». Il rispetto di tutti i vincoli (divieti od obblighi) imposti dalla disciplina settoriale impedisce il giudizio dell’Agcm sulla scorrettezza della pratica, esclusivamente nei limiti del profilo disciplinato dalle norme di settore. La specificazione pare provvidenziale, aprendo ad un’interpretazione dell’art. 27, comma 1-bis cod. cons. finalmente in linea con le indicazioni fornite dal legislatore comunitario e dalla Commissione europea e perfettamente coerente con il principio secondo cui lex specialis derogat legi generali.
In virtù della recente riforma, nonché alla luce del Protocollo di intesa 2014 sottoscritto da Banca d’Italia e Agcm, possiamo in conclusione sintetizzare l’attuale riparto di competenze tra Agcm e autorità creditizie con riguardo alla tutela del cliente-consumatore, che diremmo applicabile anche alle disciplina consumeristica di cui alla direttiva in commento:
a) autorità competente ad accertare e sanzionare la condotta dell’ente creditizio, compiuta in violazione delle disposizioni di settore a tutela del consumatore, qualora essa condotta non integri gli estremi di una pratica commerciale scorretta ai sensi del codice del consumo(37), è la Banca d’Italia (ovvero l’Oam, per quanto concerne agenti e mediatori creditizi);
b) nel caso in cui un’operazione sia compiuta in violazione delle disposizioni di settore a tutela del consumatore e rilevi anche quale pratica commerciale scorretta, competente per l’accertamento e la sanzione è l’Agcm (ferma la richiesta di parere alla Banca d’Italia; un parere che, nel silenzio, diremmo obbligatorio ma non vincolante);
c) nel caso in cui l’operazione rilevi quale pratica commerciale scorretta, ma sia conforme alle disposizioni di settore, occorre distinguere: l’Agcm non potrà sanzionare la condotta argomentandone la scorrettezza a partire dal profilo specificamente disciplinato dalla norma di settore, se speciale; potrà invece inibire la continuazione della pratica ed eventualmente sanzionare l’autore qualora, per aspetti diversi ed ulteriori rispetto a quelli disciplinati dalle norme speciali, la condotta integri una pratica scorretta ai sensi del codice del consumo.
Le considerazioni svolte necessitano tuttavia di un ulteriore chiarimento, imposto dalla conformazione delle fattispecie che, nel codice del consumo, descrivono le pratiche commerciali scorrette. Esse si presentano quali fattispecie aperte, in cui uno o più elementi costitutivi rinviano a concetti indeterminati(38), che impongono una valutazione in concreto della pratica, onde poterne affermare o escludere la correttezza: è ingannevole l’azione idonea ad indurre il consumatore in errore, ovvero ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso (art. 21, comma 1, cod. cons.).
In un simile contesto normativo, ove non appare predicabile un rapporto di specialità tra le disposizioni del codice del consumo e quelle di settore(39), occorre interrogarsi se il rispetto di queste ultime valga ad escludere l’applicazione del codice del consumo. Ragionando ad esempio sulle informazioni precontrattuali riguardanti il prezzo del prodotto, è possibile escludere la valutazione di scorrettezza della pratica, sulla base della fattispecie aperta di cui all’art. 21, comma 1, lettera d, codice del consumo?
Lascia propendere per la soluzione negativa l’interpretazione dello stesso art. 21, comma 1, cod. cons., in particolare se si tiene conto delle considerazioni svolte dalla Commissione europea con riguardo alla ratio della dir. 2005/29.
L’art. 21, comma 1, definisce ingannevole la pratica che, seppur di fatto corretta, è idonea in qualsiasi modo ad indurre in errore il consumatore. La norma introduce una contrapposizione tra valutazione formale e materiale della condotta del professionista: il giudizio di idoneità è, per sua natura, un giudizio materiale, in concreto; è dunque ipotizzabile che la formula “seppur di fatto corretta”, contrapposta al giudizio di idoneità materiale, si riferisca in vero ad una correttezza formale, i.e. (anche) al formale rispetto delle disposizioni che disciplinano la pratica sottoposta a valutazione. Proprio muovendo da tale contrapposizione, a nostro parere, appare argomentabile che, pur nel rispetto delle disposizioni settoriali (valutazione formale), l’Agcm potrà valutare la condotta del professionista come pratica ingannevole riguardo ai medesimi profili, ove tra la disciplina generale e quella settoriale non sia predicabile un rapporto di specialità.
