Direttiva 2014/17/UE - Art. 11 - Informazioni di base da includere nella pubblicità - Commento di Fabiola Massa
Direttiva 2014/17/UE
Art. 11 - Informazioni di base da includere nella pubblicità
Commento di Fabiola Massa
Ricercatore confermato in Diritto commerciale, Università di Roma “Tor Vergata”
Dottore di ricerca in Diritto industriale

Art. 11
Informazioni di base da includere nella pubblicità

1. Gli Stati membri garantiscono che qualsiasi pubblicità relativa ai contratti di credito che indichi un tasso d’interesse o qualunque altro dato numerico riguardante il costo del credito per il consumatore contenga le informazioni di base di cui al presente articolo.
Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi nei casi in cui il diritto nazionale richieda l’indicazione del Taeg nella pubblicità relativa ai contratti di credito che non indichi un tasso di interesse o qualunque altro dato numerico riguardante il costo del credito per il consumatore ai sensi del primo comma.
2. Le informazioni di base precisano, in maniera chiara, concisa ed evidenziata:
a) l’identità del creditore o, se del caso, dell’intermediario del credito o del rappresentante designato;
b) se del caso, il fatto che il contratto di credito sarà garantito da un’ipoteca o da un’altra garanzia analoga comunemente utilizzata in uno Stato membro sui beni immobili residenziali oppure da un diritto connesso ai beni immobili residenziali;
c) il tasso debitore, precisando se fisso o variabile o una combinazione dei due tipi, corredato di informazioni dettagliate relative alle commissioni comprese nel costo totale del credito per il consumatore;
d) l’importo totale del credito;
e) il Taeg, che deve avere un’evidenza all’interno dell’annuncio almeno equivalente a quella di ogni tasso di interesse;
f) se del caso, la durata del contratto di credito;
g) se del caso, l’importo delle rate;
h) se del caso, l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare;
i) se del caso, il numero delle rate;
j) se del caso, un’avvertenza relativa al fatto che eventuali fluttuazioni del tasso di cambio potrebbero incidere sull’importo che il consumatore è tenuto a pagare.
3. Le informazioni elencate al paragrafo 2 diverse da quelle di cui alle lettere a, b, o j, sono specificate con l’impiego di un esempio rappresentativo e si attengono interamente a tale esempio rappresentativo. Gli Stati membri introducono criteri per la definizione di «esempio rappresentativo».
4. Qualora la conclusione di un contratto riguardante un servizio accessorio, in particolare un’assicurazione, sia obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte e qualora il costo di tale servizio non possa essere determinato in anticipo, anche l’obbligo di sottoscrivere detto contratto è indicato in forma chiara, concisa ed evidenziata, assieme al Taeg.
5. Le informazioni di cui ai paragrafi 2 e 4 sono facilmente leggibili o chiaramente udibili, a seconda del mezzo utilizzato per la pubblicità.
6. Gli Stati membri possono prescrivere l’inclusione di un’avvertenza concisa e proporzionata riguardante rischi specifici connessi ai contratti di credito. Essi notificano senza indugio tali prescrizioni alla Commissione.
7. Il presente articolo fa salva la direttiva 2005/29/CE.


Informazioni di base del messaggio pubblicitario, loro origine e condizionamenti posti dall’esperienza

