Direttiva 2014/17/UE - Art. 8 - Obbligo di fornire informazioni ai consumatori a titolo gratuito - Commento di Alberto Azara
Direttiva 2014/17/UE
Art. 8 - Obbligo di fornire informazioni ai consumatori a titolo gratuito
Commento di Alberto Azara
Assegnista di ricerca in Diritto privato, Luiss “Guido Carli”
Art. 8
Obbligo di fornire informazioni ai consumatori a titolo gratuito
Gli Stati membri provvedono affinché, ove ai consumatori siano fornite informazioni in conformità del disposto della presente direttiva, ciò avvenga a titolo gratuito per i consumatori.
Obbligo di fornire informazioni e gratuità
L’articolo in esame stabilisce che l’obbligo di fornire le informazioni ai consumatori deve essere adempiuto a titolo gratuito. Vi rientrano sia le informazioni rese nella fase precontrattuale, sia quelle rese dopo la conclusione del contratto. Ne discende che la consegna del Prospetto informativo europeo standardizzato (Pies) e il calcolo del Taeg non possono essere subordinati al pagamento di un corrispettivo. Del pari, anche le informazioni relative alle modifiche del tasso debitore devono essere comunicate a titolo gratuito (art. 27 della direttiva). La necessaria gratuità riguarda le informazioni fornite «in conformità del disposto della presente direttiva». Parrebbero, dunque, escluse dal campo di applicazione della norma le informazioni aggiuntive, ossia quelle non obbligatorie ai sensi della direttiva(1).
Giova a questo punto chiarire e precisare il significato della formula “a titolo gratuito”, la quale evoca l’antica distinzione tra atti a titolo gratuito e atti a titolo oneroso.
Muoviamo da una premessa: il concetto di gratuità, che trova il proprio contrario nella onerosità, non si restringe alla materia contrattuale, giacché mostra una vocazione ben più ampia(2).
L’onerosità e la gratuità, infatti, non sono declinate soltanto rispetto al contratto, ma anche rispetto all’atto unilaterale. Appare sufficiente rammentare il caso delle disposizioni testamentarie, rispetto alle quali, mentre è dubbio che si tratti, sempre, di atti liberali, non può escludersi, di certo, che si tratti di atti a titolo gratuito(3). Ne discende che la gratuità e, per converso, la onerosità hanno riguardo alla distribuzione dei sacrifici economici tra le parti del rapporto. Sicché possiamo affermare che un atto è “a titolo gratuito” quando i sacrifici economici sono sopportati esclusivamente da una parte, mentre va qualificato “a titolo oneroso” quando i sacrifici economici gravano su entrambe le parti.
In semplici parole, il criterio di valutazione riposa sui vantaggi e i sacrifici che un atto giuridico procura ai soggetti del rapporto. E, tuttavia, codesta definizione non riesce appagante.
Le difficoltà sorgono quando l’interprete è chiamato ad attribuire un significato preciso e univoco ai lemmi “vantaggio” e “sacrificio”, poiché essi sono suscettibili di differenti interpretazioni. Si confrontano, in particolare, due posizioni(4).
La dottrina dominante qualifica onerosi gli atti in cui «ciascuna parte fa una prestazione a favore dell’altra, e la prestazione è il sacrificio che la parte sopporta per il vantaggio rappresentato dal ricevere la prestazione di controparte»(5). Qui viene in rilievo il concetto di onerosità come rapporto tra prestazioni o, meglio, tra effetti giuridici favorevoli e sfavorevoli(6). L’effetto (reale o obbligatorio) è favorevole alla parte che acquista il diritto e sfavorevole per l’altra che dismette un diritto o assume un obbligo. L’esistenza di più prestazioni in capo a ciascuna parte rende l’atto oneroso. Quando, invece, una parte esegue una prestazione senza un corrispettivo o senza che l’altra sia tenuta ad eseguire a sua volta una prestazione, l’atto deve qualificarsi gratuito.
Questa linea non è condivisa da una dottrina minoritaria(7), la quale sposta l’attenzione dal piano strettamente giuridico al piano economico. L’analisi si concentra sugli interessi perseguiti dalle parti. L’atto è a titolo oneroso se l’autore dell’attribuzione, pur non ricevendo una controprestazione (in senso tecnico), è mosso da un interesse di natura patrimoniale (interesse economico); nell’ipotesi contraria, l’atto è a titolo gratuito. Si reca, così, l’esempio del contratto di deposito, che non preveda a carico del depositante il pagamento di un corrispettivo. Sebbene il depositante non esegua alcuna prestazione, tale contratto avrebbe natura onerosa qualora la custodia del bene garantisca la soddisfazione di un interesse patrimoniale del depositario (p.e. la sponsorizzazione dell’attività commerciale)(8).
