Direttiva 2014/17/UE - Art. 13 - Art. 14 - Gli obblighi di informazione in capo ai potenziali creditori: informazioni generali e informazioni precontrattuali - Commento di Antonio Las Casas
Direttiva 2014/17/UE
Art. 13 - Informazioni generali
Art. 14 - Informazioni precontrattuali
Commento di Antonio Las Casas
Associato di Diritto privato comparato, Università di Catania

Art. 13
Informazioni generali

1. Gli Stati membri garantiscono che i creditori o, se del caso, gli intermediari del credito con vincolo di mandato o i loro rappresentanti designati rendano disponibili in qualsiasi momento informazioni generali chiare e comprensibili relative ai contratti di credito, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole o sotto forma elettronica. Inoltre, gli Stati membri possono prevedere che gli intermediari del credito senza vincolo di mandato rendano disponibili le informazioni generali.
Le informazioni generali comprendono almeno i seguenti elementi:
a) l’identità e l’indirizzo geografico dell’emittente delle informazioni;
b) gli scopi per i quali il credito può essere utilizzato;
c) le forme di garanzia, con indicazione, ove applicabile, della possibilità che il bene sia ubicato in un diverso Stato membro;
d) la possibile durata dei contratti di credito;
e) i tipi di tassi debitore disponibili, precisando se fissi o variabili o di entrambe le tipologie, con una breve descrizione delle caratteristiche di un tasso fisso e di un tasso variabile, comprese le relative implicazioni per il consumatore;
f) qualora siano disponibili crediti in valuta estera, un’indicazione della valuta o delle valute estere, compresa una spiegazione delle implicazioni per il consumatore quando il credito è denominato in una valuta estera;
g) un esempio rappresentativo dell’importo totale del credito, del costo totale del credito per il consumatore, dell’importo totale che il consumatore deve pagare e del Taeg;
h) un’indicazione degli eventuali ulteriori costi, non inclusi nel costo totale del credito per il consumatore, da pagare in relazione a un contratto di credito;
i) la gamma delle diverse opzioni disponibili per rimborsare il credito al creditore (compresi numero, frequenza e importo delle rate periodiche di rimborso);
j) se del caso, una dichiarazione chiara e concisa che affermi che il rispetto delle condizioni contrattuali dei contratti di credito non garantisce il rimborso dell’importo totale del credito, in base al contratto di credito;
k) una descrizione delle condizioni direttamente connesse al rimborso anticipato;
l) l’eventuale necessità di una perizia sul valore dell’immobile e, in tal caso, chi sia responsabile di provvedere alla sua esecuzione, e gli eventuali costi che ne derivano per il consumatore;
m) un’indicazione dei servizi accessori che il consumatore è obbligato ad acquistare al fine di ottenere il credito, oppure di ottenerlo alle condizioni offerte, e, se del caso, la precisazione che i servizi accessori possono essere acquistati da un fornitore diverso dal creditore; e
n) un’avvertenza generale relativa alle possibili conseguenze dell’inosservanza degli impegni legati al contratto di credito.
2. gli Stati membri possono prescrivere ai creditori di includere altri tipi di avvertenze rilevanti nello Stato membro. Essi notificano senza indugio tali prescrizioni alla Commissione.

Art. 14
Informazioni precontrattuali

1. Gli Stati membri provvedono affinché il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato forniscano al consumatore le informazioni personalizzate necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito:
a) senza indebito ritardo, dopo che il consumatore ha fornito le informazioni necessarie circa le sue esigenze, la sua situazione finanziaria e le sue preferenze in conformità con l’articolo 20; e
b) in tempo utile, prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un’offerta.
2. Le informazioni personalizzate di cui al paragrafo 1, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il Pies di cui all’allegato II.
3. Gli Stati membri garantiscono che quando al consumatore è proposta un’offerta vincolante per il creditore, tale offerta sia fornita su supporto cartaceo o su altro supporto durevole e sia accompagnata da un Pies se:
a) non è stato fornito alcun Pies in precedenza al consumatore; o
b) le caratteristiche dell’offerta sono diverse dalle informazioni contenute nel Pies precedentemente fornito.
4. Gli Stati membri possono prevedere la fornitura obbligatoria del Pies prima della proposta di qualsiasi offerta vincolante per il creditore. Qualora uno Stato membro disponga in tal senso, impone l’obbligo di fornire nuovamente il Pies solo se ricorrono le condizioni del paragrafo 3, lettera b.
5. Gli Stati membri che prima del 20 marzo 2014 hanno predisposto un prospetto informativo che adempie ad obblighi di informazione equivalenti a quelli previsti all’allegato II possono continuare ad utilizzarlo ai fini del presente articolo fino al 21 marzo 2019.
6. Gli Stati membri precisano il periodo, di almeno sette giorni, durante il quale il consumatore ha il tempo sufficiente per confrontare le offerte, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata.
Gli Stati membri precisano se il periodo di cui al primo comma è un periodo di riflessione prima della conclusione del contratto di credito oppure un periodo per l’esercizio del diritto di recesso dopo la conclusione del contratto di credito oppure una combinazione dei due.
Se uno Stato membro prevede un periodo di riflessione prima della conclusione di un contratto di credito:
a) l’offerta è vincolante per il creditore per la durata del periodo di riflessione; e
b) il consumatore può accettare l’offerta in qualunque momento durante il periodo di riflessione.
Gli Stati membri possono prevedere che i consumatori non possano accettare l’offerta per un periodo non superiore ai primi dieci giorni del periodo di riflessione.
Se il tasso debitore o altri costi applicabili all’offerta sono determinati sulla base della vendita di obbligazioni sottostanti o di altri strumenti di raccolta a lungo termine, gli Stati membri possono prevedere che il tasso debitore o altri costi possano variare rispetto a quanto riportato nell’offerta a seconda del valore dell’obbligazione sottostante o dell’altro strumento di raccolta a lungo termine.
Se il consumatore gode del diritto di recesso a norma del secondo comma del presente paragrafo, l’articolo 6 della direttiva 2002/65/CE non si applica.
7. Solo una volta fornito almeno il Pies prima della conclusione del contratto, si ritiene che il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato che hanno fornito il Pies al consumatore abbiano soddisfatto i requisiti relativi alle informazioni da fornire al consumatore prima della conclusione del contratto a distanza di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2002/65/CE e i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva.
8. Gli Stati membri non modificano il modello Pies salvo per quanto previsto nell’allegato II. Qualsiasi informazione aggiuntiva che il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato forniscano al consumatore o siano tenuti, in base al diritto nazionale, a fornire al consumatore è fornita in un documento distinto che può essere allegato al Pies.
9. Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 40 riguardo alla modifica della formulazione standard dell’allegato II, parte A, o delle istruzioni contenute nella parte B per tenere conto della necessità di informazioni o avvertenze riguardo a nuovi prodotti che non erano offerti prima del 20 marzo 2014. Tali atti delegati non modificano tuttavia la struttura o il formato del Pies.
10. Per le comunicazioni mediante telefonia vocale di cui all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2002/65/CE, la descrizione delle principali caratteristiche del servizio finanziario da fornire ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, lettera b), secondo trattino, di tale direttiva comprende almeno gli elementi di cui all’allegato II, parte A, sezioni da 3 a 6, della presente direttiva.
11. Gli Stati membri assicurano che, almeno nei casi in cui non sussiste il diritto di recesso, il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato fornisca al consumatore una copia della bozza del contratto di credito all’atto della presentazione dell’offerta vincolante per il creditore. Nei casi in cui sussiste il diritto di recesso, gli Stati membri assicurano che il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato proponga al consumatore di fornire una copia della bozza del contratto di credito all’atto della presentazione dell’offerta vincolante per il creditore.


Gli obblighi di informazione a carico dei potenziali creditori: informazioni generali e informazioni precontrattuali

Le asimmetrie informative e la “circolarità” dell’informazione precontrattuale

Il lungo processo che ha condotto all’elaborazione della direttiva sui mutui ai consumatori per fini residenziali ed alla approvazione del suo testo definitivo ha sin dall’inizio riservato speciale attenzione all’obiettivo di assicurare al consumatore, che si accinga a concludere un contratto avente lo scopo di procurare credito collegato all’acquisto o al mantenimento della proprietà di un immobile, un adeguato livello di informazione su alcuni profili rilevanti dell’operazione(1).
In via generale, lo speciale rilievo attribuito dal legislatore comunitario alla disciplina degli obblighi informativi rispetto alle contrattazioni destinate a dar luogo alla concessione di credito ai consumatori (ambito già oggetto, com’è noto, della direttiva 2008/48/CE), non diversamente da come accade in altri ambiti riguardanti la contrattazione del consumatore, si spiega, naturalmente, alla luce dell’obiettivo di consentire al consumatore di «confrontare» e «valutare» le diverse offerte reperite sul mercato e prendere una «decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto» (così all’art. 14 della dir. 17/2014, o «una decisione con piena cognizione di causa» come si diceva all’art. 5 della dir. 2008/48/CE sul credito al consumo).
Anche nell’ambito delle operazioni volte a far acquisire al consumatore credito a fini residenziali garantito da diritti immobiliari risulta quindi confermato un tratto essenziale della strategia comunitaria di regolazione dell’autonomia privata, che, sulla scorta del noto assunto relativo alla “asimmetria informativa” dalla quale il contraente non professionale è strutturalmente e per definizione affetto, vede nelle “regole di informazione” un accorgimento fondamentale per far sì che si inveri nei fatti quella condizione di “trasparenza”(2) (che si vuole idealmente presupposta dal modello codicistico del contratto “in generale” come forma giuridica generale del libero scambio privato) che costituisce precondizione necessaria per un efficiente incontro della domanda e dell’offerta, al fine di scongiurare “fallimenti del mercato”(3).
Entro questo quadro generale possono spiegarsi le numerose regole operanti nei vari ambiti presi in considerazione dalla legislazione consumeristica di derivazione comunitaria (del codice del consumo) intese a dotare il consumatore, nel corso della fase precontrattuale, di adeguate cognizioni in merito alle caratteristiche dell’oggetto della prestazione contrattuale e ad alcuni aspetti del regolamento, in modo da rendere ex ante conoscibili dal consumatore dati che questi potrebbe acquisire prima della conclusione del contratto soltanto ad un costo che si rivelerebbe insostenibile sulla base di un ordinario parametro di razionalità economica strumentale(4).
Tali esigenze assumono probabilmente rilievo ancora maggiore e anche qualitativamente diverso in relazione alle operazioni di credito oggetto della disciplina posta dalla direttiva 17/2014, le quali daranno normalmente vita a relazioni contrattuali di durata (con un certo costo di uscita) e i cui termini economici sono suscettibili di essere regolati convenzionalmente sulla base di una molteplicità di modelli contrattuali il cui contenuto costituisce in definitiva il “prodotto” che il consumatore acquista, mentre oggetto in senso stretto della prestazione del contraente professionale rimane comunque il trasferimento della proprietà o comunque la facoltà di godimento ed utilizzo di una somma di denaro contro un corrispettivo.
Le specifiche caratteristiche del “bene” che il consumatore “acquista”, pertanto, in questi casi, ferma restando la finalità di credito come funzione economica generale del’assetto di interessi convenuto, finiscono per coincidere integralmente con il modo nel quale il regolamento contrattuale conforma i diritti e gli obblighi delle parti, con particolare riguardo all’oggetto ed alla disciplina delle obbligazioni poste dal contratto in merito ai pagamenti che il consumatore dovrà eseguire in favore del creditore, secondo i titoli stabiliti in contratto.
Tali aspetti sono suscettibili di determinare, per il consumatore, ulteriori e rilevanti difficoltà rispetto all’esatta comprensione degli effetti economici che i termini del regolamento contrattuale in concreto sono destinati a produrre nella sua sfera economica individuale, anche in considerazione dell’incertezza che inevitabilmente incide sullo svolgimento del rapporto, attesa la dimensione di “durata” che esso fisiologicamente assume, e pregiudica la possibilità di stimare esattamente ex ante rischi (e dunque costi) e benefici dell’operazione in relazione alle possibili circostanze future che dovessero interessare la sfera individuale del consumatore debitore.
Ciò vuol dire che non soltanto, non diversamente da quanto può avvenire rispetto a beni materiali le cui caratteristiche sono pienamente conoscibili solo “con l’esperienza”, l’oggetto del contratto non si presta ad essere ben conosciuto (in particolare nei suoi effetti economici concreti) se non nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, ma, inoltre, che la piena comprensione di costi e benefici dell’operazione richiede un’attività di valutazione di informazioni, sia pure preventivamente fornite, che hanno un elevato grado di complessità.
Si pone cioè, nella prospettiva comunitaria dei rimedi alle “asimmetrie informative”, accanto all’esigenza di rendere preventivamente disponibili informazioni che altrimenti il consumatore acquisirebbe soltanto nel corso dell’esecuzione del contratto, quella di rendere “semplici” informazioni complesse e segnalare l’esistenza di rischi (anche legati alla dimensione di durata del rapporto) che potrebbero non essere immediatamente evidenti al consumatore (e la cui comprensione e valutazione, nell’ambito della regolazione ordinaria e generale dell’autonomia privata, sarebbe ad esclusivo carico del contraente interessato).
Sia le concrete conseguenze economiche che il regolamento contrattuale può determinare nella sfera economica del consumatore, sia il modo nel quale eventuali circostanze future non del tutto prevedibili potranno incidere sulla portata di tali conseguenze economiche in relazione all’economia individuale del consumatore, si rivelano infatti in linea generale scarsamente conoscibili o comprensibili dal consumatore prima della conclusione del contratto(5).
In questo quadro, dunque, se tratto costitutivo della nozione giuridica di consumatore è la strutturale insostenibilità (in relazione agli ordinari parametri della razionalità economica) dei costi necessari per la piena comprensione degli effetti economici concreti del regolamento contrattuale e per la completa valutazione dei rischi che tali effetti possono determinare sulla sfera individuale del consumatore, le scelte attuate con la direttiva 17/2014 sembrano volte a realizzare principalmente due obiettivi.
Da un canto, rendere intellegibili, anche mediante un’attività esplicativa del potenziale contenuto contrattuale modellata su un linguaggio non specialistico (cfr. considerando 41), gli effetti giuridici che si celano dietro le formule impiegate per la redazione delle clausole, e, inoltre, illustrare mediante specifiche indicazioni (volte ad evidenziare profili del rapporto che nell’ambito della disciplina del contratto “in generale” sarebbero lasciati alla autonoma valutazione di ciascun contraente, che se ne assumerebbe il relativo rischio) il concreto significato economico del contratto ed i rischi che, nel corso del tempo, la sua esecuzione (secondo lo specifico contenuto del contratto) può comportare rispetto alla economia individuale del consumatore(6).
Tali sono le due funzioni che, in termini generali, possono accreditarsi alle regole di informazione poste dagli articoli 13 e 14 della direttiva in commento, nel quadro di un generale approccio, già sperimentato dalle regole comunitarie sulla tutela del consumatore, che fa leva sulla standardizzazione e sul carattere “documentale” delle modalità di trasmissione delle informazioni come accorgimenti volti a rendere più facilmente confrontabili, mediante una tecnica di “semplificazione” dell’informazione, le diverse offerte reperibili sul mercato.
Nel contesto del credito ai consumatori, tuttavia, la strategia comunitaria di regolazione dell’informazione precontrattuale, si arricchisce di profili ulteriori rispetto all’approccio che fa leva sulla mera trasmissione (secondo specifiche modalità standardizzate e documentali) di informazione dal contraente professionale al consumatore, già in parte sperimentati con la direttiva 48/2008 sul credito al consumo (nella parte nella quale prevede la valutazione del merito creditizio del consumatore).
Gli obblighi informativi posti dalla direttiva a carico del contraente professionale agli articoli 13 e 14 si collocano infatti entro un più generale quadro normativo che fa muovere l’informazione precontrattuale in un senso “bidirezionale” ed anzi caratterizzato da una certa “circolarità”(7).
Se un primo (in ordine cronologico) e generale obbligo di informazione nei confronti di un consumatore concretamente interessato alla stipulazione di un contratto finalizzato al credito residenziale compete infatti al professionista, il quale deve rendere disponibili, ai sensi e secondo le modalità dell’art. 13 della direttiva, le informazioni “generali” relative alla totalità (cfr. il considerando n. 38) dei “prodotti” rientranti nel campo di applicazione della direttiva offerti al pubblico dei consumatori, un onere di comunicazione, nella fase di contrattazione immediatamente successiva, sussiste anche in capo al consumatore, il quale, ai sensi dell’art. 20 della direttiva, dovrà fornire le informazioni necessarie a consentire al potenziale creditore la valutazione del merito creditizio.
Tali informazioni così fornite dal consumatore alla potenziale controparte costituiranno, da un canto, l’oggetto sul quale verrà condotta dal contraente professionale la valutazione del merito creditizio del consumatore ma forniranno anche, d’altro canto, il quadro necessario a determinare lo specifico prodotto da proporre al consumatore e sulla base del quale fornire al consumatore le “informazioni personalizzate” dell’art. 14 (cfr. il considerando n. 44 e il paragrafo 1 lett. a dell’art. 14 della direttiva in commento).
Informazione, dunque, che, nel processo di contrattazione delineato dalla direttiva, muove dal professionista al consumatore, e viceversa, entro un quadro di regole che impone ad entrambe le parti obblighi e oneri di comunicazione e valutazione di informazioni e che “responsabilizza”, in particolare, il professionista ma, in una certa misura, anche il consumatore.
Al professionista, da una parte, è infatti imposto l’obbligo di valutazione delle informazioni trasmesse dal consumatore, a fini di verifica del merito creditizio e di comunicazione delle informazioni personalizzate, in modo da rendere il consumatore il più possibile edotto circa l’effettivo significato economico ed il relativo rischio della concreta operazione di credito che appare astrattamente conforme alle sue esigenze. Al consumatore è, d’altra parte, imposto il simmetrico onere di trasmettere informazioni complete e trasparenti in merito alla sua situazione ed alle sue esigenze in modo da consentire al professionista di condurre adeguatamente la valutazione del merito creditizio e di fornire informazioni personalizzate che siano effettivamente modellate sulle esigenze e la condizione del consumatore e che così rispondano realmente alla funzione di consentire il confronto tra le diverse offerte e l’individuazione del modo più efficiente per soddisfare il concreto bisogno che il consumatore intenda affidare al contratto.
Le regole di informazione in questione presentano dunque, da un canto, quella standardizzazione delle modalità di trasmissione ed il connesso formalismo informativo tipici del dritto dei consumatori(8) ma tuttavia sono collocate entro un quadro normativo complessivo che dà effettivamente vita ad una certa circolarità, che si vuole virtuosa, del flusso informativo e dei conseguenti oneri di valutazione in capo alle parti. Quadro che, integrato anche dalla previsione di specifiche iniziative volte alla promozione della “educazione finanziaria” dei consumatori (cfr. considerando n. 29 e art. 6 della direttiva), dovrebbe consentire di perseguire efficacemente l’obiettivo politico generale della direttiva che traspare dalla lettura dei considerando e cioè il “successo” dell’operazione di finanziamento risultante dalla soddisfazione, mediante il credito, del bisogno abitativo del consumatore unita alla possibilità di quest’ultimo di far fronte alle obbligazioni contrattuali, anche in relazione a possibili sopravvenienze che possano incidere sulla sua capacità di ripagare il credito (così assicurando l’efficienza ed il buon funzionamento del mercato del credito residenziale ai consumatori)(9).