L’art. 11 della direttiva 2014/17/UE è appositamente rubricato “Informazioni di base da includere nella pubblicità”, e reca un elenco di notizie che debbono comparire in ogni caso nelle comunicazioni pubblicitarie relative ai contratti di credito oggetto della direttiva, vuoi perché statuito obbligatoriamente, vuoi perché imposto dalla specifica situazione(1).
Tale elenco non è affatto nuovo all’ordinamento, essendo già presente almeno in larga parte nell’art. 4 direttiva 2008/48/CE, di cui la direttiva che qui occupa ricalca pedissequamente la struttura (v. il considerando n. 20, che giustifica la riproposizione della architettura della direttiva antecedente al fine precipuo di ridurre al minimo gli oneri amministrativi per i creditori e gli intermediari). Alcune differenze, tuttavia sussistono e sono dovute molto probabilmente agli insegnamenti tratti dall’esperienza maturata dalle diverse Autorità Antitrust nazionali in materia di pratiche commerciali sleali (per l’Italia “scorrette”).
Le distanze tra l’art. 4 direttiva 2008/48/CE e l’art. 11 direttiva 2014/17/UE sono rappresentate esclusivamente dalle ulteriori informazioni pretese dal secondo provvedimento e consistenti: a) nella spendita del nome del creditore o dell’intermediario del credito, ovvero del rappresentante designato; b) nella indicazione della richiesta di una garanzia a tutela della restituzione del credito; ed infine c) nella dichiarazione del numero delle rate. È su questi tre tipi di informazione che anche la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ravvisato esserci nel settore del credito il maggior rischio di decettività dei consumatori. Si pensi ad es. a tutti quei casi in cui il messaggio pubblicitario risulti particolarmente vago circa chi effettivamente eroghi il credito o sulla esatta durata del finanziamento(2), o ancora a quelle comunicazioni pubblicitarie in cui la garanzia viene prospettata come facoltativa per rivelarsi successivamente pretesa(3).
Venendo ai riflessi che queste maggiori informazioni di base potranno riverberare (una volta recepite) sul nostro ordinamento interno, si può osservare che le informazioni già contemplate all’art. 4 della direttiva del 2008 sono ad oggi trasfuse sia nell’art. 123 Tub, sia nel par. 4.1 della sez. VII del Provvedimento del 29 luglio 2009, così come modificato dal provvedimento del 15 luglio 2015 della Banca d’Italia riservato alla Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari; correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti. Sicché è da attendersi da parte del nostro legislatore la promulgazione, possibilmente entro il 21 marzo 2016, giorno di scadenza dei termini per il recepimento della direttiva, di un atto legislativo di modifica sia del Tub che del provvedimento della Banca d’Italia appena menzionato. Questi provvedimenti dovranno essere innovati non solo per mezzo dell’inserimento delle nuove informazioni di base, ma anche in termini di estensione del campo di applicazione delle informazioni di base già presenti, e riferire ai contratti di credito al consumo, ai contratti di credito oggetto della direttiva qui in commento.

