Direttiva 2014/17/UE - Art. 9 - Requisiti di conoscenza e competenza per il personale - Commento di Alberto Azara
Direttiva 2014/17/UE
Art. 9 - Requisiti di conoscenza e competenza per il personale
Commento di Alberto Azara
Assegnista di ricerca in Diritto privato, Luiss “Guido Carli”
Art. 9
Requisiti di conoscenza e competenza per il personale
1. Gli Stati membri provvedono affinché i creditori, gli intermediari del credito e i rappresentanti designati richiedano al loro personale di avere e mantenere un livello di conoscenza e di competenza adeguato per mettere a punto, offrire o concludere contratti di credito, svolgere attività di intermediazione del credito di cui all’articolo 4, punto 5, o fornire servizi di consulenza. Quando la conclusione di un contratto di credito include la prestazione di un servizio accessorio, è richiesto un livello di conoscenza e di competenza adeguato in relazione a tale servizio accessorio.
2. Fatti salvi i casi di cui al paragrafo 3, gli Stati membri d’origine stabiliscono i requisiti di conoscenza e di competenza minimi per il personale dei creditori, degli intermediari del credito e dei rappresentanti designati conformemente ai principi di cui all’allegato III.
3. Qualora un creditore o intermediario del credito fornisca i propri servizi nel territorio di uno o più altri Stati membri: i) attraverso una succursale, lo Stato membro ospitante è responsabile della determinazione dei requisiti di conoscenza e competenza minimi applicabili al personale di una succursale;
ii) in regime di libera prestazione di servizi, lo Stato membro d’origine è responsabile della determinazione dei requisiti di conoscenza e competenza minimi applicabili al personale conformemente all’allegato III, tuttavia, gli Stati membri ospitanti possono stabilire i requisiti di conoscenza e competenza minimi per quanto riguarda i requisiti di cui all’allegato III, paragrafo 1, lettere b, c, e, e f.
4. Gli Stati membri provvedono affinché la conformità ai requisiti fissati al paragrafo 1 sia soggetta alla vigilanza delle autorità competenti e affinché le autorità competenti abbiano il potere di imporre ai creditori, agli intermediari del credito o ai rappresentanti designati l’obbligo di fornire tutte le informazioni che l’autorità competente ritenga necessarie per consentire detta vigilanza.
5. Per la vigilanza efficace dei creditori e degli intermediari del credito che forniscono i loro servizi nel territorio di altri Stati membri in regime di libera prestazione di servizi, le autorità competenti degli Stati membri ospitante e d’origine cooperano strettamente per la vigilanza e i controlli efficaci dei requisiti di conoscenza e competenza minimi dello Stato membro ospitante. A tal fine possono delegarsi a vicenda compiti e responsabilità.
Ambito soggettivo e oggettivo di applicazione
L’articolo in esame è volto a garantire un livello di conoscenza e competenza adeguato del personale impiegato non solo dai creditori, ma anche dagli intermediari del credito e dai rappresentanti designati. Nel moderno mercato si è progressivamente dilatata la distanza tra l’erogatore del finanziamento e l’anello terminale che si trova a contatto con il cliente(1). La commercializzazione dei prodotti creditizi è ormai capillarmente svolta sul territorio da banche e società finanziarie che si avvalgono di canali di vendita diversificati. Codesto fenomeno ha creato i presupposti per il consolidamento di prassi anomale e non conformi ai canoni deontologici. Di qui l’esigenza di prevedere una rigida selezione soprattutto dei soggetti che offrono fuori sede i prodotti bancari(2). In questa luce si spiega l’intervento del legislatore europeo, il quale ha inteso aumentare il livello di tutela dei clienti e la qualità dei servizi erogati, affidando ai singoli Stati membri il compito di stabilire i requisiti di conoscenza e di competenza minimi del personale, in conformità ai principi di cui all’allegato III.
In particolare, tali requisiti minimi devono comprendere almeno:
a) conoscenza adeguata dei prodotti di credito che rientrano nell’ambito d’applicazione dell’articolo 3 e dei servizi accessori solitamente offerti congiuntamente;
b) conoscenza adeguata delle disposizioni di legge relative ai contratti di credito per i consumatori e in materia di tutela dei consumatori;
c) conoscenza e comprensione adeguate della procedura di acquisto del bene immobile;
d) conoscenza adeguata della valutazione delle garanzie;
e) conoscenza adeguata dell’organizzazione e del funzionamento dei registri immobiliari;
f) conoscenza adeguata del mercato nello Stato membro interessato;
g) conoscenza adeguata degli standard di etica professionale;
h) conoscenza adeguata della procedura di valutazione del merito di credito del consumatore o, se del caso, competenza nella valutazione del merito di credito dei consumatori;
i) competenza adeguata in materia economica e finanziaria.
La valutazione intorno all’adeguatezza del livello di conoscenza e competenza dovrà essere svolta sulla base di:
1) qualifiche professionali, ad esempio diplomi, lauree, formazione professionale, prove di competenza;
o
2) esperienza professionale, che può definirsi come un numero minimo di anni di lavoro in settori riguardanti l’erogazione, la distribuzione o l’intermediazione di prodotti creditizi.
Appare evidente che i soggetti indicati all’art. 9 dovranno possedere un organico adeguato sia alla struttura dimensionale, che al numero degli incarichi. Ovviamente ciascuno Stato membro potrà prevedere disposizioni più rigorose in ordine ai requisiti di conoscenza e competenza del personale. Con particolare riguardo al punto 1, osserviamo che la direttiva non si occupa del riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute in uno Stato membro per soddisfare i requisiti di conoscenza e competenza stabilite in un altro Stato membro. È, dunque, necessario continuare ad applicare la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, in ordine alle condizioni per il riconoscimento e ai provvedimenti di compensazione che uno Stato membro ospitante può richiedere a una persona la cui qualifica non è stata rilasciata nella sua giurisdizione.
Ai sensi dell’art. 4 n. 11 lett. a, della direttiva, il lemma “personale” designa le persone fisiche che lavorano per il creditore o l’intermediario del credito, che esercitano direttamente le attività di cui alla presente direttiva o che hanno contatti con i consumatori nell’esercizio delle attività di cui alla presente direttiva. Si tratta, in particolare, degli addetti al front-office e al back-office, dirigenza compresa, che ricoprono un ruolo importante nelle procedure relative ai contratti di credito. Rientrano nella categoria del personale anche i collaboratori, ossia coloro che operano sulla base di un incarico conferito ai sensi dell’art. 1742 c.c.(3 )Diversamente, le persone che svolgono mansioni di supporto non legate alle procedure relative ai contratti di credito (ad esempio personale delle risorse umane o personale impegnato nei servizi in materia di tecnologia dell’informazione e della comunicazione) si collocano fuori del perimetro semantico della nozione di “personale”. La nozione non risulta omogenea rispetto a quella recata dall’art. 1, comma 2, lett. h-novies, Tub(4), il quale così definisce il personale: ‹‹i dipendenti e coloro che comunque operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione aziendale, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato››. Nella categoria individuata dal Tub non sono inclusi, infatti, i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo (argomentando ex art. 144-ter Tub).
Gli Stati membri dovrebbero, inoltre, poter consentire a creditori, intermediari del credito e rappresentanti designati di differenziare i requisiti minimi di conoscenza secondo il grado di partecipazione all’esecuzione di determinati servizi o procedure.
