Direttiva 2014/17/UE - Art. 10 - Disposizioni generali in materia di pubblicità e marketing - Commento di Fabiola Massa
Direttiva 2014/17/UE
Art. 10 - Disposizioni generali in materia di pubblicità e marketing
Commento di Fabiola Massa
Ricercatore confermato in Diritto commerciale, Università di Roma “Tor Vergata”
Dottore di ricerca in Diritto industriale
Art. 10
Disposizioni generali in materia di pubblicità e marketing
Fatta salva la direttiva 2005/29/CE, gli Stati membri impongono che le comunicazioni di pubblicità e marketing relative ai con tratti di credito siano corrette, chiare e non ingannevoli. In particolare, sono vietate formulazioni che possano indurre nel consumatore false aspettative circa la disponibilità o il costo di un credito.
Le finalità delle disposizioni normative in tema di pubblicità e marketing
All’interno del tessuto normativo della direttiva 2014/17/UE gli artt. 10 ed 11 sono appositamente riservati alla disciplina del momento prodromico l’instaurazione di un contatto tra il creditore ed il potenziale cliente, ovvero il c.d. consumatore. In particolare, essi regolano - seppur secondo la tecnica dell’armonizzazione minima(1 )- le comunicazioni commerciali dei contratti di credito presi in considerazione dalla direttiva e riassumibili nei contratti di credito «garantiti da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali» ed in quelli «finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata» (ex art.
3, lett. a e b, dir. 2014/17/UE).
L’inclusione di queste norme, dedicate esclusivamente alla pubblicità, in un provvedimento normativo di più ampio respiro, quale è la direttiva sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, è il risultato di un processo di analisi e di studio da parte del legislatore comunitario del mercato del credito ipotecario iniziato con la Raccomandazione della Commissione europea del 1° marzo 2001 relativa al codice di condotta delle informazioni precontrattuali, e proseguito con il Libro Verde del 19 luglio 2005(2 )e quello Bianco del 18 dicembre 2007(3), a cui si sommano le considerazioni tratte dai risultati raggiunti dal Forum Group on Mortgage Credit(4).
La conclusione a cui si è approdati è che il sovraindebitamento delle famiglie a cui si è assistito nel corso della recente crisi economico-finanziaria che ha attanagliato sia l’Europa che gli Stati Uniti prima ancora di essere gestito deve essere prevenuto, imponendo ai creditori ed ai loro intermediari penetranti obblighi di disclosure volti a colmare le asimmetrie informative proprie del mercato del credito, specie di quello ipotecario(5). Solo così facendo si potrà consentire al consumatore di assumere delle decisioni in merito al proprio indebitamento “consapevoli” e “responsabili”(6).
Gli obblighi di informazione tra l’altro debbono essere previsti già prima della fase precontrattuale(7), in quanto solo in questo modo si potrà preservare l’affidabilità, la correttezza e la fiducia necessarie per il sano funzionamento del mercato del credito. In altre parole, si deve evitare, in sintonia con gli ultimi orientamenti della giurisprudenza comunitaria in materia di pratiche commerciali scorrette, finanche l’agganciamento sleale del consumatore, con cui lo si induca anche solo ad entrare nei locali del creditore o a prendere contatto con lo stesso, cosa che in assenza del messaggio pubblicitario non sarebbe altrimenti avvenuta(8).
Ecco dunque spiegato l’innesto nella direttiva 2014/17/UE dell’art. 10, di carattere più generale, e volto a statuire i principi di fondo a cui deve essere improntata la comunicazione commerciale; come pure dell’art. 11, più di dettaglio, e deputato ad elencare le informazioni che in ogni caso il messaggio pubblicitario deve veicolare. Tutto questo si traduce in un penetrante condizionamento della libertà di azione dei creditori, e più in generale degli operatori economici, che tuttavia trova giustificazione e contemperamento nell’interesse superiore a che, non un qualsiasi mercato, ma quello del credito immobiliare e fondiario, sia governato da regole che ne assicurino la correttezza e di conseguenza la stabilità.