Primato ed autosufficienza del Taeg dal punto di vista informativo

Coerentemente con l’art. 22, comma 4, lett. b e c, cod. cons., l’art. 11 qui in commento stabilisce che in caso di pubblicità dei contratti di credito gli ordinamenti nazionali debbono fare in modo che sin dal primo contatto con il consumatore il creditore direttamente, o chi per lui, debba rendere immediatamente e chiaramente percepibile la propria identità e l’esborso complessivo richiesto per l’acquisizione del credito. Dell’identità del soggetto si è già avuto modo di dire al paragrafo precedente, sicché giova ora concentrarsi prettamente sul secondo elemento informativo.
La ratio della norma è quella di fare in modo che il messaggio pubblicitario sia innanzi tutto il più esaustivo possibile in ordine all’impegno economico imposto al consumatore, tale da preservare sia gli interessi dei concorrenti dell’offerente il credito, sia il consumatore agganciato dal messaggio.
Solo così si può garantire il perseguimento della stabilità, dell’efficienza e della competitività del sistema finanziario, poste quali finalità della stessa funzione di vigilanza disciplinata dal testo unico bancario(4).
È noto, infatti, che il consumatore potenzialmente interessato a sottoscrivere un contratto di credito, e specie se questo è di mutuo, è un soggetto particolarmente sensibile anche alle pur minime differenze di costo delle diverse soluzioni prospettabili, ciò in ragione del fatto che il mutuo comporta una esposizione prolungata nel tempo ad un ingente debito rispetto al proprio reddito(5). Sicché, deve essere impedita qualsivoglia vanteria confusoria sui più disparati aspetti e/o componenti economici del credito capaci di fuorviare la libera scelta del consumatore.
Occorre, in altri termini, garantire la contezza del costo complessivo dell’operazione già in fase di promozione del credito, cosa che può avvenire, a discrezione dello Stato membro, o con l’indicazione nella pubblicità del solo Taeg, o di tutta una serie di dati tra cui anche il Taeg del finanziamento. Il Taeg è destinato quindi a giocare un ruolo determinante ai fini sia informativi che di ponderazione e confronto dei diversi tipi di credito disponibili sul mercato.
Ecco spiegato allora l’obbligo della spendita del Taeg, così come la tassatività delle regole che presiedono alla determinazione dello stesso(6), da cui si evince che in esso trovano sintesi tutti gli oneri e le spese, anche accessori, posti a carico del consumatore. Il legislatore comunitario si spinge poi anche oltre andando a statuire che il Taeg sia evidenziato all’interno dell’annuncio pubblicitario in maniera almeno pari a quella di qualsiasi altro tasso ivi menzionato(7), tale da evitare il ripetersi di tutte quelle pratiche commerciali scorrette in cui il Taeg è stato riportato con dimensioni ridotte rispetto a quelle adottate nel resto del messaggio o collocato in punti del messaggio poco visibili(8).
L’attenzione verso il Taeg ha, infine, influito sulla introduzione di un’altra prescrizione secondo cui il tasso annuale effettivo globale, come pure le altre componenti economiche del credito, possono essere specificate con l’impiego di un “esempio rappresentativo” di cui lo Stato membro deve definire le caratteristiche, purché però le informazioni così fornite corrispondano esattamente ai parametri presi in considerazione nell’esempio.
Si vuole porre fine in questo modo al ricorrente uso, nelle pratiche pubblicitarie del settore, di schemi esemplificativi in cui il Taeg menzionato non è affatto riferibile agli esempi di importo di prestito concedibili riportati nell’esempio o semplicemente è espresso con formule troppo generiche (ed a volte finanche omesso) tale da non consentire al destinatario del messaggio reclamizzato di effettuare il calcolo dell’effettivo costo del credito proposto(9).
Gli obblighi di disclosure e di chiarezza imposti al soggetto che ricorre alla promozione pubblicitaria sono, infine, completati da un’ulteriore disposizione riportata al par. 4 dell’art. 11. Questa è relativa al caso in cui il credito pubblicizzato sia condizionato alla sottoscrizione di un servizio accessorio, ed in particolare di una polizza assicurativa, il cui costo non sia determinabile a priori, cosicché è fatto obbligo di dichiarare nel messaggio non solo il Taeg, ma anche l’obbligatorietà della sottoscrizione collegata(10). Su questo punto è bene ricordare che secondo il comma 3-bis dell’art. 21, cod. cons., è da considerarsi scorretta la pratica con cui le banche, gli istituti di credito o gli intermediari finanziari concedono mutui ai clienti a condizione di sottoscrivere con questi anche una polizza assicurativa o un contratto di conto corrente(11).
La qualificazione categorica di questo tipo di condizionamento quale pratica commerciale scorretta è però di fatto mitigata dal comma 1 dell’art. 28 del D.l. n. 1/2012, così come novellato dalla L. n. 27/2012, in cui si recita che «le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari se condizionano l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita(12 )sono tenuti a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari stessi. Il cliente è comunque libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente che la banca è obbligata ad accettare senza variare le condizioni offerte per l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo».
Alla luce del combinato disposto del comma 3-bis, art. 21, cod. cons. e del comma 1, art. 28 D.l. n. 1/2012 conv. con modif. in L. n. 27/2012, sembra potersi inferire che gli operatori finanziari presi qui in considerazione possono sicuramente proporre ai loro potenziali clienti mutui immobiliari o credito al consumo pretendendo contestualmente la sottoscrizione di una polizza assicurativa sulla vita a loro favore, senza per questo incappare nelle sanzioni del codice del consumo. Tutto questo però a condizione che: 1) la polizza rispetti un contenuto minimo stabilito dall’Ivass (ex Isvap); 2) il cliente sia libero di rivolgersi al mercato per identificare la polizza più conveniente tra quelle soddisfacenti il contenuto minimo di cui al punto precedente; 3) l’operatore erogante il mutuo o il credito al consumo si renda parte attiva nella ricerca della polizza più conveniente per il cliente, dovendogli proporre due preventivi di polizze di due differenti gruppi assicurativi non collegati all’operatore medesimo.
Resta ora da comprendere cosa comporterà il recepimento dell’art. 11 dir. 2014/17/UE nel nostro ordinamento. Ebbene non v’è dubbio che le disposizioni qui commentate saranno presumibilmente implementate nel Tub e nei provvedimenti regolatori della Banca d’Italia, tale da agevolare l’azione di vigilanza di quest’ultima. Cionondimeno, però, proprio questo inserimento nella normativa di settore consentirà all’Autorità garante della concorrenza e del mercato di poter meglio delineare il normale grado di competenza ed attenzione che ragionevolmente ci si può attendere da un operatore del settore finanziario con riferimento alla prospettazione delle caratteristiche dei contratti di credito da questo offerti ai consumatori. In altre parole, le informazioni di base qui elencate incideranno sicuramente sulla valutazione del canone di diligenza professionale assicurato dall’operatore finanziario nel corso dell’esecuzione della pratica commerciale, incidendo così per il cinquanta per cento sull’accertamento della scorrettezza del pratica. Il restante cinquanta per cento sarà invece dovuto alla falsità della pratica stessa o alla sua capacità di falsare in misura apprezzabile la decisione consapevole di natura commerciale del consumatore.