Le informazioni generali (art. 13)

Il flusso delle informazioni precontrattuali è organizzato e regolato dalla direttiva 17/2014 secondo una graduazione (la cui scansione si coglie dalla lettura dei considerando 37 - 41) che procede da un ambito generale, svincolato dall’instaurazione di una contrattazione con un consumatore determinato (le regole sulla pubblicità degli articoli 11 e 12), verso un quadro via via più definito, che diviene ad un certo punto qualificato in modo determinante dalle informazioni trasmesse dal consumatore in merito alla propria situazione ed alle esigenze che intende soddisfare mediante il credito e quindi direttamente riferito alle caratteristiche della specifica negoziazione in corso(10).
Prima tappa di tale processo, che quindi tende ad una completa “personalizzazione” del flusso informativo, può considerarsi l’informazione relativa alla generalità dei prodotti offerti dal potenziale creditore, che, ai sensi dell’art. 13, sotto la rubrica di “informazioni generali”, deve essere resa disponibile al consumatore «in qualsiasi momento ... su supporto cartaceo o su altro supporto durevole o sotto forma elettronica» ad opera dei potenziali creditori o degli intermediari del credito con vincolo di mandato.
Si tratta di un modello di disciplina che, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, è destinato ad incidere sulla disciplina (per certi versi analoga) delle informazioni al pubblico allo stato applicabile nell’ambito generale dei contratti bancari, ivi compresi quelli volti alla concessione di credito garantito da ipoteca, e risultante da quanto previsto dal capo I del titolo VI del Testo unico bancario così come significativamente specificato ed integrato, com’è noto, dal provvedimento della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”(11).
Inoltre, già dal 2001, in seguito alla raccomandazione della Commissione del 1 marzo 2001(12), gli operatori del mercato creditizio, hanno adottato, su base volontaria, un codice deontologico che prevede, fra l’altro, anche che l’ente erogante il credito debba rendere disponibili “informazioni generali” secondo quanto indicato dall’allegato I alla Raccomandazione (che delinea un ambito di informazione non troppo dissimile da quello oggi individuato dalla direttiva 17/2014, come oggetto però di un obbligo legale in capo a creditori e intermediari del credito).
Come chiarito dai considerando (37 e 38), poiché la pubblicità (regolata dai precedenti articoli 10 e 11) si riferisce di norma ad «uno o più prodotti» proposti dal contraente professionale, la norma dell’art. 13, nel disciplinare il contenuto e le modalità di pubblicizzazione delle “informazioni generali”, intende dar rilievo all’interesse dei consumatori potenzialmente interessati al credito a conoscere le caratteristiche essenziali «di tutta la gamma dei prodotti di credito offerti» da ciascun operatore del mercato del credito.
Per questa ragione, la norma dispone che il consumatore potenzialmente interessato al credito debba avere accesso ad una serie di dati che gli consentano di individuare le caratteristiche distintive della complessiva offerta di ciascun operatore del mercato del credito, al fine primario di agevolare, già in sede di acquisizione di una prima informazione generale sulle condizioni del mercato, il confronto tra la platea delle offerte disponibili presso i diversi potenziali erogatori del credito.
Oltre a consentire tale confronto, le informazioni da fornire in questa sede, che appare caratterizzata da un contatto tra le parti ancora tenue e nel quale è ancora assente ogni elemento di concreta negoziazione in relazione alle specifiche esigenze e possibilità del consumatore e dunque ogni elemento di “personalizzazione” dell’informazione, sembrano altresì volte a consentire al consumatore un primo orientamento nel mercato del credito residenziale attraverso la conoscenza delle tipologie di prodotti astrattamente disponibili, delle loro caratteristiche essenziali e dei rischi che in generale (e dunque non con riferimento alla concreta condizione del consumatore) essi possono determinare.
Una prima tranche dell’informazione, dunque, ancora svincolata dalla negoziazione con specifici soggetti e pertanto rivolta in generale al mercato(13 )e che, mediante la standardizzazione dei contenuti e delle modalità di trasmissione, appare volta a ridurre l’onere che il consumatore dovrebbe altrimenti sostenere per acquisire la conoscenza delle offerte disponibili sul mercato, sul presupposto che tale ampia e generale conoscenza, oltre a fornire al consumatore i primi rudimenti su un mercato che potrebbe essergli del tutto sconosciuto, sia utile al fine di individuare il prodotto ed il partner contrattuale che si presenti meglio in grado di rispondere alle esigenze che il consumatore intende soddisfare mediante il contratto.
Quanto al contenuto, tali informazioni dovranno comprendere le caratteristiche essenziali dei prodotti offerti, quali: gli scopi per i quali il credito può essere utilizzato; le forme di garanzia dalle quali può essere assistito; la possibile durata; i tipi di tasso debitore disponibili; le valute estere nelle quali il credito sia eventualmente disponibile; un’illustrazione del Taeg applicabile (mediante un esempio rappresentativo); la menzione degli ulteriori eventuali costi; le modalità di rimborso (con l’eventuale indicazione di numero, frequenza e importo delle rate); le modalità e condizioni per il rimborso anticipato (art. 13 lett. a - k).
Si tratta, com’è evidente, di informazioni relative a dati destinati a tradursi in contenuto dell’eventuale contratto da stipularsi e che dunque, relativamente agli aspetti appena elencati, hanno la funzione di far conoscere al pubblico, minimizzando così i costi di acquisizione di tali dati, le diverse tipologie di contenuti contrattuali astrattamente disponibili.
Inoltre, dovrà essere resa esplicita l’eventuale necessità di una perizia sul valore dell’immobile, con l’indicazione dei costi, o dell’acquisto di servizi accessori obbligatori al fine di ottenere il credito o ottenerlo alle condizioni offerte (art. 13 lett. l - m).
Infine, tali informazioni generali comprendono anche altre indicazioni che, a ben vedere, non si risolvono né nell’anticipazione delle tipologie di contenuti contrattuali disponibili e nemmeno nella specificazione di eventuali attività e costi accessori che il consumatore dovrà sostenere al fine di accedere al credito (quali quelli per la perizia o l’acquisto di servizi ulteriori) ma costituiscono piuttosto spiegazione, auspicabilmente mediante un linguaggio non specialistico, degli effetti economici che le diverse tipologie di contenuti contrattuali disponibili determinano, unita all’avvertenza circa i rischi che tali effetti economici sono in astratto suscettibili di determinare.
A questi ultimi fini sembrano infatti tendere le indicazioni in merito ai due profili che, in una fase della circolazione di informazioni ancora caratterizzata dall’assenza di alcun riferimento a soggetti determinati o operazioni specifiche, appaiono come quelli sui quali possono già appuntarsi le difficoltà del consumatore rispetto all’esatta comprensione degli effetti economici del contratto e dei profili di rischio per la sua sfera individuale: il carattere variabile del tasso debitore e il credito in valuta estera.
Le lettere e e f dell’art. 13, infatti, prescrivono che, nell’indicare i tassi debitore disponibili, il creditore (o l’intermediario con vincolo di mandato) deve precisare se si tratta di tasso fisso o variabile e descrivere le «caratteristiche di un tasso fisso e di un tasso variabile, comprese le relative implicazioni per il consumatore» e che, nel caso in cui il credito sia denominato in valuta estera, occorra spiegarne le «implicazioni per il consumatore».
Alla medesima categoria delle informazioni che costituiscono spiegazione degli effetti economici ed avvertenza sul “rischio” del contratto si lascia ascrivere anche la lett. n dell’articolo in questione, ai termini della quale occorre comprendere nelle informazioni generali «un’avvertenza generale relativa alle possibili conseguenze dell’inosservanza degli impegni legati al contratto di credito».
Quanto alle modalità di trasmissione di tali informazioni, in conformità ad un canone generale della disciplina del contratto col consumatore (cfr. art. 35 comma 2 cod. cons.), è prescritto che esse siano rese in forma «chiara e comprensibile», lasciando così intendere (anche in congiunzione con quanto dichiarato nel considerando 41 in merito all’opportunità di utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile e non necessariamente modellato sulla terminologia tecnico-giuridica) un favore per quelle modalità comunicative in grado di illustrare contenuto, effetti economici e rischi dei possibili contratti secondo un registro che attinga essenzialmente al linguaggio comune e non specialistico.