Requisiti di professionalità per il personale del creditore nell’ordinamento italiano
La direttiva affida alle autorità competenti nazionali la vigilanza sul rispetto dei requisiti fissati al paragrafo 1; agli Stati membri, invece, spetta il compito di stabilire le norme riguardanti le sanzioni applicabili nel caso di mancato rispetto dei requisiti minimi. Tali sanzioni ai sensi dell’art. 38 dovranno essere efficaci, proporzionate e dissuasive, nonché osservare l’art. 33 della direttiva, il quale prevede che l’autorità competente dello Stato membro di origine può revocare l’abilitazione concessa a un intermediario del credito quando quest’ultimo non risponde più ai requisiti necessari per ottenere l’abilitazione.
Non v’ha dubbio che, in fase di attuazione della direttiva, la disciplina dell’art. 9 dovrà essere coordinata con la disciplina nazionale già esistente.
Giova, in particolare, distinguere, da un lato, le norme applicabili ai creditori; dall’altro, quelle applicabili agli intermediari del credito.
Muoviamo dalle prime.
Il Tub si occupa esclusivamente dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali, ossia i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche (art. 26 Tub)(5). Il nuovo testo dell’art. 26 Tub (come modificato dall’art. 1, comma 13, D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72), al pari del testo previgente, affida l’individuazione dei requisiti di professionalità a una fonte secondaria: un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato, previa consultazione della Banca d’Italia. Tale decreto, oltre ad indicare i requisiti di professionalità e indipendenza, graduandoli alla luce del principio di proporzionalità, dovrà anche stabilire criteri di competenza coerenti con la carica da ricoprire e con le caratteristiche della banca.
In attuazione della delega contenuta nel vecchio testo dell’art. 26 Tub, il Ministro del Tesoro aveva adottato il decreto n. 161 del 18 marzo 1998, il quale reca agli artt. 1 e 2 regole differenti per le banche costituite in forma di SpA e di banca popolare e le banche di credito cooperativo. Ai sensi dell’art. 2, comma 7, D.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, la disciplina attuativa emanata ai sensi del nuovo testo dell’articolo 26 Tub trova applicazione alle nomine successive alla data di entrata in vigore del decreto stesso. Fino a tale momento, continua ad applicarsi l’art. 26 Tub nella versione precedente alle modifiche apportate dal D.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, e la relativa disciplina attuativa. Con riguardo a tale disciplina, viene in particolare rilievo la circolare della Banca d’Italia n. 229 del 21 aprile 1999 (tit. II, cap. 2, Sez. II, par. 2), la quale, tra l’altro, prevede: i) la procedura che il consiglio di amministrazione della banca deve seguire al fine di verificare la sussistenza dei requisiti da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo; ii) l’obbligo di comunicare il verbale della riunione alla Banca d’Italia; iii) i poteri della Banca d’Italia in ordine alla valutazione dei requisiti. Giova inoltre rammentare che con l’avvio del Meccanismo di vigilanza unico (Mvu), il compito di verificare i requisiti degli esponenti delle banche e delle società capogruppo (c.d. fit and proper assessment) è svolto dalla Banca centrale europea per quanto riguarda gli esponenti delle banche “significative” e dalla Banca d’Italia per quelli delle banche “meno significative”.
La legge nulla dice riguardo a coloro che non possono qualificarsi esponenti aziendali, né la circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e ss. aggiornamenti contiene disposizioni sul tema. Alla luce del quadro normativo delineato, è auspicabile un intervento del legislatore italiano volto a chiarire e precisare i requisiti minimi fissati nell’allegato III della direttiva, con particolare riguardo ai dipendenti e ai collaboratori.
Tali norme potranno essere eterointegrate dalle disposizioni impartite dalla Banca d’Italia nell’ambito dei propri poteri di vigilanza regolamentare (art. 53 Tub). Codesto meccanismo precettivo è stato riconosciuto e approvato dalla giurisprudenza di legittimità(6). La Corte di Cassazione ha osservato che in tema di sanzioni amministrative, l’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, non contiene - a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali, per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. - una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono. Su questa linea, la norma che affida alla Banca d’Italia il compito di integrare il precetto non può qualificarsi “norma punitiva in bianco”. I poteri di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art. 51 Tub) e di vigilanza regolamentare (art. 53 Tub) non sono lasciati al mero arbitrio dell’organo di controllo, bensì sono esercitati in conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello europeo), a strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge(7). Resta, tuttavia, ferma la riserva assoluta per la determinazione in astratto della sanzione, pecuniaria o accessoria, la quale deve necessariamente essere stabilita dalla legge. Si esclude, per questa via, qualsiasi forma d’integrazione o specificazione da parte delle autorità amministrative(8).
L’apparato sanzionatorio, nel caso in esame, dovrebbe essere garantito dall’art. 144, comma 1, lett. a, Tub (così come modificato dall’art. 1, comma 53, D.lgs. 16 novembre 2015, n. 181), il quale prevede che l’inosservanza delle disposizioni relative al possesso dei requisiti prescritti dall’art. 26 sia punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato, suscettibile di essere irrogata nei confronti della banca ed eventualmente della relativa capogruppo. Occorrerà, eventualmente, integrare tale articolo richiamando la disciplina che attuerà l’art. 9 della direttiva.
Il nuovo art. 144-ter, comma 1, Tub, prevede che la Banca d’Italia possa applicare nei confronti degli esponenti o del personale una sanzione pecuniaria (da euro 5.000 fino a 5 milioni di euro).
In particolare, la sanzione alla persona fisica può essere irrogata soltanto al ricorrere di specifiche circostanze connotate da particolare gravità o pericolosità. L’art. 144-ter, comma 3, Tub prevede anche la possibilità di applicare la sanzione accessoria dell’interdizione temporanea dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso intermediari bancari, finanziari e assicurativi o fondi pensione alla luce «della gravità della violazione accertata e tenuto conto dei criteri stabiliti dall’articolo 144-quater». La norma individua tra i possibili destinatari delle sanzioni anche il “personale”, ossia «i dipendenti e coloro che comunque operano sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione aziendale, anche in forma diversa dal rapporto di lavoro subordinato» (art. 1, comma 2, lett. h-novies, Tub). Tuttavia, siccome l’art. 26 contempla requisiti di professionalità solo per gli esponenti aziendali, attualmente non è immaginabile una violazione della disposizione in esame che determini la responsabilità dei soggetti appartenenti al “personale” (art. 1, comma 2, lett. h-novies, Tub).
Requisiti di professionalità degli intermediari del credito nell’ordinamento italiano
La disciplina italiana dei requisiti di conoscenza e competenza per il personale degli intermediari del credito risulta più dettagliata(9).
Lo sguardo sùbito si volge all’art. 128-novies Tub, il quale impone agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi(10 )di assicurare e verificare, anche attraverso l’adozione di adeguate procedure interne, che i dipendenti e collaboratori di cui si avvalgono per il contatto con il pubblico, rispettino le norme loro applicabili, possiedano i requisiti di onorabilità e professionalità indicati all’art.