La possibilità di introdurre nel messaggio pubblicitario delle avvertenze sui rischi

Sul modello di quanto già avviene ad esempio oggi in tema di comunicazione pubblicitaria dei farmaci non soggetti a prescrizione medica obbligatoria, in cui per legge il messaggio deve recare un invito esplicito e chiaro a leggere attentamente le avvertenze figuranti, a seconda dei casi, nel foglio illustrativo o sull’imballaggio esterno (così l’art. 116, D.lgs. n. 219/2006 di attuazione della direttiva n. 2001/83/CE e succ. modif. e della direttiva n. 2003/94/CE(13)), la direttiva 2014/17/UE lascia aperta la possibilità, da parte degli Stati membri, di introdurre un tale obbligo anche per la promozione pubblicitaria dei contratti di credito di cui all’art. 3.
Più precisamente i legislatori nazionali possono pretendere che i creditori che intendano pubblicizzare contratti di credito relativi a beni immobili residenziali, o contratti di credito finalizzati all’acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o su una costruzione edificata o progettata, debbano ammonire il consumatore circa i rischi specifici che posso derivare dal prodotto offerto14-15. Tra questi rischi, quello dovuto alle fluttuazioni del tasso di cambio da cui può derivare una rideterminazione anche significativa dell’ammontare del credito da rimborsare, come pure quello legato alla natura della garanzia richiesta dal creditore ed alle connesse conseguenze di un suo rilascio, sono per giunta già ipotizzati nei considerando n. 22 e 30.
Va detto, poi, che la direttiva se da un lato lascia carta bianca agli Stati membri circa la volontà di pretendere o meno questo tipo di avvertenze, dall’altro si preoccupa di porre dei paletti dal punto di vista operativo a che queste avvertenze non mortifichino l’efficacia stessa della comunicazione delle informazioni di base, andando a calamitare oltre il dovuto l’attenzione del consumatore. Di qui l’imperativo di fare in modo che tali avvertenze siano formulate in maniera “concisa” e “proporzionata” alle dimensioni dell’intero messaggio pubblicitario. Raccomandazione che ad un più attento esame può sembrare persino superflua, specie se si pensa all’esperienza già collezionata nei comparti in cui questo tipo di obbligo di indicazione è stato già introdotto. In questi, infatti, normalmente gli operatori tendono ad essere estremamente stringati, vuoi perché ogni battuta in più presente nel messaggio costa, vuoi perché ci tengono ad ottimizzare la penetrabilità nel pubblico della componente reclamizzante e non delle informazioni imposte per legge(16).

