Direttiva 2014/17/UE - Art. 16 - Spiegazioni adeguate - Commento di Claudia Benanti
Direttiva 2014/17/UE
Art. 16 - Spiegazioni adeguate
Commento di Claudia Benanti
Professore aggregato. Ricercatore confermato di Diritto privato, Università di Catania
Art. 16
Spiegazioni adeguate
1. Gli Stati membri provvedono affinché i creditori e, se del caso, gli intermediari del credito o i rappresentanti designati forniscano al consumatore spiegazioni adeguate sui contratti di credito ed eventuali servizi accessori proposti, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito e i servizi accessori proposti siano adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria.
Le spiegazioni, se del caso, comprendono in particolare:
a) le informazioni precontrattuali che devono essere fornite ai sensi:
i) dell’articolo 14 nel caso dei creditori;
ii) degli articoli 14 e 15 nel caso degli intermediari del credito o dei rappresentanti designati;
b) le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti;
c) gli effetti specifici che i prodotti proposti possono avere per il consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento da parte del consumatore; e
d) quando servizi accessori sono aggregati a un contratto di credito, la precisazione se per ciascuno dei componenti del pacchetto è possibile recedere separatamente e con quali implicazioni per il consumatore.
2. Gli Stati membri possono adattare le modalità e la portata delle spiegazioni di cui al paragrafo 1 e il soggetto che le fornisce al contesto nel quale il contratto di credito è offerto, al destinatario e alla natura del credito offerto.
La funzione dell’obbligo di fornire spiegazioni adeguate
La norma in commento prevede l’obbligo a carico di creditori e, se del caso, intermediari del credito e rappresentanti designati di fornire al consumatore spiegazioni adeguate sul contratto di credito e su eventuali servizi accessori, in modo che questi possa valutarne la rispondenza alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria. Quest’obbligo sussiste a carico di questi soggetti a prescindere dalla presentazione di una richiesta di chiarimenti da parte del consumatore(1).
Si è osservato che l’obbligo di spiegazione si inserisce all’interno di una regola prudenziale unica, conformativa dell’agire del professionista(2). Questa regola conosce il prius della valutazione del merito creditizio dell’art. 18, il medio delle informazioni precontrattuali personalizzate dell’art. 14 ed il posterius delle spiegazioni adeguate dell’art. 16, in modo da arrivare ad una decisione informata del consumatore(3).
L’obbligo di spiegazione si colloca fra l’informazione obbligatoria prevista dagli artt. 14 e 15 e l’attività di consulenza, che a norma dell’art. 22 viene prestata al consumatore che voglia essere consigliato nella scelta del prodotto più rispondente alle sue esigenze. Quest’ultima fase, diversamente dalle precedenti, non è obbligatoria. Si è notato che queste tre fasi, logicamente distinguibili, tendono però
a sovrapporsi(4).
Da questo assetto si deduce che l’obbligo di fornire spiegazioni adeguate non si spinge fino al punto di consigliare al consumatore il prodotto più adatto alle sue esigenze. Questo è invece il contenuto del distinto servizio di consulenza. Nel considerando n. 48 direttiva è precisato, del resto, che «Tali spiegazioni non dovrebbero costituire di per se stesse una raccomandazione personale».
Il medesimo considerando evidenzia che: «È possibile che un consumatore abbia bisogno di ulteriore assistenza per decidere quale contratto di credito, nella gamma di prodotti proposti, sia il più adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. I creditori e, se del caso, gli intermediari del credito dovrebbero assicurare tale assistenza sui prodotti creditizi che offrono al consumatore, spiegando a quest’ultimo le pertinenti informazioni, fra cui in particolare le caratteristiche essenziali dei prodotti offerti in modo personalizzato, affinché egli possa comprenderne i potenziali effetti sulla sua situazione economica».
Come emerge dai termini impiegati nel considerando, l’obbligo di fornire spiegazioni adeguate ha lo scopo di consentire al consumatore di sottoscrivere un contratto di finanziamento con piena cognizione di causa.
Quest’obbligo non si spinge, però, fino al punto di dissuadere il consumatore dallo stipulare un contratto inadatto alla sua situazione, spettando a quest’ultimo la decisione finale.
