Direttiva 2014/17/UE - Art. 6 - Educazione finanziaria dei consumatori - Commento di Francesco Paolo Patti
Direttiva 2014/17/UE
Art. 6 - Educazione finanziaria dei consumatori
Commento di Francesco Paolo Patti
Dottore di ricerca in Diritto dell’economia e dell’impresa
Research Assistant, European University Institute di Firenze
Art. 6
Educazione finanziaria dei consumatori
1. Gli Stati membri promuovono misure atte a favorire l’educazione dei consumatori in merito a un indebitamento e a una gestione del debito responsabili, in particolare per quanto riguarda i contratti di credito ipotecario. Per guidare i consumatori, specialmente quelli che sottoscrivono un credito ipotecario per la prima volta, sono necessarie informazioni chiare e generali sulla procedura per la concessione del credito. Sono inoltre necessarie informazioni sulla guida che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire ai consumatori.
2. La Commissione pubblica una valutazione degli strumenti di educazione finanziaria a disposizione dei consumatori negli Stati membri e individua gli esempi di migliori pratiche che potrebbero essere ulteriormente sviluppate al fine di accrescere la consapevolezza in materia finanziaria dei consumatori.
Struttura e scopo delle norme
Il primo comma dell’articolo in commento impone agli Stati membri di promuovere misure volte a favorire l’educazione finanziaria dei consumatori in relazione al segmento di mercato disciplinato dalla direttiva 2014/17/UE. Il termine «educazione», come si evince dalle attività (talvolta di vero e proprio insegnamento) che a questo contesto della disciplina vengono ricondotte, è inteso nel significato di
«istruzione» o «formazione» finanziaria (mentre nella versione in inglese della direttiva viene utilizzata l’espressione financial education, nella versione tedesca della direttiva, si discorre di Finanzbildung).
Gli interventi da svolgere a livello nazionale, nelle intenzioni del legislatore europeo, hanno lo scopo di accrescere la capacità dei consumatori di prendere autonomamente decisioni informate nel settore nevralgico dell’accensione dei mutui e la gestione del debito, con precipuo riferimento ai contratti di credito ipotecario(1). Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di carattere generale divisati dalla direttiva sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, in primo luogo il rafforzamento del mercato interno, l’istruzione è ritenuta «particolarmente importante»(2 )per fornire un supporto informativo ai consumatori che contraggono per la prima volta un credito ipotecario.
Il secondo comma dell’art. 6 contiene invece una norma di carattere programmatico - connessa all’obbligo di cui al primo comma - secondo cui la Commissione pubblicherà una valutazione degli strumenti di educazione finanziaria utilizzati dagli Stati membri, individuando le migliori pratiche che potrebbero essere ulteriormente sviluppate allo scopo di accrescere la consapevolezza in materia finanziaria dei consumatori. Quest’ultima disposizione mette in luce che la promozione dell’educazione dei consumatori si trova ancora in una fase di work in progress, in cui non vi è certezza in ordine ai mezzi più idonei a istruire i c.d. soggetti deboli. Di qui, l’esigenza di fare affidamento sulle esperienze nazionali che matureranno in seguito all’entrata in vigore delle normative di attuazione per cogliere i meccanismi più efficaci al fine di accrescere la consapevolezza dei contraenti che si apprestano a stipulare un contratto, le cui condizioni potranno incidere in modo considerevole sui futuri bisogni esistenziali del vivere quotidiano.
È opportuno precisare fin d’ora che l’educazione del consumatore non costituisce un tema nuovo(3), ma nell’ambito della direttiva 2014/17/UE può assumere un ruolo fondamentale alla luce del significativo peso economico del contratto di mutuo destinato al finanziamento di un immobile e, in termini generali, della «scarsa cultura finanziaria» dei consociati(4). Il soggetto che stipula un oneroso contratto di mutuo per uno scopo estraneo alla propria attività imprenditoriale o professionale deve rendersi conto dei rischi ad esso collegati, soprattutto in un periodo di crisi dei mercati (in parte dipesa da una gestione non oculata del credito(5)) che potrebbe ripercuotersi negativamente sull’operazione economica. Se l’obiettivo è quello di assicurare un rapporto bilanciato tra il livello di indebitamento dei consumatori e la loro capacità reddituale, è altresì necessario garantire che questi ultimi siano in grado di valutare la soglia del rischio «tollerabile» ed evitare di incorrere in sovraindebitamenti(6). Inoltre, le previsioni sull’educazione finanziaria, assenti nella precedente direttiva sul credito al consumo(7), si inseriscono in un contesto normativo per molti versi innovativo, atto a garantire trasparenza, efficienza e competitività. Infatti, la direttiva 2014/17/UE non mira precipuamente ad armonizzare le misure già esistenti nei diversi Paesi membri, come di recente è avvenuto con la direttiva sui diritti dei consumatori (2011/83/UE), ma a introdurre nuovi meccanismi di tutela in un settore dei servizi finanziari finora non toccato dagli interventi del legislatore di Bruxelles, che risulta di fondamentale importanza allo scopo di garantire l’effettiva attuazione dei principi di libertà di circolazione e di stabilimento; un settore complesso, nell’ambito del quale per i contraenti spesso è difficile comprendere le informazioni fornite dagli intermediari finanziari.
Sotto questo profilo, rispetto alle precedenti normative che coinvolgevano rapporti con gli intermediari finanziari, concernenti il credito al consumo (dir. 2008/48/CE) e la commercializzazione a distanza dei servizi finanziari ai consumatori (dir. 2002/65/CE), data l’importanza dell’affare e le sue ripercussioni economiche, si è avvertita l’esigenza di introdurre disposizioni più rigide per la valutazione del c.d. «merito creditizio» del consumatore(8), nonché di esigere informazioni più precise da parte dei soggetti con i quali quest’ultimo entra in contatto(9). Alla luce dei rischi connessi a siffatta tipologia di finanziamenti, precipua attenzione è altresì dedicata ai prestiti in valuta estera(10).
Tuttavia, dalle disposizioni dell’art. 6 e in virtù delle problematiche ad esse sottese, traspare la consapevolezza che un’educazione finanziaria inadeguata rischia di vanificare gli obiettivi perseguiti mediante gli obblighi informativi, poiché, nonostante l’incremento delle informazioni e le modalità con le quali queste vengono rese - che implicano un maggiore impegno e un più elevato livello di competenza dei professionisti ai quali il mutuatario si rivolge -, il consumatore potrebbe non comprendere quanto prospettato nella fase precontrattuale. Ne deriva che l’educazione finanziaria è volta a permettere, in primo luogo, la comprensione dell’elevato numero di informazioni imposte dalla direttiva e ad aumentare la consapevolezza del consumatore relativamente a una scelta idonea ad incidere sulla sua esistenza.
L’educazione quale strumento per aumentare il grado di effettività della normativa a tutela dei consumatori
In termini generali, l’educazione del consumatore comprende delle attività non promozionali orientate a favorire la consapevolezza circa i diritti che la legge prevede a favore dei consumatori e rendere percepibili i benefici e i costi che conseguono a un determinato atto di scelta(11). Come si è detto, con riguardo alla fase precontrattuale, il processo educativo dovrebbe precedere le informazioni - e, dunque, il contatto tra il consumatore e il professionista - consentendo a chi è interessato a un determinato servizio di elaborare le notizie ricevute e decidere sulla base delle stesse. L’educazione costituisce dunque un «antecedente essenziale ai fini dell’acquisizione, da parte dei consumatori e degli utenti, di una piena consapevolezza dei loro diritti e interessi e di basi cognitive adeguate a consentire loro di governare i processi valutativi e decisionali avviati ai fini della soddisfazione dei propri bisogni»(12).
Le disposizioni aventi l’obiettivo di favorire l’educazione del consumatore trovano una base significativa all’interno della legislazione primaria dell’Unione europea all’art. 169 Tfue (ex art. 153 del Tce), secondo cui: «Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi». La norma fa da corollario all’art. 38 della Carta di Nizza, in base al quale «nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione del consumatore». Nonostante l’appiglio formale che l’educazione del consumatore trova nell’ambito della legislazione primaria dell’Unione europea, in assenza di normative specifiche che prevedano sanzioni per gli Stati membri e in virtù della sostanziale incertezza in ordine ai mezzi più efficaci per conseguire l’adeguata preparazione dei consumatori, come si dirà nelle conclusioni, allo stato nel panorama europeo non sembrano sussistere adeguati meccanismi attuativi.