128-quinquies, lett. c, Tub, per l’iscrizione nell’elenco degli agenti in attività finanziaria, ad esclusione del superamento dell’apposito esame, e all’articolo 128-septies, lettere d, ed e, Tub, per l’iscrizione nell’elenco dei mediatori creditizi, ad esclusione del superamento dell’apposito esame, e curino l’aggiornamento professionale(11).
L’art. 128-quinquies, lett. c, Tub è stato attuato con l’introduzione dell’art. 14 D.lgs.13 agosto 2010, n. 141, il quale, al comma 1, subordina l’iscrizione delle persone fisiche nell’elenco degli agenti in attività finanziaria di cui all’art. 128-quater, comma 2, Tub, al possesso di specifici requisiti: i) titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore, rilasciato a seguito di corso di durata quinquennale ovvero quadriennale, integrato dal corso annuale previsto per legge, o un titolo di studio estero ritenuto equipollente a tutti gli effetti di legge; ii) frequenza ad un corso di formazione professionale nelle materie rilevanti nell’esercizio dell’agenzia in attività finanziaria; iii) possesso di un’adeguata conoscenza in materie giuridiche, economiche, finanziarie e tecniche. Il medesimo art.
14 D.lgs.13 agosto 2010, n. 141, prevede i requisiti di professionalità per l’iscrizione delle persone giuridiche nell’elenco degli agenti in attività finanziaria e per l’iscrizione delle persone giuridiche nell’elenco dei mediatori creditizi.
Qualora, poi, gli agenti in attività finanziaria siano persone fisiche o società di persone, l’art.
128-novies, comma 2, stabilisce l’obbligo di avvalersi di dipendenti e collaboratori iscritti nell’elenco tenuto dall’Organismo competente ai sensi dell’art. 128-quater, comma 2. Sicché quando l’attività di agenzia in attività finanziaria è esercitata mediante strutture meno complesse e articolate si è reputato opportuno mantenere il requisito della doppia iscrizione.
Gli agenti in attività finanziaria e le società di mediazione sono tenuti a controllare il rispetto dei requisiti per dipendenti e collaboratori. Tale obbligo è vòlto, in primo luogo, a tutelare il cliente. Si rileva, infatti, che «se la catena di vendita è eccessivamente lunga, se troppi soggetti intervengono senza essere sottoposti ad adeguati controlli nel processo di collocamento del prodotto creditizio, tende a salire il “costo” finale applicato al credito concesso al cliente/consumatore»(12).
Il controllo e la vigilanza sugli agenti in attività finanziaria e le società di mediazione spetta all’Oam(13). Si tratta si un organismo con personalità giuridica di diritto privato, che dispone di autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria, e gestisce, tra l’altro, gli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. Il Mef approva con regolamento lo statuto dell’Organismo, sentita la Banca d’Italia. L’Organismo è dotato non solo di funzioni di vigilanza(14), ma anche di poteri sanzionatori. Esso, tra i vari compiti, provvede all’iscrizione negli elenchi, previa verifica dei requisiti previsti, determina e riscuote i contributi, nonché le altre somme dovute per l’iscrizione.
L’art. 21, comma 1, lett. h, D.lgs.13 agosto 2010, n. 141, riserva all’Organismo il compito di stabilire gli standard dei corsi di formazione che le società di mediazione sono tenute a svolgere nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori o lavoratori autonomi; mentre ai sensi della lett. i del medesimo articolo, l’Oam stabilisce i contenuti della prova valutativa prevista dall’art. 128-novies Tub. Con la circolare n. 19/14(15 )l’Oam ha introdotto nuove disposizioni relative agli obblighi di formazione e aggiornamento professionale per gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi, nonché per i rispettivi amministratori, direttori, dipendenti e collaboratori.
In particolare, prima di instaurare un rapporto di amministrazione, direzione, dipendenza o collaborazione con l’intermediario del credito, il soggetto è tenuto a partecipare a corsi di formazione della durata non inferiore a 10 ore svolti o in aula o mediante videoconferenza o con la modalità e-learning(16). Tale corso si conclude con un test di verifica delle conoscenze acquisite, all’esito positivo del quale è rilasciato un attestato comprovante il conseguimento dell’obbligo formativo. L’art. 4 della circolare disciplina nel dettaglio l’attività di aggiornamento professionale(17), la quale deve essere svolta con cadenza biennale; mentre l’art. 5 prevede alcuni casi particolari di esonero dagli obblighi di aggiornamento professionale.
L’apparato sanzionatorio per l’inosservanza degli obblighi di aggiornamento professionale e la violazione delle altre norme (legislative o amministrative) che regolano l’attività dell’agente finanziario e del mediatore creditizio è delineato dall’art. 128-duodecies, comma 1, Tub, il quale assegna all’Organismo di autogoverno il potere di applicare nei confronti degli iscritti: a) il richiamo scritto; b) la sospensione dall’esercizio dell’attività per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno; c) la cancellazione dagli elenchi previsti dagli articoli 128-quater, comma 2 e 128-sexies, comma 2. Il comma 3 del medesimo articolo precisa che, nel caso di «perdita di uno dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività», la misura sanzionatoria applicabile è la cancellazione dagli elenchi di cui agli artt. 128-quater, comma 2, Tub, e 128-sexies, comma 2, Tub. Ne discende che, ove la violazione riguardi il possesso dei requisiti professionali dei dipendenti, la sanzione potrà essere più tenue ex art.
128-duodecies, comma 1, Tub. Essi infatti non rilevano per l’iscrizione nei rispettivi elenchi e, dunque, non sono «richiesti per l’esercizio dell’attività». Viceversa, ove la violazione riguardi il possesso dei requisiti professionali di coloro che non sono dipendenti, l’unica sanzione possibile è la cancellazione dall’elenco ex art. 128-duodecies, comma 2, Tub.
L’art. 145-bis Tub(18 )stabilisce che, avverso tali provvedimenti sanzionatori, è ammesso ricorso dell’interessato alla giurisdizione esclusiva del Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l’Organismo. Il ricorso deve essere depositato entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento e depositato presso il Tribunale amministrativo regionale competente entro 30 giorni dalla notificazione(19).
Questa disciplina sembra compatibile con le norme contenute nella direttiva.
L’art. 29 della direttiva prevede, infatti, che l’abilitazione degli intermediari del credito sia subordinata al possesso di alcuni requisiti professionali, oltre ai requisiti previsti dall’art. 9. L’art. 33, comma 1, dispone che l’autorità competente dello Stato membro di origine può revocare l’abilitazione concessa a un intermediario del credito, qualora quest’ultimo non risponda più ai requisiti necessari per ottenere l’abilitazione stessa. Il medesimo articolo, al comma 3, soggiunge che gli Stati membri provvedono affinché gli intermediari del credito la cui abilitazione è stata ritirata siano cancellati dal registro senza indebito ritardo. Ora, dall’uso della formula «può revocare» si ricava agevolmente che la revoca dell’abilitazione, con la conseguente cancellazione dal registro, è soltanto una delle sanzioni astrattamente applicabili. Non si esclude, dunque, la possibilità di contemplare ulteriori sanzioni per le ipotesi in cui l’inosservanza della disciplina relativa ai requisiti professionali sia meno grave. Sotto questa luce, il regime sanzionatorio più tenue per il caso di violazione dei requisiti professionali da parte dei dipendenti risulta conforme al principio di proporzionalità e coerente con le disposizioni racchiuse nell’art. 33 della direttiva.
