Direttiva 2014/17/UE - Art. 18 - Art. 19 - Art. 20 - La riforma del credito ai consumatori finalizzato all’acquisto degli immobili residenziali - Commento di Katia Fucci
Direttiva 2014/17/UE
Art. 18 - Obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore
Art. 19 - Valutazione dei beni immobili
Art. 20 - Informativa e verifica delle informazioni sul consumatore
Commento di Katia Fucci
Notaio in Lurate Caccivio

Art. 18
Obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore

1. Gli Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione di un contratto di credito, il creditore svolga una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore. Tale valutazione tiene adeguatamente conto dei fattori pertinenti ai fini della verifica delle prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito.
2. Gli Stati membri assicurano che le procedure e le informazioni su cui è basata la valutazione siano messe a punto, documentate e tenute aggiornate.
3. La valutazione del merito creditizio non si basa prevalentemente sul fatto che il valore del bene immobile residenziale sia superiore all’importo del credito né sull’assunto che il bene immobile residenziale si apprezzerà, a meno che il fine del contratto di credito non sia costruire o ristrutturare il bene immobile residenziale.
4. Gli Stati membri assicurano che, se un creditore conclude un contratto di credito con un consumatore, il creditore non risolva né modifichi in un secondo tempo il contratto di credito a danno del consumatore a motivo del fatto che la valutazione del merito creditizio era stata condotta scorrettamente. Il presente paragrafo non si applica se è comprovato che il consumatore ha intenzionalmente omesso di fornire o ha falsificato le informazioni ai sensi dell’articolo 20.
l’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, a meno che tale credito supplementare fosse previsto e incluso nella valutazione del merito creditizio originaria.
5. Gli Stati membri assicurano che:
a) il creditore eroghi il credito al consumatore solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto di credito saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte dal contratto di credito;
b) conformemente all’articolo 10 della direttiva 95/46/CE, il creditore informa in anticipo il consumatore che sarà consultata una banca dati;
c) quando la richiesta di credito è respinta il creditore informa il consumatore senza indugio del rifiuto e, se del caso, del fatto che la decisione è basata sul trattamento automatico di dati. Se il rifiuto è basato sul risultato della consultazione di una banca dati, il creditore informa il consumatore dei risultati di detta consultazione e indica gli estremi della banca dati consultata.
6. Gli Stati membri provvedono affinché il merito creditizio del consumatore venga rivalutato sulla base di informazioni aggiornate prima di procedere ad un aumento significativo dell’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, a meno che tale credito supplementare fosse previsto e incluso nella valutazione del merito creditizio originaria.
7. Il presente articolo fa salva la direttiva 95/46/CE.

Art. 19
Valutazione dei beni immobili

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano elaborate nel proprio territorio standard per la valutazione dei beni immobili residenziali affidabili ai fini della concessione dei crediti ipotecari. Gli Stati membri impongono ai creditori di assicurare il rispetto di tali standard quando effettuano la valutazione di un immobile o di prendere misure ragionevoli per assicurare l’applicazione di tali standard quando la valutazione è condotta da terzi. Se le autorità nazionali sono responsabili della disciplina dei periti indipendenti che effettuano le valutazioni dei beni immobili, devono provvedere affinché tali periti rispettino la normativa nazionale vigente.
2. Gli Stati membri provvedono affinché i periti interni ed esterni che conducono valutazioni di beni immobili siano competenti sotto il profilo professionale e sufficientemente indipendenti dal processo di sottoscrizione del credito in modo da poter fornire una valutazione imparziale ed obiettiva, che deve essere documentata su supporto durevole e della quale deve essere conservato un esemplare dal creditore.