L’educazione ha lo scopo di aumentare il livello di effettività delle norme poste a tutela del consumatore, che, in virtù degli obiettivi perseguiti dal legislatore europeo, rappresenta uno dei nuclei problematici più significativi nel contesto sovranazionale. La progressiva formazione del mercato unico postula infatti l’adeguamento, da parte degli operatori del mercato, alle nuove regole e, a tal fine, l’Unione europea con diverse normative ha imposto agli Stati membri l’adozione di «mezzi adeguati» per dissuadere dal compimento di atti che violano le norme dettate a livello sovranazionale(13). Anche la Corte di Giustizia, da più di un decennio, con un crescente numero di sentenze, concernenti, ad esempio, l’interpretazione della direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie e a quella 99/44/CE sulla vendita dei beni di consumo, sta tentando di aumentare il livello di effettività della disciplina delle direttive, talvolta altresì forzando mediante interpretazioni evolutive i limiti della competenza del legislatore europeo in materia processuale(14).
L’effettività di cui si è parlato riguarda le norme sulla tutela giurisdizionale dei diritti che proteggono il consumatore avverso pregiudizi già subiti. Diversamente, nel caso dell’educazione del consumatore il livello di effettività del diritto di fonte europea dovrebbe essere accresciuto attraverso un’azione preventiva, volta a fornire al consumatore «mezzi di difesa di fronte a una controparte economicamente e “culturalmente” più forte curando che questo sviluppi l’attitudine ad apprendere gli strumenti giuridici e commerciali per agire sul mercato in modo consapevole»(15). Le attività riconducibili alla nozione di educazione del consumatore sono prevalentemente di tipo informativo, ma - come si dirà infra - esse non devono essere confuse con gli obblighi informativi cui sono tenute le parti professionali nell’ambito del rapporto contrattuale (v. infra, par. L’educazione del consumatore nel contesto della direttiva 2014/17/UE: i rapporti con la disciplina degli obblighi informativi). Un primo vantaggio che potrebbe conseguire dall’approccio «preventivo» al problema dell’effettività è la riduzione degli interventi officiosi del giudice promossi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia a salvaguardia dei diritti del consumatore(16). Rispetto a questi noti orientamenti giurisprudenziali sono stati manifestati «possible fears of the “overextension” of the effectiveness principle», dovuti a una vera e propria funzione creativa svolta nell’ultimo decennio dai giudici del Lussemburgo, i quali spesso hanno fortemente inciso sull’autonomia degli Stati membri con riferimento all’ordinamento processuale(17). Ebbene questi timori non avrebbero ragione di esistere nei casi in cui il consumatore, a conoscenza dei propri diritti, li facesse valere in modo corretto, ossia in modo tale da non rendere necessario il «soccorso» officioso del giudice.
D’interesse per la tematica in esame risultano altresì gli studi sulla psicologia cognitiva atti a valutare i comportamenti dei consumatori, dai quali si ricava che le scelte delle parti deboli del rapporto contrattuale di frequente non si ispirano a criteri di razionalità e denotano una scarsissima propensione al calcolo del rischio connesso a un determinato affare(18). In noti studi che hanno affrontato il problema dell’interazione tra forze del mercato e psicologia dei consumatori è emerso che i venditori mediante un accurato drafting contrattuale sono in grado di sfruttare i sistematici errori cognitivi dei consumatori inducendoli a stipulare un contratto a condizioni soltanto apparentemente favorevoli(19). In quest’ottica, se può certamente essere accolta con favore la scelta di garantire maggiore ponderazione mediante il diritto di recesso (o di pentimento), idoneo a proteggere i consumatori da decisioni affrettate e poco informate(20), la strategia di ridurre l’asimmetria informativa mediante la previsione di obblighi informativi può in molti casi risultare insufficiente(21). Il consumatore potrebbe infatti non riuscire a orientarsi tra le tante informazioni ricevute o non comprenderne a pieno il contenuto, nonostante il rispetto delle regole relative alla c.d. «trasparenza contrattuale»(22). Per questo motivo, oltre alle informazioni precontrattuali, occorre aumentare il bagaglio di conoscenza del contraente debole, soprattutto in un settore delicato come quello dei servizi finanziari, in cui spesso risulta difficile compiere delle valutazioni a lungo termine riguardo ai rischi connessi alla stipula di un contratto(23).
I diversi contenuti dell’educazione del consumatore e la specificità dell’educazione finanziaria
L’importante ruolo attribuito all’educazione del consumatore nella legislazione dell’Unione europea si spiega non soltanto in virtù dell’obiettivo che essa è chiamata a svolgere, ma anche dei variegati contenuti che può assumere. Anzitutto, come del resto si ricava dalla lettera dell’art. 4 del codice del consumo, l’educazione è diretta a far conoscere ai consumatori i propri diritti, consentendo loro di intraprendere relazioni più sicure con le parti professionali e di conoscere i mezzi di tutela disciplinati dall’ordinamento per reagire a comportamenti abusivi e pregiudizievoli del professionista, mediante un’azione giudiziale o tecniche alternative di risoluzione delle controversie(24). In questa prospettiva, l’educazione del consumatore dovrebbe promuovere la conoscenza dei diversi livelli di tutela sui quali i consumatori possono fare affidamento al fine di far valere i propri diritti. L’importanza degli indicati fattori è stata rilevata, tra l’altro, da una comunicazione dell’Unione europea del 2009 sull’applicazione dell’acquis in materia di protezione dei consumatori, ove si è messo in luce che «I consumatori informati sono consumatori più forti» in grado di contribuire in modo proficuo alla creazione del mercato unico(25).
Per la tutela dei consumatori assume inoltre importanza lo sviluppo dei rapporti associativi, in quanto il soggetto isolato spesso incontra difficoltà nel venire a conoscenza dei propri diritti ed è indotto a non agire in giudizio per la loro tutela. Le associazioni sono inoltre legittimate ad agire in via giudiziale o a tentare conciliazioni stragiudiziali, nonché a intraprendere azioni in forma collettiva a protezione dei consumatori(26). Ancora, volti a sfruttare un meccanismo rappresentativo sono gli organismi pubblici o privati esponenziali di interessi di rilievo per i consumatori. Di questo aspetto tiene conto la direttiva
2014/17/UE, che all’art. 6 impone agli Stati membri di informare «sulla guida che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire ai consumatori».
L’aspetto che interessa maggiormente la normativa in esame attiene, tuttavia, alla educazione quale strumento per conoscere il settore di mercato in cui il consumatore intende operare. Ciò si evince già dall’aggettivo «finanziaria», che segue il termine di comune utilizzazione «educazione», il quale mette in luce che non si tratta tanto di far apprendere al consumatore i propri diritti, quanto di offrirgli le basi per acquisire consapevolezza circa l’operazione da svolgere nel contesto del mercato di riferimento. Questo profilo dell’educazione del consumatore viene illustrato dalla relazione al codice del consumo in cui, con riguardo al più volte evocato art. 4 cod. cons., si afferma che il contraente deve essere posto nella situazione di «poter apprezzare i fattori componenti la qualità e il prezzo del prodotto e, quindi, nella situazione di poter operare scelte consapevoli». In definitiva, si tratta di fornire ai consumatori le conoscenze per effettuare le scelte più adeguate sul mercato(27).
A livello europeo, nei variegati settori del mercato, per perseguire il descritto scopo vengono promosse diverse attività: talune piuttosto semplici, come ad esempio l’imposizione di specifiche etichettature sui prodotti alimentari(28); altre notevolmente più complesse, poiché coinvolgono strategie di apprendimento sofisticate e postulano una diversificazione in relazione alle tipologie di destinatari. L’educazione finanziaria rientra senza dubbio tra queste ultime poiché impone un «programma educativo» chiamato a rispondere a un elevato numero di esigenze di primaria importanza nel contesto europeo(29). Infatti, oltre alla opacità e alla complessità dei prodotti e dei servizi finanziari che rendono difficile il compimento di scelte soddisfacenti, si segnala la costante crescita delle persone che operano sui mercati in virtù dell’emancipazione di diverse classi sociali, nonché una più ampia sollecitazione al consumo. Infine, risulta aumentata la propensione all’indebitamento, le cui implicazioni spesso non sono comprese dai consociati.