L’enforcement delle disposizioni sulla pubblicità

La presenza, nell’ultimo co. dell’art. 11 come pure in apertura dell’art. 10, di un periodo con cui si fa salva l’applicazione delle norme della direttiva 2005/29/CE impone di comprendere come gli assetti stabiliti con le norme richiamate si interfaccino con le disposizioni qui in commento.
Assodato che la normativa interna prodotta per recepire la direttiva 2005/29/CE è da tempo allocata, per quanto riguarda il nostro paese, nel codice del consumo, va notato che questa si caratterizza per delle previsioni assai articolate, palesemente più ampie e dettagliate di quelle oggetto di commento in questa sede. Basti, infatti, pensare già solo al fatto che il titolo III della parte II del codice del consumo si preoccupa di reprimere, e prima ancora di disincentivare, sia le pratiche commerciali ingannevoli, che quelle aggressive, là dove invece la direttiva 2014/17/UE si interessa esclusivamente delle comunicazioni pubblicitarie di una particolare categoria di contratti di credito ingannevoli.
Va detto, inoltre, che per pratica commerciale il legislatore intende «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, realizzata da un operatore commerciale, in rapporto alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori»(17 )(corsivo mio), sicché il codice del consumo va ben al di là della mera comunicazione pubblicitaria, che pure considera, e dilata lo spettro della propria azione sino a ricomprendere «qualsivoglia comportamento (scorretto) (attivo o anche solo meramente passivo), tenuto da un professionista anteriormente, contestualmente o anche posteriormente alla conclusione di un qualsivoglia contratto con un consumatore, che sia finalizzato a promuovere la stipulazione di un contratto siffatto o comunque presenti una “diretta connessione” con un cotale contratto»(18). Quand’anche poi ci si volesse soffermare sul confronto tra le modalità con cui le due fonti normative disciplinano gli aspetti comuni, ovvero l’ingannevolezza della comunicazione pubblicitaria dei contratti di credito di cui all’art. 3 dir. 2014/17/UE, si dovrebbe constatare che il codice del consumo la riscontra e la sanziona tutte le volte in cui accerta che la comunicazione è avvenuta in contrasto con la diligenza professionale dovuta dal creditore al punto da alterare in maniera apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio in ordine al prodotto pubblicizzato(19). Diversamente, gli artt. 10 e 11 direttiva 2014/17/UE non forniscono agli Stati membri alcun parametro utile per il riconoscimento dell’eventuale comunicazione pubblicitaria ingannevole. Al massimo l’art. 11 si limita a stabilire il contenuto minimo imposto alle comunicazioni pubblicitarie e l’art. 10, per parte sua, sancisce in maniera lapidaria ed apodittica che la comunicazione non deve essere ingannevole.
Quindi a ben vedere i profili di sovrapposizione delle due normative consumeristiche qui considerate sono pressoché minimi, e ragionevolmente lo resteranno anche nel momento in cui gli artt. 10 ed 11 della direttiva saranno interpolati nel Tub e nel provvedimento della Banca d’Italia sulla Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Solo limitatamente a questi profili ha un senso, dunque, interrogarsi circa il rischio di antinomie, atteso che per tutta l’area di maggior regolamentazione del codice del consumo sopra segnalata, quest’ultimo opera in totale autonomia ed in via del tutto complementare rispetto alla normativa specialistica di settore.
Ciò spinge a ricercare la risposta al quesito qui proposto nell’art. 19, comma 3, cod. cons., in cui trova cittadinanza lo spartiacque tra la competenza delle norme sulle pratiche commerciali scorrette e quelle di derivazione comunitaria concernenti aspetti specifici delle pratiche stesse. La pretermissione delle prime norme a favore delle seconde, professata da questo articolo, non potrà però trovare luogo nel caso che qui occupa, in quanto ne deriverebbe altrimenti un abbassamento del livello di tutela del consumatore decisamente contrario alla volontà del legislatore comunitario.
C’è da notare, infatti, che in questo caso non siamo difronte ad una comunicazione pubblicitaria ingannevole, astrattamente riconducibile a più fattispecie previste da norme incriminatrici strutturalmente e contenutisticamente identiche, salvo che per un elemento specializzante tale da giustificare, ai sensi del citato art. 19, il primato delle norme di settore su quelle generali delle pratiche commerciali scorrette. Piuttosto, siamo alle prese con una fattispecie disciplinata simultaneamente da un apparato normativo regolatorio e di vigilanza presieduto dalla Banca d’Italia, e di un altro di carattere amministrativo sanzionatorio affidato all’operato dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Pertanto non si ravvisa, nel caso di specie, alcun rischio di contravvenzione del principio ne bis in idem sostanziale, ne tanto meno un conflitto di competenze tra Autorità di regolazione di settore ed Autorità antitrust. Le norme potranno operare cumulativamente, così come sostenuto già da tempo da alcuni esponenti della dottrina(20 )e da parte della giurisprudenza(21), nonché a partire dal 26 marzo 2014, giorno di entrata in vigore del D.lgs. n. 21/2014, anche in virtù del nuovo comma 1-bis dell’art. 27 cod. cons.(22)
Ciò non toglie che le Autorità coinvolte nell’enforcement di queste norme debbano sempre più cercare la collaborazione tra loro, cosa che l’Antitrust e la Banca d’Italia hanno fatto siglando il 14 ottobre 2014 il nuovo Protocollo di intesa in materia di tutela dei consumatori nel mercato bancario e finanziario. In tale documento sono regolate le segnalazioni reciproche dei casi in cui, nell’ambito dei procedimenti di rispettiva competenza, ciascuna delle due Autorità ravvisi ipotesi di possibili violazioni di competenza dell’altra, lo scambio reciproco di documenti e informazioni sui procedimenti avviati da ciascuna Autorità, ed infine il rilascio da parte della Banca d’Italia di pareri nell’ambito dei procedimenti relativi alle pratiche commerciali scorrette avviati dall’Antitrust nei confronti di operatori del settore bancario e finanziario. Questi pareri potranno così unirsi a quelli preventivi dell’art. 27, comma 6, cod. cons., e richiesti all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ogni qualvolta il messaggio pubblicitario sia stato diffuso attraverso la stampa periodica o quotidiana, ovvero per via radiofonica o televisiva, o altro mezzo di telecomunicazione(23).