È noto, infatti, che specie in periodi di crisi gli operatori economici, ed a maggior ragione quelli del comparto bancario, possono essere tentati di porre in atto pratiche commerciali molto spregiudicate al punto da mettere a rischio ancor più la ripresa economica. Sicché, l’imposizione di un obbligo di comunicazione di informazioni alla platea dei possibili clienti, unito alla determinazione di quali informazioni, come pure del modo in cui queste debbono essere somministrate, ovvero in maniera tale da non ingannare il loro destinatario, risulta essere l’unica soluzione percorribile.
L’ambito di applicazione della disciplina: il dubbio di un eccesso di allineamento delle definizioni
La direttiva 2014/17/UE si incentra, per usare le parole della sua stessa proposta, sull’interazione tra creditori/intermediari e cittadini(9 )e non si occupa - in linea con il principio di proporzionalità(10 )- di tutti gli aspetti della concessione e accensione dei mutui, ma si concentra solo su alcuni aspetti chiave delle operazioni di credito ipotecario, tra cui la pubblicità(11). Su questo aspetto la direttiva mutua, per certi versi, molto dalla precedente direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori. Basti infatti notare come gran parte del testo dell’art. 11 dir. 2014/17/UE coincida nettamente con il dato letterale dell’art. 4 direttiva 2008/48/CE, su cui si avrà modo di ritornare infra.
Un elemento di novità e quindi di discontinuità è invece costituito proprio dall’art. 10, qui in commento, su cui giova pertanto appuntare una particolare attenzione.
Esso reca nell’incipit il richiamo alla direttiva 2005/29/CE che, come si avrà modo di vedere anche in occasione del commento all’art. 11, resta sempre valida ancorché posta sullo sfondo; dopodiché si delineano i contorni applicativi delle prescrizioni sulla comunicazione pubblicitaria e marketing relative ai contratti di credito indicati all’art. 3 direttiva 2014/17/UE. Ebbene, la norma fa obbligo agli Stati membri di imporre a chi voglia effettuare una siffatta comunicazione di fare in modo che la comunicazione stessa sia “corretta”, “chiara” e “non ingannevole”.
Il significato di questi tre requisiti è lasciato all’intervento dell’interprete che al massimo può rifarsi, ad avviso di chi scrive, agli argomenti ermeneutici “psicologico” e “sistematico” in virtù dei quali la versione iniziale dell’art. 10, contenuta originariamente nella proposta di direttiva(12), può fornire degli utili indizi circa il senso da dare a tali requisiti. In particolare, dirimente sembra essere proprio il richiamo agli artt. 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE operato dall’allora art. 7 della proposta di direttiva sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali, successivamente espunto nella versione finale approvata. Da ciò emerge infatti che la “correttezza” (preferita all’iniziale “lealtà”), la “chiarezza” e la “non ingannevolezza” della comunicazione compongono come un trìttico, in cui non si può comprendere il senso dell’insieme, se non tenendo conto di ogni elemento, e dove inoltre la non ingannevolezza occupa necessariamente la posizione centrale.
La volontà del legislatore non può che essere quella di impedire che la comunicazione pubblicitaria ed il marketing siano effettuati in maniera tale da risultare ingannevoli per i consumatori, e di conseguenza la “correttezza” e la “chiarezza” non possono considerarsi requisiti autosufficienti, ma gregari e complementari di un requisito principale, quale è la “non ingannevolezza”.
In questo senso depongono tutta una serie di considerazioni, prima fra tutte la circostanza che si può avere una comunicazione poco chiara, ma non per questo decettiva, come pure si può avere una comunicazione recante informazioni non corrette (sempreché si accetti la deduzione per cui una comunicazione è non corretta nella misura in cui trasmette informazioni non corrette) e pur tuttavia non in grado di ingannare il consumatore.
Da qui il dubbio che forse, dopo tutto, il legislatore si poteva limitare a citare il solo requisito della “non ingannevolezza”, stante la constatazione che solo questo rileva, a prescindere dal fatto che la comunicazione pubblicitaria o il marketing si sostanzino in una azione ingannevole od in una omissione ingannevole (fattispecie entrambe prese in considerazione dalla dir. 2005/29/CE, e proprio negli artt.