La tesi elaborata dalla dottrina minoritaria non sembra sottrarsi ad alcuni rilievi critici.
Il codice civile vigente, a differenza del codice civile del 1865, non definisce il concetto di onerosità e gratuità. Tuttavia, l’esame della disciplina positiva lascia emergere l’intimo rapporto tra tale concetto e gli effetti giuridici favorevoli e sfavorevoli. Vengono in particolare rilievo, tra gli altri: l’art. 1371 c.c., il quale, prevedendo che, al ricorrere di determinate condizioni, il contratto debba essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, postula l’esistenza di un obbligo in capo ad una sola parte; gli artt. 1678 e 1681, comma 3, c.c., dai quali si ricava che la presenza di un corrispettivo distingue il contratto di trasporto oneroso da quello gratuito; l’art. 1709 c.c., che, dopo avere fissato la presunzione di onerosità del mandato, prescrive la disciplina volta alla determinazione del compenso; gli artt. 1861, 1862 e 1872 c.c., che qualificano onerosa la rendita (perpetua e vitalizia) quando essa rappresenta il corrispettivo dell’alienazione di un immobile o della cessione di un capitale; l’art. 67, comma 1, n. 1, L.fall., che subordina la revocazione fallimentare degli atti a titolo oneroso al rapporto tra le prestazioni di ciascuna parte(9). In breve, il giudizio di onerosità o gratuità va svolto avendo riguardo alle prestazioni ossia agli effetti giuridici favorevoli o sfavorevoli. La mera esistenza di un interesse patrimoniale (o, se si preferisce, economico) nulla dice intorno alla natura onerosa dell’atto. Questa linea sembra trovare conferma anche nell’articolo in esame. Il legislatore europeo ha disposto che l’adempimento dell’obbligo di fornire informazioni avvenga a titolo gratuito «per i consumatori». Qui l’accento cade non già sull’interesse economico del soggetto obbligato, ma sulle eventuali prestazioni che potrebbero essere chieste al destinatario delle informazioni. Il diritto di ricevere le informazioni non è idoneo a giustificare un effetto sfavorevole a carico del consumatore. Donde la nullità dell’atto che, quale corrispettivo degli obblighi informativi, preveda un mutamento sfavorevole della sfera giuridica patrimoniale del consumatore.
La tesi esige, tuttavia, una precisazione ulteriore.
L’art. 1174 c.c. immette nella struttura dell’obbligazione l’interesse del creditore(10). La prestazione non consiste semplicemente nel contegno del debitore, ma nella combinazione di “contegno” e “interesse”; sicché tale contegno deve valutarsi anche avendo riguardo all’interesse del soggetto attivo del rapporto obbligatorio(11). Così, a mo’ d’esempio, l’art. 1256 c.c. prevede l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità temporanea della prestazione allorché «il creditore non abbia più interesse a conseguirla»; l’art. 1455 c.c. dispone che la gravità dell’inadempimento deve essere valutata alla luce dell’interesse del creditore; l’art. 1464 assegna al creditore il diritto di recesso per impossibilità parziale della prestazione «qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale»; l’art. 1457 c.c. fissa un intimo legame tra interesse del creditore ed essenzialità del termine(12). L’obbligazione
- ammonisce la dottrina - nel suo complesso non è solo regola di comportamento, ma regola di comportamento in funzione del raggiungimento di un risultato(13); non mera condotta, ma contegno volto alla realizzazione di un determinato scopo. Per questa via, si delinea una inscindibile endiadi “comportamento-risultato”: l’attribuzione della qualifica di doverosità è svolta necessariamente alla luce del risultato atteso dal creditore.