Giova, inoltre, segnalare che nello svolgimento della propria attività di controllo, l’Oam può eseguire ispezioni, chiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, fissando i relativi termini. Su questa linea, parrebbe già attuato l’art. 9, comma 4, nella parte in cui prevede che le autorità competenti abbiano il potere di imporre agli intermediari del credito o ai rappresentanti designati l’obbligo di fornire tutte le informazioni necessarie per consentire la vigilanza. Potere armato dalle sanzione stabilite nel menzionato art. 128-duodecies Tub.
In caso di necessità e urgenza, l’Oam può, altresì, disporre in via cautelare la sospensione dagli elenchi per un periodo massimo di otto mesi, qualora sussistano precisi elementi che facciano presumere gravi violazioni di norme legislative o amministrative che regolano l’attività di agenzia in attività finanziaria o di mediazione creditizia. La Banca d’Italia vigila sull’Oam secondo modalità, dalla stessa stabilite, improntate a criteri di proporzionalità ed economicità dell’azione di controllo, al fine di verificare l’adeguatezza delle procedure interne adottate dall’Organismo per lo svolgimento dei compiti a questo affidati. Il rapporto tra Banca d’Italia e Oam è, in via generale, disciplinato a livello primario, con previsioni particolarmente dettagliate.
L’Organismo informa tempestivamente la Banca d’Italia degli atti e degli eventi di maggior rilievo relativi all’esercizio delle proprie funzioni e trasmette, entro il 31 gennaio di ogni anno, una relazione dettagliata sull’attività svolta nell’anno precedente e sul piano delle attività predisposto per l’anno in corso.
Sanzioni amministrative e conseguenze civili. La sospensione dell’attività
Occorre, a questo punto, interrogarsi intorno alle conseguenze civilistiche che discendono dai provvedimenti sanzionatori. In particolare, si tratta di chiarire se siano nulli gli atti compiuti in violazione delle sanzioni contemplate dall’art. 128-duodecies, lett. b e c, Tub, con riguardo agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi.
Muoviamo da una premessa: la nullità non può esser ricavata dalla mera circostanza che l’atto giuridico costituisca un illecito amministrativo. Il medesimo comportamento è suscettibile di ricevere molteplici qualifiche giuridiche (ad esempio, di contratto e di illecito amministrativo), né una qualifica esclude l’altra. La qualifica di illecito amministrativo non implica di per sé la nullità dell’atto, il quale, essendo preso in considerazione da norme civili e da norme amministrative è messo a confronto, separatamente, con le une e con le altre(20).
Pare opportuno prendere distintamente in esame, da un lato, la sospensione dall’esercizio dell’attività (art. 128-duodecies lett. b, Tub); dall’altro, la cancellazione dall’elenco (art. 128-duodecies lett. b, Tub). Nel primo caso, la nullità sembrerebbe da escludere, poiché la relazione di incompatibilità tra contratto e provvedimento di sospensione non può risolversi in favore di quest’ultimo.
Viene in rilievo il concetto di autonomia, il quale evoca in via immediata e diretta quello di eteronomia. L’autonomia si configura come spazio artificiale e normativo(21). Non spazio originario e vuoto di norme, semplicemente recepito nell’ordine giuridico; ma, spazio costituito dal diritto e reso riconoscibile ed individuo attraverso la posizione di confini normativi, che ne stabiliscono principio e termine(22). La regola è enunciata al primo comma dell’art. 1322 c.c. a mente del quale le parti hanno il potere di determinare liberamente il contenuto del contratto, ma nei limiti imposti dalla legge. L’idea di codesta sfera di autonomia evoca in via immediata e diretta quella di eteronomia(23). Come attribuisce ai privati il potere di stabilire regole confacenti ai loro interessi, allo stesso modo il legislatore traccia i limiti oltre i quali tale potere non può spingersi. Costruendosi come fenomeni correlati e complementari, i due concetti si delimitano a vicenda: dove finisce l’uno inizia l’altro. Il nesso tra le due sfere di competenza, privata e statale, si svolge secondo la dinamica del limite(24), sicché alla compressione dell’una corrisponde l’espansione dell’altra. Codesta dinamica di compressione dello spazio autonomo sembra affidata allo strumento tecnico della nullità: dove la legge valuta di non lasciare al potere dei singoli la determinazione di categorie di interessi, là prescrive nullità di clausole pattuite in violazione della disciplina inderogabile(25).
Il conflitto tra due qualifiche diverse ed opposte implicate da due fonti eterogenee (la legge e il contratto) è risolto mercé l’applicazione del criterio di gerarchia delle fonti: la norma imperativa prevale sulla difforme regola posta dai privati. Si tratta di una kelseniana antinomia tra fonti di grado diverso, in cui la validità dell’atto di livello inferiore non può che misurarsi sulla regola di grado superiore(26).
Sotto questa luce, la generale ed astratta disciplina imperativa rende nulle tutte le clausole ad essa contrarie per il proprio stesso esserci; diversamente, il provvedimento amministrativo dovrebbe ricercare fuori da sé una ragione della propria prevalenza. Tale ragione potrebbe risiedere nella fonte primaria attributiva del potere sanzionatorio?(27)
Incliniamo per la soluzione negativa.
L’attenzione deve ancora fermarsi sul giudizio di validità dell’atto di autonomia privata. Giudizio verticale e gerarchico che si risolve nella comparazione tra due sfere di disciplina. Esso esige sempre il confronto tra fonti disomogenee: l’una, quella statale, generale e astratta; l’altra, quella privata, particolare e concreta. Se il potere autonomo può essere esercitato nei limiti della legge, solo la legge sarà capace di segnare i confini della sfera di autonomia mediante la previsione di norme inderogabili; ché altrimenti il potere autonomo sarebbe in grado di resistere ad una norma sottrattiva di livello subordinato. In altri termini, il giudizio di validità implica una disparità di piani e una gerarchia di valori posti a confronto: l’atto può predicarsi valido solo rispetto a un criterio sovraordinato e prevalente(28).
Ora, l’art. 128-duodecies, lett. b, nella parte in cui affida all’Oam il potere di emettere il provvedimento di sospensione dall’attività non reca alcuna fattispecie di nullità tale da restringere la sfera di autonomia dei contraenti e sottrarre ad essi potere negoziale. I termini tra i quali si svolge il giudizio di incompatibilità sono, da una parte, il provvedimento sanzionatorio; dall’altra, il contratto concluso dall’intermediario sospeso. Gli effetti descritti dal negozio non sono incompatibili con gli effetti descritti dalla norma, ma con quelli stabiliti nel provvedimento di sospensione emesso dall’Oam. Quest’ultimo implica necessariamente il divieto di esercitare l’attività, il quale - al pari di tutte le obbligazioni negative - sarà suscettibile di adempimento o inadempimento; e, tuttavia, codesto divieto parrebbe non toccare la validità del contratto. Il riconoscimento generale dell’autonomia privata viene da una norma legislativa, sicché ogni limitazione del potere autonomo deve discendere da una norma di pari rango. La conformità o difformità del concreto accordo va valutata sempre alla luce del modello preesistente, fissato dalla norma primaria in via astratta e generale. Donde l’elementare dualismo: astrattezza-concretezza; generalità-singolarità.