6 e 7 di questa). Con riguardo poi alla “chiarezza” è lapalissiano che questa risulti del tutto irrilevante nel caso di omissioni ingannevoli, in quanto ciò che importa qui non è la forma chiara o non chiara di quello che si comunica, quanto l’assenza stessa di informazioni nella comunicazione.
L’ultimo periodo dell’art. 10 che qui occupa rivela, inoltre, una delle preoccupazioni principali del legislatore comunitario a che l’ingannevolezza non abbia ad oggetto la disponibilità o il costo del credito, temi assai cari alla nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), in ragione del fatto che la gran parte dei provvedimenti sanzionatori da questa emanati nell’ambito delle pratiche commerciali scorrette del settore del credito concernono proprio questi due temi.
Fatta chiarezza circa le prescrizioni imposte dalla norma ai legislatori nazionali, torna conto ora passare ad analizzare l’ambito applicativo di questa disposizione, enucleabile in un profilo oggettivo ed in uno soggettivo.
Il primo attiene alla tipologia dei contratti di credito presi in considerazione dalla norma su cui non sembrano esserci dubbi, stante la linearità che unisce la definizione di “contratto di credito”, espressa al punto 3) dell’art. 4 della direttiva 2014/17/UE, alla portata applicativa dell’intera direttiva sancita dall’art. 3 della stessa (v. a questo proposito supra, commento all’art. 3)(13).
Delle perplessità sembrano appalesarsi, invece, con riferimento al profilo soggettivo, tutto incentrato sulla figura del consumatore e soprattutto sulla sua definizione. Qui, infatti, il legislatore comunitario non ha voluto introdurre nell’ordinamento un’ulteriore definizione rispetto alla pletora di definizioni al momento disponibili(14), preferendo piuttosto rifarsi, per relationem, alla definizione già fornita dall’art.
3, lett. a, della direttiva 2008/48/CE. Sennonché proprio questo rimando suscita alcuni dubbi, ed in particolare la notazione che nella direttiva richiamata il consumatore è la persona fisica che, nell’ambito delle transazioni disciplinate da tale direttiva (come ad es. quella rappresentata da un contratto di locazione o di leasing che preveda l’obbligo di acquisto dell’oggetto del contratto), agisce per scopi estranei alla propria attività commerciale o professionale. Ciò significa che si tratta di una persona fisica che è interessata o coinvolta in contratti di credito completamente diversi da quelli oggetto di applicazione della direttiva 2014/17/UE, e questo in forza dell’art. 2 della direttiva 2008/48/CE.
Di qui l’interrogativo se le disposizioni della direttiva 2014/17/UE debbano trovare applicazione solo nei confronti di quei consumatori persone fisiche che siano già stati interessati dai rapporti disciplinati dalla direttiva richiamata, assodato che il consumatore deve soddisfare i criteri riferiti in quest’ultima, o se invece debba prevalere una ricostruzione fondata non sul dato letterale della norma, ma sull’interpretazione agevolata dai considerando, specie i n. 12, 14 e 19.
Sulla scorta di questi considerando il consumatore della direttiva 2014/17/UE dovrebbe essere sempre una persona fisica, ma non più interessata dalle transazioni della dir. 2008/48/CE, quanto agente nell’ambito delle operazioni disciplinate dalla direttiva n. 17 al fine di conseguire degli scopi avulsi dalla sua attività commerciale o professionale.
Se si propende per la prima ipotesi il campo di applicazione soggettivo della direttiva 2014/17/UE risulterebbe privo di tutti quei consumatori persone fisiche che non nutrono nessun interesse per le transazioni di cui alla direttiva 2008/48/CE e né tantomeno sono state da queste interessate in passato, e purtuttavia intendono sottoscrivere un contratto di credito relativo ad un bene immobile residenziale; diversamente con la seconda ipotesi, qualsiasi persona fisica - purché coinvolta in almeno un’operazione tra quelle oggetto di disciplina da parte della direttiva n. 17 - sarebbe toccata da quest’ultima direttiva.
La seconda soluzione sembra essere preferibile non fosse altro perché meglio della prima garantisce la coerenza e la complementarietà degli atti dell’Unione europea, così come auspicato dal considerando n.