La presente disposizione non rappresenta una novità all’interno della legislazione consumeristica. Infatti, l’obbligo di creditori ed intermediari di fornire al consumatore chiarimenti adeguati sui prodotti proposti era già previsto dall’art. 5, § 6 direttiva 2008/48/UE, in materia di credito al consumo. Questa disposizione è stata recepita nell’art. 124, comma 5, Tub.
Nozione di spiegazione adeguata. Conseguenze in tema di modalità di adempimento del dovere di spiegazione e di onere della prova
Questione di centrale importanza è stabilire cosa si intende per spiegazione “adeguata”, ossia qual è il livello minimo di chiarimenti che il professionista deve fornire al consumatore per adempiere a quest’obbligo.
A tal fine, occorre appurare se il destinatario della spiegazione sia il consumatore concreto oppure il consumatore astratto.
A favore della prima soluzione si è addotta la ratio della norma, consistente - secondo questa opinione
- nel colmare il gap informativo sussistente fra consumatore astratto e consumatore concreto(5). Secondo questa tesi il legislatore europeo, preso atto che le informazioni obbligatorie potrebbero non essere sufficienti affinché il consumatore assuma una decisione consapevole - per esempio perché egli non è in grado di comprenderle - ha disposto che queste informazioni debbano essere spiegate, in modo da risultare comprensibili a quel consumatore(6). Tant’è vero che, secondo il considerando n. 48, le spiegazioni adeguate dovrebbero essere fornite al consumatore «affinché egli possa comprenderne i potenziali effetti sulla sua situazione economica».
Invero, a favore di questa interpretazione si può addurre anche un altro passaggio del medesimo considerando, secondo cui: «… I creditori e, in caso, gli intermediari del credito dovrebbero adattare il modo in cui sono fornite le spiegazioni alle circostanze in cui il credito è offerto e al bisogno di assistenza del consumatore, tenendo conto della sua conoscenza ed esperienza in materia di credito e della natura dei singoli prodotti creditizi offerti …».
Quindi, i chiarimenti dovrebbero essere forniti oralmente, con i problemi in termini di prova che esaminerò oltre.
Se ne è dedotto che la presente direttiva ha compiuto un indubbio salto di qualità, disponendo che l’accordo debba non soltanto essere informato(7), ma anche essere “compreso” (rectius, comprensibile)(8). Tuttavia, validi argomenti depongono a favore della diversa interpretazione, secondo cui la spiegazione deve essere riferita al consumatore astratto(9).
Infatti, l’art. 16, § 2 dispone che: «Gli Stati membri possono adattare le modalità e la portata delle spiegazioni di cui al paragrafo 1 e il soggetto che le fornisce al contesto nel quale il contratto di credito è offerto, al destinatario e alla natura del credito offerto».
Se ne deduce che l’adattamento dell’informazione al caso concreto è una scelta degli Stati(10). Essi, esercitando questa opzione, possono porre a carico degli operatori del credito l’obbligo di adattare il livello delle spiegazioni al consumatore concreto, così compensandone il deficit cognitivo.
Se gli Stati non esercitano questa opzione, il parametro di riferimento per stabilire se le spiegazioni sono adeguate è quello del consumatore astratto, ossia del «consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto» assunto dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali (cfr. considerando n. 18 direttiva 2005/29/CE dell’11 maggio 2005)(11).
Ne derivano conseguenze rilevanti in tema di modalità di adempimento del dovere di spiegazione in esame.
La disposizione che lo prevede non richiede alcun formalismo particolare, ma, in forza del principio di autonomia procedurale, gli Stati membri ben potrebbero definire le modalità con cui assolvere a tale obbligo.
Se il destinatario dei chiarimenti è il consumatore astratto, le spiegazioni potrebbero essere fornite in forma documentale, per esempio mediante la predisposizione di un libretto esplicativo corredato di immagini, contenente le informazioni sugli aspetti essenziali del contratto.
In base al testo della direttiva, la consegna di un modulo o di un documento scritto specifico non è necessaria. Tuttavia, essa potrebbe essere prevista dagli Stati oppure potrebbe rientrare in una prassi adottata dagli istituti di credito.
Questa interpretazione presenta il vantaggio, da non sottovalutare, di semplificare l’assolvimento dell’onere della prova di aver fornito spiegazioni adeguate, qualora si ritenga che esso gravi sull’istituto di credito o sull’intermediario.