Art. 20
Informativa e verifica delle informazioni sul consumatore

1. La valutazione del merito creditizio di cui all’articolo 18 è effettuata sulla base delle informazioni sul reddito e le spese del consumatore e altre informazioni sulla situazione economica e finanziaria necessarie, sufficienti e proporzionate. Le informazioni sono ottenute dal creditore da pertinenti fonti interne o esterne, incluso il consumatore, e comprendono le informazioni fornite all’intermediario del credito o al rappresentante designato nel corso della richiesta di credito. Le informazioni sono opportunamente verificate, anche attingendo, se necessario, a documentazione indipendente verificabile.
2. Gli Stati membri assicurano che gli intermediari del credito o i rappresentanti designati abbiano cura di fornire le necessarie informazioni ottenute dal consumatore al pertinente creditore per consentire l’esecuzione della valutazione del merito creditizio.
3. Gli Stati membri assicurano che i creditori precisino in modo chiaro e diretto già nella fase precontrattuale le informazioni e le evidenze documentali necessarie provenienti da fonti indipendenti verificabili che il consumatore deve fornire e il termine entro il quale devono essere fornite. Tale richiesta di informazioni è proporzionata e limitata a quanto necessario per eseguire un’adeguata valutazione del merito creditizio. Gli Stati membri consentono ai creditori di chiedere chiarimenti sulle informazioni ricevute in risposta a tale richiesta, se necessario per consentire la valutazione del merito creditizio.
Gli Stati membri non consentono a un creditore di risolvere il contratto di credito a motivo del fatto che le informazioni fornite dal consumatore prima della conclusione del contratto di credito erano incomplete.
Il secondo comma non osta a che gli Stati membri consentano la risoluzione del contratto di credito da parte del creditore qualora sia comprovato che il consumatore ha intenzionalmente omesso di fornire o ha falsificato le informazioni.
4. Gli Stati membri pongono in essere misure per assicurare che i consumatori siano consapevoli della necessità di fornire informazioni corrette in risposta alla richiesta di cui al paragrafo 3, primo comma, e che tali informazioni siano sufficientemente complete per condurre un’adeguata valutazione del merito creditizio. Il creditore, l’intermediario del credito o il rappresentante designato avverte il consumatore che, se il creditore non può effettuare la valutazione del merito creditizio in quanto il consumatore sceglie di non fornire le informazioni o gli ele menti di verifica necessari alla valutazione del merito creditizio, il credito non può essere accordato. Tale avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato.
5. Il presente articolo fa salva la direttiva 95/46/CE, in particolare l’articolo 6.


La riforma del credito ai consumatori finalizzato all’acquisto degli immobili residenziali