19 della direttiva 2014/17/UE. Rimane tuttavia il dubbio, a cui forse farebbe bene a porre rimedio il prima possibile il legislatore comunitario, se dopo tutto l’allineamento massimo alla definizione contenuta nella direttiva 2008/48/CE voluto e dichiarato sin dal momento della proposta di direttiva(15 )COM(2011) 142 def. sia stato ben ponderato, tale da far propendere altrimenti per la prima ricostruzione qui riferita.
(1) L’art. 2, par. 1, dir. 2014/17/UE recita infatti a questo proposito «La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni più stringenti per tutelare i consumatori, a condizione che tali disposizioni siano coerenti con i loro obblighi ai sensi del diritto dell’Unione».
(2) COM(2005) 327 def. dal titolo “Il credito ipotecario nell’UE”.
(3) COM(2007) 807 def. dal titolo “Integrazione dei mercati UE del credito ipotecario”.
(4) Il Forum Group on Mortgage Credit è stato istituito nel 2003, ed una sintesi dei risultati da questo raggiunti è consultabile in http://ec.europa.eu/internal_market/ finservices-retail/archive/mortgage_en.htm.
(5) Si pensi a questo proposito, secondo quanto riferito da A. GENOVESE, Il contrasto delle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, a cura di V. Meli - P. Marano, Torino, 2011, p. 42, «ai mutui subprime americani (poi cartolarizzati e immessi nel circuito finanziario mondiale, che ne è stato infettato) e che sono stati accordati, ad elevatissimo tassi di interesse, a clienti privi di merito creditizio - ossia privi di adeguate possibilità di rimborso - attirati in trappola anche da subdole pubblicità». Va detto inoltre che il mercato dei crediti garantiti da ipoteca o da altra garanzia equivalente è per sua natura del tutto peculiare e caratterizzato da un’offerta estremamente differenziata, e particolarmente difficile da ponderare sia dal punto di vista qualitativo che di convenienza economica anche da parte di un consumatore assai istruito, avveduto e consapevole. Normalmente, poi, è costretto a ricorrere a questo tipo di prodotti un nutrito numero di consumatori, anche se il più delle volte una volta sola nell’arco della propria esistenza, cosa che contribuisce a rendere il destinatario di questo tipo di crediti un soggetto con un’esperienza destinata ineludibilmente a perdersi, piuttosto che a valorizzarsi. Tutto ciò si traduce in una forte asimmetria informativa di questo mercato, che al momento solo la costrizione del creditore a fornire determinate informazioni può in qualche misura combattere od attenuare.
(6) Cfr. in questo senso G. FALCONE, «Il trattamento normativo del sovraindebitamento del consumatore», in Giur. comm., 2015, I, p. 136.
(7) Per un approfondimento degli obblighi precontrattuali di informazione, che tra l’altro nella direttiva che qui occupa sono disciplinati in maniera tale da imporre un livello di armonizzazione massima sul territorio dell’UE, si rinvia infra al commento degli artt. 14-17 della direttiva 2014/17/UE.
(8) Cfr., da ultimo, la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 19 dicembre 2013, nella causa C-281/12, specie il punto 35, secondo cui una pratica commerciale è sleale (o per il diritto italiano “scorretta”) laddove sia contraria alla diligenza professionale ed in grado di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore in ordine al prodotto, ciò che può avvenire anche solo nel momento in cui si induce il consumatore a porre in essere degli «atti preparatori all’eventuale acquisto di un prodotto, come lo spostamento del consumatore fino al negozio o il fatto di entrarvi». Pertanto le pratiche commerciali “scorrette” possono incidere sul rapporto professionista (alias creditore)-consumatore non solo a) in una fase prenegoziale e di primo contatto (e dunque sulla sola scelta del consumatore fra acquistare, non acquistare, e acquistare ad alcune condizioni o con alcune modalità), ma anche b) in una fase successiva di svolgimento di un rapporto negoziale già instaurato (il riferimento è all’esercizio di diritti contrattuali), o addirittura c) conseguente all’esaurirsi del rapporto (in tal senso, v. il riferimento al tenere un prodotto o disfarsene), ed ora anche prima di tutto questo, ovvero allorché si induca nel consumatore «qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto» forzandone od alterandone la volontà.