Nelle conclusioni rassegnate dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia in una recente causa relativa alla direttiva 2008/48/CE è affermato che la direttiva medesima «… deve essere interpretata nel senso che spetta al creditore fornire la prova del corretto e completo adempimento degli obblighi impostigli al momento della formazione e dell’esecuzione di un contratto di credito»(12). Questa conclusione è ritenuta discendere logicamente «dall’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla direttiva 2008/48».
Le conclusioni dell’Avvocato generale sono relative agli obblighi di cui agli articoli 5 (obbligo di informazione e di spiegazione) e 8 (valutazione della solvibilità del consumatore) della direttiva in parola, compreso quindi l’obbligo di fornire al consumatore chiarimenti adeguati. Esse valgono senz’altro anche per gli obblighi corrispondenti stabiliti dalla direttiva 2014/17/UE.
Il fatto che l’onere della prova gravi sul creditore o sull’intermediario non è così scontato, perché nel testo della direttiva 2014/17/UE, così come in quello della direttiva 2008/48/CE, non c’è una previsione espressa. Normalmente il legislatore europeo, quando ha voluto che l’onere della prova gravasse sul professionista, lo ha stabilito espressamente. Ne è un esempio l’ultima direttiva sui diritti dei consumatori(13).
Se però arrivassimo ad ammettere, in via interpretativa, che l’onere della prova di aver dato spiegazioni adeguate gravi sull’operatore del credito, questi come farebbe ad assolverlo?
È evidente che intendere l’obbligo di spiegare come obbligo documentale alleggerirebbe l’onere della prova.
L’inserimento nel contratto di mutuo della dichiarazione del consumatore di aver ricevuto spiegazioni adeguate (secondo una prassi usata dagli istituti di credito con riferimento alla scheda informativa precontrattuale prescritta per il credito al consumo) varrebbe a provare la consegna da parte del professionista del documento predisposto.
Pertanto, il professionista che non avesse fornito al consumatore niente oltre al Pies sarebbe inadempiente.
Tuttavia, la clausola indicata non comporterebbe necessariamente la prova del pieno e corretto adempimento del dovere di spiegazione incombente sul creditore(14). Graverebbe, cioè, sempre su quest’ultimo l’obbligo di provare che il contenuto delle spiegazioni fornite sia conforme ai requisiti della direttiva 2014/17/UE.
L’art. 15 di quest’ultima direttiva non obbliga il professionista del credito a verificare, prima di adempiere ai suoi doveri di spiegazione e di assistenza, la situazione finanziaria del consumatore e, ancor meno, la sua solvibilità(15).
Infatti, l’obbligo di fornire spiegazioni adeguate ha lo scopo di consentire al consumatore di sottoscrivere un contratto di finanziamento con piena cognizione di causa. Invece, la verifica dell’adeguatezza del credito rispetto alle esigenze e alla situazione finanziaria del debitore spetta personalmente a quest’ultimo e non grava sul creditore.
In conclusione, se nel recepire la presente direttiva lo Stato italiano non eserciti l’opzione prevista dall’art. 16, § 2, l’obbligo di fornire spiegazioni adeguate avrebbe come parametro di riferimento il consumatore astratto e potrebbe essere adempiuto in forma documentale. Un’espressa previsione in tal senso sarebbe utile, per esigenze di certezza.
Lo Stato potrebbe decidere di adottare il parametro di riferimento del consumatore concreto, così personalizzando la tutela ed elevandone il livello, ma in questo caso dovrebbe farsi carico della regolazione dell’onere della prova.
Il contenuto delle spiegazioni
Al consumatore devono essere illustrate, innanzitutto, le informazioni precontrattuali obbligatorie previste dagli artt. 14 e 15(16 )(art. 16, § 1 primo cpv.).
Quindi, l’obbligo di rendere queste informazioni comprensibili al consumatore medio grava sul professionista, il quale sarebbe inadempiente se per esempio il libretto esplicativo da lui predisposto fosse inidoneo a questo scopo.
Inoltre, il professionista deve illustrare al consumatore le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti, come l’eventuale presenza di una garanzia, la valuta del mutuo, la durata presumibile del contratto, la periodicità delle rate, il tipo di tasso (fisso o variabile), la misura del medesimo.
In questo modo si garantisce che l’attenzione del consumatore si focalizzi sugli aspetti essenziali del contratto, considerato che il Pies, in ragione del suo contenuto analitico, potrebbe non garantire questo risultato(17). Nel contempo, si rende più agevole per il consumatore comparare i tipi di mutuo proposti e scegliere quello più adatto alle sue esigenze.