Codesta relazione necessaria tra comportamento dovuto e interesse della controparte si riverbera sul giudizio di onerosità-gratuità dell’atto. Essa consente di chiarire e precisare la formula secondo cui un l’atto è “a titolo gratuito” quando i sacrifici economici sono sopportati esclusivamente da una parte, mentre va qualificato “a titolo oneroso”, quando i sacrifici economici gravano su entrambe le parti. L’interprete non può limitarsi a guardare gli effetti vantaggiosi o svantaggiosi che discendono dall’atto. Il profilo funzionale non si colloca fuori della prestazione, la quale assume una struttura complessa (comportamento + interesse)(14). E, tuttavia, qui non viene in rilievo l’interesse che fa capo all’autore dell’attribuzione, bensì l’interesse di colui che riceve l’attribuzione. Sarà, dunque, possibile predicare la gratuità dell’atto, anche quando su entrambe le parti gravano dei sacrifici economici, ma quelli di una, sono, proporzionalmente, di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra(15). In altri termini, l’importanza del sacrifico sopportato da una parte deve essere valutato alla luce dell’interesse dell’altra e viceversa. Su questa linea, potrà affermarsi la gratuità del titolo nei casi di scarsa importanza e la onerosità nei casi di non scarsa importanza.
Tale criterio consente di valutare se la richiesta di un mero rimborso spese sia compatibile con la gratuità della prestazione. Facendo applicazione del principio enunciato, si dovrebbe reputare legittima tale richiesta. Siccome l’obbligo di rimborsare le spese è un sacrificio economico di scarsa importanza per il soggetto tenuto ad adempiere agli obblighi informativi, la prestazione eseguita da colui che fornisce le informazioni conserva la propria natura gratuita.(16)
L’interprete potrebbe giungere a conclusioni diverse solo applicando in via analogica l’art. 126-ter Tub(17), ai sensi del quale il prestatore dei servizi di pagamento non può richiedere all’utilizzatore spese inerenti all’informativa resa ai sensi di legge. Viceversa, possono essere concordate le spese relative a informazioni supplementari o più frequenti. Ciò a condizione che la voce “rimborso spese” non mascheri in realtà un compenso dovuto dal consumatore quale corrispettivo per le informazioni ricevute. Il rimborso spese dovrà, dunque, essere adeguato e conforme ai costi effettivi sostenuti dal creditore, dall’intermediario del credito o dal rappresentante designato(18).
Alla luce di questi brevi rilievi, sembra opportuno un intervento del legislatore nazionale diretto a chiarire se il rimborso spese sia o non sia compatibile con la natura essenzialmente gratuita della prestazione svolta dall’informatore.
Gratuità della prestazione e statuto giuridico del debitore
Viene da domandarsi se la essenziale gratuità della prestazione incida sul regime della responsabilità per colpa del debitore. Vengono qui in esame gli artt. 1710 e 1768 c.c., i quali, in tema rispettivamente di mandato e di deposito gratuito, prevedono che la responsabilità del mandatario e del depositario sia valutata con minor rigore. In particolare, l’art. 1710 c.c., dopo aver disposto che «il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia», precisa che «se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore». Del pari, l’art. 1768 c.c., comma 1, stabilisce che «il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia», mentre al comma 2 soggiunge che, «se il deposito è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore». Si suole accompagnare a tali ipotesi quella dell’erede che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario (art. 491 c.c.) e del donante (art. 789 c.c.): il primo risponde dell’amministrazione dei beni ereditarî solo per colpa grave; il secondo, in caso di inadempimento o di ritardo nell’eseguire la donazione, è responsabile solo per dolo o per colpa grave.
Le posizioni di dottrina oscillano tra due poli.
Una prima ricostruzione considera le norme richiamate come costitutive di un diverso criterio di determinazione della diligenza. Si argomenta da questa idea: un giudizio meno rigoroso «suppone necessariamente una meno rigorosa misura, oltre che della responsabilità, della diligenza (almeno da un punto di vista quantitativo)»(19). In altri termini, il modello di condotta sarebbe caratterizzato da un contenuto meno intenso di quello del buon padre di famiglia (art. 1176 c.c.).
Secondo un diverso orientamento, la gratuità non incide sulla diligenza richiesta nell’esecuzione dell’incarico, che resta quella fissata dall’art. 1176 c.c., ma implica esclusivamente un’attenuazione delle conseguenze ricollegate all’inadempimento(20). Per questa via, la valutazione di “minor rigore” si appunta non già sul comportamento dovuto, bensì sulla misura del risarcimento: non sull’an, ma sul quantum della responsabilità. Questa linea troverebbe sicuro sostegno nell’art. 2030 c.c., il quale stabilisce, dapprima, che «il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero dal mandato» e, successivamente, che «il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questo sarebbe tenuto per effetto della sua colpa».