(1) Controllo sui requisiti di conoscenza e competenza del personale di creditori, intermediari del credito e rappresentanti designati (art. 9); abilitazione e vigilanza degli intermediari del credito (artt. 29 e 34); collaborazione con le autorità di un altro Stato membro nel caso in cui un intermediaro del credito, abilitato in un altro Stato membro, voglia stabilirsi ovvero operare in regime di libera prestazione in Italia (art. 32); abilitazione e vigilanza degli intermediari finanziari (“enti non creditizi”, nel lessico della direttiva; art. 35).
(2) Definite all’articolo 4, paragrafo 2, del Regolamento UE n. 1093/2010, istitutivo dell’Autorità bancaria europea: il Regolamento rinvia, a sua volta, alla definizione di autorità di cui alle direttive 2006/48/CE (in materia di accesso e svolgimento dell’attività creditizia); 2006/49/ CE (in materia di adeguatezza patrimoniale degli enti creditizi); 2007/64/CE (relativa ai servizi di pagamento) e 2009/110/CE (concernente l’avvio, l’accesso e la vigilanza prudenziale sulle attività di degli istituti di moneta elettronica). Si tratta delle autorità creditizie di cui all’art. 1, lett. a, del D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario, Tub): «… il Comitato interministeriale per il credito e il risarmio, il Ministero dell’economia e delle finanze e la Banca d’Italia», secondo le rispettive funzioni. Con riferimento agli intermediari del credito, la cui definizione è recata dall’art. 4, n. 5, e pare riferibile tanto agli “agenti in attività finanziaria” quanto ai “mediatori creditizi”, di cui rispettivamente agli artt. 128-quater e 128-sexies, Tub, autorità di vigilanza competente è l’Organismo degli Agenti e dei Mediatori (Oam): esso, ai sensi degli art. 128-undicies e 128-terdecies Tub, e in conformità al proprio Statuto, esercita poteri regolamentari, di vigilanza e sanzionatori nei confronti di agenti e mediatori, operando sotto la vigilanza della Banca d’Italia.
(3) T. BROGGIATO, «La competenza in materia di tutela del consumatore di servizi bancari e finanziari: gli orientamenti del giudice e le indicazioni del legislatore», in Conc. e merc., 2013, 1, p. 227.
(4) Cons. di Stato, sez. I, 3 dicembre 2008, n. 3999.
(5) Art. 21 Tuf: «[n]ella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti; d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività».
(6) Nella specie, dal Regolamento Consob n. 16190 recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in materia di intermediari (integrato e aggiornato, da ultimo, nel gennaio 2015).
(7) Art. 1, dir. 2005/29: « [scopo della direttiva è assicurare un livello elevato di tutela ai consumatori] mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori». Cfr. Corte Giust. eur., 23 aprile 2009, cause riunite C- 261/07 e C- 299/07: «[l] a direttiva procede … a un’armonizzazione completa a livello comunitario. Pertanto…gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva».
(8) Sul principio di specialità per norme, per ordinamenti e con riguardo ai rapporti tra Autorità, M. CLARICH, «Le competenze delle autorità indipendenti in materia di pratiche commerciali scorrette», in Giur. comm., I, 2010, p. 697 e ss.
(9) Si legge inoltre nel parere: «La questione non è quella delle diverse strumentazioni e della loro non integrale sovrapponibilità, ma quella dell’identificazione, grazie a questo principio generale [quello di specialità], di quale dei due ordinamenti si debba qui invocare, dal che discende l’applicazione dell’inerente strumentazione di intervento».
(10) Cons. di Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2012, nn. 11, 12, 13, 15.
(11) In linea con le indicazioni del Consiglio di Stato, la formula limitatamente agli aspetti regolati varrebbe ad escludere l’applicazione del codice del consumo (e la competenza dell’Agcm) ogni qual volta un determinato aspetto del rapporto tra professionista e consumatore (sia esso l’informazione precontrattuale, la modalità di esecuzione del servizio o altro) sia regolato, a prescindere dal contenuto della norma che lo disciplina. La disposizione è oggetto di ampia analisi in T. BROGGIATO, op. cit.