Questa regola si spiega e giustifica alla luce della necessità di applicare un criterio che consenta di prevedere e precalcolare il grado di conformità dell’atto, e così pronosticare con certezza il destino del negozio (o delle singole clausole che lo compongono).
Ne discende duplice corollario: il criterio di validità deve essere sempre dato da una fonte primaria che rechi un modello astratto e generale; il provvedimento di sospensione dall’esercizio dell’attività non incide sulla validità dell’atto concluso dall’intermediario sanzionato.
(Segue): cancellazione dall’elenco e conseguenze civili
Altra e diversa soluzione parrebbe delinearsi con riguardo alla validità degli atti compiuti dall’intermediario del credito cancellato dall’elenco.
Viene qui in rilievo la figura dell’esercizio abusivo della professione. L’art. 140-bis Tub punisce, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa da euro 2.065 a euro 10.329, chiunque esercita professionalmente nei confronti del pubblico l’attività di agente in attività finanziaria o di mediatore creditizio senza essere iscritto nei rispettivi elenchi. L’art. 2231, comma 1, c.c. prevede che quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione. Si discute se il professionista possa esercitare l’azione di arricchimento la cui funzione sussidiaria e integrativa verrebbe meno quando l’ordinamento, per ragioni di ordine pubblico, nega la sua tutela a un determinato interesse(29). Il legislatore serba silenzio intorno alla validità del contratto concluso dall’intermediario del credito abusivo.
Torna sùbito alla mente la giurisprudenza che si è espressa in ordine alla validità del contratto di agenzia commerciale stipulato con un soggetto non iscritto al ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio in violazione del di vieto di esercitare l’attività previsto dall’art. 9, L. 3 maggio 1985, n. 204(30). La Corte di Cassazione ha chiarito che tale divieto non è suscettibile di deroga, poiché vòlto «a proteggere non solo gli interessi della categoria professionale degli agenti, ma anche quelli generali della collettività, alla quale non sono indifferenti determinati requisiti subiettivi degli agenti, quali il grado di preparazione, il possesso di comprovata probità e la specifica capacità professionale, verificati all’atto dell’iscrizione nell’albo al fine di assicurare l’auspicabile correttezza delle operazioni commerciali»(31). Su questa linea, il contratto è stato reputato nullo ex art. 1418, comma 1, c.c., siccome contrario a una norma imperativa. Questa linea è stata superata dall’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale, con la sentenza del 30 aprile 1998, n. 215(32), ha stabilito che ai sensi della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, l’iscrizione dell’agente in un albo non può essere considerata dalle discipline nazionali come una condizione di validità del contratto(33). La Corte di Giustizia rileva che «il legislatore comunitario, menzionando tassativamente solo la condizione di un atto scritto per la validità del contratto, con tale disposizione ha disciplinato in maniera esauriente la materia». Sicché «oltre alla redazione di un atto scritto, gli Stati membri non possono … imporre alcun’altra condizione».
Tuttavia, il principio di diritto enunciato dalla Corte di Giustizia non pare applicabile ai contratti conclusi dagli intermediari del credito non iscritti o cancellati dal registro pubblico. La direttiva prevede la possibilità di revocare l’abilitazione concessa a un intermediario del credito e stabilisce l’obbligo di cancellare dal registro il soggetto al quale è stata revocata l’abilitazione (art. 33 della direttiva). Essa, però, nulla dice intorno alla validità dei contratti conclusi dagli intermediari del credito, né si occupa delle conseguenze civili che discendono dall’esercizio abusivo dell’attività. Sicché, nel caso in esame, la materia non potrebbe qualificarsi «disciplinata in maniera esauriente».
Posto il divieto di esercitare l’attività in capo all’intermediario non iscritto (o cancellato), si tratta di capire come tale precetto penale incida sulla validità del contratto concluso dal soggetto inadempiente.
Emerge, per questa via, l’antico problema del contratto contrario a una norma penale(34).
La dottrina distingue tra reati in contratto e contratti reato(35). Nel primo caso, il negozio non è affetto da nullità (fatte salve le conseguenze sul regolamento dovute al comportamento del reo o allo stato soggettivo della vittima: annullabilità per dolo del contratto di truffa; annullabilità per incapacità del contratto di circonvenzione; rescissione per lesione del contratto di usura ecc.), giacché le condotte penalmente rilevanti sono poste in essere durante la fase della formazione o conclusione del contratto da una parte a danno dell’altra. Il reato commesso non incide direttamente sulla fattispecie negoziale, ma qualifica, come illecito, il comportamento tenuto da uno dei contraenti(36). Nel secondo caso, oggetto della sanzione è proprio il contratto, il quale risulterà nullo per illiceità. Qui penalmente rilevante non è la condotta di una parte ai danni dell’altra, bensì l’assetto di interessi divisato dai contranti e confluito nel negozio; non il comportamento di un soggetto, ma il contratto in sé considerato. Si pensi a mo’ d’esempio, al contratto di corruzione (artt. 318 e ss. c.p.); al contratto di ricettazione (art. 648 c.p.); al mutuo dell’amministratore con la società amministrata (art. 2624 c.c.).
Un’autorevole dottrina considera il contratto vietato solo qualora sia punito il comportamento negoziale di entrambe le parti(37). Diversamente, l’antigiuridicità penale non riguarderebbe il negozio, ma esclusivamente il comportamento della parte punita. In questi casi, «la pena non può per sé importare invalidità del contratto, coinvolgendo nella sanzione anche il soggetto per il quale la partecipazione al contratto è lecita»(38). Facendo applicazione di questi principi, il contratto concluso dall’intermediario abusivo non sarebbe invalido. L’esercizio abusivo dell’attività riguarda - per definizione - solo il soggetto non iscritto (o cancellato), sicché non può dirsi che il precetto penale punisca il comportamento di entrambi i contraenti.
Questa linea - seppur autorevolmente sostenuta - non appare convincente e persuasiva.
I rilievi critici muovono dalla classica dicotomia tra norme di condotta e norme di struttura. Le prime, orientano la condotta di un soggetto, imponendogli di adeguarla a un determinato modello, che chiamiamo “statuto” dell’obbligo. Le seconde, regolano la procedura per la formazione di fonti: non vincolano la condotta dei privati a conformarsi ad un predeterminato modello (descritto nella fattispecie), ma enunciano le modalità con cui essi possono validamente porre in essere il negozio.
Si insegna che la nullità virtuale esprime un conflitto tra modelli di condotta, ossia - per dirla in termini più consueti e familiari - tra effetti prodotti da fonti diverse: prevarrà allora il modello previsto dalla fonte gerarchicamente sovraordinata. Il legislatore dell’art. 1418, comma 1, c.c. si serve perspicuamente e rigorosamente dell’attributo “contrario” (“è nullo il contratto contrario ad una norma imperativa”). Contrarietà implica un concorso tra due fonti ed un confronto tra qualifiche o modelli di condotta, entrambi per definizione applicabili al medesimo soggetto ed al medesimo contesto. La contraddizione si traduce e converte nel nesso di incompatibilità logica tra modelli applicabili al medesimo caso(39). Sotto questo riguardo, la violazione del divieto di esercitare l’attività parrebbe configurare una causa di invalidità. Vi è una contrarietà tra (gli effetti de) il contratto e (gli effetti de) la norma di condotta(40).