Le informazioni precontrattuali “personalizzate” (art. 14)

Sul presupposto che abbia potuto avere accesso alle informazioni generali, rese disponibili ai sensi dell’art. 13, e proprio sulla scorta della “precomprensione” così acquisita (o quanto meno astrattamente acquisibile) in ordine alle caratteristiche generali del mercato e dei prodotti astrattamente disponibili, al consumatore spetta di fornire al potenziale creditore, intermediario del credito o rappresentante designato, le informazioni necessarie in merito alle proprie esigenze, la propria situazione finanziaria e le proprie preferenze, secondo quanto disposto dall’art. 20 della direttiva (cfr. art. 14, paragrafo 1 lett. a).
Soltanto dopo che il consumatore abbia assolto a tale onere, «senza indebito ritardo», il creditore, l’intermediario del credito o il rappresentante designato, dovranno fornirgli le «informazioni personalizzate necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito» (così l’art. 14 paragrafo 1).
Tratto caratteristico delle informazioni precontrattuali dell’art. 14 è dunque in primo luogo, e secondo un modello già noto nelle sue caratteristiche essenziali al legislatore comunitario ed italiano (cfr. l’art. 5 della direttiva 2008/48/CE e il corrispondente art. 124 Tub), il loro carattere personalizzato: esse si riferiscono cioè ad uno specifico prodotto, individuato dal contraente professionale sulla scorta di quanto riferito dal consumatore e a questi proposto per la sua valutazione, del quale sono volte ad illustrare e spiegare contenuto, effetti economici e rischi anche con riferimento alla specifica condizione personale e patrimoniale rappresentata dal consumatore.
Inoltre, deve evidenziarsi il particolare carattere standardizzato e documentale del contenuto e delle modalità di trasmissione delle informazioni. Esse vengono infatti comunicate mediante la consegna, su «supporto cartaceo o altro supporto durevole», di un documento, il «Prospetto informativo europeo standardizzato» (Pies), il cui modello, che illustra contenuto e modalità espositive delle informazioni, si trova all’allegato II della direttiva, unitamente alle istruzioni per la sua compilazione. Eventuali informazioni aggiuntive dovranno essere fornite in un documento separato, ciò che rivela un impiego della standardizzazione volto anche a prevenire gli inconvenienti di un sovraccarico di informazioni, anche in tal caso secondo un modello già sperimentato in occasione della direttiva 48 del 2008 sul credito al consumo(14).
Ancora, la disciplina dell’informazione precontrattuale personalizzata lega la trasmissione dell’informazione ad una scansione della negoziazione organizzata secondo un procedimento che riserva al consumatore uno spatium deliberandi dopo la trasmissione dell’informazione personalizzata (il cui contenuto, come si vedrà, è definito in modo tale da predeterminare gli aspetti essenziali del contenuto del concreto contratto di credito proposto al consumatore) e prima della conclusione del contratto o comunque della definitiva produzione dei suoi effetti (cfr. considerando 23).
L’art. 14 si presenta pertanto, da questo punto di vista, come norma che, nel disciplinare il contenuto e le forme di comunicazione delle informazioni precontrattuali personalizzate, conforma al tempo stesso il procedimento per giungere alla conclusione del contratto o comunque alla stabilità dei suoi effetti giuridici (a seconda che tale “periodo di riflessione” venga strutturato dai legislatori nazionali come fase precedente alla conclusione del contratto o come tempo durante quale il consumatore può esercitare il diritto di recesso, cfr. art. 14 paragrafo 6).
Il modello delle informazioni personalizzate da rendersi mediante la consegna di un prospetto informativo standardizzato in tutto il territorio dell’Unione, oltre ad essere già stato adottato in occasione della direttiva sul credito al consumo, si avvale anche di una certa sperimentazione avvenuta su base volontaria.
Anche il Pies era infatti già stato elaborato in occasione della Raccomandazione della Commissione europea del 2001, cui ha fatto seguito l’adozione di un codice deontologico riguardante l’informativa precontrattuale al quale hanno potuto aderire, su base volontaria, gli operatori del mercato del credito. Di tale codice deontologico costituiva già parte integrante il “Prospetto informativo europeo standardizzato”, il cui modello si trovava all’allegato II alla citata Raccomandazione della Commissione europea del 1 marzo 2001. Tale originario modello, che appariva meno dettagliato di quello oggi adottato dalla direttiva 17/2014, soprattutto dal punto di vista della esplicazione degli effetti economici delle clausole contrattuali e del relativo rischio che esse possono determinare rispetto alla concreta condizione patrimoniale del consumatore, è stato rivisto ed ampliato, anche all’esito del monitoraggio attuato dalla Commissione europea in ordine alla applicazione ed alla concreta efficacia informativa di tale prospetto informativo, originariamente facoltativo (cfr. considerando n. 40).
Il Pies contenuto all’allegato II della direttiva tiene conto dunque dei risultati delle consultazioni e delle attività di verifica e monitoraggio condotte dalle istituzioni comunitarie nel corso del processo che ha portato all’approvazione definitiva della direttiva 17/2014.
Dal punto di vista dell’ordinamento italiano, la disciplina delle informazioni precontrattuali personalizzate oggi introdotta dalla direttiva è destinata ad incidere in maniera sostanziale sulla disciplina allo stato applicabile ai contratti volti a realizzare operazioni di credito garantito da ipoteca, recata dal capo I del titolo VI del Testo unico bancario e integrata e specificata dal già ricordato Provvedimento della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011(15), rendendola probabilmente del tutto superata alla luce dei più dettagliati e qualitativamente diversi obblighi di informazione previsti dalla direttiva.
Le informazioni che il Pies deve contenere possono catalogarsi, in modo non sostanzialmente diverso da quanto si è detto a proposito delle informazioni generali, tenendo conto però del carattere ormai “personalizzato” dell’informazione fornita, distinguendo a seconda che esse abbiano come oggetto la comunicazione preventiva di elementi destinati a far parte del contenuto del futuro contratto oppure la spiegazione del concreto funzionamento del meccanismo contrattuale così comunicato nei suoi termini fondamentali e cioè la spiegazione degli effetti economici che i termini del contratto in sostanza determinano e dei rischi cui essi possono dar luogo rispetto all’economia individuale del consumatore anche in relazione a possibili sopravvenienze.
La conoscenza preventiva di tutti tali elementi, entro i limiti che risultano dal contenuto e dalle modalità dell’informazione resi obbligatori dalla struttura del Pies, dovrebbe consentire al consumatore, durante il “periodo di riflessione” imposto dalla direttiva tra la comunicazione del prospetto e la conclusione del contratto (o la produzione definitiva dei suoi effetti), di confrontare le diverse offerte “personalizzate” pervenutegli e di valutare, alla luce delle esplicazioni e delle avvertenze contenute nel prospetto, l’adeguatezza del regolamento contrattuale proposto rispetto alle proprie esigenze ed alla propria condizione patrimoniale («confrontare e riflettere» per poter compiere una «scelta informata» secondo la dizione dei considerando 40 e 43).
Rispetto a tale valutazione, particolare rilievo riveste il carattere standardizzato delle modalità informative imposte. In forza di tale standardizzazione, ciascun contraente professionale è vincolato, quanto al contenuto ed alle modalità dell’informazione, al modello predisposto ed allegato alla direttiva, con le relative istruzioni per la compilazione e, qualora voglia (o debba, in base al diritto nazionale) fornire informazioni ulteriori, dovrà farlo mediante la consegna di un documento distinto che può essere allegato al Pies (cfr. art. 14, paragrafo 8 e considerando 42).
Da ciò consegue che, pur essendo la disciplina recata dalla direttiva in materia di informazioni da fornire tramite il Pies ai sensi dell’art. 14, secondo paragrafo, normativa di piena armonizzazione (con la conseguente preclusione per il legislatore nazionale di adottare misure divergenti da quelle comunitarie anche in senso più favorevole al consumatore: cfr. art. 2 della direttiva), una certa flessibilità deriva dalla possibilità ammessa dai considerando (cfr. considerando 42) di «introdurre o mantenere laddove manchino disposizioni armonizzate» ulteriori requisiti informativi, salva l’intangibilità (fosse anche a beneficio del consumatore) del modello contenuto all’allegato II ai fini della redazione del Pies. Ulteriori spazi di flessibilità derivano dalla norma contenuta al paragrafo 5 dell’art. 14(16 )e dalla possibilità per gli Stati membri di «elaborare e precisare ulteriormente le istruzioni per la compilazione» del Pies, così come prevede la parte B dell’allegato II.
Tale standardizzazione (assistita anche, nei limiti visti, dal presidio dell’armonizzazione massima) del Pies pertanto, mentre rende, per quanto possibile, “semplice” un’informazione complessa, garantisce che, su tutto il territorio dell’Unione, al consumatore potenzialmente interessato all’accesso al credito collegato ad immobili residenziali venga fornito il medesimo quadro di informazioni (organizzate ed esposte secondo una veste grafica uniforme, che dia il medesimo rilievo grafico alle informazioni del medesimo tipo e particolare evidenza alle avvertenze in merito ai rischi), al fine di ridurre i costi del «confrontare e riflettere», che potrebbero invece essere accresciuti da un sovraccarico di informazioni che, contaminando il modello concepito dal legislatore comunitario, possa sviare l’attenzione del consumatore e rendere opache le informazioni reputate fondamentali (anche con riguardo alle modalità ed alla veste grafica della trasmissione) dal legislatore comunitario.