(12) Cfr. P. FUSARO, «Il riparto di competenza tra Autorità amministrative indipendenti nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato», in Federalismi.it, 2013, 7, p. 10 e ss.
(13) M. CLARICH, op. cit., p. 698. L’A. assume una posizione complessivamente critica rispetto alla veduta del Consiglio di Stato: contro l’applicazione del citerio della specialità per ordinamenti deporrebbe tanto il tenore letterale dell’art. 3, paragrafo 4, dir. 2005/26, che parla di aspetti specifici della disciplina, quanto alcune caratteristiche delle disposizioni del codice del consumo. Esse recano sovente clausole generali, ovvero fattispecie connotate da elementi semantici vaghi, che alludono a concetti indeterminati, tali da rimettere in larga parte alla discrezionalità dell’interprete la decisione sui fatti ad esse ascrivibili. Rispetto a tali fattispecie non sarebbe agevolmente applicabile il criterio della specialità.
(14) R. GAROFOLI, Autorità indipendenti. Pratiche commerciali scorrette e rapporti fra Autorità, in Libro dell’anno del Diritto 2013, Treccani, 2013; S. LA PERGOLA, Competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette, commento all’art. 1, commi 6 e 7, in Il nuovo diritto dei consumatori. Commentario al D.lgs. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e G. Nava, Torino, 2014, p. 389.
(15) Agcm, PS4391- Fiditalia - Condizioni finanziamento, provv. n. 21255, 16 giugno 2010, in Boll. n. 24/2010. Cfr. Tar Lazio, 19 maggio 2010, n. 11321.
(16) La decisione dell’Adunanza Plenaria riguardava una vicenda cui era inapplicabile, ratione temporis, la disciplina introdotta dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, di attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché di modifica del titolo VI del Tub. Il giudice amministrativo non ha ritenuto di applicare al caso di specie il criterio di specialità, in base al quale era stato deciso il riparto di competenze tra Agcm e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Ad. Plen. 11 maggio 2012, nn. 11, 12, 13 e 15) e tra Agcm e Commissione nazionale per le Società e la Borsa (Cons. di Stato, sez. I, 3 dicembre 2008, n. 3999) in favore delle seconde.
(17) «Anche se i fatti degli ultimi tempi sono tornati a ricordarci che la prima difesa dei risparmiatori è la stabilità del sistema bancario, la correttezza e la trasparenza dei rapporti con i clienti costituiscono un ulteriore, fondamentale presidio; sono condizione per il pieno agire della concorrenza», così M. DRAGHI, «Assemblea ordinaria dei partecipanti - Considerazioni finali del 31 maggio 2008», 17-19, disponibili sul sito https://www. bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/ integov2008/cf07_considerazioni_finali.pdf.
(18) M. CLARICH, op. cit. Cfr. anche S. ROSSI, «La tutela del consumatore di servizi bancari e finanziari: quadro normativo e competenze della Banca d’Italia», intervento al Convegno organizzato dal Cnel “La competenza in materia di tutela dei consumatori: evoluzione alla luce dei recenti indirizzi del Consiglio di Stato”, 12 luglio 2012, in www.bancaditalia.it/interventi/intaltri_mdir/ rossi-12072012.pdf; A. URBANI, «La vigilanza sui soggetti esercenti. Il credito ai consumatori», in Banca, borsa, tit. cred., 2012, p. 442 e ss.; A. BALDASSARRE, Le sanzioni della Banca d’Italia, in Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, a cura di M. Fratini, Padova, 2011, p. 555-6.
(19) R. COSTI, L’ordinamento bancario, Roma, 2012, p. 701.
(20) «Il baricentro delle tecniche giuridiche di protezione del consumatore dalle norme d’azione (sub specie correttezza gestionale dell’impresa in punto di sua stabilità) alle norme di relazione (che suppongono una tutela dinamica delle situazioni soggettive riconosciute in capo al risparmiatore) è, a dispetto delle apparenze, conquista recente, indotta principalmente dall’evoluzione del diritto bancario europeo». G. CARRIERO, «Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti», in DBMF, 2013, 4, parte I, p. 579.