Si noti come la relazione di incompatibilità non corra tra provvedimento di cancellazione e contratto, bensì tra quest’ultimo e norma penale imperativa (art. 140-bis Tub).
I doveri assunti dal soggetto non iscritto (o cancellato) si rivelano incompatibili con l’obbligo di non esercitare l’attività, poiché l’esecuzione della prestazione descritta nel negozio costituisce esercizio dell’attività vietata. Tale difformità di modelli è necessaria e sufficiente affinché venga dichiarato nullo il negozio ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.. Non rileva la circostanza che la condotta valutata come doverosa dalla norma inderogabile riguardi solo una delle parti del contratto. Ragionando diversamente sarebbe arduo spiegare come la nullità di una singola clausola possa estendersi(41 )all’intero contratto (art. 1419 c.c.). La clausola va intesa come quella unità linguistica del contratto capace di esprimere un autonomo precetto, sicché potrebbe dirsi che la clausola sta al suo precetto come la disposizione di legge sta alla norma giuridica(42). Essa - quale componente del negozio - costituisce di per sé una «parte elementare, un imperativo inscindibile»(43), pur potendo risultare da più proposizioni sintattiche compiute(44). Si tratta di una entità non suscettibile di ulteriore scomposizione, che esprime una regola alla quale gli autori del negozio affidano la disciplina di un interesse(45).
In questa prospettiva, la clausola è canone valutativo del contegno futuro di un soggetto, ossia descrizione di un modello di condotta alla luce del quale sarà valutato il comportamento di una parte. Sicché la formula «nullità della clausola per contrarietà a norma imperativa» si risolve nel nesso di incompatibilità tra modello negoziale di condotta applicabile ad una parte e modello di condotta previsto dalla fonte legale. Seguendo questa logica, la necessità che il comportamento vietato riguardi entrambe le parti risulta priva di fondamento. Ne discende che il divieto di esercitare l’attività, seppur riguardi solo l’intermediario non iscritto, è in grado di incidere sulla validità del negozio stipulato dallo stesso.
Alla medesima conclusione si giunge anche seguendo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che raccomanda all’interprete di valutare la natura della disposizione violata al fine di individuare lo scopo della legge e stabilire se la tutela apprestata sia di interesse pubblico o privato(46). Su questa linea, solo l’atto contrario a una norma posta a tutela di un interesse pubblico e generale sarebbe viziato da nullità(47).
Ora, si è già segnalato che l’abilitazione e l’istituzione di un elenco sono volti a proteggere non solo gli interessi della categoria professionale degli agenti, ma anche quelli generali della collettività. Abilitazione e iscrizione all’elenco garantiscono il possesso da parte del soggetto di specifici requisiti professionali e, dunque, un elevato livello di protezione dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili. Sicché, quand’anche si volesse aderire a tale indirizzo, il contratto stipulato dall’intermediario abusivo sarebbe invalido, poiché contrario ad una norma espressiva di un valore essenziale dell’ordinamento(48).
(Segue): l’iscrizione all’elenco come presupposto di validità del negozio
La tesi della nullità del contratto concluso dall’intermediario abusivo potrebbe trovare ulteriore conferma ove l’abilitazione e la successiva iscrizione al registro pubblico siano considerate quali presupposti di validità degli atti compiuti dall’intermediario.
«L’intervento dell’ordine pubblico - osserva la dottrina - può manifestarsi in duplice senso: o nell’esigere che gli elementi costitutivi del negozio (forma, contenuto, causa) siano conformati in una data maniera, o nel disporre che il negozio, pur corrispondendone la struttura interna al tipo prestabilito, non sorta il suo effetto, se ad esso non si accompagnino alcune circostanze»(49).
Tra queste circostanze estrinseche al negozio figurano i fatti e gli atti necessari affinché il soggetto possa reputarsi legittimato a concludere i contratti inerenti alla propria attività.
Emerge, per questa via, il concetto giuridico di legittimazione, il quale trova la propria origine nel campo del diritto processuale ove designa la possibilità per un soggetto di conseguire, mediante la proposizione della domanda, una decisione di merito(50).
Nel diritto sostanziale la legittimazione si colloca, accanto alla capacità di agire e all’idoneità dell’oggetto, tra i presupposti degli atti giuridici. Essa era definita da Francesco Carnelutti come l’idoneità giuridica dell’agente ad essere soggetto del rapporto che si svolge nell’atto(51). Lo scopo era quello di costruire una categoria correlativa a quella della capacità d’agire. Quest’ultima denota una qualità naturale; l’altra, una qualità giuridica.
A mo’ d’esempio: il minore degli anni quattordici è un soggetto penalmente incapace, mentre deve considerarsi non legittimato, in relazione al reato di cui all’art. 242 c.p., il soggetto privo della qualità di cittadino.
Ma va a Betti il merito di aver dato una più compiuta sistemazione del concetto nell’ambito della teoria generale del negozio giuridico.
La legittimazione diviene presupposto soggettivo-oggettivo del negozio, poiché riguarda il particolare rapporto del soggetto con l’oggetto del negozio(52). Posizione di competenza del soggetto nei confronti della materia che il negozio è destinato a regolare. Competenza - si precisa - ad ottenere o risentire gli effetti giuridici del regolamento d’interessi avuto di mira.
Il carattere generale e astratto della capacità di agire si rivela incapace di studiare i rapporti tra il soggetto e il concreto negozio o rapporto. Affiora l’esigenza di predisporre e costruire una categoria idonea a superare quello «iatus esistente tra la soggettività concepita in astratto … e le fattispecie concrete del commercio giuridico»(53). Il discorso teorico recupera in tal modo la dimensione concreta dei soggetti e degli oggetti con i quali e sui quali il singolo viene in rapporto(54).
Per questa via la teoria della legittimazione è chiamata a rispondere alla domanda: da chi e in confronto a chi il negozio è rettamente concluso, affinché possa spiegare gli effetti giuridici conformi alla sua funzione e aderenti all’assetto d’interessi divisato dalle parti(55).
Sotto questa luce, si chiarisce la sorte dei contratti stipulati dall’agente in attività finanziaria o dal mediatore abusivi. Rompendo il rapporto di competenza tra il soggetto e l’oggetto della fonte negoziale, la revoca dell’abilitazione e la successiva cancellazione dall’elenco si traducono in assenza di un presupposto del negozio: donde la nullità dei contratti stipulati dal destinatario della sanzione prevista dall’art. 128-duodecies, lett. c, Tub. Se la legge stabilisce che una determinata attività può esercitarsi solo previa abilitazione e iscrizione, non esiste un potere o una posizione fuori di quella legge; esiste, al contrario, esclusivamente il potere attribuito dai provvedimenti di abilitazione e iscrizione. Ne discende - quale logico corollario - che la revoca dell’abilitazione e la conseguente cancellazione dall’elenco toglie al soggetto la possibilità giuridica di stipulare dati negozi: non tanto lo obbliga a non compierli, quanto lo priva della legittimazione a compierli(56).
(1) Cfr. D. ROSELLI, «Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. La nuova disciplina», in Riv. banc., 2010, 5-6, p. 96.
(2) Comunicato della Banca d’Italia, i G.U. del 14 gennaio 2006, n. 11.