Il contenuto del Pies e il procedimento di contrattazione delineato dall’art. 14

La struttura fondamentale del Pies è costituita da quei dati destinati ad essere incorporati nel contenuto contrattuale nel caso in cui la negoziazione abbia esito positivo.
Da questo punto di vista la consegna del Pies secondo la scansione temporale prevista dall’art. 14 risponde all’obiettivo di far conoscere adeguatamente al consumatore il contenuto del contratto con sufficiente anticipo rispetto alla eventuale stipula, al fine di evitare che possa essere colto di sorpresa da clausole contrattuali che non abbia avuto modo di soppesare a sufficienza e di garantire che abbia il tempo sufficiente per confrontare le offerte(17). Assumono rilievo, in questa prospettiva, innanzitutto le informazioni relative agli elementi fondamentali dell’operazione di credito: l’importo e la valuta del credito; la durata; il tipo di tasso di interesse applicabile (sez. 3 del Pies).
Particolare importanza, nel quadro dell’informazione volta ad anticipare il contenuto contrattuale, riveste la comunicazione relativa al Taeg (sez. 4 del Pies). Tale indicazione ha evidentemente la funzione di neutralizzare in qualche modo la complessità dell’offerta rispetto alla comprensione del sacrificio patrimoniale che essa pone a carico del consumatore, rendendo immediatamente percepibile a questi il costo totale del credito (sotto forma di una percentuale annua sull’importo totale finanziato, che tenga conto naturalmente non soltanto del tasso debitore ma anche degli altri costi noti al creditore), al fine di ridurre il costo della comparazione con altre eventuali offerte.
Analoga funzione illustrativa del contenuto del contratto hanno le informazioni relative alla frequenza, al numero e all’importo delle rate, illustrate anche mediante una tabella di ammortamento esemplificativa (sezioni 5, 6 e 7), all’esistenza di eventuali obblighi ulteriori o relativi a servizi accessori (sez. 8), alle modalità di estinzione anticipata ed alla complessiva “flessibilità” del contratto (sezioni 9 e 10), agli “altri diritti” del mutuatario (fra i quali spicca l’eventuale diritto di recesso, al fine di dare corso all’obiettivo di garantire al consumatore un adeguato “periodo di riflessione”, che tuttavia può essere in alternativa realizzato riconoscendo al consumatore uno spazio di deliberazione precedente alla conclusione del contratto, del quale deve essere comunque data notizia mediante il Pies: sez. 11). Unitamente a tali informazioni, che in definitiva danno luogo ad una comunicazione anticipata degli elementi del futuro contratto la cui conoscenza nella forma standardizzata e semplificata prevista è ritenuta fondamentale dal legislatore comunitario, il creditore a mezzo del Pies fornirà anche indicazioni volte a chiarire ulteriormente i concreti effetti economici che il meccanismo contrattuale determinerebbe a carico del consumatore e a rendergli evidenti i rischi che tali effetti economici possono comportare anche in relazione a sopravvenienze future.
Secondo questa logica si spiegano le specifiche avvertenze in merito alla tipologia del tasso debitore, alle modalità della imputazione dei pagamenti a rimborso del capitale o degli interessi, al modo nel quale può assumere rilievo il fatto che il credito sia denominato in valuta diversa da quella nazionale del consumatore.
Il creditore, infatti, nella sez. 3 del Pies (“Principali caratteristiche del mutuo”), dovrà: inserire specifiche avvertenze che segnalino al consumatore come potrebbe variare l’ammontare del credito eventualmente denominato in valuta estera nel caso di variazioni del tasso di cambio rispetto alla valuta nazionale del consumatore; fornire un’ulteriore indicazione esplicativa dell’incidenza economica del tasso debitore (specificando quanto il consumatore dovrà pagare per ogni unità della valuta nella quale è denominato il credito); segnalare se i pagamenti del consumatore debbano imputarsi ai soli interessi con il conseguente obbligo di rimborsare, al termine, il capitale.
Ancora, si prevede che alla sezione 4 (“Tasso di interesse e altri costi”) il creditore illustri ulteriormente le conseguenze economiche che un eventuale tasso variabile può determinare rispetto al Taeg, prospettando degli scenari ipotetici (secondo le dettagliate indicazioni contenute nella parte B del modello di Pies) che prendano in considerazione l’eventuale sensibile aumento del tasso debitore al fine di rendere ancora più evidente il rilievo economico delle pattuizioni contrattuali relative al tasso debitore(18). Inoltre, in particolare nella sezione 6 (“Importo di ciascuna rata”), il creditore dovrà dare ulteriori specifiche avvertenze in merito ai rischi connessi alla dimensione di durata del credito, segnalando che l’eventuale pattuizione che comporti il rimborso dei soli interessi oppure, con specifico riferimento alle sopravvenienze, le variazioni del reddito del consumatore, del tasso debitore (anche in tal caso descritte facendo riferimento a scenari descritti nelle istruzioni della parte B che esemplifichino possibili aumenti delle rate a carico del consumatore), del tasso di cambio nel caso di credito in valuta estera (illustrate con scenari esemplificativi), possono incidere sulla sostenibilità economica futura delle obbligazioni a carico del consumatore.
L’efficacia informativa del Pies si misura, poi, essenzialmente in relazione al procedimento che lo stesso articolo 14 delinea, lasciando tuttavia alcuni spazi di discrezionalità ai legislatori nazionali, per la conclusione del contratto e che risulta incentrato sulla previsione di un “periodo di riflessione” del quale il consumatore possa a sua discrezione fruire dopo che gli siano state rese disponibili le informazioni personalizzate a mezzo della consegna del Pies.
Come si è detto, il primo impulso alla circolazione delle informazioni precontrattuali personalizzate viene dato dal consumatore, sul quale incombe l’onere di rappresentare le proprie esigenze e la propria condizione a norma dell’art. 20. Tale momento rappresenta l’avvio della contrattazione individualizzata tra le parti e segna anche, per così dire, il “termine iniziale” a partire dal quale diviene efficace, a carico del professionista, l’obbligo di fornire informazioni personalizzate a norma dell’art. 14. Tale norma, infatti, dispone che, dopo la trasmissione di informazioni da parte del consumatore, a questi vengano fornite le informazioni personalizzate («necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito») «senza indebito ritardo» (così l’art. 14 paragrafo 1 lett. a) e «in tempo utile prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un’offerta» (art. 14 paragrafo 1 lett. b).
Il medesimo articolo 14, specifica poi l’ambito delle alternative disponibili ai legislatori nazionali per conformare la conclusione del contratto alla stregua di un procedimento che assicuri che tale “periodo di riflessione” possa adeguatamente assolvere alla funzione di consentire al consumatore di «confrontare e riflettere» (considerando n. 44), «valutare le implicazioni» del contratto e «prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito» (art. 14 paragrafo 1).
Si individua pertanto a tal fine un certo stadio della contrattazione che costituisce il termine entro il quale deve necessariamente essere fornito il Pies. Punto fermo della disciplina dettata in sede comunitaria è infatti l’obbligo per gli Stati di assicurare che «quando al consumatore è proposta un’offerta vincolante per il creditore» essa non soltanto sia fornita «su supporto cartaceo o altro supporto durevole»(19 )ma sia anche «accompagnata da un Pies» (art. 14 paragrafo 3, oltre che, ai sensi del paragrafo 11, «almeno nei casi in cui non sussiste diritto di recesso», dalla consegna di una copia della bozza del contratto).
Se, dunque, la comunicazione di un’offerta vincolante costituisce il termine ultimo entro il quale, nel disegno della direttiva, deve essere fornito il Pies, agli Stati membri è comunque consentito di rendere obbligatoria la consegna del Pies anche prima della emissione della offerta vincolante per il creditore, purché sia previsto l’obbligo di fornire nuovamente un Pies nel caso in cui l’offerta successivamente proposta abbia caratteristiche diverse da quelle delle quali dà conto il Pies consegnato (art. 14 paragrafo 4).
L’art. 14, poi, quantifica tale «tempo utile» che deve precedere la definitiva costituzione del vincolo contrattuale per il consumatore in «almeno sette giorni» (art. 14 paragrafo 6), lasciando agli Stati la scelta sulla specifica tecnica di disciplina della contrattazione mediante la quale conseguire tale risultato.
In particolare, gli Stati possono prevedere che tale periodo di almeno sette giorni sia strutturato come una fase che precede obbligatoriamente la conclusione del contratto. Qualora in sede di recepimento la scelta andasse in tal senso, il legislatore nazionale dovrà altresì prevedere che l’offerta i cui termini siano esposti nel Pies sia vincolante per il creditore durante la pendenza del periodo di riflessione. Quanto alla facoltà di accettazione da parte del consumatore, è lasciata agli Stati membri un’ulteriore scelta tra il consentire al consumatore di «accettare l’offerta in qualunque momento durante il periodo di riflessione» e il «prevedere che i consumatori non possano accettare l’offerta per un periodo non superiore ai primi dieci giorni del periodo di riflessione» (cfr. art. 14 paragrafo 6, commi 3 e 4).
Oltre alla disciplina dell’art. 14, un’avvertenza generale che occorre tenere presente al fine di ricostruire correttamente il modo nel quale dovrebbe essere strutturato il procedimento affinché esso possa realizzare adeguatamente gli obiettivi della direttiva sembra essere quella contenuta alla fine del considerando 43, secondo la quale «gli Stati membri dovrebbero poter prevedere che, qualora decida di concedere il credito, il creditore sia vincolato alle informazioni fornite nel Pies».
Alla luce di questo quadro, qualora uno Stato membro scelga di recepire l’indicazione comunitaria relativa al periodo di riflessione nei termini di uno spatium deliberandi precedente alla conclusione del contratto, il procedimento di contrattazione potrà essere conformato secondo le alternative che si prova ad ipotizzare di seguito.
Nel caso in cui uno Stato membro, ritenendo di avvalersi della possibilità in tal senso offerta dalla direttiva (art. 14 paragrafo 4), imponga la consegna del Pies in una fase antecedente la comunicazione di una offerta vincolante per il creditore, si dovrebbe ritenere che comunque la soluzione rispettosa della ratio della direttiva (per come espressa dal considerando 43) e dell’indicazione che emerge dal paragrafo 6, terzo comma («Se uno Stato membro prevede un periodo di riflessione prima della conclusione di un contratto di credito ... l’offerta è vincolante per il creditore per la durata del periodo di riflessione»), sia quella di prevedere in ogni caso l’emissione da parte del futuro creditore, dopo la consegna del Pies, di una offerta vincolante, dal contenuto corrispondente a quello del Pies, che il consumatore avrebbe la facoltà di accettare durante il periodo di riflessione.
Se infatti il periodo di riflessione deve essere connotato da una condizione di vincolo del creditore rispetto alla propria offerta e di libertà del consumatore per consentirgli di «confrontare e riflettere» (questo il sistema che risulta dalla lettura dell’art. 14 paragrafo 1, lett. b, «prima che il consumatore sia vincolato», e paragrafo 6, terzo comma: «l’offerta è vincolante per il creditore per la durata del periodo di riflessione»), allora tale periodo di riflessione non può che decorrere dalla emissione dell’offerta vincolante per il creditore ed il tempo intercorso tra la consegna del Pies (nell’ipotesi in cui essa sia resa obbligatoria dalla legislazione nazionale prima della comunicazione dell’offerta) e l’emissione dell’offerta non può essere qualificato se non come un ulteriore strumento di tutela del consumatore, reso facoltativo per gli Stati dal paragrafo 4 dell’art. 14, ma irrilevante (ai sensi del paragrafo 6, terzo comma) ai fini del compimento del periodo di riflessione secondo le modalità e i tempi richiesti dalla direttiva.
Lo Stato membro che scegliesse di rendere obbligatoria la consegna del Pies già prima della emissione dell’offerta vincolante, potrebbe piuttosto decidere di non avvalersi della possibilità riconosciuta al quarto comma del paragrafo 6 (prevedere che i consumatori non possano accettare l’offerta per un periodo non superiore a dieci giorni) in considerazione del fatto che il consumatore, avendo già ricevuto il Pies, ha già avuto il tempo sufficiente a esaminare le condizioni dell’offerta e percepire il rischio economico del contratto. Rimarrebbe in tale caso comunque intatta l’esigenza di imporre che l’offerta rimanga ferma per un periodo di almeno sette giorni dopo l’emissione, durante i quali il consumatore potrebbe accettarla, in modo da strutturare il periodo di riflessione in conformità a quanto richiesto dalla direttiva.
Un procedimento così strutturato si presterebbe a realizzare le esigenze informative che stanno alla base della disciplina del Pies di cui all’articolo 14, in quanto consentirebbe al consumatore di conoscere adeguatamente, grazie alla illustrazione standardizzata e semplificata che costituisce la funzione pratica del Pies, il contenuto dell’offerta ed i rischi economici che essa comporta rimanendo al riparo da eventuali mutamenti dell’offerta e ridurrebbe dunque in modo efficace l’onere dell’attività precontrattuale di confronto delle offerte e valutazione dei rischi per il consumatore.
Al contrario, nel caso in cui il periodo di riflessione non fosse legato ad un’offerta vincolante per il creditore, qualora dopo l’esame ed il confronto del Pies il consumatore si risolvesse ad accedere alla proposta del creditore si troverebbe esposto alla possibilità che il creditore muti le condizioni proposte. Ciò comporterebbe la consegna di un nuovo Pies e un’ulteriore attività di valutazione e ricerca precontrattuale da parte del consumatore (che potrebbe dunque avvenire in assenza di impegni della controparte), con conseguente aggravio dei costi e a danno degli obiettivi di trasparenza ed efficienza dell’informazione precontrattuale (intesa essenzialmente a ridurre i costi di ricerca e di valutazione per il consumatore) sottesi alle modalità di informazione documentale, standardizzata e semplificata adottate dalla direttiva.
In altri termini, sembra che un eventuale periodo di riflessione ipoteticamente previsto dal legislatore nazionale come successivo alla consegna del Pies, ma in assenza della condizione di vincolo del creditore cui dà luogo l’offerta vincolante, non potrebbe assolvere alla funzione informativa in modo coerente con la ratio espressa dalla direttiva. E dunque l’eventuale soluzione nazionale che prevedesse una consegna del Pies anticipata rispetto all’offerta vincolante e consentisse ai creditori l’emissione di offerte non vincolanti, imputando a “periodo di riflessione” il tempo trascorso tra la consegna del Pies e l’emissione dell’offerta non sarebbe conforme alla disciplina comunitaria. Ciò non esclude naturalmente che, ferma restando la necessaria vincolatività dell’offerta per il creditore per il tempo richiesto affinché possa considerarsi rispettato il periodo di riflessione, il consumatore potrà accettare tale offerta in qualunque momento (salva una diversa previsione del legislatore nazionale ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 6, comma quarto, in merito ad un periodo di riflessione obbligatorio per il consumatore al massimo di dieci giorni).
Da ciò consegue che la soluzione che si avrebbe qualora il legislatore nazionale non imponesse la consegna del Pies prima dell’offerta vincolante ma richiedesse soltanto (in conformità a quanto previsto dall’art. 14 paragrafo 3) che esso obbligatoriamente accompagni l’offerta vincolante non differirebbe in modo rilevante dal modello appena esposto, per ciò che concerne la decorrenza del periodo di riflessione e le rispettive situazioni soggettive (di vincolo e di libertà) delle parti.
In tal caso, infatti, a maggior ragione, pur se restasse ferma, per ipotesi, la facoltà del creditore di consegnare il Pies anche prima della consegna della offerta vincolante, il tempo necessario affinché possa considerarsi integrato il periodo di riflessione non potrebbe che decorrere dalla emissione dell’offerta vincolante, rimanendo invece irrilevante il tempo eventualmente trascorso tra la consegna del Pies e l’emissione dell’offerta.
Gli Stati hanno poi la facoltà di recepire l’indicazione comunitaria relativa alla garanzia di un “periodo di riflessione” al consumatore riconoscendo a quest’ultimo il diritto di recesso dopo la conclusione del contratto (che pertanto dovrà essere consentito per almeno sette giorni a partire dalla conclusione del contratto).
In questo caso, che, almeno in questa sede di primo esame della disciplina, sembra garantire in misura minore rispetto al precedente l’effettiva libertà di scelta del consumatore (perché richiede un comportamento attivo e oneroso volto a dissolvere un rapporto già costituito piuttosto che la mera inerzia del consumatore a fronte dell’assenza di alcun obbligo in capo al medesimo), non si avrebbe alcun preciso vincolo per il creditore in merito al tempo da lasciare necessariamente al consumatore per la riflessione tra la consegna del Pies e la conclusione del contratto ma dovrebbe tuttavia ritenersi ferma l’indicazione del paragrafo 3 dell’articolo 14, secondo la quale nel caso in cui venga emessa un’offerta vincolante per il creditore essa deve essere accompagnata dalla consegna del Pies.
Una volta fornito il Pies potrebbe dunque farsi luogo immediatamente alla conclusione del contratto senza attendere il compimento di alcun periodo di riflessione, ma rimarrebbe in vigore, per un tempo che deve essere precisato dai legislatori nazionali (purché sia di almeno sette giorni), il diritto di recesso del consumatore.
Un aspetto rilevante, nel caso in cui l’obiettivo della garanzia di un periodo di riflessione sia realizzato dal legislatore nazionale mediante il riconoscimento del diritto di recesso, è la possibilità, per gli Stati, di prevedere in sede di recepimento che tale diritto si estingua nel caso in cui il consumatore intraprenda «un’azione che, in base al diritto nazionale, si risolve nella creazione o nel trasferimento di diritti di proprietà in connessione con o mediante l’utilizzo di fondi ottenuti con il contratto di credito, ovvero - in caso - nel trasferimento di fondi a terzi» (così il considerando 23). Tale indicazione diretta ai legislatori nazionali non si trova per la verità riprodotta in alcuna specifica disposizione dell’articolato direttiva e se ne trova traccia soltanto nel considerando 23 e nel modello del Pies all’allegato II della direttiva(20). Si deve ritenere dunque, anche se le indicazioni normative in proposito non sono chiarissime, che rimanga la possibilità che gli Stati membri limitino o escludano il diritto di recesso essenzialmente nel caso in cui il consumatore, durante la pendenza del diritto, utilizzi effettivamente il credito (per ipotesi effettivamente erogato e nella disponibilità del consumatore) ponendosi così in una condizione di fatto poco compatibile con la dissoluzione del rapporto che conseguirebbe al recesso.
Le modalità secondo le quali è strutturato il periodo di riflessione, sotto forma di opzione precedente alla conclusione del contratto ovvero sotto forma di diritto recesso, sono tali da porre probabilmente qualche problema di coordinamento con la prassi della contrattazione immobiliare per alcune operazioni, rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva, mediante le quali si realizza, anche in considerazione delle esigenze di tutela del creditore in ordine alla immediata costituzione della garanzia ipotecaria, la stipulazione e l’erogazione del mutuo contestualmente alla conclusione del contratto di compravendita al fine dell’immediata iscrizione (in forza del consenso dell’acquirente) della garanzia reale sull’immobile acquistato per mezzo del credito.
Nel caso in cui il periodo di riflessione sia conformato, mediante la tecnica dell’offerta vincolante per il creditore, come periodo precedente alla conclusione del contratto, può ipotizzarsi che il consumatore, esaurita la riflessione e sciolta in senso positivo la riserva, possa aver interesse a vincolare immediatamente la controparte alle condizioni dell’offerta (così come esplicate e comprese grazie al Pies) senza attendere il momento nel quale sia possibile procedere contestualmente alla stipula della compravendita collegata al contratto di credito. Pertanto, al di fuori del caso nel quale l’accettazione della proposta da parte del consumatore si realizzi direttamente mediante la definitiva stipulazione del contratto di compravendita e del contratto di mutuo e quindi con la contestuale erogazione del credito (utilizzato come prezzo) e l’iscrizione dell’ipoteca, si porrà il problema di coordinare le tecniche di tutela del consumatore impiegate dalla direttiva in ordine al “periodo di riflessione” con le riferite caratteristiche della prassi della contrattazione immobiliare.
Analogo problema di coordinamento può porsi nel caso in cui in sede di recepimento si scelga di attuare l’indicazione comunitaria in merito al “periodo di riflessione” del consumatore, sotto forma di diritto di recesso a questi riconosciuto dopo la conclusione del contratto. Anche in tal caso si porrà il problema di coordinare (presumibilmente mediante l’impiego di termini e condizioni che in qualche modo differiscano la produzione degli effetti della compravendita e del mutuo), alla luce della prassi della contrattazione immobiliare, gli interessi del creditore in ordine alla stretta connessione tra erogazione del credito e costituzione della garanzia ipotecaria e gli interessi del debitore consumatore in ordine alla effettività del rimedio del recesso, anche in considerazione della possibilità, prevista per gli Stati, di limitare o escludere tale diritto nel caso in cui il consumatore abbia già utilizzato il credito per l’acquisto.