Bisogna spiegare anche «gli effetti specifici che i prodotti proposti possono avere per il consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento da parte del consumatore» (lett. c).
Si pensi al rischio di cambio nel caso di mutuo in valuta estera (cfr. considerando n. 4) o alle possibili conseguenze delle variazioni del tasso debitore sugli importi da pagare e sul Taeg.
Le spiegazioni devono comprendere le conseguenze dell’inadempimento del debitore, sotto l’aspetto della garanzia ipotecaria, dei maggiori oneri, dell’esecuzione forzata. Parimenti bisognerebbe spiegare al debitore gli effetti di un ritardo nei pagamenti (interessi di mora).
Questi chiarimenti servono a far capire al consumatore le conseguenze che la stipula del contratto potrebbe avere sulla sua situazione finanziaria e, quindi, a prevenire il rischio di un sovraindebitamento del consumatore medesimo.
Nell’eventualità che servizi accessori siano aggregati a un contratto di credito, si deve precisare se per ciascuno dei componenti del pacchetto è possibile recedere separatamente e con quali implicazioni per il consumatore.
Questo inciso fa riferimento alle pratiche commerciali aggregate di cui all’art. 12 della direttiva(18). Si vuole che venga spiegato al consumatore se l’eventuale recesso da un servizio accessorio aggregato al contratto di mutuo possa comportare un mutamento a lui sfavorevole delle condizioni del mutuo. In base all’art. 125-ter, comma 4, Tub, il recesso da un contratto di credito al consumo si estende automaticamente ai servizi accessori (v. art. 16, lett. d, direttiva). Deve ritenersi che la medesima regola valga con riferimento al mutuo immobiliare. Infatti, il mantenimento dei servizi accessori sarebbe inutile per il consumatore.
Conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo di fornire spiegazioni adeguate
Nel testo della direttiva non sono indicate le conseguenze della violazione dell’obbligo di fornire spiegazioni adeguate. In generale, il compito di stabilire le sanzioni per la violazione della direttiva è stato lasciato agli Stati membri, con la raccomandazione che esse siano proporzionate, efficaci e dissuasive (cfr. considerando n. 76 ed art. 38). Ed il considerando n. 21 osserva che «…La presente direttiva non dovrebbe pregiudicare il diritto contrattuale nazionale generale, quali le norme sulla validità, formazione o efficacia di un contratto, nella misura in cui gli aspetti relativi al diritto contrattuale generale non sono disciplinati dalla presente direttiva».
Di conseguenza le soluzioni nazionali potrebbero divergere notevolmente, in contrasto con l’obiettivo dichiarato di creare un «quadro giuridico» comune.
Essendo quella dei rimedi una questione fondamentale, è importante che il legislatore nazionale la regolamenti e non lasci all’interprete il compito di individuare le soluzioni applicabili(19).
Tuttavia il legislatore nazionale nel recepire l’art. 5, § 6 di quest’ultima direttiva, che pone a carico di creditori ed intermediari l’obbligo di fornire al consumatore chiarimenti adeguati, non ha precisato le conseguenze dell’inadempimento di quest’obbligo(20).
È auspicabile, per esigenze di certezza, che in sede di recepimento della direttiva 2014/17/UE venga compiuta una scelta diversa.
In questa fase è opportuno prospettare le possibili conseguenze della violazione del dovere di spiegazione, indicando i rimedi che sembrano più appropriati.
In uno dei primi commenti alla disposizione, si è ipotizzato che un contratto concluso dal consumatore senza aver compreso le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti sia un contratto viziato da errore essenziale sull’oggetto del contratto o, comunque, sull’identità o su una qualità dell’oggetto della prestazione(21). L’errore sarebbe anche riconoscibile, perché la direttiva impone al creditore di evitare che il consumatore cada in errore e, quindi, di verificare che egli non sia caduto in errore. Di conseguenza, il contratto sarebbe annullabile su domanda del consumatore.
Tuttavia, proprio perché la conclusione di un contratto inadatto al singolo consumatore conseguirebbe ad un inadempimento del professionista, non sembra che possa applicarsi l’istituto dell’errore.