(1) Questo secondo tipo di informazioni sono facilmente identificabili all’interno della lista riportata all’art. 11 in quanto precedute dall’espressione “se del caso”.

(2) Vedi ad es. Prov. n. 20589, PS2963 - Pronto mutuo casa - omessa indicazione Tan e Taeg, in Boll. n. 52/2009, in cui un’impresa individuale dava ad intendere ai consumatori per mezzo di un messaggio pubblicitario diffuso su quotidiano che era in grado di concedere direttamente dei mutui, anche a cittadini extracomunitari, là dove invece risultava essere semplicemente iscritta presso l’Albo dei mediatori creditizi un tempo tenuto dall’Ufficio italiano cambi, e dal 1° gennaio 2008 gestito dalla Banca d’Italia.

(3) Tra i tanti casi sanzionati dall’Agcm v., Prov. n. 23764, PS4755 - Bnl e Cardif - polizza collegata al mutuo, in Boll. n. 30/2012, in cui la Bnl, avendo indotto taluni clienti interessati a ricevere un finanziamento a sottoscrivere anche una polizza assicurativa descritta come facoltativa nelle comunicazioni commerciali, è stata ritenuta dall’Autorità colpevole di pratiche commerciali scorrette ai sensi del codice del consumo. Per un’ampia rassegna del caleidoscopio di casi posti in essere dagli operatori bancari in tema di pratiche commerciali scorrette si veda A. GENOVESE, Il contrasto delle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in, La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, a cura di V. Meli - P. Marano, Torino, 2011, p. 48-56.

(4) V. l’art. 5, comma 1, Tub.

(5) Considerazione questa sviluppata dall’Autorità Antitrust nei propri provvedimenti, tra i quali si segnala, a titolo di esempio, il Prov. 22171, PS6123 - B.M.F. Mutui e finanziamenti per la casa, in Boll. n. 9/2011.

(6) V. l’art. 17 direttiva 2014/17/UE, che stando all’art. 2, par. 2, della stessa direttiva, deve essere oggetto di armonizzazione massima.