Le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione degli articoli 13 e 14

In conformità ad un canone ormai consolidato della legislazione comunitaria in tema di obblighi di informazione a tutela del consumatore la direttiva non individua rimedi specifici per il caso della violazione di tali obblighi e lascia agli Stati membri il compito di definire, in sede di recepimento, «sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive» per garantire l’applicazione delle norme di diritto interno adottate a recepimento della direttiva(21).
La questione deve dunque in questa sede essere affrontata, facendo salve le eventuali scelte specifiche del legislatore nazionale in sede di recepimento, cercando di valorizzare sia la ratio specifica della direttiva 17/2014, sia le indicazioni sistematiche che si colgono dall’esame della complessiva disciplina della trasparenza bancaria e della tutela del consumatore, al fine di individuare l’ambito entro il quale dovrebbero collocarsi i rimedi ed il modo nel quale in linea di massima dovrebbero operare.
La riflessione sui rimedi per la violazione delle regole di informazione della direttiva 17/2014, deve dunque condursi, da un lato, entro il perimetro delle soluzioni note al diritto positivo (e cercando di trarne coerenti direttive sistematiche) o individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza. D’altra parte, tale analisi può utilmente svolgersi distinguendo i diversi tipi di problema che la violazione delle regole di informazione può porre, sulla scorta di alcuni criteri cui l’impianto dato dalla direttiva alla materia (in particolare agli articoli 13 e 14) consente di attribuire rilevanza.
È dunque opportuno, in primo luogo, assumere a criterio per l’impostazione del problema il grado di “personalizzazione” dell’informazione, distinguendo tra informazioni rese al pubblico (informazioni generali di cui all’art. 13) e informazioni rese ad un soggetto determinato nell’ambito di una trattativa già instaurata ed avente già ad oggetto una specifica ipotesi di operazione di credito, o quanto meno un ventaglio di prodotti, individuati entro la generalità dei prodotti offerti dal soggetto che eroga il credito (informazioni personalizzate dell’articolo 14).
Assume inoltre rilievo, nella prospettiva dei rimedi, ma probabilmente, per quanto si dirà, solo limitatamente alle informazioni personalizzate, l’oggetto dell’informazione, e cioè quel profilo che consente di distinguere tra informazioni che hanno la funzione di far conoscere in anticipo gli elementi del regolamento contrattuale e informazioni la cui trasmissione ha invece la funzione di spiegare gli effetti economici del contratto ed illustrare il rischio che lo specifico regolamento contrattuale può comportare (anche in considerazione delle esigenze e della condizione patrimoniale rappresentate dal consumatore).
Entro questo quadro, si può affrontare il problema procedendo separatamente per le informazioni generali e le informazioni personalizzate e premettendo alla trattazione nel merito della questione dei rimedi una breve illustrazione dei casi e dei modi nei quali può realizzarsi una violazione delle regole di informazione.
Quanto alle informazioni generali disciplinate all’articolo 13, a parte il caso estremo della loro totale mancanza presso la sede del soggetto erogante il credito, il “difetto” in relazione a tali informazioni può in linea di massima consistere o nel loro carattere lacunoso o nel loro carattere fuorviante.
Nel primo caso si avranno cioè delle informazioni generali che non fanno riferimento a tutti i prodotti in realtà disponibili e di fatto offerti dal creditore oppure che, in relazione ai prodotti illustrati, non contengono tutti i dati che la disciplina impone di includere.
Nel secondo caso, si avranno informazioni in qualche modo fuorvianti per il consumatore in quanto pubblicizzano prodotti che, in sede di contrattazione personalizzata, il consumatore scopre in realtà non disponibili(22), oppure in quanto pubblicizzano i prodotti effettivamente disponibili ma in modo non conforme alle modalità prescritte dalla direttiva.
Trattandosi di informazioni rivolte “al pubblico” dei consumatori, che prescindono cioè da una concreta negoziazione tra le parti ma che tuttavia sono diverse dalla pubblicità, il luogo normativo che dovrebbe attribuire rilievo giuridico ed assegnare dei rimedi contro tale carattere lacunoso o fuorviante delle informazioni generali sembra essere primariamente la disciplina delle pratiche commerciali scorrette (agli articoli 20 e seguenti del codice del consumo)(23), mentre non sembra che possa ipotizzarsi un diverso rilievo del carattere incompleto o ingannevole di tali informazioni a seconda che tale lacunosità o decettività attenga alle informazioni sul contenuto del contratto o a quelle sul rischio. Potrà dunque senz’altro trovare applicazione l’apparato della tutela amministrativa e giurisdizionale dell’art. 27 del codice del consumo, nel caso in cui il difetto dell’informazione (omissione, inesattezza, mancato rispetto degli standard imposti dalla direttiva) integri una pratica commerciale scorretta, in particolare, presumibilmente, in quanto ingannevole ai sensi degli articoli 21, 22, e 23 del codice del consumo(24).
Più difficile sembra invece ipotizzare concorrenti rimedi giurisdizionali in capo a singoli consumatori che assumessero che il loro “comportamento economico” sia stato in concreto “falsato” dal carattere ingannevole dell’informazione generale nel caso in cui il contratto sia stato effettivamente concluso(25). In un caso di questo genere potrebbe in astratto ipotizzarsi un rimedio situato nel campo dei vizi del consenso e che pertanto conduca all’annullamento del contratto. Un argomento in tal senso potrebbe provenire, in ipotesi, dalle indicazioni di quella parte della dottrina secondo la quale l’introduzione di particolari obblighi di informazione e, più in generale, di prescrizioni in ordine alle modalità dell’informazione precontrattuale realizzata con la disciplina delle pratiche commerciali scorrette (che dovrebbe leggersi nel caso di specie anche alla luce degli obblighi posti dall’art. 13 della direttiva 17/2014) rifluisce sull’interpretazione della disciplina codicistica del dolo, in particolare allargando l’ambito della nozione giuridicamente rilevante di “raggiro”(26).
Tuttavia può ragionevolmente ipotizzarsi che nei casi disciplinati dalla direttiva 17/2014 sia in fatto difficile giungere alla conclusione che il concreto consenso del consumatore sia stato viziato a causa dell’informazione resa in sede di informazioni generali, perché la conclusione del contratto, nel disegno della direttiva, è comunque necessariamente mediata dalle informazioni personalizzate dell’art. 14 che riguardano i medesimi aspetti oggetto delle informazioni generali ma li espongono in modo molto più dettagliato e tale da suscitare l’attenzione del consumatore proprio al fine di accompagnarne il consenso.
Quindi, in linea di principio, se l’informazione personalizzata corrispondente all’operazione poi effettivamente conclusa è integra, completa e corretta, sembra arduo sostenere che il consenso del consumatore possa dirsi viziato da una informazione non corretta resa in fase di informazioni generali. Qualora, invece, lo sviamento del comportamento economico del consumatore sia riconducibile ad una informazione non corretta (nei termini che si diranno) resa in sede di informazioni personalizzate, tale circostanza dovrebbe assorbire il rilievo del difetto di informazione generale e condurre all’applicazione di autonomi rimedi per la violazione delle regole dell’art. 14, che, come si dirà, dovranno presumibilmente collocarsi anche su un terreno diverso da quello dei vizi del consenso. Rimane, nell’ipotesi in cui il contratto sia stato concluso, il diverso caso che veda informazioni precontrattuali personalizzate complete e rispettose delle prescrizioni della direttiva, seguite da un contratto il cui contenuto sia rispondente a quello del Pies e ad uno dei prodotti pubblicizzati in sede di informazioni generali, ma che tuttavia sia ipoteticamente stipulato a condizioni economiche meno vantaggiose per il consumatore rispetto a quelle pubblicizzate con le informazioni generali. In questo caso il difetto atterrebbe specificamente alla discordanza tra i costi per il consumatore dichiarati in sede di informazioni generali e quelli dichiarati, per il corrispondente prodotto, in sede di Pies e coerentemente riportati in contratto: il contratto sarebbe regolarmente concluso sulla scorta di un Pies corretto, ma conterrebbe condizioni meno favorevoli rispetto a quelle enunciate nelle informazioni generali.
Sarebbe già allo stato applicabile a casi di questo genere la disciplina degli articoli 116 e 117 del Testo unico bancario (salvo il fatto che naturalmente tale disciplina, allo stato, non “conosce” le informazioni generali di cui all’art. 13 della direttiva ma solo le informazioni “pubblicizzate” di cui all’art. 116 Tub), con la relativa specificazione degli obblighi informativi attuata dalla disciplina secondaria della Banca D’Italia. Tale disciplina com’è noto, dispone la nullità delle clausole contrattuali che prevedano condizioni economiche meno favorevoli per il consumatore rispetto a quelle pubblicizzate ed un meccanismo di sostituzione di tali clausole volto a comporre adeguatamente gli interessi delle parti(27). Risulta poi concepibile, almeno in teoria, un rimedio a vantaggio del consumatore nel caso in cui l’inesattezza delle informazioni generali non si accompagni alla conclusione del contratto ed anzi sia causa di tale mancata conclusione. Si può cioè ipotizzare il caso in cui il consumatore lamenti un danno per aver confidato, sulla base delle informazioni generali, sulla disponibilità di certi prodotti, con certe caratteristiche, nella complessiva offerta della banca, per scoprire solo in sede di contrattazione personalizzata, che le informazioni generali erano fuorvianti (non illustravano cioè le caratteristiche dei prodotti in modo conforme a quanto richiesto dalla direttiva o pubblicizzavano prodotti in realtà non disponibili).
Il danno in tal caso corrisponderebbe alle perdite subite ed alle occasioni alternative perdute per aver confidato, in conseguenza delle informazioni fornite da controparte, sull’opportunità di concludere un certo contratto con certe caratteristiche. Gli obblighi di informazione dell’art. 13 (anche alla luce delle assonanze di tale disciplina con quella delle pratiche commerciali scorrette) determinerebbero l’applicazione dell’art. 1337, rendendo in linea di principio ragionevole e giustificato l’affidamento formatosi sulla scorta delle informazioni generali rese al pubblico in esecuzione degli obblighi di legge(28).
Quanto invece alle informazioni personalizzate, può innanzitutto ipotizzarsi il caso estremo nel quale il contratto venga concluso senza la previa consegna del Pies, ipotesi alla quale può equipararsi quella delle informazioni fornite oralmente o comunque secondo modalità tali da non soddisfare i requisiti del “supporto durevole”.
Deve poi prendersi in considerazione il caso nel quale il Pies venga consegnato e tuttavia il contratto abbia un contenuto diverso da quello illustrato nel prospetto. La violazione delle regole di informazione personalizzata dunque riguarderebbe in questo caso specificamente quelle regole (e cioè quelle parti del Pies) che impongono di fornire informazioni relative al contenuto del futuro contratto. Tali regole risulterebbero violate dalla conclusione, senza consegna di un nuovo Pies (e la disponibilità di nuovo periodo di riflessione), di un contratto che contiene elementi difformi da quanto indicato in quelle parti del Pies che hanno ad oggetto i tratti essenziali del regolamento negoziale proposto.
Altro tipo di violazione delle regole di informazione personalizzata può ricorrere qualora il Pies sia corretto quanto alle informazioni sul contenuto del contratto (e cioè contenga informazioni conformi alle corrispondenti parti del contenuto contrattuale) e però non siano conformi a quanto richiesto dal modello di cui all’allegato II della direttiva (e dalle relative istruzioni per la compilazione) quelle parti del Pies relative alla spiegazione degli effetti economici del contratto e dei relativi rischi (ad esempio non vengono correttamente spiegate le implicazioni e i rischi di un tasso variabile o di un credito in valuta estera, non vengono segnalati i rischi derivanti da possibili sopravvenienze che interessino la sfera del consumatore).
In tale ultima ipotesi, a differenza della precedente, la violazione delle regole di informazione non si realizzerebbe mediante la conclusione di un contratto dal contenuto diverso da quello che era stato illustrato al consumatore mediante il Pies (perché il contenuto del contratto sarebbe conforme al Pies), si avrebbe bensì un contratto che comporta per il consumatore effetti economici e rischi che non sono stati adeguatamente spiegati e che dunque produce effetti economici o rischi diversi o ulteriori rispetto a quelli che il consumatore poteva legittimamente credere sulla base di quanto (non correttamente) esposto nel Pies.
E dunque, ricapitolando: oltre che per la mancata consegna del Pies, le regole di informazione possono risultare violate dall’infedele redazione del Pies che conduca o alla conclusione di un contratto dal contenuto difforme da quanto rappresentato in sede precontrattuale o alla conclusione di un contratto che ha contenuto conforme ma i cui effetti e rischi non sono stati spiegati al consumatore in modo da soddisfare lo standard (qualitativo e quantitativo) di informazione imposto dalla direttiva.
La ratio della disciplina dell’informazione nella direttiva e le indicazioni sistematiche che si traggono dalla disciplina della contrattazione del consumatore, inducono a ritenere che la conclusione del contratto senza previa consegna del Pies debba determinare la costituzione o comunque l’estensione oltre il termine ordinario del diritto del consumatore di recedere dal contratto(29).
A tale conclusione concorrono sia la correlazione che emerge dalla direttiva tra informazione e scansione della negoziazione attorno ad un periodo di riflessione del consumatore sia l’indicazione sistematica che si trae dal modello degli articoli 125-bis e 125-ter del codice del consumo (relativi alla disciplina del credito ai consumatori) dai quali emerge la correlazione tra la consegna delle «Informazioni europee di base sul credito ai consumatori» e la decorrenza del termine per l’esercizio del diritto di recesso.
La soluzione, non diversamente dagli altri rimedi che comportino la dissoluzione del rapporto contrattuale, rischia di divenire poco efficace nel caso in cui il consumatore abbia già utilizzato il credito per l’acquisto, in assenza di un qualche regime di favore per il consumatore quanto agli obblighi restitutori. La mera disponibilità del diritto di recesso in tal caso finirebbe probabilmente per sovrapporsi, sul piano pratico, come mezzo di tutela dell’interesse del consumatore che una volta edotto del reale contenuto contrattuale volesse sciogliersi dal rapporto, alla surrogazione dell’articolo 120-quater del Testo unico bancario, che, com’è noto, anche in forza di quanto disposto dall’articolo precedente, contempla un meccanismo che in definitiva rende priva di costi l’uscita dal contratto per il mutuatario che trovi un altro soggetto disposto a finanziare il medesimo bisogno di credito a condizioni migliori.
L’esercizio del recesso, cioè, diverrebbe concretamente praticabile e fornirebbe tutela effettiva al consumatore soltanto quando questi riuscisse a reperire sul mercato un altro soggetto disposto a soddisfare il medesimo bisogno di credito a condizioni migliori.
Ciò in qualche modo conferma la coerenza del rimedio del recesso rispetto alla ratio che emerge dall’impianto degli obblighi informativi della direttiva e tuttavia lo priva, sembra, di autonoma utilità alla luce della disciplina degli articoli 120-ter e 120-quater.
E infatti, nel quadro di una informazione precontrattuale volta a realizzare essenzialmente una «trasparenza economica»(30 )del contratto al fine di ridurre i costi del confronto tra le diverse offerte, il recesso è destinato a svolgere una funzione pratica utile nel caso in cui il consumatore, stipulando il contratto in assenza delle spiegazioni del Pies, non si sia reso conto che altri potenziali finanziatori sarebbero stati disponibili ad offrire condizioni economiche più vantaggiose, così da rendere poi conveniente per il consumatore estinguere il precedente debito con denaro preso a credito da un altro soggetto: il che richiama un’esigenza di tutela del mutuatario alla quale sembrano allo stato rispondere gli articoli 120-ter e quater del Testo unico bancario.
Nel diverso caso in cui il Pies venga consegnato ma sia infedele rispetto al contenuto del contratto nei termini sopra detti, il difetto nella trasmissione di tali informazioni (siano esse lacunose o non corrette secondo quanto prescrive il modello del Pies) non può che tradursi e in definitiva consistere in una difformità tra il contenuto del contratto ed il corrispondente contenuto del Pies.
Tale difformità può riguardare innanzitutto le clausole di costo in senso stretto e cioè essenzialmente il Taeg. In tale ipotesi, può ragionevolmente ipotizzarsi un rimedio che sia collocato sul terreno della nullità testuale di protezione con sostituzione delle clausole nulle, secondo il modello già sperimentato all’art. 125-bis, commi 6 e 7 del Testo unico bancario con riferimento al modello delle «Informazioni europee di base sul credito ai consumatori».
Soluzione simile ma non sovrapponibile a quella dell’art. 125-bis si trova già, come si è detto, nell’ambito generale dei contratti bancari, all’articolo 117, comma 6 del Testo unico bancario, che prevede la nullità delle clausole che prevedano «tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli ai clienti di quelli pubblicizzati», con il conseguente regime della sostituzione delle relative clausole anche con i «prezzi e le condizioni pubblicizzati» ai sensi dell’art. 117, comma 7.
La tutela dell’articolo 117, commi 6 e 7 però differisce, com’è noto, da quella che si avrebbe qualora si sanzionasse con la nullità e la sostituzione la difformità tra clausole di costo del contratto di credito e quanto esposto nelle corrispondenti sezioni del Pies. La nullità dell’art. 117, infatti, si riferisce alla difformità tra contratto e condizioni di costo “pubblicizzate” e cioè rese conoscibili al pubblico in conformità all’articolo 116 ed alle fonti secondarie ivi menzionate.
Ciò comporta che, alla luce della attuale disciplina generale dei contratti bancari, il parametro rispetto al quale occorre valutare la validità delle condizioni contrattuali è rappresentato non dalle condizioni comunicate in sede di trattativa precontrattuale con il soggetto concretamente interessato al credito quanto piuttosto dalle condizioni rese pubbliche, al mercato, ai sensi dell’art 116 del Testo unico bancario e della relativa disciplina secondaria (con la conseguenza, fra l’altro, che le banche sono così incentivate a dichiarare al pubblico le condizioni “peggiori” piuttosto che quelle medie o “migliori”)(31). Risulta dunque consentito alla banca, almeno sulla scorta del tenore letterale della attuale disciplina, proporre in sede di contrattazione “personalizzata” (fase rispetto alla quale, allo stato non esistono, a differenza che nell’ambito del credito ai consumatori, prescrizioni che impongano una informazione “personalizzata” completa e dettagliata, quale quella prevista dalla direttiva in commento mediante l’obbligo di consegna del Pies) condizioni più favorevoli di quelle pubblicizzate e poi modificare l’offerta personalizzata, proponendo condizioni peggiori di quelle proposte inizialmente, purché comunque non più sfavorevoli di quelle pubblicizzate in sede di informazione “generale” al pubblico ai sensi dell’art. 116 Tub(32).
Quanto alle clausole che definiscono altri elementi del contenuto contrattuale diversi dai costi in senso stretto (e cioè dagli elementi che devono rientrare nel calcolo del Taeg, ad esempio: la periodicità delle rate), per il caso in cui esse siano difformi dalle corrispondenti parti del Pies (o esso sia lacunoso in proposito), si pone un’alternativa che dovrebbe essere sciolta, in linea di principio, dal legislatore in sede di recepimento.
È vero che la direttiva «non riconosce alle informazioni del prospetto l’attributo di parte integrante del contratto (artt. 49 e 72, coma 4 codice del consumo) limitandosi a prescrivere l’obbligo di fornire nuovamente il Pies nel caso in cui le caratteristiche dell’offerta siano diverse»(33 )e tuttavia, dalla medesima direttiva (in particolare al considerando 43), traspare anche l’idea che, nella prospettiva del legislatore comunitario, sia coerente con la disciplina posta che gli Stati membri possano «prevedere che, qualora decida di concedere il credito, il creditore sia vincolato dalle informazioni fornite nel Pies».
Si può ritenere dunque, ferma restando l’opportunità di una scelta esplicita del legislatore sul punto, che, qualora il creditore abbia in realtà effettivamente dato corso alla conclusione del contratto sulla base di un Pies non conforme (e dunque senza consegnare un nuovo Pies), il problema che tale situazione pone sia diverso rispetto al caso nel quale la stipulazione avvenga semplicemente senza che sia stato consegnato alcun Pies. E ciò in quanto, nel disegno della direttiva, è il Pies effettivamente consegnato lo strumento che, semplificando l’informazione e presentandola in modo standardizzato, rende economicamente sostenibile per il consumatore la valutazione dell’offerta ed il confronto con altre offerte.
Ciò comporta che, nel caso in cui il contratto venga concluso a seguito della consegna di un Pies infedele, la dinamica della contrattazione si svolga in modo tale da suscitare l’affidamento del consumatore su un certo contenuto contrattuale (qui preso in considerazione per ciò che riguarda le clausole diverse dai costi in senso stretto) per come da questi conosciuto non sulla base del testo contrattuale (ché, se si supponesse che il consumatore può conoscere e comprendere il significato economico del contratto dal mero esame del testo contrattuale, non si darebbe alcuna asimmetria informativa a carico del consumatore), quanto, piuttosto, sulla scorta del Pies effettivamente consegnato(34).
Pertanto, l’alternativa che potrebbe schiudersi per il legislatore nazionale consiste nello sviluppare ulteriormente, mediante una disciplina testuale, quella prospettiva di “contrattualizzazione” dell’informazione precontrattuale o “internalizzazione” di tale informazione nel regolamento, già emersa in alcuni ambiti del diritto del consumatore e nelle fonti europee non formali di armonizzazione(35 )(e quindi, ad esempio, applicare al rapporto, con la mediazione di una nullità con sostituzione di clausole, la periodicità delle rate dichiarata nel prospetto, in luogo della diversa periodicità indicata nel contratto; con la previsione di eventuali meccanismi di integrazione legale nel caso in cui il Pies sia semplicemente lacunoso al proposito) oppure, in difetto di esplicita indicazione testuale, lasciare la questione al campo dei rimedi contrattuali generali, quali, presumibilmente, l’annullamento ex articolo 1439 o il risarcimento ex articolo 1440.
Tale ultima opzione potrebbe aprire la strada ad operazioni interpretative da parte della dottrina che, non diversamente da quanto già avvenuto in particolare con riguardo alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, valorizzino le ricadute di tali nuovi obblighi informativi, sull’interpretazione della disciplina codicistica del dolo, quanto alla individuazione dei comportamenti necessari affinché possa dirsi integrato il requisito oggettivo del “raggiro”.
Diversamente si pone invece il problema dell’informazione difettosa con riguardo a quelle parti del Pies non relative al contenuto del contratto in senso stretto (e cioè non volte ad anticipare e rendere facilmente confrontabili gli elementi del contenuto) ma piuttosto volte a spiegare il concreto effetto economico delle clausole contrattuali ed a segnalarne il rischio, anche in considerazione delle sopravvenienze, rispetto alla sfera del consumatore.
In tal caso non si porrebbe un problema di difformità del contenuto del contratto rispetto a quanto emerge dal Pies, quanto piuttosto un difetto (lacunosità o non conformità alle prescrizioni della direttiva) dell’informazione resa tramite il Pies in forza del quale (difetto) il consumatore lamenterebbe la conclusione di un contratto più oneroso (o meno conveniente) o più (o diversamente) rischioso rispetto a quanto il consumatore poteva legittimamente ritenere facendo affidamento su quanto esposto dal Pies (che, nel disegno comunitario, alla luce dell’assunto sulla asimmetria informativa del consumatore, rappresenta più ed a prescindere dal testo contrattuale la fonte determinante dell’affidamento del consumatore in merito al contenuto e ai rischi del contratto(36)).
Pertanto, in relazione al difetto che riguardi tali informazioni (e cioè per il caso in cui esse siano lacunose o non corrette e cioè non rese secondo quanto prescrive la direttiva), salvo un esplicito intervento del legislatore (che tuttavia sul punto specifico appare poco probabile), si dovranno far operare i rimedi generali del diritto delle obbligazioni e dei contratti.
Più in particolare, poiché il problema in questo caso sarebbe costituito dallo scarto tra gli effetti economici ed i rischi che il consumatore poteva legittimamente attribuire al contratto sulla scorta delle rappresentazioni di controparte realizzate in violazione di regole di informazione e gli effetti ed i rischi che il contratto effettivamente determina, i rimedi si collocheranno essenzialmente sul terreno dell’annullamento per dolo o del risarcimento del danno ex art. 1440(37).