A fronte di queste acclarate esigenze, programmi nazionali e internazionali - che in parte verranno indicati, a titolo esemplificativo, nella parte finale - contengono alcune misure educative, volte a fornire una «alfabetizzazione finanziaria», ossia la conoscenza di base dei termini tecnici utilizzati nel campo economico e finanziario (ad esempio, i termini azione, obbligazione, interesse a tasso fisso o variabile, rating, polizza vita, ecc.), i dati idonei a consentire una scelta oculata in ordine al tipo di operazione finanziaria da compiere (ad esempio, l’acquisto di un titolo obbligazionario a breve scadenza, piuttosto che uno a lunga scadenza), gli elementi per comprendere i fenomeni finanziari e gli effetti scaturenti da una specifica operazione (ad esempio, per ciò che concerne la direttiva 2014/17/UE, le conseguenze del perfezionamento di un mutuo a tasso fisso in caso di diminuzione dell’inflazione)(30).
L’educazione finanziaria non riguarda soltanto i contratti di mutuo (o comunque il credito ipotecario) e, al di là delle finalità della nuova direttiva e della materia da essa disciplinata, sembra opportuno progettare un programma d’istruzione esaustivo, tale da comprendere tutte le principali attività finanziarie che il consumatore abitualmente pone in essere. Scelte finanziarie errate possono infatti precludere il compimento di altre operazioni fondamentali nella vita di una persona (quali, ad esempio, proprio l’acquisto di un bene immobile residenziale) o imporre il conseguimento di un ulteriore finanziamento a condizioni sfavorevoli (si pensi, al fenomeno dei mutui subprime(31)). Nel contesto della direttiva 2014/17/UE all’educazione finanziaria deve tuttavia essere attribuita un’importanza strategica particolare, per il peso economico del contratto di mutuo relativo all’acquisto di un immobile (come si è indicato in apertura) e per la indiscutibile complessità delle informazioni contrattuali cui sono tenuti i professionisti(32). In un settore nevralgico del mercato del credito, caratterizzato da un accentuato tecnicismo, la scarsa preparazione dei consumatori rischia di vanificare la funzione del bagaglio di informazioni che l’istituto di credito è tenuto a trasmettere(33).
In questo senso, oltre agli strumenti «comuni» di educazione finanziaria, di cui si dirà in seguito, sembra opportuno favorire dei sistemi di consulenza appositamente ideati per il mercato immobiliare, idonei ad orientare il consumatore relativamente ai diversi caratteri che il contratto di mutuo può assumere e alle precipue contingenze del mercato, nonché a consentire di valutare adeguatamente le proprie sostanze e le modalità con le quali gestire il proprio debito(34).
L’educazione del consumatore nel contesto della direttiva 2014/17/UE: i rapporti con la disciplina degli obblighi informativi
Con riferimento alla tematica affrontata, una delle principali questioni da chiarire nell’architettura della nuova direttiva attiene ai rapporti tra l’educazione finanziaria e gli obblighi informativi posti in capo ai finanziatori e agli intermediari. In base a un primo riscontro, si è detto che l’educazione dovrebbe agevolare la comprensione delle informazioni. In merito alla precedente direttiva sul credito al consumo è stato affermato che affidarsi solamente alle c.d. regole di disclosure potrebbe risultare controproducente perché l’intensificazione degli obblighi di informazione, che dovrebbe offrire l’opportunità di fare scelte razionali, «non sarebbe in grado di fornire protezione a tutti i consumatori, ma solo a quelli già in grado di autotutelarsi (well-educated middle-class consumers)»(35). In assenza di un efficace programma educativo sussisterebbe inoltre il segnalato pericolo del c.d. information overload, ossia di un «sovraccarico cognitivo» ricorrente nei casi in cui un soggetto riceva un numero troppo elevato di informazioni per riuscire a prendere una decisione o scegliere una informazione specifica sulla quale focalizzare l’attenzione.
Risulta tuttavia necessario verificare dove «finisce» l’educazione del consumatore e «iniziano» gli obblighi informativi del finanziatore o dell’intermediario. In quest’ottica, avuto riguardo all’impianto della normativa contenuta nella direttiva, non sembra pienamente corrispondente alle intenzioni del legislatore di Bruxelles affermare che anche il soggetto abilitato a erogare il credito, tenuto ad agevolare il processo decisionale del consumatore mediante le informazioni, svolge un’attività di educazione finanziaria consistente nell’accompagnare «pedagogicamente» il proprio interlocutore(36). Infatti, mentre per ciò che concerne l’educazione del consumatore l’art. 6 prescrive un obbligo di natura piuttosto generica in capo agli Stati membri, gli obblighi informativi sono individuati dettagliatamente agli artt. 13 e ss. della direttiva 2014/17/UE e sono espressamente rivolti al creditore, all’intermediario del credito o al rappresentante designato. Se il legislatore avesse voluto «inglobare» l’educazione finanziaria tra gli obblighi imposti ai predetti soggetti, lo avrebbe fatto espressamente nella parte relativa alle informazioni(37).
Inoltre, appare eccessivo affermare che l’istituto di credito o l’intermediario finanziario, già oberato di obblighi informativi, debba financo «educare» il consumatore a una gestione del debito responsabile. Ciò ovviamente non significa che le informazioni precontrattuali non contribuiscano ad aumentare la consapevolezza del consumatore in ordine all’operazione economica posta in essere, ma che sia preferibile coltivare l’educazione finanziaria al di fuori del rapporto con l’istituto di credito o l’intermediario, in una fase antecedente all’instaurarsi dello stesso. Del resto, la dissociazione tra il soggetto chiamato a «educare» e quello chiamato a «informare», per ovvie ragioni, appare tutelare in maniera migliore il consumatore.
Occorre quindi confermare l’impostazione secondo cui l’educazione finanziaria debba precedere le informazioni che il consumatore riceve nella fase precontrattuale. Peraltro, pare che la funzione svolta dagli obblighi informativi non possa essere sostituita dalle attività di istruzione finanziaria promosse a favore dei futuri consumatori, in quanto gli strumenti messi a punto negli Stati membri, pur potendo aumentare il livello di consapevolezza del consumatore in merito alle scelte finanziarie da compiere, non hanno riguardo alle caratteristiche del singolo rapporto contrattuale e non possono colmare l’asimmetria informativa che generalmente connota i rapporti tra i consumatori e gli istituti di credito(38).
In questo senso, il timore che l’accrescimento del numero e della qualità dei programmi educativi del consumatore e della sua consapevolezza nell’agire nel settore finanziario possa comportare, di converso, una «deresponsabilizzazione»(39 )degli intermediari finanziari appare infondato, in quanto l’educazione finanziaria deve essere coltivata al di fuori del rapporto tra il consumatore e il creditore e, attesa la funzione non coincidente, non può sostituirsi agli obblighi informativi. Inoltre, il settore finanziario conosce una continua evoluzione e non sembra possibile predisporre un’istruzione costantemente al passo con le sofisticate offerte del mercato. Infine, posto che norme come quelle in esame non esigono un livello minimo di «formazione» del consumatore, allo stato, quest’ultimo non sembra avere l’obbligo e neppure l’onere di ricorrere a uno strumento di educazione finanziaria prima di compiere un investimento.
Sotto questo profilo, alla luce delle norme relative al «merito creditizio», contenute nella direttiva
2014/17/UE, - e, in particolare, all’art. 7, concernente le «Norme di comportamento da rispettare quando si concedono crediti ai consumatori», ove si legge che «Nell’ambito della concessione, dello svolgimento di attività di intermediario o della fornitura di servizi di consulenza relativi a crediti, le attività si basano sulle informazioni circa la situazione del consumatore e su ogni bisogno particolare che questi ha comunicato e su ipotesi ragionevoli circa i rischi cui è esposta la situazione del consumatore per tutta la durata del contratto di credito» - sembra che l’intento del legislatore europeo sia quello di prevedere un meccanismo di protezione tale da funzionare in maniera adeguata anche in assenza di un’approfondita conoscenza del settore finanziario. Ciò si evince soprattutto dalle disposizioni della direttiva in cui si prescrive una politica remunerativa per i rappresentanti, che spinga questi ultimi a tenere in primaria considerazione l’interesse del consumatore.