(21) Art. 127, comma 01, Tub: «[l]e Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’articolo 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela. A questi fini la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del Cicr, può dettare anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni».
(22) Art. 128 Tub: «[a]l fine di verificare il rispetto delle disposizioni del presente titolo, la Banca d’Italia può acquisire informazioni, atti e documenti ed eseguire ispezioni presso le banche, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento e gli intermediari finanziari».
(23) Art. 128-undecies, comma 4: «L’Organismo verifica il rispetto da parte degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi della disciplina cui essi sono sottoposti; per lo svolgimento dei propri compiti, l’Organismo può effettuare ispezioni e può chiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, fissando i relativi termini».
(24) Art. 128-ter: «qualora nell’esercizio dei controlli previsti dall’articolo 128 emergano irregolarità, la Banca d’Italia può: a) inibire ai soggetti che prestano le operazioni e i servizi disciplinati dal presente titolo la continuazione dell’attività, anche di singole aree o sedi secondarie, e ordinare la restituzione delle somme indebitamente percepite e altri comportamenti conseguenti; b) inibire specifiche forme di offerta, promozione o conclusione di contratti disciplinati dal presente titolo; c) disporre in via provvisoria la sospensione, per un periodo non superiore a novanta giorni, delle attività di cui alle lettere a) e b), laddove sussista particolare urgenza; d) pubblicare i provvedimenti di cui al presente articolo sul sito web della Banca d’italia, e disporre altre forme di pubblicazione, eventualmente a cura e spese dell’intermediario».
(25) Ai sensi dell’art. 128-duodecies l’Oam può applicare nei confronti degli iscritti: a) il richiamo scritto; b) la sospensione dall’esercizio dell’attività per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno; c) la cancellazione dagli elenchi.
(26) T. BROGGIATO, op. cit.
(27) Sul Protocollo 22 febbraio 2011, F. LEONARDI, «Tecniche di coordinamento tra autorità indipendenti e pratiche commerciali scorrette», in I Battelli del Reno (on line), 18 aprile 2013, p. 9.
(28) La costituzione in mora riguardava la scorretta attuazione della direttiva. In patricolare, la Commissione fermava l’attenzione sul settore delle comunicazioni elettroniche, analizzando il rapporto tra la direttiva 2005/29 e le norme in materia consumeristica applicabili a tale settore nell’ordinamento italiano.
(29) Proc. N. 2013/2169.
(30) Norma speciale è quella che presenti, rispetto alla disposizione generale, una fattispecie più ricca ed un effetto più dettagliato. Cfr. AA.VV., Dieci lezioni introduttive ad un corso di diritto privato, p. 62.
(31) Così la Relazione illustrativa del Governo allo schema di decreto legislativo: «[l]’art. 1, comma 2-bis, ha l’obiettivo di superare la procedura di infrazione n. 2013/2169 avviata dalla Commissione europea nei confronti dello Stato italiano, relativa ai conflitti di competenza e alle lacune applicative della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati».
(32) S. LA PERGOLA, op. cit., p. 386.
(33) Tra i primi commentatori della novella G. NAVA, «Il legislatore interviene nuovamente sul riparto di competenze tra Agcom e Autorità di settore in merito all’applicazione della pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?», in Diritto mercato e tecnologia, reperibile sul sito http://www.dimt.it/2014/07/29; S. PERUGINI, «I “nuovi” strumenti di intervento dell’Agcm», in Corr. giur., Gli Speciali, D.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21: nuove tutele per i consumatori, p. 49.
(34) Cfr. S. LA PERGOLA, op. ult. cit., p. 392.
(35) Si legge nella Relazione: «la questione da cui origina la procedura di infrazione è risolta riconoscendo … la generale competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ad applicare il codice del consumo … senza poter considerare scorretta una pratica conforme alla regolazione». Sul punto si veda S. PERUGINI, op. cit.
(36) Già da altri proposta: G. NAVA, op. ult. cit.
(37) Un’ipotesi questa che diremmo marginale, posto che le disposizioni del Codice del consumo recano per lo più fattispecie aperte, quando non clausole generali.
(38) M. CLARICH, op. cit., p. 699 e ss.
(39) M. CLARICH, op. cit., p. 700.
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