Fra i vizi del consenso, la fattispecie più pertinente sarebbe il dolo, con conseguente annullabilità del contratto se il dolo sia stato determinante del consenso oppure risarcimento del danno qualora il consumatore avrebbe concluso ugualmente il contratto, ma a condizioni diverse.
Si è osservato che la tesi del dolo non ha avuto molto seguito per le difficoltà di prova che comporta per il consumatore(22).
Nell’individuare i rimedi alla violazione dei doveri precontrattuali che gravano sul professionista del credito bisogna privilegiare strumenti conservativi del rapporto piuttosto che strumenti demolitori, come la nullità del contratto. Occorre tener conto che si tratta di un contratto di mutuo stipulato, il più delle volte, per l’acquisto dell’abitazione principale.
Per queste ragioni, se si volesse dare preferenza ai rimedi che attengono all’invalidità del contratto, come la nullità virtuale(23), bisognerebbe applicare in via analogica la norma che, in caso di nullità del contratto di credito al consumo, prevede che il consumatore possa restituire l’importo in 36 mesi e senza interessi(24 )(cfr. art. 125-bis, comma 9, Tub). Si eviterebbe così il grave inconveniente per il cliente di dover restituire subito tutto il capitale ottenuto, ai sensi dell’art. 2033 c.c. sulla ripetizione dell’indebito.
Si consideri, però, che la soluzione della nullità responsabilizzerebbe maggiormente il notaio rispetto alle altre, esponendolo al rischio di incorrere nella responsabilità disciplinare prevista dall’art. 28 legge notarile(25). Come già evidenziato, l’inserimento nel contratto di mutuo della dichiarazione del consumatore di aver ricevuto spiegazioni adeguate varrebbe a provare la consegna da parte del professionista del documento predisposto a tal fine, ma non comporterebbe necessariamente la prova del pieno e corretto adempimento del dovere di spiegazione incombente sul creditore.
Tuttavia, non si vede come il notaio potrebbe effettuare questo accertamento, soprattutto se dovesse prevalere la tesi secondo cui l’obbligo di spiegazione non va adempiuto in forma documentale. Sembrano preferibili, quindi, le soluzioni che ricollegano all’inadempimento del dovere di spiegazione conseguenze di tipo risarcitorio.
Si potrebbe ritenere che l’inadempimento di questo dovere costituisca un comportamento contrario a buona fede e determini la responsabilità precontrattuale del professionista del credito, a norma dell’art. 1337 c.c., con le note conseguenze di tipo risarcitorio. Invero, l’art. 7 direttiva pone a carico degli operatori finanziari un dovere di agire «in maniera onesta, equa, trasparente e professionale, tenendo conto dei diritti e degli interessi dei consumatori», che ben potrebbe essere ritenuto una specificazione del dovere di buona fede.
Questa soluzione sarebbe in linea con la tesi prevalente, sostenuta anche in importanti pronunce della Corte di Cassazione (come quelle a Sezioni Unite n. 26724 e n. 26725 del 2007)(26), secondo cui la violazione dei doveri di informazione precontrattuale determina la responsabilità precontrattuale del professionista. Questo orientamento esclude invece che, in difetto di una previsione apposita, l’inadempimento dei medesimi doveri possa determinare la nullità del contratto per violazione di norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.
Questa tesi si basa sull’autonomia tra regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto(27), sull’inesistenza di una lacuna che possa giustificare l’applicazione dell’art. 1418, comma 1(28 )e sulla limitazione del giudizio di validità a violazioni attinenti alla struttura o al contenuto del contratto(29).
In applicazione di queste regole il consumatore avrebbe diritto al risarcimento del danno sofferto per aver concluso un contratto inadatto alle sue esigenze e/o alla sua situazione finanziaria, a causa della mancanza dei chiarimenti adeguati(30). All’operatore si imputerebbe, quindi, una responsabilità da contratto valido, ma sconveniente(31). Al fine di avere il risarcimento, il consumatore dovrebbe provare, però, il danno subito.
Questa soluzione comporta l’esigenza di quantificare il danno risarcibile. Al riguardo, si è osservato che il criterio normalmente utilizzato per quantificare l’interesse negativo, mirando a riportare il contraente nella posizione specifica in cui si sarebbe trovato se non avesse cominciato le trattative, non è adatto a quantificare il danno derivante da contratto valido ma sconveniente(32).