Sulla stessa linea rispetto alle suddette previsioni della direttiva, si era pronunciato l’Arbitro bancario finanziario (Abf) di Roma, in applicazione della disciplina del merito creditizio di cui alla direttiva
2008/48/CE, affermando che l’informazione - che nella fase delle trattative precede la stipulazione di un contratto di finanziamento - «costituisce ormai la prestazione di un vero e proprio servizio di consulenza professionale, e in ogni caso l’adempimento di uno specifico dovere di protezione nei confronti dell’altra parte contraente» e avvertendo l’esigenza «che nella fase precontrattuale siano adottate pratiche responsabili di informazione e di educazione dei consumatori, le quali prevedano l’avvertimento sui rischi di un mancato pagamento o di un eccessivo indebitamento»(40). Peraltro, in una decisione successiva il Collegio di coordinamento dell’Abf ha precisato che l’assolvimento, da parte dell’intermediario, del suo dovere di assistenza nei confronti del cliente deve essere valutato «senza trascurare, in relazione ai singoli casi, il grado di complessità dei processi decisionali di volta in volta implicati nella erogazione del credito»(41). Sulle indicazioni personalizzate da fornire influisce dunque altresì la tipologia del finanziamento concretamente in discussione e il relativo livello di complessità. In questa prospettiva, sebbene ad avviso di chi scrive resti fermo quanto detto a proposito dell’art. 6 dir.
2014/17/UE, con riguardo agli obblighi dei finanziatori e degli intermediari, al di là della terminologia impiegata dalle norme non può negarsi una certa commistione tra «educazione» e «informazione» e si tratterà di valutare se gli obblighi informativi «personalizzati», la rigorosa valutazione del merito creditizio e le relative avvertenze sui rischi concernenti il finanziamento saranno sufficienti a tutelare il consumatore inesperto(42). In ogni caso, la posizione di chi deciderà di usufruire di adeguati programmi di educazione finanziaria migliorerà, in quanto, indipendentemente dagli obblighi di «prendersi cura» degli interessi della parte più debole cui i creditori, gli intermediari e i rappresentanti devono adempiere, aumenterà il livello di consapevolezza dei consumatori in ordine all’operazione economica posta in essere e quello relativo alla comprensione delle informazioni ricevute.
Le attività già intraprese dalla Commissione europea per promuovere l’educazione del consumatore
Per conoscere il contesto in cui si inseriscono le previsioni dell’art. 6 della direttiva 17/2014/UE appare utile analizzare, sia pure in modo sommario, le precedenti iniziative della Commissione europea in materia di educazione finanziaria. Il primo atto di una certa importanza è la comunicazione del
2007(43), in cui sono stati individuati l’«importanza» e i «vantaggi economici e sociali» dell’istruzione finanziaria(44). L’istituzione europea mette in luce che l’istruzione finanziaria è utile alle persone, perché consente di anticipare finanziariamente le situazioni impreviste, alla società, in quanto diminuisce i rischi di esclusione finanziaria e incoraggia i consumatori a prevedere e a risparmiare, nonché all’economia nel suo insieme, atteso che favorisce comportamenti consapevoli e l’apporto di liquidità ai mercati finanziari.
Nell’occasione si è dato atto che, pur con notevoli differenze di contenuto, l’istruzione finanziaria era già proposta da numerosi operatori (autorità di sorveglianza, operatori sociali, istruzione pubblica, ecc.) nei vari Stati membri e che alcune indagini avviate a livello nazionale erano in grado di contribuire a definire le priorità dei programmi educativi e ad agevolare il controllo relativo ai progressi dei consumatori. Pertanto, l’educazione finanziaria non è una «scoperta» dell’Unione europea, ma preesisteva ai primi interventi in materia del legislatore di Bruxelles.
Dal momento che l’educazione finanziaria rientra nella sfera di competenza degli Stati membri, la Commissione ha indicato otto principi «che possono aiutare i partecipanti alla diffusione dell’istruzione finanziaria, per quanto riguarda l’elaborazione e l’attuazione dei programmi di istruzione finanziaria»(45). Il decalogo della Commissione sembra tenere conto del fatto che il problema della scarsa cultura finanziaria affligge prevalentemente le fasce sociali più deboli, dovendo l’istruzione rispondere alle variegate esigenze delle persone(46), ma si pone, in termini generalizzati, per tutte le fasce sociali(47). Occorre inoltre mettere in evidenza l’importanza di inserire l’educazione finanziaria nei programmi scolastici, in quanto l’impegno nell’apprendimento può essere favorito dal sistema delle valutazioni(48). Dai principi si evince altresì che l’educazione finanziaria, oltre a favorire una conoscenza diretta del mercato finanziario, è utile quale strumento per acquisire «la coscienza di non sapere» e aumentare
«l’attitudine a rivolgersi più frequentemente ai consulenti» e «la capacità di meglio rappresentare ai consulenti stessi le proprie preferenze e attitudini al rischio»(49).
Tra gli atti della Commissione deve essere altresì menzionata una decisione del 2008, che ha istituito un gruppo di esperti in materia di educazione finanziaria(50). Il compito dell’organismo è promuovere le pratiche in tale settore, fornire pareri alla Commissione circa la modalità di attuazione dei principi sopra riportati e coadiuvare la stessa Commissione nell’individuazione di eventuali ostacoli legislativi, regolamentari, amministrativi all’offerta educativa in materia finanziaria. Il gruppo è composto da 25 specialisti che rappresentano il settore pubblico e privato, nominati dalla Commissione per un periodo di tre anni. A seguire, dal 2009 al 2011, è stata istituita una banca dati sull’educazione finanziaria (The european database for financial education - Edfe -) allo scopo di informare gli interessati sugli strumenti di istruzione attualmente in vigore negli Stati membri e sugli studi svolti in materia.
Un primo bilancio (negativo) delle attività compiute a partire dalla suddetta comunicazione del 2007 si rinviene in uno Staff working document della Direzione generale per il mercato interno e i servizi della Commissione europea(51). Soltanto un numero limitato di Stati membri ha adottato una strategia nazionale relativa alla educazione finanziaria, in cui sono definite le competenze, è assicurato il coinvolgimento di tutti i partecipanti, sono indicate le priorità, anche in relazione alle diverse fasce sociali, e vengono specificamente individuate le risorse destinate all’educazione finanziaria(52). Inoltre, esclusivamente in un ridotto numero di Stati l’educazione finanziaria ha fatto ingresso nei programmi scolastici(53 )e mancano analisi accurate relative alla consapevolezza in materia finanziaria da parte dei cittadini e alle specifiche esigenze a cui rispondere per aumentare la «cultura» finanziaria. Sono invece stati valutati in modo positivo i patrocini e le sponsorizzazioni della Commissione europea di convegni e incontri di studio organizzati a livello nazionale allo scopo di sensibilizzare il pubblico degli interessati relativamente alle problematiche e alle metodologie dell’educazione finanziaria.
In base al quadro brevemente tratteggiato, risulta ancora più significativo l’inserimento nella direttiva
2014/17/UE di un obbligo degli Stati membri di promuovere l’educazione dei consumatori nel settore del credito per l’acquisto di beni immobili residenziali. La circostanza che l’educazione del consumatore sia promossa con riguardo a una specifica operazione finanziaria può agevolare il reperimento delle misure più idonee poiché appare più semplice focalizzare la concentrazione su una precipua tipologia contrattuale(54). Anche in assenza di puntuali indicazioni circa le misure da adottare, l’art. 6 della direttiva accrescerà senza dubbio l’attenzione dei governi nazionali per il fenomeno in esame, anche in considerazione delle attività di valutazione «degli strumenti di educazione finanziaria a disposizione dei consumatori negli Stati membri» e di individuazione degli «esempi di migliori pratiche che potrebbero essere ulteriormente sviluppate al fine di accrescere la consapevolezza in materia finanziaria dei consumatori» che la Commissione svolgerà in ossequio al secondo comma.
L’educazione finanziaria in Italia
Sebbene da più parti si riscontri che il livello di «cultura» finanziaria degli italiani non sia adeguato rispetto alla mole di operazioni finanziarie poste in essere e a alla ricchezza media dei consociati(55), non può certo dirsi che in Italia la tematica non abbia suscitato interesse e che siano mancati interventi volti ad apprestare strumenti di istruzione per i cittadini in relazione al settore finanziario.
Il punto di riferimento per i programmi di educazione finanziaria in Italia è stato il Consorzio PattiChiari, istituito presso l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) nel 2003. Secondo l’originaria versione dell’art. 4 dello statuto, la funzione del Consorzio era quella di proporre un sistema di regole dirette a favorire la realizzazione di un mercato efficiente e competitivo e la promozione di iniziative volte ad accrescere lo sviluppo economico e sociale, anche attraverso piani di informazione ed educazione finanziaria della collettività, con speciale attenzione alle esigenze informative dei consumatori. Il modello adottato prevedeva la partecipazione di soggetti esterni al settore bancario e una piena separazione tra il profilo gestionale e quello di controllo del Consorzio, esercitato attraverso due organi indipendenti composti da soggetti interessati alla competitività e all’efficienza del mercato finanziario, nonché allo sviluppo dell’educazione finanziaria dei consumatori, tra cui associazioni dei consumatori, accademici e professionisti(56).