(3) Il collaboratore è, pertanto, equiparato alla figura dell’agente di commercio e, in quanto tale, è tenuto a seguire la normativa di riferimento
(4) Tale lettera è stata inserita dall’art. 1, comma 1, lett. e, D.lgs. 12 maggio 2015, n. 72.
(5) F. MAZZINI, Commento sub art. 26, Testo unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2010, p. 254 e ss.
(6) Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5743, in Foro amm. CdS, 2004, p. 679, ha reputato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23 e 97 Cost., dell’art. 144 D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in relazione ai precedenti artt. 51 e 53, comma 1, per violazione dell’obbligo di tipicità e determinatezza delle fattispecie soggette a sanzione amministrativa pecuniaria.
(7) Così testualmente Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5743, cit.
(8) Cass. civ., sez. I, 14 novembre 2003, n. 17176.
(9) Sui requisiti previsti per agenti e mediatori v. T. ATRIGNA, «Requisiti più selettivi per agenti e mediatori», in Guida al dir. - Dossier, 2010, 7, p. 87 e ss.; G. GALLO, «Mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria. Lineamenti della nuova disciplina introdotta dal D.lgs. 141/2010», in Riv. elettr. di dir. ec., man., 2011, 1, p. 139 e ss.; K. BUCAIONI, Commento sub art. 128-novies, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da F. Capriglione, Padova, 2012, p. 2107 e ss.; A. CIANI, Agenti in attività finanziaria, mediatori creditizi, ed altri intermediari del credito, 2014, passim e spec. p. 93 e ss. Con particolare riguardo alla figura dell’agente in attività finanziaria v. F. MAZZINI, voce Agente in attività finanziaria, in Dig., disc. priv. - sez. comm., Aggiornamento, 2012, p. 17 e ss.
(10) Si rammenti che l’art. 121, comma 1, lett. h, Tub, offre la nozione di “intermediario del credito”: «h) “intermediario del credito” indica gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dal titolo VI-bis, almeno una delle seguenti attività: 1) presentazione o proposta di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti; 2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore».
(11) K. BUCAIONI, op. cit., p. 2109, osserva che la scelta di trattare congiuntamente i requisiti richiesti a dipendenti e collaboratori sia di agenti in attività finanziaria, che di mediatori, appare non proprio felice, giacché le due figure professionali sono ormai nettamente distinte.
(12) Circolare della Banca d’Italia, “Cessione del quinto dello stipendio e operazioni assimilate: cautele e indirizzi per gli operatori”, 10 novembre 2009, n. 192691, consultabile sul sito http://www.bancaditalia.it/ Vigilanza.
(13) R. LENER, «La disciplina degli organismi per la tenuta degli albi dei professionisti operanti nel settore bancario, finanziario e assicurativo: un’ipotesi di riorganizzazione normativa», in Banca, borsa, tit. di cred., 1, 2014, p. 27.
(14) Si rammenti che dal 1° luglio 2014 l’Organismo esercita il controllo sugli agenti insediati in Italia per conto di istituti di moneta elettronica o istituti di pagamento comunitari e sui mediatori creditizi per verificare l’osservanza delle disposizioni di cui al titolo VI del Tub. G. LOSAPPIO, Commento sub artt. 132-145, Testo unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2010, p. 149, osserva che l’Organismo svolge una vigilanza di secondo grado, poiché l’attività di controllo dell’Organismo è soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia.
(15) La circolare dell’OAM n. 19/14, come si legge nelle premesse, è stata emanata al fine di «ridefinire le disposizioni concernenti gli obblighi di aggiornamento professionale per gli agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi che sostituiranno integralmente quelli previsti nella circolare n. 6/12 nonché quelli concernenti l’obbligo formativo previsto dall’art. 14, comma 1, lett. b, del D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141».
(16) L’Organismo con comunicazione n. 5/14 ha chiarito che tutti i soggetti che abbiano conseguito l’attestato di superamento della Prova Valutativa previsto dalla circolare n. 5/12 non sono, pertanto, tenuti ad effettuare altre attività formative prima dell’instaurazione del rapporto di collaborazione e/o dipendenza, fermi restando i successivi obblighi di aggiornamento previsti dagli artt. 4 e seguenti della circolare n. 19/14.
(17) L’aggiornamento riguarda le materie indicate nella Tabella B della circolare n. 19/14.
(18) Tale articolo è stato introdotto dall’art. 8, comma 11, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 5, commi 3 e 4, D.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218.
(19) Originariamente l’art. 8 del D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, prevedeva il deposito del ricorso presso la Corte d’Appello nonostante fosse prevista la giurisdizione esclusiva del Tar. L’art. 5, comma 3, D.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (c.d. “correttivo”) ha eliminato l’errore prevedendo il deposito presso il Tar.
(20) Così N. IRTI, «Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” - codici di autodisciplina)», in Giur. comm., 2003, 6, p. 696.
(21) M. ORLANDI, Autonomia e sovranità, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Atti del Convegno, Pisa, 25-26 maggio 2007, a cura di E. Navarretta, Milano, 2007, p. 202.
(22) M. ORLANDI, Autonomia e sovranità, cit., p. 202, osserva che l’espressione «il contratto produce gli effetti» si converte e risolve propriamente nell’altra: la legge riempie i propri effetti del contenuto deciso dalle parti.
(23) M. ORLANDI, Appunti sull’eteronomia contrattuale, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, a cura di V. Scalisi, Milano, 2004, p. 1089-1111.
(24) M. ORLANDI, Autonomia e sovranità, cit., p. 201.
(25) S. MARULLO DI CONDOJANNI, «Considerazioni in tema di equità e spazio giuridico autonomo (a proposito di Cass., S.U., n. 18128/2005)», in Riv. dir. civ., 2008, 8, p. 196.
(26) H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. it. di R. Treves, Torino, 1967, passim e spec. p. 114.
(27) Si pone questa domanda M. ORLANDI, «Autonomia privata e autorità indipendenti», in Riv. dir. priv., 2003, p. 291.
(28) M. ORLANDI, Autonomia e sovranità, cit., p. 203.
(29) Così Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1972, n. 1570. Contra Cass. civ., sez. lav., 19 agosto 1992, n. 9675, in Giust. civ., 1993, I, p. 1583, con nota di D’Amore; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2002, n. 10427, in Arch. civ., 2003, p. 519.
(30) Sull’evoluzione della giurisprudenza in materia v. F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 2° ed., 2008, p. 503 e ss.
(31) Cass. civ., sez. II, 4 novembre 1994, n. 9063, in Nuova Giur. civ. comm., 1995, I, p. 818. La tesi della nullità era condivisa anche dalla dottrina. M. PERASSI, Il contratto di agenzia, in Trattato Galgano, XVI, Padova, 1991, p. 403- 452, massime p. 464-476; A. BALDASSARRI, Il contratto di agenzia, Milano, 1992, p. 121 e ss.; V. PIERFELICI, «Gli agenti ed i rappresentanti non iscritti nel ruolo della L. 3 maggio 1985, n. 204», in Rass. dir. civ., 1987, p. 361-379; P. DE SANNA, «L’agente non iscritto al ruolo: il diritto alle provvigioni nella giurisprudenza», in Resp. civ. e prev., 1987, p. 604 e ss.