(7) Si segnala che l’art. 4.1 della sez. VII del Provvedimento della Banca d’Italia sulla Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari prevede invece che negli annunci pubblicitari dei crediti di cui all’art. 122 Tub nessun’altra voce, quale ad es. la durata del contratto o l’importo totale dovuto dal consumatore, deve avere maggiore evidenza del Taeg.

(8) Tra queste pratiche si possono ricordare, a titolo di esempio: PS7008 - Finvest-pubblicità mutui, PS7388 - Family credit-pubblicità finanziamenti, PS6548 - PROJECT97- Pubblicità finanziamenti.

(9) Cfr. a questo proposito: PS5817 - Prestinuova-Pubblicità finanziamenti Regione Sicilia, PS5064 - Finanza Italia-Pubblicità finanziamenti, PS7450 - Bnc Credit-mancata indicazione Tan e Taeg, PS6548 - Project97- Pubblicità finanziamenti, PS2480 - Bnl - Spese istruttorie fido.

(10) Questa precisazione è in linea con quanto già previsto alla lett. c, comma 4, art. 22, cod. cons., a proposito delle spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali, che in occasione della pubblicità di un prodotto debbono essere indicate preventivamente salvo specificare altrimenti - se non quantificabili anticipatamente - l’obbligo da parte del consumatore di doverle comunque pagare.

(11) Questo comma è stato introdotto dall’art. 36-bis D.l. n. 201/2011, conv. in L. n. 214/2011, sull’onda molto probabilmente dei risultati prodotti da un’indagine conoscitiva condotta nel 2009 dall’Isvap sulla distribuzione delle polizze assicurative abbinate a mutui o prestiti personali, poi successivamente reiterata - con risultati tra l’altro sostanzialmente invariati - nell’aprile del 2011. In particolare, dall’indagine è emerso, per quanto qui di interesse, che: i) le polizze di assicurazione pur non essendo obbligatorie per legge sono poste dall’operatore creditizio o finanziario quale condizione essenziale per poter accedere al mutuo o al prestito; ii) la banca (o l’intermediario finanziario) richiedono al cliente di essere designati come beneficiari o vincolatari delle prestazioni offerte dalla polizza allo scopo di soddisfare propri interessi, quali la protezione della posizione creditoria, la riduzione del capitale di vigilanza, e l’immediatezza della riscossione in caso di sinistro; iii) le polizze così proposte comportano per il cliente un costo provvigionale medio più elevato (44 per cento con punte del 79) rispetto a quelle distribuite dagli agenti (20 per cento). Sicché, lo stesso Isvap è intervenuto sulla materia, dapprima con il regolamento 26 maggio 2010, n. 35 (poi parzialmente annullato da Tar Lazio, sez. I, 27 ottobre 2010, n. 33032, per vizi procedurali) e, infine, con il provvedimento 6 dicembre 2011, n. 2946, con cui ha stabilito, innovando l’art. 48 del regolamento Isvap 16 ottobre 2006, n. 5, che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e gli altri intermediari finanziari, non possono ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari (o vincolatari) delle stesse. Ciò anche là dove la sovrapposizione delle qualifiche dovesse avvenire in maniera indiretta, ovvero in ragione di rapporti di gruppo, di affari propri o delle società del gruppo di appartenenza dell’intermediario.

(12) Il comma 2 dell’art. 28 D.l. n. 1/2012, modificato con L. n. 27/2012, rimette all’Isvap, attuale Ivass, il compito di stabilire il contenuto minimo che il contratto di assicurazione qui preso in considerazione deve rispettare, cosa che tale Authority ha effettuato con proprio regolamento del 3 maggio 2012, n. 40.

(13) Per un approfondimento della ratio di queste prescrizioni v., per tutti, P. MINGHETTI - M. MARCHETTI, Legislazione farmaceutica, VII ed., Milano, 2013, p. 628-630.

(14) Si rammenta, solo per dovere di completezza, che per una particolare categoria di contratti di credito indicata all’art. 3, par. 3, lett. a, direttiva 2014/17/UE, gli Stati membri possono decidere di non applicare l’intero art. 11, e di supplire con l’applicazione degli artt. 4 e 5 direttiva 2008/48/CE, in cui però la disposizione sulle avvertenze sui rischi non è contemplata.