Inoltre, il sito della Banca d’Italia reca alcune guide concernenti l’educazione finanziaria, che
«attraverso un linguaggio semplice e chiaro, perseguono l’obiettivo di favorire la comprensione e l’accesso dei cittadini ad alcuni prodotti di ampia diffusione e di consentire scelte consapevoli e informate attraverso il confronto tra le diverse offerte presenti sul mercato»(57). Esistono anche delle versioni semplificate delle guide pensate quale materiale didattico per le scuole, con delle varianti a seconda dell’età degli studenti. Il linguaggio utilizzato nelle guide è molto semplice e supportato da immagini per agevolare la comprensione dei contenuti.
L’educazione finanziaria nelle scuole è al centro dei progetti della Banca d’Italia che, assistita dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (Miur) e assieme ad alcuni partners, in via sperimentale ha incardinato un apposito insegnamento nel programma scolastico di alcune scuole secondarie di II livello. Nell’ambito del progetto, i cui risultati sono stati presentati in un recente convegno(58), gli insegnanti, grazie anche all’ausilio di esperti dei diversi enti, hanno svolto un percorso didattico di 25 ore su temi quali moneta e prezzi, strumenti di pagamento, banche e mercati finanziari, uso consapevole del denaro, globalizzazione, economia sostenibile, imprenditorialità, pianificazione e ciclo di vita, rischio finanziario, assicurazione e previdenza.
Un ruolo significativo viene svolto altresì dalla Fondazione per l’educazione finanziaria e al Risparmio, costituita su iniziativa dell’Abi, che ha come obiettivi lo sviluppo e la diffusione della conoscenza finanziaria ed economica nell’ambito di tutte le fasce sociali, mediante specifici programmi didattici, utilizzabili nelle scuole, e l’organizzazione di eventi destinati a sensibilizzare gli interessati in merito alle problematiche dell’educazione finanziaria.
Da ultimo, si segnala una iniziativa dell’Università di Roma Tre che ha inserito nel corso di studi in giurisprudenza una clinica legale sulla tutela dei risparmiatori, allo scopo di offrire agli studenti una qualificata formazione giuridica sulla legislazione in materia di tutela del risparmiatore/consumatore nel settore bancario e finanziario e sul ricorso, in caso di controversie in materia, all’Arbitro bancario finanziario (Abf). L’innovativo insegnamento può essere utile a costruire una rete di collaborazione tra il mondo accademico e quello delle professioni, nonché a sensibilizzare la comunità accademica e gli studenti verso il ricorso ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie. Si comprende in maniera intuitiva che il valore aggiunto del descritto progetto educativo è la maggiore competenza, da un punto di vista tecnico, dei fruitori e la circostanza che essi nella loro futura carriera da giuristi potranno divulgare il proprio sapere e contribuire a garantire l’effettività delle norme a tutela del consumatore(59). Inoltre, la clinica mette a disposizione consulenze gratuite verso l’esterno e, pertanto, può contribuire a educare i consumatori/risparmiatori e a individuare gli strumenti di tutela più efficaci per risolvere le controversie nel settore finanziario.
Non è ancora possibile valutare se le iniziative intraprese a livello nazionale siano sufficienti. Di certo negli anni sono stati compiuti dei passi in avanti e l’interesse per l’educazione finanziaria è costantemente cresciuto. Alla luce delle specificità dei contratti ai quali si rivolge la direttiva 17/2014/ UE, si ribadisce la necessità di garantire delle consulenze ad hoc, che aiutino i consumatori ad orientarsi a fronte di un’operazione finanziaria piuttosto complessa, specialmente, come precisato dall’art. 6 della direttiva, «quelli che sottoscrivono un credito ipotecario per la prima volta». L’acquisto di un immobile per molte famiglie costituisce un fatto isolato nel corso della vita ed è auspicabile che non vengano commessi errori. La «valutazione» della Commissione europea, «programmata» dal secondo comma, permetterà di ottenere un quadro più preciso circa le attività da promuovere per accrescere la cultura finanziaria dei consumatori nel settore di mercato al quale si rivolge la disciplina della nuova direttiva.
(1) Cfr. considerando n. 29 dir. 2014/17/UE.
(2) Cfr. ancora il considerando n. 29 dir. 2014/17/UE. In dottrina, v. M.C. PAGLIETTI, La tutela civile dei diritti dei consumatori. Studio sull’osmosi dei modelli di giustizia in Europa, Napoli, 2013, p. 301 e ss.; F. MACARIO, La struttura del contratto di vendita immobiliare, in Trattato dei contratti, I, Vendita e vendite, dir. V. Roppo - A.M. Benedetti, Milano, 2014, p. 592 e ss.
(3) In proposito, in ottica interna, è sufficiente avere riguardo all’art. 4 cod. cons., su cui si tornerà infra, secondo cui «1. L’educazione dei consumatori e degli utenti è orientata a favorire la consapevolezza dei loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli organismi esponenziali. 2. Le attività destinate all’educazione dei consumatori, svolte da soggetti pubblici o privati, non hanno finalità promozionale, sono dirette ad esplicitare le caratteristiche di beni e servizi e a rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla loro scelta; prendono, inoltre, in particolare considerazione le categorie di consumatori maggiormente vulnerabili».
(4) Cfr. considerando n. 4 dir. 2014/17/UE.
(5) Cfr. S. VAN ERP-B. AKKERMANS, «Public or Private Harmonisation of the EU Mortgage Market?», in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2013, p. 55 e ss.: «Mortgage credit has been a major cause for credit crises»; G. COMPARATO - I. DOMURATH, «Financialisation and Its Implications for Private Autonomy in Consumer Credit Law», in ODCC, 2015, p. 269 e ss. Sulle perdite economiche subite dai consumatori a causa della crisi finanziaria, v. N. FUXA, «Consumer Protection in the Markets of Financial Products - Momentum for the Introduction of Collective Redress and Amendment of the Brussels I Regulation», in Zeitschrift für Europäisches Unternehmens - und Verbraucherrecht, 2014, p. 90 e ss.
(6) Sul fenomeno del sovraindebitamento, v. D. CERINI, Sovraindebitamento e consumer bankruptcy: tra punizione e perdono, Milano, 2012, p. 3 e ss.; L. MODICA, Profili giuridici del sovraindebitamento, Napoli, 2012, p. 3 e ss., nonché, in prospettiva economica e giuridica, il volume collettaneo a cura di M. LOBUONO - M. LORIZIO, Credito al consumo e sovraindebitamento del consumatore. Scenari economici e profili giuridici, Torino, 2007.
(7) Nella direttiva 2008/48/CE compare soltanto un riferimento nel considerando n. 26, secondo cui «Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito, tenendo conto delle specificità del proprio mercato creditizio. Tali misure possono includere, per esempio, l’informazione e l’educazione dei consumatori e anche avvertimenti sui rischi di un mancato pagamento o di un eccessivo indebitamento». Sul punto, v. L. DI DONNA, «La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nella direttiva sul credito al consumo», in Giur. it., 2010, p. 1 e ss.: «il diritto all’informazione precontrattuale, insieme al diritto all’educazione, è uno dei diritti fondamentali dei consumatori».
(8) In base alla definizione n. 17) contenuta nell’art. 4 della direttiva 2014/17/UE, la valutazione del merito creditizio, consiste nella «valutazione delle prospettive che le obbligazioni debitorie risultanti dal contratto di credito siano rispettate». Sulla questione, per un confronto tra la direttiva 2008/48/CE e la direttiva 17/2014/UE, oltre al commento di K. FUCCI, «Sub Art. 18», v. E. PELLECCHIA, «L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore: spunti di riflessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”», in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 1088 e ss., la quale affronta altresì il tema della conservazione del contratto, in caso di inadempimento «giustificato», mediante un adeguamento delle condizioni contrattuali alla effettiva capacità economica del consumatore; M.M. FRANCISETTI BROLIN, «Ancora sul c.d. “merito creditizio” nel credito al consumo. Chiose a margine di una recente decisione comunitaria», in Contr. e impr. Eur., 2015, p. 357 e ss., spec. p. 370 e ss.