(32) Corte Giustizia CE, 30 aprile 1998, n. 215/97, in Resp. civ. e prev., 1998, p. 1338, con nota di S., Bastianon; v. anche Corte Giustizia CE, 13 luglio 2000, n. 456, in Corr. giur., 2000, 10, p. 1380.
(33) Su questa linea, v. Cass. civ., sez. lav., 12 novembre 1999, n. 12580, in Contratti, 2000, 2, p. 169; Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2002, n. 5505, in Foro it., 2002, I, c. 2709 nota di M. Caputi.
(34) Sul tema v. Cfr. G.B. FERRI, «Appunti sull’invalidità del contratto (dal codice civile del 1865 al codice civile del 1942)», in Riv. dir. comm., 1996, I, p. 393; I. BUGANI, La nullità del contratto, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, diretto da F. Galgano, XI, Padova 1990, p. 114; M. NUZZO, Negozio giuridico: VI. Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma 1990, 7; F. DI MARZIO, Contratto illecito e disciplina del mercato, Napoli, 2011, p. 86 e ss.
(35) Sulla distinzione v. F. MANTOVANI, Delitti contro il patrimonio, Padova, 1989, p. 53 e ss.; ID., Concorso e conflitto di norme del diritto penale, Bologna, 1966, p. 37 e 377; D. CARUSI, Contratto illecito e soluti retentio, Napoli, 1995, p. 80.
(36) G. AMARA, G. CORAPI, «I rimedi negoziali contro i fatti di bancarotta pre-fallimentare», in Obbl. e contr., 2012, 5, p. 376.
(37) G. OPPO, «Formazione e nullità dell’assegno bancario», in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 178.
(38) G. OPPO, op. cit., p. 178.
(39) M. ORLANDI, Le nullità civilistiche, nell’ambito della ricerca su “La conoscenza del diritto dell’Unione europea come strumento di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale”, progetto a cura della Fondazione italiana del Notariato co-finanziato dalla Commissione europea D.G. giustizia, Roma, 2012, p. 9.
(40) Così testualmente G. MASTROPASQUA, «Art. 1418, comma 1, c.c.: la norma imperativa come norma inderogabile», Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 61.
(41) Sia consentito l’uso della parola “estensione” nella consapevolezza che quando dovrebbe verificarsi ai sensi dell’art. 1419 c.c. il fenomeno della c.d. estensione, il contratto è totalmente invalido ab origine non sussistendo alcun istante né cronologico, né logico in cui la nullità è parziale ma in via di propagazione all’intero negozio. In tal senso v. M. TAMPONI, «Contributo all’esegesi dell’art. 1419 c.c.», in Riv. dir. e proc. civ., 1978, p. 114.
(42) Così M. TAMPONI, op. cit., p. 105 e ss., e 483 e ss. e spec. p. 138-142. Questa idea è condivisa da V. BARBA, La rinunzia all’eredità, Milano, 2008, p. 345-346, il quale, in un successivo contributo, osserva che l’antitesi “disposizione di legge - norma giuridica” e “clausola contrattuale - precetto negoziale” si scorge anche in materia testamentaria, ove all’espressione “disposizione testamentaria” si contrappone quella di “previsione, o precetto testamentario” (V. BARBA, «La nozione di disposizione testamentaria», in Rass. dir. civ., 2013, p. 964- 963).
(43) E. SARACINI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, p. 4.
(44) C. GRASSETTI, voce “Clausola del negozio”, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, p. 185.
(45) M. FRAGALI, «Clausole, frammenti di clausole, rapporti tra clausole e negozio», nota a Cass., S.U., 16 ottobre 1958, n. 3294, in Giust. civ., 1959, I, p. 319.
(46) Cass. civ., S.U., 21 agosto 1972, n. 2697, in Rep. Foro it., 1972, voce «Contratto in genere», n. 291 e in Giust. civ., 1972, I, p. 1914.
(47) Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1983, n. 6445, Rep. Foro it., 1983, voce «Vendita», n. 111; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2010, n. 3672, in Danno e resp., 2010, 8-9, p. 790; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2008 n. 2860.
(48) Cfr. F. DI MARZIO, La nullità del contratto, cit., 2008, p. 437 e ss.
(49) E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 2002, rist. 2° ed., p. 209.
(50) Sull’origine processualistica della categoria in esame cfr. G. COSTANTINO, voce Legittimazione ad agire, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, p. 1; G. TOMEI, voce Legittimazione ad agire, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 65 e ss.
(51) F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 3° ed., Roma, 1951, 238, n. 106.
(52) E. BETTI, op. cit., p. 221. Non mancano in dottrina rilievi critici di indubbio peso sul concetto di legittimazione: v. F. CARRESI, Il contratto, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, XXI, t. 1, Milano, 1987, p. 143; P. RESCIGNO, voce Legittimazione (diritto sostanziale), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, p. 717 ss.; A. DI MAJO, Legittimazione negli atti giuridici, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 53. Dubita dell’utilità della categoria anche A. PALMIERI, Transazione e rapporti eterodeterminati, Milano, 1999, p. 314, il quale segnala come la nozione di legittimazione non sia univoca. L’A. conclude affermando che le varie fattispecie legali rispetto alle quali la dottrina reputa poter trovare applicazione la categoria della legittimazione, si risolvono nella presenza di elementi giuridici o fattuali, positivi o negativi, cui l’ordinamento ricollega la produzione degli effetti. In altri termini, l’espressione legittimazione avrebbe un valore meramente descrittivo, costituendo una formula verbale allusiva destinata ad indicare, di volta in volta, singoli elementi di fattispecie complesse. Ed è proprio la varietà dei singoli presupposti legittimanti ad escludere che la cosiddetta legittimazione possa utilmente offrirsi quale categoria generale ordinante.
(53) A. DI MAJO, op. cit., p. 53.
(54) A. DI MAJO, op. cit., p. 53-54. Segnala la differenza tra capacità d’agire e legittimazione L. MENGONI, L’acquisto “a non domino”, Milano, 1949, p. 36, rilevando che «quella è una qualità del soggetto, deriva cioè da una situazione di fatto del soggetto in sé, necessaria per il valido compimento di un atto di disposizione, tipicamente considerato sotto specie dell’astratto schema negoziale; la legittimazione, invece, risulta da una posizione specifica del soggetto, riguardo alla materia del singolo concreto negozio dispositivo, necessaria per il perfezionamento della fattispecie complessiva dell’effetto, e quindi per l’attuazione della rilevanza giuridica del negozio».
(55) L. MENGONI, op. cit., p. 36, precisa che la legittimazione «e traduce in termini subiettivi di facoltà la possibilità obiettiva di una persona di disporre efficacemente di un dato diritto, in quanto si trova, rispetto all’oggetto del negozio, in una certa posizione, normativamente considerata come momento integrante della fattispecie complessiva dell’effetto …».
(56) Cass. civ., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Danno e resp., 2008, 5, p. 525, con nota di V. Roppo, F. Bonaccorsi, osserva che l’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri condiziona la legittimazione a stipulare quel genere di contratto. L’esistenza del contratto si porrebbe in contrasto con la norma imperativa che vieta, al ricorrere di determinate condizioni, la stipulazione del negozio. Donde la nullità discenderebbe dall’art. 1418 c.c.
|
|
|