La prima tesi appare più convincente e persuasiva. L’espressione “minor rigore” va posta in relazione all’elemento enunciato in precedenza e, dunque, al criterio di valutazione rappresentato dalla diligenza. Il giudice non sarà chiamato semplicemente a moderare il risarcimento del danno, ma dovrà valutare il comportamento del debitore alla luce di un modello di condotta diverso da quello delineato dall’art. 1176 c.c.
In ogni caso, dalle disposizioni tolte in esame sarebbe possibile ricavare un principio generale: quando la prestazione è eseguita dal debitore a titolo gratuito, la responsabilità è valutata con minor rigore.
Si tratta allora di capire se codesto principio trovi applicazione anche alla responsabilità dei soggetti tenuti ad osservare gli obblighi informativi.
La tesi negativa si fonda sull’esegesi sia dei considerando che degli articoli.
In particolare, giova rammentare il considerando n. 5, il quale precisa che lo scopo della direttiva è garantire un «elevato livello di protezione dei consumatori nel settore dei contratti di credito relativi ai beni immobili». La formula «elevato livello di protezione dei consumatori» ricorre anche nei considerando nn. 6, 7, 15 e 82; mentre nel considerando n. 49 il legislatore usa l’espressione «elevato grado di tutela in tutta l’Unione». Su questa linea si colloca anche il considerando n. 31, il quale chiarisce che «per assicurarsi la fiducia dei consumatori è essenziale garantire un elevato livello di equità, onestà e professionalità nel settore e un’appropriata gestione dei conflitti d’interesse, compresi quelli legati alla remunerazione, nonché prevedere che la consulenza sia fornita nel migliore interesse del consumatore». Del medesimo tenore il considerando n. 68, ove si segnala che «determinati standard a livello dell’Unione sono essenziali per garantire un elevato livello di professionalità e servizio». Volgendo lo sguardo agli articoli della direttiva, vengono in particolare rilievo gli artt. 7, comma 4, e 2, comma 3, lett. d. Con il primo, il legislatore europeo impone agli Stati membri di provvedere affinché la struttura remunerativa del personale impiegato dagli enti che forniscono servizi di consulenza non ne pregiudichi «la capacità di agire nel migliore interesse del consumatore».
Con il secondo, si prevede che, qualora ai consumatori siano forniti servizi di consulenza, gli Stati membri provvedano affinché «i creditori, gli intermediari del credito o i rappresentanti designati agiscano nel migliore interesse del consumatore: i) informandosi in merito ai bisogni e alla situazione del consumatore; e ii) raccomandando contratti di credito adeguati conformemente alle lettere a), b) e c)».
In sintesi: la direttiva ripudia la valutazione di minor rigore della responsabilità gravante sul professionista. Nonostante la necessaria gratuità della prestazione, il legislatore esige un elevato livello di professionalità, affinché sia garantito un altrettanto elevato livello di tutela del consumatore. Sotto questa luce, tutte le norme che fissano obblighi informativi si configurano come eccezionali: esse derogano al principio secondo cui la natura gratuita del titolo incide sulla valutazione della responsabilità del debitore.
L’applicazione analogica delle norme che stabiliscono obblighi informativi
Le conclusioni rassegnate alla fine del precedente paragrafo consentono di sciogliere i dubbî in ordine alla possibile applicazione analogica delle norme che fissano obblighi informativi.
Si pensi, a mo’ d’esempio, al settore dell’intermediazione assicurativa o alle attività svolte da enti creditizî o finanziarî, che non rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva in esame. Una volta chiarita la natura eccezionale delle norme menzionate, appare evidente come l’analogia legis risulti preclusa ai sensi dell’art. 14 disp. prel. c.c.