(9) Cfr., in particolare, il considerando n. 22 dir. 2014/17/ UE. Oltre al noto Tasso annuo effettivo globale (Taeg), ci si riferisce al nuovo Prospetto informativo europeo standardizzato (Pies), contenente informazioni precontrattuali personalizzate, calibrate in base alle informazioni ricevute in ordine alla situazione finanziaria ed alle preferenze degli stessi consumatori. Con riguardo alla disciplina degli obblighi informativi, v. S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)», in Contr. e impr. Eur., 2014, p. 523 e ss.; I. FERRETTI, «Contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali: prime osservazioni sulla direttiva 2014/17/UE», ivi, p. 869 e ss.; C. RIEFA, «Responsible Lending on the Horizon? - The new Directive on Credit Agreements Relating to Residential Property», in Zeitschrift für Europäisches Unternehmens - und Verbraucherrecht, 2014, p. 47 e ss.; T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in Contratti, 2015, p. 72 e ss.; R. CALVO, «Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari e rappresentanti nella direttiva 2014/17/ UE», in Corr. giur., 2015, p. 824; R. GRISAFI, «Credito ai consumatori e beni immobili residenziali: la nuova direttiva mutui tra ragioni di omogeneità comunitaria e questioni di eterogeneità nazionale», in Studium iuris, 2015, p. 801 e ss.
(10) Cfr. F. AZZARRI, «I “prestiti in valuta estera” nella direttiva 2014/17/UE sui “contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali”», in ODCC, 2015, p. 187 e ss.
(11) Cfr., tra gli altri, L. ROSSI CARLEO, Sub Art. 4, in Codice del consumo. Commentario, a cura di L. Rossi Carleo - G. Alpa, Napoli, 2005, p. 115; E. MINERVINI, voce Codice del consumo, in Dig., disc. priv., sez. civ., 3° Agg., Torino, 2007, p. 184; C. BERTI-G. GLIATTA, Commentario breve al codice del consumo, Roma, 2008, p. 23 e ss.; A. CATRICALÀ - M.P. PIGNALOSA, Manuale del diritto dei consumatori, Roma, 2013, p. 38.
(12) G. CAPO, voce Codice del consumo, in Enc. dir., Annali, VII, Milano, 2014, p. 220.
(13) Cfr., ad esempio, l’art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/ CEE sulle clausole vessatorie: «gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Nello stesso senso, l’art. 11 della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, secondo cui i Paesi membri devono adottare «mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali» che «siano rivolti al futuro».
(14) Per un preciso inquadramento della problematica e l’indicazione dei principali riferimenti giurisprudenziali, v. N. REICH, «Der Effektivitätsgrundsatz im individuellen und kollektiven Rechtsschutz im EU-Verbraucherrecht», in Zeitschrift für Europäisches Unternehmens - und Verbraucherrecht, 2014, p. 63 e ss.; ID., The Principle of Effectiveness and EU Contract Law, in J. RUTGERS-P. SIRENA (eds.), Rules and Principles in European Contract Law, Cambridge-Antwerp-Portland, 2015, p. 45 ss.; nella nostra dottrina, S. PAGLIANTINI, «Effettività della tutela giurisdizionale, consumer welfare e diritto europeo dei contratti nel canone interpretativo della Corte di Giustizia: traccia per uno sguardo d’insieme», in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 804 e ss., secondo cui la Corte di Giustizia sembra «decidere con l’obiettivo di ottimizzare il livello di protezione del consumatore». Affermano che, in base alla legislazione europea e agli interventi della Corte di Giustizia, l’asimmetria del potere contrattuale che connota i rapporti in cui è parte un consumatore influenzi ormai altresì le norme processuali, V. ZENO - ZENCOVICH - M.C. PAGLIETTI, «Le droit processuel des consommateurs», in Revue de droit international et de droit comparé, 2014, p. 321 e ss., spec. p. 342 sugli indirizzi della Corte del Lussemburgo.
(15) Così L. VALLE, Sub Art. 4 cod. cons., in Commentario breve al diritto dei consumatori (Codice del consumo e legislazione complementare) 2, a cura di G. De Cristofaro - A. Zaccaria, Padova, 2013, p. 92, la quale osserva altresì che la relazione al codice del consumo identifica l’informazione/educazione del consumatore come un mezzo per la riduzione delle asimmetrie informative tra consumatore e professionista. Sull’evoluzione del concetto di «consumatore» in relazione ai rapporti con gli istituti bancari, v. M. RABITTI, «La qualità di “consumatore- cliente” nella giurisprudenza e nelle decisioni dell’arbitro bancario finanziario», in Contr. e impr., 2014, p. 201 ss.; R. GRISAFI, «Il consumatore parte del contratto bancario», in Studium iuris, 2014, p. 1417 e ss.
(16) In questo senso, oltre alle sentenze segnalate da S. PAGLIANTINI, «Effettività della tutela giurisdizionale, consumer welfare e diritto europeo …», cit., p. 806 e ss., cfr. da ultimo Corte Giust. UE, 4 giugno 2015, C-497/13, Froukje Faber c. Autobedijf Hazet Ochten BV, ove, tra l’altro, si afferma che il giudice nazionale può applicare d’ufficio, nel contesto di un giudizio d’appello, la norma che prevede, salvo prova contraria, la presunzione che i difetti di conformità manifestatisi entro sei mesi dalla consegna del bene esistono già al momento della consegna (art. 5, par. 3, direttiva 99/44/CE). La Corte, in virtù della natura e dell’interesse pubblico sul quale si fondano le norme a tutela dei consumatori, ritiene la disposizione una norma «equivalente a una norma nazionale di ordine pubblico».
(17) In termini problematici, v. N. REICH, The Principle of Effectiveness and EU Contract Law, cit., p. 64. Ai contributi citati in precedenza, adde, relativamente al problema dell’autonomia degli Stati membri in materia processuale, A ADINOLPHI, ‘The “Procedural Autonomy” of Member States and the Constraints Stemming from the ECJ’s Case Law: Is Judicial Activism Still Necessary?’, in H. - W. MICKLITZ - B. DE WITTE (eds.), The European Court of Justice and the Autonomy of the Member States, Antwerp, 2012, p. 279 e ss.; M. BOBEK, Why There is No Principle of “Procedural Autonomy” of the Member States, ivi, p. 305 ss.; H.-W. MICKLITZ, The ECJ Between the Individual Citizen and the Member States - A Plea for a Judge-Made European Law on Remedies, ivi, p. 347 ss.
(18) Nella nostra dottrina, v. soprattutto R. CATERINA, «Psicologia della decisione e tutela del consumatore», in An. giur. econ., 2012, p. 67 e ss.; ID., «Architettura delle scelte e tutela del consumatore», in Cons., dir. e merc., 2012, p. 73 e ss.; nonché, con specifico riguardo alle pratiche ingannevoli, ID., «Psicologia della decisione e tutela del consumatore: il problema delle “pratiche ingannevoli”», in Sist. int., 2010, p. 221 e ss.
(19) Ci si riferisce, in particolare, a O. BAR-GILL, «The Behavioral Economics of Consumer Contracts», 92 Minnesota Law Review (2007), p. 749 e ss.; ID., Seduction by Contract: Law, Economics, and Psychology in Consumer Markets, Oxford, 2013. Ad esempio, tra le tecniche utilizzate per «sedurre» il consumatore, si segnala quella di proporre la fornitura di un servizio a un basso costo iniziale allo scopo di protrarre il vincolo contrattuale per un lungo periodo.
(20) Cfr. l’art. 14, par. 6, direttiva 2014/17/UE. Ma v., sulle incertezze relative all’attuazione delle disposizioni, R. GRISAFI, «Credito ai consumatori e beni immobili residenziali: la nuova direttiva mutui», cit., p. 802.
(21) V., per tutti, O. BEN-SHAHAR-C.E. SCHNEIDER, «More Than You Wanted to Know. The Failure of Mandated Disclosure», Princeton University Press, 2014, p. 55 e ss.
(22) Relativamente ai rapporti con gli obblighi informativi, v. S. PAGLIANTINI, voce Trasparenza contrattuale, in Enc. dir., Annali, Milano, 2012, p. 1280 e ss.; nella prospettiva della psicologia cognitiva, G. GRISI, Gli obblighi informativi quali rimedio dei fallimenti cognitivi, in Oltre il soggetto razionale. Fallimenti cognitivi e razionalità limitata nel diritto privato, a cura di G. Rojas Elgueta - N. Vardi, Roma, 2014, p. 64 e ss. Con specifico riguardo al settore finanziario, v. E. BRODI, «Dal dovere di far conoscere al dovere di far “comprendere”: l’evoluzione del principio di trasparenza», in Banca, borsa e tit. cred., 2011, p. 246 e ss.