Conclusioni

Nel complesso, dunque, la nuova disciplina del credito ipotecario ai consumatori, se letta alla luce del quadro attuale della disciplina della trasparenza bancaria, sembra sottrarre un ulteriore ambito di operazioni alla disciplina (originariamente) “generale” della trasparenza bancaria di cui al capo I del titolo VI del Testo unico bancario, per dar luogo ad un nuovo e ulteriore “sottosistema” della trasparenza bancaria che, quanto meno dal punto di vista del contenuto delle regole (prescindendo cioè dalle future scelte del legislatore in ordine alla collocazione sistematica della disciplina di recepimento), andrà ad aggiungersi ai due attuali “sottosistemi” del “credito ai consumatori” (capo II) e dei “servizi di pagamento” (capo II bis)(38).
La scelta politica di fondo che impronta tale ulteriore “sottosistema”, costituito dalle regole di informazione applicabili alle operazioni di credito rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 17/2014, è orientata verso la costruzione di un nuovo statuto dell’informazione a tutela del consumatore interessato al credito residenziale, che, nella nuova disciplina, si qualifica come informazione “personalizzata” (e oltre che “bidirezionale” e perciò correlata alla valutazione del merito creditizio del consumatore) sulla scorta del modello allo stato applicabile al credito ai consumatori, ai sensi del capo II del titolo VI del Testo unico bancario (in recepimento della direttiva 2008/48/CE), entro il quale la medesima esigenza di informazione personalizzata è soddisfatta mediante la consegna del modello contenente le “Informazioni europee di base per il credito ai consumatori”.
Ne risulta un procedimento di contrattazione che, sulla scorta dell’assunto secondo il quale la “asimmetria informativa” consente al consumatore di conoscere e comprendere il contenuto del contratto nei suoi concreti effetti economici e rischi soltanto se il suo consenso è sorretto da una illustrazione documentale, standardizzata e semplificata, si incentra sulla correlazione tra la trasmissione di informazioni personalizzate ed il riconoscimento di un “periodo di riflessione”, a beneficio del consumatore ed in presenza di un vincolo del creditore rispetto alle condizioni della propria offerta.
Entro questo quadro, la disciplina della contrattazione, al fine di dare piena attuazione alla ratio sottostante al modello di regolazione comunitario (così come risultante anche alla luce della complessiva evoluzione degli interventi in materia di credito ai consumatori), dovrà verosimilmente tendere verso il risultato di rendere vincolante per il creditore quanto comunicato a mezzo del Pies in ordine al contenuto del contatto, secondo il modello oggi recepito nell’ordinamento italiano all’articolo 125- bis, sesto comma, del Testo unico bancario in materia di credito ai consumatori e che il legislatore comunitario mostra di voler estendere, nei suoi tratti caratteristici, anche ai contratti coperti dalla nuova disciplina della direttiva 17/2014, finora esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina del credito ai consumatori.
Più in particolare, dal punto di vista dell’ordinamento italiano, tali indicazioni comunitarie impongono una profonda revisione della disciplina della contrattazione tra l’ente finanziatore ed il consumatore interessato al credito per fini residenziali, oggi esclusivamente incentrata, per ciò che complessivamente emerge dagli articoli 116 e 117 del Testo unico bancario e dalle relative fonti secondarie, su obblighi di informazione e tutele rimediali riferiti alla sola informazione generale rivolta al pubblico(39).
Il legislatore comunitario indica così un modello di disciplina in parte già delineato, rispetto all’ordinamento italiano, da quelle riflessioni della dottrina che si sono interrogate sulle ricadute interpretative che il rilievo allo stato attribuito all’informazione personalizzata entro i “sottosistemi” della trasparenza dei capi II e II-bis può determinare rispetto alla costruzione di uno statuto generale della trasparenza bancaria (e dunque, essenzialmente, sulla disciplina del capo I)(40).
Spunti e indicazioni nel medesimo senso si rinvengono peraltro anche nella giurisprudenza dell’Arbitro bancario e finanziario, che si è in varie occasioni mostrata propensa ad attribuire (in ambiti a rigore retti dalla sola disciplina della trasparenza generale del capo I) più incisivo rilievo alle informazioni rese in fase di trattative (e cioè non “generali” ma “personalizzate” e pertanto in teoria non direttamente rilevanti, ai sensi degli articoli 116 e 117, rispetto all’accesso a rimedi da parte del consumatore) nel caso in cui il creditore smentisca l’affidamento che il cliente abbia riposto su di esse, facendovi seguire un contratto che abbia contenuto difforme o che determini rischi inaspettati(41).


(1) Per informazioni sulle tappe del processo che ha condotto all’approvazione della direttiva 17/2014/UE nel suo testo oggi vigente v. S. TOMMASI, «Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali», in I contratti, 2011, p. 956; T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in corso di pubblicazione su I contratti, 2015.

(2) In generale sulle possibili accezioni ed implicazioni giuridiche della nozione di trasparenza in relazione alla legislazione consumeristica v. sin d’ora S. PAGLIANTINI, voce Trasparenza, in Enc. dir., Annali, Milano, 2011.