(9) Così a p. 8 della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali, COM(2011) 142 def.
(10) Vedi p. 9 della proposta di direttiva cit.
(11) La pubblicità presa qui in considerazione non gode di una sua definizione ufficiale all’interno della direttiva, malgrado nel documento vi siano contenute ben 28 definizioni di altrettanti concetti o termini. Per rinvenire una definizione precisa e pertinente per il diritto comunitario della pubblicità occorre pertanto fare riferimento all’art. 2, lett. a) della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (versione codificata), secondo cui deve intendersi per pubblicità «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi». Va detto, infine, che sia la pubblicità sia il marketing sono ricompresi inoltre nella definizione di «pratiche commerciali tra imprese e consumatori» dettata dall’art. 2, lett. d, della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno.
(12) Sul punto v. l’art. 7 della proposta COM(2011) 142 def. poi divenuto art. 10 della versione definitivamente approvata, secondo cui «Gli Stati membri esigono che le comunicazioni di pubblicità e marketing relative ai contratti di credito di cui all’articolo 2 siano leali, chiare e non ingannevoli ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. In particolare, sono vietate formulazioni che possano indurre nel consumatore false aspettative circa la disponibilità o il costo di un credito».
(13) Si noti infatti che l’art. 3 della direttiva, rubricato appositamente “Ambito di applicazione”, reca un elenco di contratti di credito del tutto svincolati da quelli presi in considerazione dalla direttiva 2008/48/CE, diversamente da quanto accade per il concetto di consumatore.
(14) In merito alla molteplicità di definizioni ufficiali elaborate ed in vigore in ambito comunitario v. le conclusioni dell’Avvocato generale Pedro Cruz Villalón del 23 aprile 2015 nella causa C-110/14, e specie il punto 18, ove si afferma che «la nozione di consumatore appare trasversalmente in molteplici ambiti del diritto dell’Unione, al di là degli specifici strumenti per il ravvicinamento delle legislazioni dirette alla tutela dei consumatori, quali l’ambito del diritto della concorrenza (artt. 102, lett. b, Tfue e 107, par. 2, lett. a, Tfue), della cooperazione giudiziaria civile (art. 13 della Convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e art. 15 del regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), della politica comune dell’agricoltura e della pesca (art. 39, par. 1, lett. c, Tfue e 40, par. 2, Tfue), nonché altri ambiti nei quali sono state adottate misure di ravvicinamento delle legislazioni (v., ad esempio, la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno). A tal riguardo, neppure i molteplici strumenti di diritto derivato per la tutela dei consumatori offrono una nozione univoca del concetto di consumatore. Si tratta di una nozione presente in molti ambiti dell’attività normativa dell’Unione, i cui contorni esatti non sono però definiti dal diritto primario (sulle diverse funzioni della nozione di consumatore, e sul senso ampio che occorre darle conformemente alla sua funzione in alcune disposizioni del Trattato, v. K. MORTELMANSE - S. WATSON, The Notion of Consumer in Community Law: A Lottery?, in J. LONBAY, Enhancing the Legal Position of the European Consumer, BIICL, 1996, p. 36- 57) e la cui efficacia come categoria per identificare determinati soggetti non è monolitica, bensì diversa in ognuno degli strumenti di diritto derivato pertinenti. Infatti, la nozione di consumatore non è configurata in modo uniforme in tutti gli strumenti, che appartengono ad ambiti giuridici diversi e hanno finalità diverse: si tratta di una nozione operativa e dinamica, che va definita con riferimento al contenuto dell’atto normativo in questione [corsivo mio]» (cfr. sul punto M. TENREIRO, Un code de la consommation ou un code autour du consommateur? Quelques réflexions critiques sur la codification et la notion du consommateur, in L. KRÄMER - H.W. MICKLITZ - K. TONNER, Law and diffuse Interests in the European Legal Order. Liber amicorum Norbert Reich, Varese, 1997, p. 349). Per un raffronto delle nozioni di consumatore nei diversi strumenti, v. M. EBERS, «The notion of “consumer”», in Consumer Law Compendium, www.eu-consumer-law.org.
(15) V. p. 10 della proposta di direttiva cit.
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