Si è suggerito, quindi, di utilizzare il criterio del minor vantaggio o del maggior aggravio economico, a seconda delle circostanze(33 )oppure altri criteri, deducibili dal nostro ordinamento o dai sistemi di common law, ritenuti meno indeterminati(34).
Si ritiene, in definitiva, che il consumatore abbia diritto al risarcimento integrale del danno derivante dal contratto valido, ma sconveniente(35).
Si potrebbe pensare, allora, ad un’altra soluzione. Il professionista che non adempie al dovere di spiegazione contravviene ad un obbligo previsto dalla normativa nazionale di recepimento della direttiva ed è responsabile verso il consumatore per l’inadempimento di questa obbligazione ex lege, con conseguente parametrazione del risarcimento all’interesse positivo(36).
Nella prospettiva di una tutela conservativa del contratto, potrebbe ritenersi che qualora il consumatore a causa della mancanza delle spiegazioni dovutegli abbia contratto un mutuo inadatto alle sue esigenze o alla sua situazione finanziaria, la Banca sia obbligata a ristrutturare il mutuo in modo da adeguarlo alla situazione del consumatore. Sarebbe una sorta di obbligo di rinegoziazione.
Questa sarebbe la tutela più appropriata e potrebbe essere prevista espressamente dalla normativa di recepimento.
Se però sia stato erogato un finanziamento insostenibile, vi sarebbe anche una responsabilità della Banca nella valutazione del merito creditizio. In questo caso l’inadempimento del debitore potrebbe essere giustificato ed il giudice potrebbe disporre un piano di rientro del mutuo per consentire al consumatore di conservare il finanziamento ed adeguarlo alla sua situazione finanziaria(37).
Un utile spunto potrebbe provenire anche da un ordinamento vicino al nostro, quello francese, che sanziona l’inadempimento da parte del professionista degli obblighi precontrattuali nel contratto di credito al consumo con la decadenza dal diritto agli interessi, totalmente o nella proporzione determinata dal giudice(38). La previsione di una regola di questo tipo costituirebbe senz’altro un efficace deterrente all’inadempimento del dovere di spiegazione.
(1) Di quest’avviso G. DE CRISTOFARO, «La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l’armonizzazione “completa” delle disposizioni nazionali concernenti “taluni aspetti” dei “contratti di credito ai consumatori”», in Riv. di dir. civ., 2008, p.te II, p. 255 e ss., spec. p. 272, nota 55, in relazione all’obbligo di fornire chiarimenti adeguati che l’art. 5, § 6 direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori pone a carico di creditori ed intermediari.
(2) S. PAGLIANTINI, «Statuto dell’informazione e prestito responsabile nella direttiva 2014/17/UE (sui contratti di credito ai consumatori relativi ad immobili residenziali)», in Contr. impr. Eur., 2014, p. 525 e ss., spec. p. 536-537.
(3) V. nota precedente.
(4) R. NATOLI, «Le spiegazioni adeguate», Relazione tenuta al Convegno di Rovigo del 24 ottobre 2014, organizzato dall’Università di Ferrara (sede di Rovigo), su “La nuova disciplina europea dei contratti di credito per finanziare l’acquisto di immobili”.
(5) Cfr. R. NATOLI, op. cit.
(6) Sembra essere di quest’avviso anche T. RUMI, «Profili privatistici del credito relativo agli immobili residenziali», in I contratti, 2015, p. 70 e ss., spec. p. 79-80. Questa interpretazione è stata sostenuta anche con riferimento all’art. 5, § 6 direttiva 2008/48/CE. Cfr. M. DE POLI, «Le regole di comportamento dei “creditori” nella direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo», in Dir. banca merc. fin., 2009, p. 33 e ss., spec. p. 45-46.
(7) Cfr., per alcune notazioni sull’accordo informato, V. ROPPO - G. AFFERNI, «Dai contratti finanziari al contratto in genere: due punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale (nota a Cass., 29 settembre 2005, n. 19024)», in Danno e resp., 2006, p. 29 e ss.
(8) Cfr. R. NATOLI, op. cit.
(9) Si sviluppa in questa sede l’interpretazione proposta da G. DE CRISTOFARO in un «Intervento» al Convegno su “La nuova disciplina europea dei contratti di credito per finanziare l’acquisto di immobili”, cit.