(3) In questa prospettiva, i problemi fondamentali dell’informazione precontrattuale con riferimento ai contratti oggetto di disciplina da parte delle fonti di derivazione comunitaria sono stati tutti messi a fuoco e sviluppati da S. GRUNDMANN, «L’autonomia privata nel mercato interno: le regole di informazione come strumento», in Eur. dir. priv., 2001, p. 281; poi G. GRISI, Gli obblighi di informazione, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura Mazzamuto, Torino, 2002, p. 144; ID., voce Informazione (obblighi di), in Enc. dir., Annali IV, Milano, 2011; V. ROPPO, «L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo», in Riv. dir. priv., 2004, p. 747; più in generale sul senso complessivo della disciplina dei contratti del consumatore nel processo di integrazione europea, C. CAMARDI, «Integrazione giuridica europea e regolazione del mercato. La disciplina dei contratti di consumo nel sistema del diritto della concorrenza», Eur. dir. priv., 2001, p. 703.

(4) La ratio secondo la quale le regole di informazione avrebbero l’obiettivo di rendere conoscibili ex ante al consumatore caratteristiche di beni acquistati che altrimenti sarebbero conoscibili (se non ad un costo ragionevolmente insostenibile per il contraente non professionale) soltanto dopo l’acquisto (experience goods) può agevolmente applicarsi, ad esempio, alla disciplina di tutela del consumatore vigente nell’ambito della multiproprietà o dei pacchetti turistici, la quale, com’è noto, correla anche regole di informazione e diritto di recesso del consumatore (cfr. S. GRUNDMANN, op. cit., p. 289 e ss.). Da questo punto di vista, nel quadro delle tecniche di regolazione dell’autonomia privata nel mercato interno, le regole di informazione rimangono distinte dalle regole volte a realizzare un controllo sul contenuto (essenzialmente, nel campo dei contratti del consumatore, la disciplina delle clausole abusive di cui alla direttiva 93/13/CEE, comunque applicabile anche alle operazioni oggetto della presente direttiva sul credito ipotecario ai consumatori), le quali, secondo il punto di vista del legislatore comunitario, avrebbero la funzione di tutelare il consumatore, mediante una tecnica diversa da quella delle regole di informazione, in quelle situazioni nelle quali l’asimmetria informativa non può essere colmata mediante regole di informazione in quanto, anche a seguito dell’informazione, i costi per la valutazione ed il confronto delle diverse offerte da parte del consumatore, a causa delle caratteristiche e dell’oggetto dell’informazione, sarebbero comunque proibitivi: cfr. S. GRUNDMANN, op. cit.; l’individuazione del modello teorico in forza del quale la non conoscibilità di determinate caratteristiche dell’offerta (anche relative a ciò che nella contrattazione del consumatore viene comunemente definito l’equilibrio “normativo” del contratto) determina fallimenti del mercato che conducono alla prevalenza di attori che offrono beni di qualità inferiore si deve com’è noto a G. AKERLOF, «The market for “lemons”: quality uncertainty and the market mechanism», in 84 Q. J. Econ., p. 488. Sulle “clausole abusive” come fattori che, determinando uno squilibrio normativo non agevolmente osservabile ex ante dal consumatore, rendono “opaco” il prezzo in rapporto alle caratteristiche del bene e pertanto pregiudicano non solo il calcolo di costi e benefici dello scambio per il singolo consumatore ma in definitiva la stessa dinamica della concorrenza tra imprese come processo che dovrebbe tendere al successo degli attori capaci di giungere al più alto livello di soddisfazione del consumatore al minor costo (e così all’efficiente allocazione delle risorse) v. P. BARCELLONA, Il contratto e l’economia globale, in Il contratto e l’economia globale, in Contratto e lavoro subordinato: il diritto privato alle soglie del 2000, Padova, 2000; C. CAMARDI, op. cit.. Sul rapporto tra trasparenza del regolamento contrattuale, come requisito che consenta al consumatore di apprezzare le conseguenze economiche dei termini contrattuali al fine di esercitare una effettiva libertà di decisione (e anche di reagire appropriatamente nel caso in cui nel corso del rapporto la controparte assuma contegni contrastanti con il regolamento contrattuale) e giudizio di vessatorietà della clausola secondo la direttive 93/13/CEE, si è intrattenuta di recente la Corte europea di giustizia con le due sentenze 472/10 Nemzeti Fogyasztóvédelmi Hatóság v Invitel Távközlési Zrt [2012] e 92/11 RWE Vertrieb AG v Verbraucherzentrale Nordrhein- Westfalen eV, sulle quali si veda il commento di C. LEONE, «Transparency revisited - on the role of information in the recent case-law of the Cjeu», in European Review of Contract Law, 2014, p. 312; in generale sulla questione S. PAGLIANTINI, voce Trasparenza, cit.; A. DOLMETTA, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 80 e ss., con ampi riferimenti, in particolare, alla prassi dell’Abf.

(5) Tutto ciò sulla scorta della nota distinzione tra search goods, experience goods e credence goods tracciata, in sede di analisi economica, da P. NELSON, «Information and Consumer Behaviour», 78 Journal of Political Economy 311, p. 312 (1970); in generale su tali categorie in relazione ai profili della disciplina della trasparenza bancaria che qui rilevano v. Banca d’Italia, Revisione della disciplina secondaria sulla trasparenza: relazione sull’analisi d’impatto, luglio 2009, in www.bancaditalia.it, dove si sottolinea come un’adeguata disciplina della trasparenza può avere l’effetto di «ricondurre i credence goods in search goods»; v. poi, in termini generali e con particolare riferimento ai prodotti finanziari, M. LIBERTINI, «La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari», in www.orizzontideldirittocommerciale.it.

(6) Per la distinzione tra informazione sulle “condizioni e il contenuto contrattuale” (che dovrebbe vincolare la parte alle dichiarazioni rese) e informazione volta a fornire “elementi di conoscenza e di valutazione” v. R. ALESSI, I doveri di informazione, in Manuale di diritto privato europeo, II, a cura C. Castronovo - S. Mazzamuto, Milano, 2007, p. 402 e ss.

(7) Cfr. T. RUMI, op. cit.; S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali)», in Contr. e impr./ Europa, 2014, 2, p. 525.

(8) Formalismo e standardizzazione che destano le perplessità di parte della dottrina, soprattutto a fronte della constatazione di come rimanga in larga parte irrisolto nella disciplina dell’informazione precontrattuale di derivazione comunitaria il profilo della precisa funzione degli obblighi informativi e dunque delle appropriate conseguenze giuridiche, cfr. R. ALESSI, «Gli obblighi di informazione tra regole di protezione del consumatore e diritto contrattuale europeo uniforme e opzionale», in Eur. e dir. priv., 2013, p. 311; per considerazioni articolate rispetto a formalismo e standardizzazione degli obblighi informativi in relazione alla trasparenza nel mercato bancario (con particolare riferimento allo stato della disciplina conseguente alle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia del 29 luglio 2009), v. AUR. MIRONE, «L’evoluzione della disciplina sulla trasparenza bancaria in tempo di crisi: Istruzioni di Vigilanza, credito al consumo, commissioni di massimo scoperto», in Banca, borsa, tit. cred., 2010, p. 557.

(9) V. in generale sul tema AGABITINI, «Ancora in tema di ordine pubblico di protezione e mercato del credito. L’accesso al credito e il “bene casa”», in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 61.

(10) Rilevano tale “gradualità” dell’informazione precontrattuale nella direttiva 17/2014 T. RUMI, op. cit.; S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE …», cit.

(11) Banca d’Italia provv. 9 febbraio 2011, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra inter mediari e clienti. Recepimento della direttiva sul credito ai consumatori, in G.U. 16 febbraio 2011, n. 38, Suppl. ord. n. 40, dove, alla sezione II (Pubblicità e informazione precontrattuale), paragrafo 3, si prevede che «Per i contratti di mutuo garantito da ipoteca per l’acquisto dell’abitazione principale, oltre ai fogli informativi, gli intermediari mettono a disposizione, mediante copia asportabile, un “foglio comparativo” contenente informazioni generali sulle diverse tipologie di mutui offerti, il quale: a) elenca tutti i prodotti della specie offerti dall’intermediario, rinviando ai fogli informativi per la pubblicizzazione delle rispettive condizioni; b) indica in modo chiaro le caratteristiche e i rischi tipici dei mutui, secondo modalità che agevolano alla clientela la comprensione delle principali differenze tra i diversi prodotti offerti. Il documento riporta altresì, per ciascuno dei mutui in questione, almeno: il tasso di interesse; la durata minima e massima del mutuo; le modalità di ammortamento; la periodicità delle rate; il Taeg; l’esempio di importo della rata di ciascun mutuo, in conformità di quanto riportato nei relativi fogli informativi»; tale provvedimento della Banca d’Italia rappresenta la versione aggiornata e consolidata del Provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, emanato, con riferimento all’ambito (originariamente) generale dei contratti bancari, su subdelega del Cicr, ai sensi dell’art. 116, terzo comma del testo unico bancario. L’originario provvedimento del 29 luglio 2009 è andato incontro a vari aggiornamenti (l’ultimo risale al 20 giugno 2012), necessari per dare conto delle modifiche legislative, il più rilevante dei quali è conseguito alle modifiche recate al Testo unico bancario dai decreti legislativi 27 gennaio 2010, n. 11 (attuazione della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che ha introdotto il capo II bis al titolo VI del Testo unico bancario) e 13 agosto 2010, n. 141 che, in attuazione della direttiva 2008/48/ CE, ha interamente riformato il capo II del medesimo titolo VI, oggi denominato “Credito ai consumatori” e apportato anche alcune modifiche al capo I. Le parti del provvedimento della Banca d’Italia riferite agli ambiti del credito ai consumatori ed ai servizi di pagamento, trovano la loro base legislativa negli articoli 124, comma 7 (per il capo II) e 126-quater, comma 1 (per il capo II bis). Sul quadro attuale della disciplina in tema di trasparenza bancaria (che assume fisionomia differente nei tre ambiti nei quali può suddividersi: operazioni e servizi bancari e finanziari; credito al consumo e servizi di pagamento, rispettivamente disciplinati dai capi I, II, e II bis del titolo VI del decreto legislativo 385 del 1993) e la complessa articolazione delle relative fonti, legali e regolamentari, anche in conseguenza dell’adozione della disciplina comunitaria in materia di credito al consumo, v. AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», in Banca, borsa, tit. cred., 2014, p. 377; v. poi ID., La trasparenza bancaria, Padova, 2012; A. DOLMETTA, op. cit., p. 55 e ss.; E. CARGNIEL - G. DE VELLIS, «La disciplina del credito ai consumatori: nuovi “strumenti di trasparenza” e forma dei contratti bancari», in Resp. civ. prev., 2012, p. 312.

(12) Raccomandazione della Commissione del 1 marzo 2001 sull’infor mativa precontrattuale fornita ai consumatori dagli istituti di credito che offrono mutui per la casa d’abitazione (2001/193/ CE), in G.U.C.E. L 69 10 marzo 2001, p. 25.

(13) Cfr., per la distinzione tra informazione generale in incertam personam o resa al mercato e informazione propriamente precontrattuale “personalizzata”, nell’ambito della trasparenza bancaria, AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 398 e ss.; per profili più generali in relazione al tema delle informazioni al mercato v. V. ZENO-ZENCOVICH, «Profili di uno statuto dell’informazione economica e finanziaria», in Dir. inf., 2005, p. 929.

(14) Cfr. art. 5 dir. 48/2008/CE e art. 124, comma 2, del Testo unico bancario; per considerazioni critiche in merito a tale scelta del legislatore europeo v. M. DE POLI, «Le regole di comportamento dei “creditori” nella direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo», in Dir. della banca e del merc. fin., 2009, p. 33.

(15) Banca d’Italia provv. 9 febbraio 2011 Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti. Recepimento della direttiva sul credito ai consumatori, cit., che ai paragrafi 6 - 8, stabilisce l’obbligo per l’intermediario di consegnare in anticipo copia del contratto (tuttavia non sempre gratuita e completa di tutte le condizioni economiche) ma solo su richiesta del consumatore. Prevede inoltre l’obbligo di allegare al contratto il documento di sintesi «che riporta in maniera personalizzata, secondo quanto previsto dal contratto, le condizioni economiche pubblicizzate nel foglio informativo relativo allo specifico tipo di operazione o servizio» e l’obbligo di riportare nel foglio informativo e nel documento di sintesi l’indicatore sintetico di costo, che per i mutui è denominato «tasso annuo effettivo globale» ed è calcolato come il Taeg previsto dalla disciplina in materia di credito ai consumatori; per il rapporto tra tali regole di trasparenza (applicabili entro l’ambito disciplinato dal capo I del titolo VI del Tub) e le regole di trasparenza operanti negli ambiti del credito al consumo e dei servizi di pagamento v. AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 398 e ss. e in particolare nota 83 dove si solleva il problema della compatibilità tra le modalità di informazione precontrattuale prescritte dalle fonti secondarie della Banca d’Italia (che per i mutui prevedono la consegna gratuita di copia del contratto completa delle condizioni economiche soltanto a partire dal momento nel quale viene concordata la data per la stipula dell’atto presso il notaio, cfr. par. 6) e l’art. 127-bis Tub, che invece, nell’ambito dei servizi di pagamento, ma esprimendo un principio che potrebbe considerarsi di rilievo generale, dispone la gratuità delle informazioni precontrattuali comprensive delle condizioni economiche. Nell’ambito del credito al consumo, invece, com’è noto, la disciplina delle informazioni precontrattuali è più stringente per il creditore e prevede (art. 124 Tub) che al consumatore siano fornite (mediante il modulo contenente le «Informazioni europee di base sul credito ai consumatori») «prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito» e che il consumatore abbia altresì diritto di ricevere gratuitamente copia della bozza di contratto (salvo che il finanziatore o l’intermediario «non intenda procedere alla conclusione del contratto»).

(16) Che consente agli Stati membri che prima del 20 marzo 2014 abbiano predisposto un prospetto informativo che adempie ad obblighi di informazione equivalenti a quelli previsti dall’allegato II di continuare ad utilizzare tale prospetto “nazionale” fino al 21 marzo 2019.

(17) Uno dei problemi riscontrati nella prassi cui aveva dato luogo il codice deontologico di cui alla Raccomandazione del 1 marzo 2001 è infatti rappresentato dalla non uniformità dei tempi di consegna del Pies, il che, nel caso di consegna non adeguatamente anticipata rispetto alla conclusione del contratto, creava ostacoli rispetto al confronto delle offerte e alla serena riflessione del consumatore in ordine all’opportunità di stipulare il contratto, cfr. il documento di accompagnamento proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali SEC(2011) 355 def. e cfr. S. TOMMASI, op. cit., e v. considerando n. 44 dir. 17/2014/UE.