(23) Cfr. M. NOVARESE, «Educazione finanziaria e regolamentazione: riflessioni di economica cognitiva», in An. giur. ec., 2012, p. 97 e ss.; U. MORERA, «Nuove prospettive per l’educazione finanziaria», in Foro it., 2015, V, c. 129 e ss. Ma v. V. ZENO-ZENCOVICH, «Il lato oscuro della legge: diritto e superstizione», in Riv. dir. civ., 2013, p. 327: «La reazione del legislatore, nell’Unione europea, solo in parte punta a prevenire comportamenti economici irrazionali attraverso l’educazione del consumatore e la sua informazione; prevalentemente, invece, dà per acquisito il fatto che questi comportamenti irrazionali esistono e sono permanenti. Pertanto introduce apposite misure per prevenire o ridurre le conseguenze negative (per il consumatore) della sua irrazionale condotta economica».
(24) Con specifico riferimento al settore in esame, cfr. F. CAPRIGLIONE, «La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’Adr», in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 261 e ss.; G. GUIZZI, «Chi ha paura dell’Abf ? (Una breve risposta a “La giustizia nei rapporti bancari finanziari - La prospettiva dell’Adr”», ivi, p. 665 e ss.; E. MINERVINI, L’arbitro bancario finanziario. Una nuova «forma» di Adr, Napoli, 2014; G. MARZIALE, «L’Arbitro bancario finanziario: luci ed ombre», in Contratti, 2016, p. 505.
(25) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’applicazione dell’acquis in materia di protezione dei consumatori, del 2 luglio 2009, COM(2009) 330 def., p. 14. Per ciò che qui interessa, nella citata comunicazione si legge altresì: «I consumatori informati che sanno a chi rivolgersi in caso di mancato rispetto delle norme e sono in grado di riconoscere e segnalare le violazioni costituiscono un fattore importante ai fini del rilevamento dei comportamenti non conformi. È per questo che la Commissione giudica molto importante assicurare che i consumatori siano consapevoli dei loro diritti e integra in vari modi le politiche di informazione e di educazione dei consumatori degli Stati membri». In relazione alla comunicazione v. anche il parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’applicazione dell’acquis in materia di protezione dei consumatori», 2011/C 18/18.
(26) V. tra gli altri, A. QUERCI, «Le novità introdotte nel codice del consumo dal D.l. 1/2012 ed il ruolo delle associazioni dei consumatori nella tutela contro le clausole vessatorie», in Contr. e impr., 2013, p. 446 e ss., spec. p. 461 e ss.: «le associazioni dei consumatori assumono anzitutto una funzione di educazione e di informativa e, se del caso, di promozione degli interessi dei consumatori e di attività giudiziale a loro difesa». Riguardo alla legittimazione delle associazioni nelle azioni di classe, cfr. A. PALMIERI, La tutela collettiva dei consumatori. Profili soggettivi, Torino, 2011, 127 e ss.; E. FERRANTE, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, Padova, 2012, p. 80 e ss.; T. FEBBRAJO, L’azione di classe a tutela dei consumatori. Profili sostanziali, Napoli, 2012, p. 66 e ss.; A.C. DI LANDRO, Interessi dei consumatori e azione di classe, Napoli, 2012, p. 50 e ss., nonché in prospettiva comparatistica, M. CASPER-A. JANSSEN - P. POHLMANN - R. SCHULZE (Hrsg.), Auf dem Weg zu einer europäischen Sammelklage?, Munich, 2009. Con riferimento al settore in esame, v. A.C. DI LANDRO, «Azione di classe e contratti bancari», in Contratti, 2014, p. 1127 e ss.
(27) Così L. VALLE, Sub Art. 4 cod. cons., cit., p. 94.
(28) Cfr. E. SIRSI, «Il diritto all’educazione del consumatore di alimenti», in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 496 e ss.; G. SPOTO, «Tutela del consumatore e sicurezza alimentare: obblighi di informazione in etichetta», in Contr. e impr., 2014, p. 1071 e ss., spec. p. 1078, nota 14. L’educazione è promossa altresì allo scopo di contenere il fenomeno dell’obesità: v. E. PODDIGHE, Obesità e diritto. Uno studio sul «paternalismo alimentare», Bologna, 2014, p. 45 e ss.; S. BOLOGNINI, «Food Labels in the Fight against Obesity: The Contribution of EU Rules on the Provision of Food Information to the European Strategy for the Prevention of Obesity», in Journal of European Consumer and Market Law, 2015, p. 87 e ss.
(29) Una esaustiva rassegna dei «fattori alla base dell’esigenza di un’educazione finanziaria» è presentata da U. MORERA, op. cit., c. 125 e ss.
(30) Gli indicati esempi sono di U. MORERA, op. cit., c. 126 e ss.
(31) V. il commento di K. FUCCI, «Sub Art. 18».
(32) Una ricerca condotta negli Stati Uniti, ormai risalente a qualche anno fa, su potenziali acquirenti di case dotati di basso reddito, ha messo in luce l’efficacia di avvalersi di una consulenza prima di contrarre un mutuo. Infatti, per la categoria di persone che aveva ottenuto una consulenza è stato registrato in media un tasso di insolvenza inferiore del 13% rispetto a chi non si era avvalso di tale possibilità: cfr. A. HIRAD - P.M. ZORN, «A Little Knowledge Is a Good Thing: Empirical Evidence of the Effectiveness of Pre-Purchase Homeownership Counseling (May 2001)», reperibile su http://www.freddiemac.com/.
(33) A titolo esemplificativo, è sufficiente pensare ai pericoli connessi alla c.d. clausola floor, spesso contenuta nei contratti di mutuo a tasso variabile, che prevede un limite al di sotto del quale gli interessi compensativi non possono scendere: v. F. SARTORI, «Sulla clausola floor nei contratti di mutuo», in Contr. e impr., 2015, p. 698 e ss., spec. sul controllo di abusività della clausola, p. 708 e ss.
(34) Cfr., ancora con riferimento al mercato statunitense, J.M. COLLINS-C.M. O’ROURKE, «Homeownership Education and Counseling: Do We Know What Works?», Research Institute for Housing America Research Paper, No. 1102, April 2011; M.M. SMITH-D. HOCHBERG- W.H. GREENE, «The Effectiveness of Pre-Purchase Homeownership Counseling and Financial Management Skills, A Special Report by the Community Development Studies and Education Department of the Federal Reserve Bank of Philadelphia», 2014, reperibile su http://www.philadelphiafed.org/. Sui costi relativi alla consulenza in vista dell’acquisto di immobili, v. L.E. GREEN-L. DELGADILLO, «Estimating Pre-Purchase Housing Counseling and Education Costs per Client», in 42 Journal of Extension, 2007, reperibile su http://www.joe. org/. Nella nostra dottrina, v., per tutti, F.G. VITERBO, Consulenza in materia di investimenti (servizio ed attività di), in Dig. disc. priv. sez. comm., 6° Agg., Torino, 2012, p. 201 e ss.
(35) Cfr. M. GORGONI, voce Contratto di credito al consumatore, in Dig., disc. priv., sez. comm., 6° Agg., Torino, 2012, p. 252, secondo cui, in assenza di programmi educativi, le fasce più vulnerabili della popolazione, «già socialmente escluse», non potrebbero ottenere benefici dalle informazioni ricevute.
(36) Così invece T. RUMI, op. cit., p. 80.
(37) Non si nega, tuttavia, che sussistono argomenti testuali per offrire una lettura diversa delle proposizioni, contenute nell’art. 6, secondo cui «[p]er guidare i consumatori, specialmente quelli che sottoscrivono un credito ipotecario per la prima volta, sono necessarie informazioni chiare e generali sulla procedura per la concessione del credito. Sono inoltre necessarie informazioni sulla guida che le organizzazioni di consumatori e le autorità nazionali possono fornire ai consumatori».
(38) Sia pure con riferimento a un diverso tipo di rapporto finanziario, afferma la sussistenza di un «privilegio informativo» dell’intermediario, F. GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Milano, 2010, p. 37 e ss. In argomento, in un’epoca in cui si contavano ben pochi interventi del legislatore europeo con riguardo al settore finanziario, v. R. LENER, Forma contrattuale e tutela del contraente «non qualificato» nel mercato finanziario, Milano, 1996, p. 32 e ss., in merito al problema del formalismo negoziale, E. CAPOBIANCO, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, Napoli, 2000, p. 91 e ss. Da una prospettiva più ampia, v. F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004, p. 164 e ss.