Questa tesi sembra trovare duplice conferma nella lettura dei considerando. In particolare, al considerando n. 28 il legislatore precisa che «la piena e incondizionata responsabilità di creditori e intermediari del credito in ordine alle attività degli intermediari del credito con vincolo di mandato o dei rappresentanti designati dovrebbe estendersi soltanto ad attività che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, a meno che gli Stati membri scelgano di estendere tale responsabilità ad altri settori». L’applicazione della direttiva ad altri settori sembra affidata esclusivamente alla scelta dei singoli Stati membri. Sarà il legislatore nazionale a decidere se, e in che limiti, estendere le norme sulla responsabilità ad altri soggetti o ad altre attività. Del pari, il considerando n. 18 chiarisce che «i contratti di credito non garantiti il cui obiettivo sia il restauro di un bene immobile residenziale per un ammontare del credito superiore a 75 000 EUR dovrebbero ricadere nell’ambito della direttiva
2008/48/CE al fine di assicurare a quei consumatori un livello di protezione equivalente ed evitare ogni lacuna regolamentare tra tale direttiva e la presente direttiva». E proprio per garantire codesta protezione equivalente, nel medesimo considerando si reputa «opportuno» modificare la direttiva
2008/48/CE. L’unico strumento per garantire l’omogeneità di disciplina è la modifica normativa. L’analogia non è contemplata per colmare eventuali lacune regolamentari, le quali reclamano il necessario intervento del legislatore. Donde il corollario: le norme della direttiva che stabiliscono obblighi informativi, facendo «eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati» (art. 14 disp. prel. c.c.).
(1) Tali informazioni aggiuntive debbono essere date mediante un documento distinto dal Pies ed eventualmente allegato al Pies stesso (art. 14 comma 8, Tub).
(2) O.T. SCOZZAFAVA, «La qualificazione di onerosità o gratuità del titolo», in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 73, muovendo dal caso del contratto a favore del terzo, nel quale non si avvantaggia il soggetto che ha subito il sacrificio, giunge alla conclusione che il concetto di onerosità e di gratuità non riguarda l’atto, ma l’acquisto.
(3) V. BARBA, Commento sub 769 c.c. - La donazione, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Delle donazioni, Artt. 769-809, a cura di G. Bonilini, Torino, 2014, p. 11-12.
(4) Le posizioni della dottrina sono ripercorse da G. ANDREOTTI, «La causa concreta nel giudizio di onerosità e gratuità», in Obbl. e contr., 1, 2012, p. 31 e ss.
(5) V. ROPPO, Il contratto, in Tratt. Iudica e Zatti, Milano, 2011, p. 412.
(6) V. ROPPO, op. cit., p. 413, dopo aver chiarito che sono onerosi gli atti in cui «ciascuna parte fa una prestazione a favore dell’altra, e la prestazione è il sacrificio che la parte sopporta per il vantaggio rappresentato dal ricevere la prestazione di controparte» precisa che il termine prestazione va inteso in senso ampio. Secondo l’A. “prestazione” può essere una obbligazione, come quella del compratore di pagare il prezzo al venditore; il trasferimento di un diritto, come quello che il venditore compie in favore del compratore; la costituzione di un diritto nuovo; la rinuncia di un proprio diritto verso controparte; in generale ogni modificazione delle situazioni giuridiche esistenti tra fra parti, suscettibile di costituire un sacrificio giuridico-economico per l’una e un vantaggio giuridico-economico per l’altra.
(7) F. SCAGLIONE, «Intersoggettività e gratuità nei contratti», in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 390 e ss.; A. DI BIASE, «La rilevanza della “causa concreta” nella revocatoria fallimentare del pagamento del debito altrui», in Contratti, 2010, p. 1013; G. MINUTOLI, «Onerosità e gratuità dell’adempimento del terzo, vantaggio compensativo ed onere della prova», in Fallimento, 2006, p. 801; E. ZOCCA, «Gratuità ed onerosità del pagamento del debito altrui ai fini della revocatoria fallimentare: l’intervento delle Sezioni Unite», in Giur. comm., 2011, II, p. 578 e ss. si tratta della dottrina che si è affermata dopo la sentenza Cass. civ., S.U., 18 marzo 2010, n. 6538, la cui massima recita: «In tema di revocatoria fallimentare di atti a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 64 L.fall., la valutazione di gratuità ed onerosità di un negozio giuridico va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, costituita dallo scopo pratico del negozio, e cioè dalla sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato; per cui la relativa classificazione non può più fondarsi sull’esistenza o meno di un rapporto sinallagmatico e corrispettivo tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma dipende necessariamente dall’apprezzamento dell’interesse sotteso all’intera operazione da parte del solvens, quale emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti e soprattutto dalla prospettiva di subire un depauperamento collegato o non collegato ad un sia pur indiretto guadagno o risparmio di spesa. Pertanto, nell’ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi fallito, di un’obbligazione preesistente cui egli sia estraneo, l’atto solutorio può dirsi gratuito, agli effetti dell’art. 64 L.fall., solo quando dall’operazione che esso conclude - sia essa a struttura semplice perché esaurita in un atto, sia a struttura complessa, in quanto si componga di un collegamento di atti e negozi - il terzo non ne trae nessun concreto vantaggio patrimoniale ed egli abbia inteso così recare un vantaggio al debitore; mentre la ragione deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceva un vantaggio per questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, così da recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta ed elidere quel pregiudizio, cui l’ordinamento pone rimedio con l’inefficacia ex lege».