(10) La presente direttiva è, infatti, di armonizzazione minima - a differenza della 2008/48/UE, che era di armonizzazione massima - salvo che per il Pies ed il Taeg (cfr., rispettivamente, art. 14, § 8 e art. 17).
(11) Ai sensi del considerando n. 18 direttiva 2005/29/CE dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno: «… Conformemente al principio di proporzionalità, e per consentire l’efficace applicazione delle misure di protezione in essa previste, la presente direttiva prende come parametro il consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia…». Cfr., sulla nozione di consumatore medio nella direttiva appena citata, G. DE CRISTOFARO, La nozione generale di pratica commerciale «sleale» nella direttiva 2005/29/CE, in AA.VV., Studi in onore di Niccolò Lipari, Milano, 2008, p. 725 e ss., spec. p. 759 e ss.
(12) Causa C 449/13 CA Consumer Finance SA contro Ingrid Bakkaus, Charline Savary, in Bonato, Florian Bonato, Conclusioni dell’Avvocato generale Nils Wahl presentate l’11 settembre 2014, in http://curia.europa.eu/juris/document/ document.jsf ?text=consumatori&docid=157528&pageIn dex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1 &cid=142184#ctx1.
(13) Cfr. art. 6, § 9 direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, in G.U.U.E. del 22 novembre 2011, L 304/64, relativo all’adempimento degli obblighi di informazione precontrattuale per i contratti a distanza e per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali.
(14) Cfr. Causa C 449/13, Conclusioni dell’Avvocato generale Nils Wahl presentate l’11 settembre 2014, cit., con riferimento alla clausola di conferma della ricezione della scheda contenente le informazioni europee di base, contenuta in un contratto di credito al consumo.
(15) Cfr. Causa C 449/13, Conclusioni dell’Avvocato generale Nils Wahl presentate l’11 settembre 2014, cit., in relazione all’art. 5, § 6 direttiva 2008/48/CE.
(16) Le informazioni previste dall’art. 15 vanno fornite al consumatore solo quando egli venga in contatto con un intermediario del credito o con un rappresentante designato. Cfr. Commento all’art. 15, in questo volume.
(17) In numerose disposizioni della direttiva è indicato che le informazioni devono essere rese al consumatore in modo conciso. Si vuole evitare, infatti, che un eccesso di informazioni vanifichi lo scopo per il quale le medesime sono prescritte.
(18) Cfr. Commento all’art. 12, in questo volume.
(19) Cfr. V. ROPPO, «L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo», in Riv. dir. priv., 2004, p. 747 e ss., spec. p. 761.
(20) Cfr. art. 23 direttiva 2008/48/CE.
(21) R. NATOLI, op. cit.
(22) R. ALESSI, I doveri di informazione, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di C. Castronovo - S. Mazzamuto, Milano, 2007, vol. II, p. 2007, p. 391 e ss., spec. p. 444.
(23) Secondo una linea di pensiero è la nullità virtuale la sanzione appropriata per la violazione di regole, come quelle sui doveri di informazione, che hanno lo scopo di conformare il regolamento contrattuale. Cfr. R. ALESSI, op. cit.; V. SCALISI, L’invalidità e l’inefficacia, in Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 465 e ss., spec. p. 478-479; F. RENDE, «Le regole d’informazione nel diritto europeo dei contratti», in Riv. dir. civ., 2012, p.te II, p. 185 e ss., spec. p. 206 e ss.
(24) R. NATOLI, op. cit.
(25) Com’è noto, l’art. 28 legge 16 febbraio 1913, n. 89 (c.d. legge notarile) vieta al notaio di ricevere atti “espressamente proibiti” dalla legge. Questa norma è interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la responsabilità del notaio sussista solo se la nullità dell’atto sia espressamente stabilita dalla legge oppure possa desumersi da un’interpretazione consolidata, interpretazione che con riferimento alla violazione degli obblighi d’informazione allo stato non c’è. Cfr. Cass., 8 maggio 2015, n. 9425; Cass., 13 ottobre 2011, n. 21202, in Giur. comm., 2013, p. 678 e ss., con nota di F. TASSINARI, «La responsabilità disciplinare del notaio per atti ritenuti nulli da due consecutivi precedenti di legittimità». Nel senso che la responsabilità disciplinare del notaio sussista solo in caso di nullità assoluta, v. Cass., 1 febbraio 2001, n. 1394, in Giur. it., 2001, p. 1599 e ss. Cfr., in argomento, N. LIPARI, «Il ruolo del notaio nella nuova realtà delle nullità contrattuali», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, p. 361 e ss.; S. PAGLIANTINI, «La responsabilità disciplinare del notaio tra nullità parziale, relatività della legittimazione e nullità inequivoca», in I contratti, 2011, p. 921 e ss. ; S. MONTICELLI, «Obblighi d’informazione, nullità speciali e attività del notaio», ivi, 2014, p. 1063 e ss., ad avviso del quale il notaio, qualora il rogito da stipularsi contenga una clausola affetta da nullità di protezione, deve rendere edotte le parti sulle conseguenze che la nullità della clausola avrebbe sull’assetto del contratto, offrendo loro tutti gli elementi utili all’assunzione di una decisione consapevole.