(39) Avverte il suddetto rischio, M.T. PARACAMPO, «Il ruolo dell’educazione finanziaria nella recente disciplina del mercato finanziario», in Dirittobancario. it, 2011, p. 3 e ss.: «incombe il rischio di sopravvalutare o “esaltare” l’educazione finanziaria come contrappeso dei comportamenti degli intermediari, attribuendogli le fattezze di un elemento di compensazione della responsabilità degli intermediari inadempienti o sbilanciando eccessivamente, sul versante applicativo, il baricentro delle responsabilità a sfavore degli investitori». Cfr. già ID., «Educazione finanziaria e protezione dei risparmiatori: miti e realtà», in An. giur. ec., 2010, p. 253 e ss.
(40) Abf Roma, 20 agosto 2013, n. 4440, pres. G. Marziale, est. P. Sirena. Nella specie, una cliente aveva promosso un ricorso contro tre banche per ottenere l’annullamento di tre contratti di finanziamento, adducendo la mancata valutazione del proprio merito creditizio. Il Collegio di Roma ha rigettato il ricorso mettendo, tuttavia, in luce che la ratio della normativa sul merito creditizio non è soltanto quella di tutelare oggettivamente il mercato del credito, evitando che il denaro ottenuto dalle banche mediante la raccolta del risparmio sia vincolato in impieghi troppo rischiosi, ma anche quella di tenere conto delle esigenze e della situazione finanziaria del consumatore. Sulla decisione v. M.M. FRANCISETTI BROLIN, op. cit., p. 359 nota 5.
(41) Abf Coll. coord., 29 novembre 2013, n. 6182, pres. G. Marziale, est. E. Quadri.
(42) Qualche criticità, in questo senso, potrebbe derivare dalla scarsa attenzione che il legislatore europeo ha dedicato al profilo del mancato o inesatto adempimento degli obblighi posti in capo ai creditori e agli intermediari nell’ambito dei rapporti di consulenza: cfr. R. CALVO, op. cit., p. 825 e ss. Sullo stesso problema, nell’ambito di specifiche esperienze giuridiche del nord Europa, v. P. KALAMEES - K. LILLEHOLT - K. SEIN, «Responsible Lending in Estonian and Norwegian Law», in Journal of European Consumer and Market Law, 2015, p. 29 e ss., spec. p. 35.
(43) Comunicazione della Commissione sull’educazione finanziaria, del 18 dicembre 2007, COM(2007), 808 def. In precedenza, fra le azioni già avviate, la Commissione aveva messo a punto uno strumento di istruzione on line, ancora in rete, denominato «Dolceta» (in epoca attuale, «consumerclassroom»), che propone una formazione per tutti i settori investiti dal diritto dei consumatori.
(44) In merito ai suddetti aspetti, cfr. A. LUSARDI, «Saving and the effectiveness of Financial Education», in Pension Research Council Working Paper, 2003-14, Pension Research Council, 2003; A. LUSARDI-O. MITCHELL, «The Economic Importance of Financial Literacy: Theory and Evidence», in 52 Journal of Economic Literature, 2014, p. 5 e ss.
(45) I principi affermati dalla Commissione europea nella comunicazione COM(2007), 808 def. sono i seguenti: 1. l’istruzione finanziaria deve essere disponibile e attivamente promossa in maniera continua durante l’intero arco della vita; 2. i programmi di istruzione finanziaria devono rispondere in maniera precisa alle esigenze delle persone e essere disponibili tempestivamente, nonché essere facilmente accessibili; 3. i consumatori devono beneficiare di un’istruzione in materia economica e finanziaria quanto prima e in età scolastica; tale materia dovrebbe preferibilmente essere inserita nei programmi generali delle scuole; 4. i programmi di istruzione finanziaria devono comprendere strumenti generali in grado di attirare l’attenzione sulla necessità di migliorare le conoscenze sugli aspetti e sui rischi finanziari; 5. i programmi di istruzione finanziaria offerti dai prestatori di servizi finanziari devono essere equilibrati, trasparenti e oggettivi. Inoltre, essi devono sempre rispondere agli interessi dei consumatori; 6. gli addetti alla formazione nel settore finanziario devono beneficiare di un’adeguata formazione e delle risorse necessarie; 7. il coordinamento nazionale fra le parti interessate deve essere adeguatamente promosso e deve essere potenziata la cooperazione internazionale in relazione all’offerta di istruzione finanziaria per facilitare lo scambio delle migliori procedure; 8. i programmi di istruzione finanziaria dovrebbero essere periodicamente valutati e, ove necessario, attualizzati.
(46) Oltre a M. GORGONI, op. cit., p. 252, cfr. M. TRIFILIDIS, «L’educazione finanziaria: le iniziative a livello internazionale», in Cons., dir. e merc., 2009, p. 61 e ss., il quale espone dati idonei a mettere in evidenza come il grado di cultura finanziaria in diversi Paesi sia correlato al livello di istruzione scolastica e al reddito.
(47) Cfr. U. MORERA, op. cit., c. 127, il quale afferma: «l’Italia è il Paese al mondo con il più significativo divario tra la ricchezza media delle famiglie e la cultura economica registrabile all’interno delle stesse. Una pericolosa miscela di ricchezza e ignoranza che, alla lunga, se non si abbassa il livello dell’ignoranza, finirà inevitabilmente per comportare un abbassamento del livello della ricchezza».
(48) Cfr. M. TRIFILIDIS, op. cit., p. 65, il quale dà conto dell’esperienza degli Stati uniti in cui l’educazione finanziaria viene trattata, sotto ogni profilo, compreso quello valutativo, come ogni altra materia. In questo modo, ad avviso dell’Autore, si accresce l’interesse degli insegnanti ad insegnare e degli studenti ad apprendere.
(49) Le espressioni riportate sono di U. MORERA, op. cit., c. 128.
(50) Decisione 2008/365/CE della Commissione, del 30 aprile 2008, che istituisce un gruppo di esperti in materia di educazione finanziaria (Expert group on financial education - Egfe -).
(51) «Internal Market and services DG, Staff working document», 31 March 2011: Review of the initiatives of the European Commission in the area of financial education, p. 1: «limited progress in the provision of financial education has been registered since 2007 and most Member States still lag behind in giving an adequate response to the fact that EU consumers lack a sufficient level of financial literacy that might enable them to adequately understand financial services and products and to make informed financial choices».
(52) Si tratta della Repubblica ceca, dei Paesi bassi, del Portogallo, della Spagna, del Regno unito e della Svezia.
(53) Repubblica ceca, Regno unito e Ungheria.
(54) In questa prospettiva, a partire dalla direttiva 2014/17/ UE, potrebbe essere privilegiata una politica educativa a piccoli passi, atta a promuovere l’istruzione finanziaria di volta in volta con specifico riguardo al segmento di mercato disciplinato dalla direttiva.
(55) Cfr., oltre agli autori citati nelle note precedenti, G. TAGLIAVINI - B. RONCHINI, «Uno studio empirico circa il livello di educazione finanziaria in Italia», in Banca impr. soc., 2011, p. 49 e ss.
(56) Sul punto, v. S. BAIONA, «I confini tra regolazione pubblica e privata nel sistema bancario e finanziario italiano», in Giur. it., 2010, p. 1468 e ss.
(57) In questi termini la nota illustrativa presente sul sito della Banca d’Italia.
(58) Si tratta della tavola rotonda, dedicata alle scuole, alle Istituzioni, agli Enti pubblici e ai soggetti privati attivi sul fronte dell’educazione finanziaria, organizzata a Roma il 18 giugno 2015, che ha coinvolto il Ministero dell’istruzione dell’Università e della Ricerca, Confindustria, Mefop, Libera - Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie nonché i Direttori degli Uffici Scolastici Regionali della Lombardia e del Piemonte che hanno presentato i rispettivi progetti pilota.
(59) Nel programma degli Studi del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi Roma Tre risulta che il corso si svolge nella forma di laboratorio e si compone di due fasi, una teorica e una pratica. La prima costituisce una sessione introduttiva, composta da un modulo di lezioni frontali, volte a dotare gli studenti delle nozioni di base circa la complessa legislazione in materia bancaria e finanziaria. Segue una fase pratica, in cui gli studenti affrontano il passaggio dal «sapere» al «saper fare», venendo coinvolti nello studio e nell’approfondimento di casi concreti. A differenza delle simulazioni e del case method, i casi presentati in aula non costituiscono ipotesi di fantasia o casi pratici già conclusi, ma controversie potenziali e insolute, alle quali gli studenti dovranno cercare di fornire un orientamento legale, sotto la supervisione di un tutor, avvocato specializzato nella materia.
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