(8) L’esempio è recato da G. ANDREOTTI, op. cit., p. 38, il quale, tuttavia, rifiuta la teoria che guarda agli interessi perseguiti dalle parti.
(9) Svolge queste notazioni G. ANDREOTTI, op. cit., p. 38.
(10) M. ORLANDI, La responsabilità solidale, Milano, 1993, p. 43 e ss.
(11) M. ORLANDI, op. cit., p. 44, afferma che l’interesse del creditore è elemento essenziale della prestazione.
(12) Questi esempi sono recati da M. ORLANDI, op. cit., p. 43-44.
(13) A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro IV, Bologna- Roma, 1985, p. 111.
(14) M. ORLANDI, op. cit., p. 45, osserva che la prestazione, in cui l’obbligazione si risolve, non è semplicemente il materiale e concreto agire del debitore (non la mera descrizione di un atto umano), ma l’intreccio inscindibile e unitario tra comportamento del debitore ed «interesse anche non patrimoniale del creditore».
(15) Questo criterio è proposto da V. BARBA, op. cit., p. 12- 13-14.
(16) Tale criterio - seppur non esplicitamente - sembrerebbe applicato dalla giurisprudenza, la quale ha stabilito che «il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se vi si inserisce un modus posto a carico del comodatario, di consistenza tale da non costituire corrispettivo del godimento della cosa, come nel caso in cui, in relazione al godimento di un immobile, sia previsto il periodico versamento di una certa somma da parte del beneficiario a titolo di rimborso spese» (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4976, in Giur. it., 1998, I, 2, p. 1128. In senso conforme: App. Napoli, 20 dicembre 1996, ibidem; Cass., 25 settembre 1990, n. 9718, in Rep. Foro it., 1990, voce “Comodato”, n. 7; App. Palermo, 29 luglio 1988, in Temi sic., 1989, p. 52; Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1987, n. 1132, in Rep. Foro it., 1987, voce “Comodato”, n. 5; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1984, n 2151, in Giur. agr. it., 1985, p. 157; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1984, n. 491, ivi, 1984, p. 89; Cass. civ., sez. III, 17 giugno 1980, n. 3834, in Giur. it., 1981, I, 1, p. 1510).
(17) Sull’applicazione analogica delle norme contenute nei c.d. codici di settore v. F. FERRARO, «Analogia e codici di settore», in Riv. dir. civ., 4, 2011, p. 511 e ss.
(18) Cfr. Banca d’Italia prov. 20 giugno 2012, All. “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”.
(19) C.A. FUNAIOLI, Deposito. Sequestro convenzionale, cessione dei beni ai creditori, in Tratt. Grosso, Santoro Passarelli, Milano, 1961, p. 63, nt. 20; A. GALASSO, G. GALASSO, Deposito, in Dig., sez. civ., V, Torino, 1989, p. 253. La tesi è criticata da M. ZANA, «Valutazione “con minor rigore” della responsabilità per colpa», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1974, p. 19 e ss.
(20) Così U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, II, Milano, 1967, p. 122 F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, IV, ed. 9°, Milano, 1954, p. 268; DE MARTINI, Deposito (diritto civile), in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1960, p. 513; MASTROPAOLO, Deposito (in generale), in Enc. giur., X, Roma, 1988, p. 14. A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1173-1176, Bologna-Roma, 1988, p. 428-429, osserva che nel caso del mandatario o del depositario a titolo gratuito la responsabilità sarà pur sempre per colpa lieve, anche se detta colpa andrà valutata con “minor rigore” rispetto alle ipotesi normali. Secondo l’A., il giudice potrà tenere conto di tutte quelle circostanze che abbiano impedito all’obbligato di impiegare lo sforzo o l’impegno ad esso tipicamente richiesto per l’adempimento dell’obbligo.
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