(26) Cfr. Cass., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Corr. giur., 2008, p. 223 e ss., con nota di V. MARICONDA, «L’insegnamento delle Sezioni Unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di comportamento e norme di validità», ivi, p. 230 e ss.; in Danno e resp., 2008, p. 525 e ss., con nota di V. ROPPO, «La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf», ivi, p. 536 e ss.; Cass., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Resp. civ. e prev., 2008, p. 547 e ss., con nota di F. GRECO, «Intermediazione finanziaria: violazione di regole comportamentali e tutela secondo le Sezioni Unite», ivi, p. 556 e ss. La medesima posizione era stata assunta in precedenza da Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno e resp., 2006, p. 25 e ss., con nota di V. ROPPO - G. AFFERNI, «Dai contratti finanziari al contratto in genere: due punti fermi della Cassazione …», cit., p. 29 e ss.
(27) Cfr. G. D’AMICO, «Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto», in Riv. di dir. civ., 2002, p.te I, p. 37 e ss., spec. p. 56-57. ID., «Nullità virtuale - Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità)», in I contratti, 2009, p. 732 e ss., spec. p. 735 precisa che le regole di comportamento, per poter essere distinte dalle regole di validità - le quali sono pure, in quanto norme giuridiche, delle regole di condotta - vadano intese in un’accezione ristretta, come “regole di mero comportamento”, comprendenti le regole di correttezza (ossia di buona fede) e altre regole generali di condotta, quali ragionevolezza, trasparenza, onestà ecc.
(28) C. CASTRONOVO, La responsabilità precontrattuale, in Manuale di diritto privato europeo, cit., p. 325 e ss. (spec. p. 345).
(29) Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.
(30) In questo caso la funzione del risarcimento sarebbe di compensare le condizioni più sfavorevoli alle quali il contratto è stato concluso a causa del comportamento scorretto della controparte, secondo l’evoluzione della nozione di interesse negativo riferita da M. MANTOVANI, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, p. 173 e ss.
(31) Cfr., a favore della configurabilità di una responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. anche in presenza di un contratto valido ed efficace, M. MANTOVANI, op. cit., p. 154 e ss.
(32) Cfr. V. ROPPO - G. AFFERNI, «Dai contratti finanziari al contratto in genere: due punti fermi della Cassazione …», cit., i quali condividono, sotto questo aspetto, il decisum della sentenza in commento.
(33) Questa soluzione è stata proposta, con riferimento al dolo incidente, da C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 1998, p. 628 e ripresa, in giurisprudenza, da Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.
(34) V. ROPPO - G. AFFERNI, «Dai contratti finanziari al contratto in genere: due punti fermi della Cassazione …», cit., p. 34 e ss. suggeriscono i criteri del quanti minoris, dell’out of pocket (criterio, quest’ultimo, proprio dei sistemi di common law) e del loss of bargain.
(35) Ancora V. ROPPO - G. AFFERNI, «Dai contratti finanziari al contratto in genere: due punti fermi della Cassazione …», cit., p. 34 e ss.
(36) Cfr., per una spiegazione delle teorie secondo cui la violazione degli obblighi di informazione nella fase preparatoria al contratto determina la responsabilità contrattuale del professionista, Commento all’art. 15, in questo volume.
(37) E. PELLECCHIA, «L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore: spunti di riflessione per un nuovo modo di guardare alla “contrattazione con l’insolvente”», in Nuove leggi civ. comm., 2014, p. 1088 e ss., spec. p. 1113.
(38) Cfr. L. 311-48, commi 2 e 3, del codice del consumo francese.
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