(18) Mentre allo stato, sulla scorta della disciplina della trasparenza bancaria generale (articoli 116 e 117 Tub e relativa disciplina secondaria della Banca d’Italia) il funzionamento di un tasso variabile viene illustrato dalla banca mediante la consegna del “foglio comparativo” dei mutui il quale, nel caso di tasso variabile, indica il Taeg assumendo un valore del tasso variabile immutato per tutta la durata del contratto e specifica che il tasso d’interesse e il Taeg sono indicati in via soltanto esemplificativa, cfr. Provvedimento Banca d’Italia 9 febbraio 2011, cit., p. 16, nota 4 e v. sul punto A. DOLMETTA, op. cit., p. 87.

(19) Nozione da intendersi, anche per ciò che si dichiara espressamente nel preambolo (cfr. considerando 19) ed all’art. 4 n. 18 della direttiva, allo stesso modo di come la si intende rispetto alla direttiva sul credito ai consumatori; cfr., sul significato di “supporto durevole” nella dir. 2008/48/CE, M. MAUGERI – S. PAGLIANTINI, Il credito ai consumatori, Milano, 2013, p. 16 e ss.

(20) Dove, nella sezione dedicata agli “altri diritti del mutuatario” (sez. 11), si prevede che al consumatore venga data, se applicabile, anche la seguente avvertenza «Lei può perdere il diritto di recedere dal contratto se, durante il periodo a Sua disposizione, compra o vende un immobile collegato al presente contratto di credito».

(21) Così all’art. 38 della direttiva 17/2014/UE, che al primo paragrafo, allo stesso modo di quanto ha fatto l’art. 23 della direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori (e secondo una prassi comunque consolidata della legislazione comunitaria), stabilisce «Gli Stati membri stabiliscono le norme riguardanti le sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni di diritto interno adottate sulla base della presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l’applicazione. Tali sanzioni sono efficaci, proporzionate e dissuasive».

(22) Naturalmente sarebbe cosa diversa dal carattere decettivo o fuorviante dell’informazione il caso nel quale il creditore, dopo aver ricevuto dal consumatore le informazioni rilevanti in merito alle sue esigenze ed alla sua situazione, e dunque in sede di valutazione del merito creditizio, decida, conformemente alla disciplina della direttiva, di non proporre un certo prodotto (pur astrattamente disponibile per la generalità del pubblico) a quel singolo consumatore.

(23) Cfr. S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE …», cit., p. 527; com’è noto, la stessa direttiva comunitaria 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette stabilisce, all’art. 7, che costituisce pratica commerciale scorretta l’omettere «informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso» e, tra tali “informazioni rilevanti” si indicano le informazioni qualificate come doverose ai sensi delle direttiva comunitarie (tra quelle allora in vigore) di cui all’All. II della direttiva, ma più in generale, la definizione ed il catalogo delle informazioni ingannevoli di cui agli articoli 21 e 23 si prestano a ricomprendere le informazioni generali di cui all’art. 13 della direttiva qui in commento. Per la ricostruzione del quadro normativo complessivo alla luce del quale valutare la scorrettezza delle pratiche, v. M. LIBERTINI, «Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette», in Contr. e impr., 2009, p. 73.

(24) Per un quadro generale delle tipologie di intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nell’ambito bancario e delle relative vicende giurisdizionali v. GENOVESE, Il contrasto alle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, a cura di V. Meli - Marano, Torino, 2011, p. 41 e ss.

(25) In generale sull’influenza che l’informazione ad incertam personam può spiegare sul singolo contratto, v. R. ALESSI, I doveri di informazione, cit., p. 391 e ss.; sul requisito della idoneità a falsare il comportamento economico del consumatore e ad indurlo ad “assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso” ai fini della applicazione dei rimedi previsti dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, v. M. LIBERTINI, «Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette», cit. “idoneità ad alterare la libertà di scelta del consumatore medio”); V. MELI, “Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regola di de minimis nella prassi dell’Agcm e nella giurisprudenza amministrativa, in V. MELI - MARANO, La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette, cit., p. 1 e ss.

(26) Cfr., M.R. MAUGERI, Pratiche commerciali sleali e disciplina generale dei contratti, in I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette, a cura di Genovese, Padova, 2008; EAD., «Violazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette e rimedi contrattuali», in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, p. 477; sempre sul collegamento tra pratiche commerciali scorrette e fattispecie codicistica del dolo v.: C. GRANELLI, «Le pratiche commerciali scorrette tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumo», in Obbl. e contr., 2007, p. 776; R. CALVO, Le pratiche commerciali ingannevoli, in Pratiche commerciali scorrette e codice del consumo, a cura di De Cristofaro, Torino, 2008, p. 175 e ss.; per l’allargamento dell’area del dolo (e più in generale dei vizi del consenso) sulla scorta dell’art. 1337 inteso come regola volta a porre una direttiva generale per il comportamento delle parti nella fase precontrattuale che sanzionerebbe (indifferentemente con l’annullamento o col risarcimento del danno) ogni comportamento qualificabile come contrario ad una generale istanza di correttezza anche se non esattamente riconducibile ad alcuno dei vizi del consenso così come individuati dal codice, v. R. SACCO, in R. SACCO - G. DE NOVA, Il Contratto, Torino 2004, p. 613 e ss.

(27) La giurisprudenza dell’Arbitro bancario e finanziario è anzi pervenuta ad applicazioni analogiche di tali regole che ne hanno significativamente ampliato la portata, rispondendo ad una domanda di tutela dei debitori alla quale sembra oggi rispondere espressamente la direttiva in commento. Nell’ambito della trasparenza bancaria generale così come ancora disciplinata dal capo I del titolo VI del testo unico bancario, infatti, non vengono espressamente previste regole di informazione propriamente precontrattuale e cioè “personalizzata” (come invece avviene per il capo II relativo al credito ai consumatori) ma soltanto obblighi di informazione generale al mercato, ed è rispetto a tali informazioni “pubblicizzate” al mercato che opera la nullità del’art. 117 sesto comma (mentre scarni obblighi di informazione precontrattuale, di carattere documentale, in sede di trattative sono previsti dalla disciplina secondaria della Banca d’Italia, v. supra nota 15, senza essere, a rigore, assistiti dalle sanzioni di cui all’art. 117 sesto comma). A fronte di tale situazione alcune decisioni dell’Arbitro bancario e finanziario, in tema di mutui ipotecari, hanno sanzionato con la nullità ex art. 117, sesto comma, clausole contrattuali che rimanevano non più sfavorevoli delle condizioni comunicate al pubblico (ai sensi dell’art. 116) ma più sfavorevoli rispetto a quelle comunicate al cliente il sede di trattativa personalizzata (e dunque al momento della consegna dei documenti che, in base al Provvedimento della Banca d’Italia sopra citato, devono essere consegnati ai clienti): v. Abf Roma n. 2651/2012; Abf Milano n. 1009/2011; altra decisione dell’Abf, invece, sanziona col risarcimento del danno ex art. 1337 cod. civ. la difformità tra condizioni comunicate in sede di trattative e quelle poi concretamente proposte al momento della conclusione del contratto, che, scoperta dal cliente, aveva determinato la mancata conclusione del contratto (Abf Roma n. 3782/2012). Tali tendenze sono state interpretate dalla dottrina come indizi di un possibile travaso di principi e tecniche di tutela dai “sottosistemi” del credito ai consumatori e dei servizi di pagamento al “sistema” generale (la cui generalità sembra però messa in crisi proprio da tali sommovimenti) della trasparenza bancaria del capo I del titolo VI del Testo unico bancario: v. in proposito AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 401 e ss. In casi di questo genere, in sostanza la giurisprudenza dell’Abf ha dato prevalenza alle informazioni personalizzate (che tuttavia nell’ambito della trasparenza bancaria generale, allo stato, e fino al recepimento di tale direttiva, non hanno uno statuto normativo definito, ad eccezione di quanto previsto dal Provvedimento della Banca d’Italia 9 febbraio 2011) rispetto alle informazioni generali (che invece secondo il disegno del Tub sarebbero le sole a dover prevalere sul regolamento contrattuale). La direttiva in commento, come si vedrà, dovrebbe sancire definitivamente, anche nel campo dei mutui immobiliari ai consumatori (finora escluso dalla disciplina del credito ai consumatori, che invece prevede l’informazione personalizzata e la prevalenza di questa sul contenuto del contratto eventualmente difforme), la vincolatività dell’informazione personalizzata così anticipata dalla giurisprudenza dell’Abf.

(28) Ritiene (con riguardo alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette) che, solo entro l’ambito della contrattazione tra imprese e consumatori, la violazione degli obblighi informativi precontrattuali rivolti “al mercato” possa dar luogo a responsabilità precontrattuale anche in presenza di contratto concluso (e valido) G. D’AMICO, voce Formazione del contratto, in Enc. dir., Annali II, Milano, 2008, p. 567 e ora in ID., Profili del nuovo diritto dei contratti, Milano, 2014 (da cui si cita), p. 42 e ss.; per l’esclusione della configurabilità di tale responsabilità nel caso del contratto “di diritto comune”, v. ID., Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996; ID., La responsabilità precontrattuale, in Trattato del contratto, a cura di V. Roppo, vol. V, Rimedi, Milano, 2006, p. 1007 e ss.; M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, Torino, 2011, p. 467 e ss.

(29) Cfr. T. RUMI, op. cit.; S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE …» cit., p. 528; per una ricostruzione sistematica del recesso nei contratti del consumatore come vicenda che attiene alla fase formativa del vincolo, anche i relazione all’adempimento degli obblighi di informazione da parte del professionista v. G. D’AMICO, voce Formazione del contratto, cit., p. 16 e ss.

(30) Così S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE …», cit. p. 530 e ss.

(31) Cfr. AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 398 e ss.

(32) Rimedi vengono tuttavia forniti per i casi di questo genere dalla giurisprudenza dell’Abf, che applica rimedi intesi dalla dottrina come segnali dell’emersione, nella disciplina dei contratti bancari, di una regola di trasparenza più incisiva, sulla scorta di una qualche forza espansiva dei più stringenti parametri di trasparenza imposti dalla disciplina del credito ai consumatori, anche mediante rilevanti obblighi di informazione personalizzata, v. supra n. 27 e cfr. AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 398 e ss.

(33) Così, contrapponendo le informazioni rese mediante il Pies a quelle contenute nel “formulario informativo” obbligatorio di cui all’art. 71 cod. cons. (che l’art. 72 quarto comma definisce «parte integrante e sostanziale del contratto» rendendole relativamente immodificabili, se non nel caso di espresso accordo delle parti o di circostanze eccezionali e imprevedibili) ed a quelle di cui al nuovo art. 49, S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 17/2014/UE …» cit., p. 529; e, più approfonditamente, ID., «La riforma del codice del consumo ai sensi del D.lgs. 21/2014: una rivisitazione (con effetto paralizzante per i consumatori e le imprese?)», in Contratti, 2014, p. 805 e ss., con riguardo agli obblighi di informazione previsti dai nuovi articoli 48 e 49 cod. cons.

(34) Sulla inidoneità della mera lettura del testo del contratto a soddisfare le esigenze informative del consumatore (in particolare nel caso in cui la condizioni del contratto siano diverse e più gravose per il cliente rispetto a quelle comunicate in fase di consegna dei documenti precontrattuali, dovuti in forza della sezione II del provvedimento della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, ma, a rigore, non prevalenti sulle condizioni contrattuali ai sensi dell’art. 116 e 117 Tub, i quali fanno riferimento soltanto alle condizioni “pubblicizzate”) v. anche Abf Roma n. 2651 del 2012, che ritiene nulle le clausole sfavorevoli (nel caso di specie era stato applicato uno spread del 3,50 per cento anziché del 2,50 per cento, come era stato comunicato nei documenti informativi precontrattuali), applicando l’art. 117 Tub (aderisce alla decisione, segnalando però, correttamente, che l’art. 117 può essere applicato al caso di specie solo in via analogica, AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., p. 402, nota 81): v. poi in proposito A. DOLMETTA, op. cit., p. 80 e ss.

(35) Cfr. quanto alle norme di derivazione comunitaria soprattutto il modello degli articoli 70 e ss. del codice del consumo in materia di contratti relativi all’acquisizione di diritti di godimento a tempo parziale di beni immobili, ma anche, in ambito bancario lo stesso art. 117 del Testo unico bancario; v. sul punto M. BARCELLONA, «I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua eterointegrazione: Stato e Mercato nell’orizzonte europeo», in Eur. dir. priv., 2008, p. 51 e ss. R. ALESSI, «Gli obblighi di informazione tra regole di protezione del consumatore e diritto contrattuale europeo uniforme e opzionale», cit.; v. poi, per un quadro generale dei modelli in proposito adottati dal “diritto comunitario vigente” così come formulato dai c.d. “Principi Acquis” U. SALANITRO, «Gli obblighi precontrattuali di informazione: le regole e i rimedi nel progetto acquis», in Eur. dir. priv., 2009, p. 59 e ss.

(36) In altri termini, è il Pies, più che il testo del contratto, che pure, ai sensi dell’ultimo paragrafo dell’articolo 14, deve comunque essere fornito, almeno nei casi in cui non sussiste il diritto di recesso, unitamente all’offerta vincolante, lo strumento che la direttiva predispone per far sì che il consumatore possa apprendere e comprendere il contenuto economico del contratto.

(37) Con la variante del possibile riconoscimento di una responsabilità ex art. 1337 pur in presenza di contratto validamente concluso, ammessa da parte della dottrina, com’è noto, con portata più o meno generale ed esclusa da altra parte: v. sul punto G. D’AMICO, Profili del nuovo diritto dei contratti, cit., p. 42 e ss. (che ammette la configurabilità di una responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi di informazione a fronte di contratto validamente concluso solo per il contratto col consumatore); per l’esclusione della configurabilità di tale responsabilità nel caso del contratto “di diritto comune”, v. ID., Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, cit.; ID., La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1007 e ss.; M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., p. 467 e ss.; per il paradigma generale che, sulla scorta dell’art. 1337, estende la configurabilità di obbligazioni risarcitorie ai casi di violazione di doveri di informazione che tuttavia non diano luogo a vizi tipici del consenso, M. MANTONVANI, Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995; R. SACCO, Il contratto, cit., p. 613 e ss.

(38) Cfr. per l’impostazione in questi termini della disciplina della trasparenza bancaria, AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., passim.

(39) Cfr. per l’impostazione in questi termini della disciplina della trasparenza bancaria, AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit., passim.

(40) V. AUR. MIRONE, «Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria», cit.

(41) V. supra nota 27.

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