(15) Una volta deciso di introdurre nel proprio ordinamento un obbligo di questo genere, lo Stato deve prontamente notificare alla Commissione europea la misura adottata, tale che quest’ultima possa, entro il 21 marzo 2019, riesaminare la disposizione in oggetto ed eventualmente modificarla per migliorare l’armonizzazione delle avvertenze sui rischi (art. 44 direttiva 2014/17/UE).

(16) È prassi, infatti, fare in modo che sia nei messaggi radiofonici, sia in quelli radiotelevisivi, le voci fuori campo siano chiarissime anche se velocizzate. Dopodiché, per non deformare il messaggio pubblicitario alterando l’altezza dei suoni, si eliminano le pause eccessive tra le parole e si fa il cosiddetto “time-stretching” con appositi software.

(17) F. SEBASTIO, «I consumatori di fronte alle pratiche commerciali sleali delle imprese», in Disc. comm., 2007, 3, p. 42.

(18) G. DE CRISTOFARO, «La difficile attuazione della direttiva 2005/29/CE concernente le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive», in Contr. imp. Eur., 2007, p. 3.

(19) Così l’art. 20, comma 2, cod. cons.

(20) L. ROSSI CARLEO, «Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente: frazionamento e sintesi nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette», in Eur. e dir. priv., 2010, 3, p. 697.

(21) Il riferimento è a Cons. di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763, che, con riguardo al rinvio alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette fatta salva nell’art. 123 Tub, ha affermato che «l’esigenza di tutela del consumatore generico assume rilevanza assorbente e deve essere soddisfatta mediante gli strumenti tipici dettati dal D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206».

(22) In cui si recita che «Anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze». La ripartizione di competenze stigmatizzata nel comma 1-bis dell’art. 27 cod. cons. è il risultato di un processo lungo e laborioso che ha visto impegnati per anni dottrina e giurisprudenza, e finanche la Commissione europea che il 18 ottobre 2013 ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, la n. 2013/2169, sui conflitti di competenza e le lacune applicative della normativa in materia di pratiche commerciali scorrette nei settori regolati. Tra gli interventi della giurisprudenza amministrativa su questo tema corre l’obbligo di ricordare, invece, il parere espresso in sede consultiva dal Consiglio di Stato, sez. I, 3 dicembre 2008, n. 3999, e le sentenze, sempre del Consiglio di Stato, di cui la prima emessa in ad. plen., 11 maggio 2012, n. 11 e la seconda, sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1104. Su queste pronunce lo stesso Consiglio di Stato, e sempre in adunanza plenaria, ha avuto modo di tornare di recente, e precisamente in occasione delle due decisioni del 9 febbraio 2016 sui ricorsi numero di registro generale 16 e 17 del 2015. Nello specifico è stata posta al Supremo Consesso la questione circa quale debba essere la corretta interpretazione dell’art. 27, comma 1-bis cod. cons. Ebbene, per il giudice amministrativo «la competenza ad irrogare la sanzione per pratica commerciale scorretta è sempre individuabile nell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato» e la norma da ultimo introdotta all’art. 27 cod. cons. «ha una portata esclusivamente di interpretazione autentica». Per un approfondimento circostanziato dell’evoluzione che ha condotto all’assetto stabilito con il comma 1-bis, cfr., per tutti, L. LORENZONI, «Il riparto di competenze tra Autorità Indipendenti nella repressione delle pratiche commerciali scorrette», in Riv. it. di Antitrust, 2015, 1, p. 83 e ss.

(23) Va detto che pareri della Banca d’Italia in tema di pratiche commerciali scorrette al momento non se ne ravvisano nei procedimenti affrontati dall’Antitrust né nel vigore del nuovo protocollo d’intesa, né in precedenza. Mentre è facile riscontrare il richiamo delle norme del Tub nei pareri dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, v. ad es. PS426 - Gruppo Cerruti multiservices- costi finanziamento, prov. n. 18723, in Boll. n. 31/2008.

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