Premessa: dalla crisi dei mutui subprime alle misure di responsible lending

La direttiva 2014/17/UE si pone a corredo e completa il quadro di tutele, già introdotto dalla precedente direttiva 2008/48/CE, relativo all’erogazione e concessione responsabile del credito al consumo(1) con riguardo, più specificatamente, al versante dei mutui immobiliari(2).
L’esigenza avvertita dall’Unione europea di procedere ad una armonizzazione ed integrazione dei mercati in ordine alla disciplina dei contratti di credito per l’acquisto di beni immobili residenziali deriva da una presa d’atto della crescita - costante ed in continuo sviluppo - del ricorso al credito da parte dei consumatori registratasi negli ultimi decenni(3).
In generale, non può tacersi la considerazione che la crisi economica abbia reso le famiglie, indistintamente, molto più propense al credito al consumo, spesse volte, causa di un vero e proprio fenomeno di sovra-indebitamento dilagante non rispetto ad un singolo e specifico Stato membro, ma capace di interessare tutta l’area europea(4).
Difatti, il ricorso allo strumento dell’indebitamento, in tutto il territorio comunitario, se consente, da un lato, ai consumatori di soddisfare il proprio fabbisogno di determinati beni e servizi, rendendoli fruibili pur mancando la disponibilità finanziaria a pagarne il prezzo(5), dall’altro, agevola e sostiene le imprese - offerenti i beni e servizi in questione - così che possano continuare ad operare nel mercato(6). La preoccupazione del legislatore comunitario, nonché la ratio sottesa sia alla direttiva in commento che, prima ancora, alla direttiva 2008/48/CE, è quella di evitare il fenomeno del “sovraindebitamento”(7 )dei consumatori specie in considerazione dei nefasti effetti, sullo scenario della finanza mondiale, originati proprio dalla crisi statunitense dei mutui subprime del 2006(8).
Al fine di descrivere la genesi della suddetta crisi occorre analizzare il settore dei mutui essendo, l’esplosione della bolla speculativa nel mercato della casa, originata - secondo molti Autori - proprio dalla degenerazione della prassi di cartolarizzazione dei mutui immobiliari(9).
La scelta delle banche americane di ricorrere, con un uso, peraltro, sempre più frequente e su larga scala, alla tecnica di cartolarizzazione del mutuo ha recato in sé, quale contraltare, l’abbassamento della qualità dei crediti ed il correlato aumento dei rischi di insolvibilità(10).
Più precisamente, la prassi secondo cui il mutuo ipotecario concesso in favore di famiglie poco sicure in punto di solvibilità divenga oggetto di cessione ha spinto le banche americane ad erogarlo senza le necessarie e prudenziali valutazioni del merito creditizio(11).
La crisi dei mutui subprime, sostanziandosi in un danno non tanto per l’intermediario, liberatosi del credito e del correlato rischio d’insolvenza mediante cessione, quanto piuttosto per il buon funzionamento del mercato nel suo insieme, dimostra come un comportamento irresponsabile degli operatori bancari sia in grado di minare le basi del sistema finanziario con conseguenze gravi sull’intero piano socio economico(12).
Non è casuale che proprio la crisi finanziaria statunitense abbia determinato un incentivo alla trasparenza nei comportamenti degli intermediari finanziari, sul presupposto che un discredito diffuso fra il pubblico possa nuocere ai meccanismi concorrenziali.
Proprio l’acquisita consapevolezza che la trasparenza bancaria sia idonea a realizzare quell’interesse generale ad un corretta allocazione delle risorse finanziarie, così incentivando lo sviluppo di un mercato del credito competitivo(13), spinge il legislatore europeo a contrastare l’ontologica debolezza in cui verte il consumatore onerando il finanziatore di una serie di doveri di informazione, consulenza ed assistenza, nei confronti dell’altra parte, che altro non sono se non la specificazione dei generici precetti di condotta, quali la buona fede ed il buon costume, che informano l’intera materia contrattuale.

Il quadro normativo

«La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito», con queste parole la nostra Costituzione, all’art. 47, teorizza il concetto di risparmio(14 )come valore ed interesse di natura pubblicistica da salvaguardarsi.
Non può, tuttavia, negarsi come il graduale processo di armonizzazione del mercato europeo, ivi compreso il settore finanziario, abbia determinato un mutamento nell’interpretazione del dettato costituzionale da norma posta a tutela del risparmio in norma posta a tutela del risparmiatore, quest’ultimo, considerato parte debole nella contrattazione del credito al consumo(15).
Il legislatore europeo assume, alla base dei propri interventi normativi, la realizzazione di una tutela uniforme su tutto il territorio dell’Unione europea di coloro che operano in campo finanziario e che nella contrattazione con l’ente creditore rivestono la qualifica di cliente(16).
Conscio che per prevenire il rischio di un eccessivo indebitamento non basta rimodellare il sistema delle garanze reali accessorie al credito, il legislatore opta - come scelta di fondo - per una disciplina del credito al consumo che sia improntata al principio del cosiddetto “prestito responsabile”, ingenerando una forma di corresponsabilizzazione dei soggetti coinvolti espressione di una netta rottura rispetto al principio di “autoresponsabilità del consumatore” cardine nella precedente esperienza giuridica(17).
Il concetto di “prestito responsabile” non assume, tuttavia, la forza di principio comunitario né con la direttiva 2008/48/CE, né con quella successiva di integrazione - oggetto del presente commento(18), difatti, l’unico riferimento espresso e testuale alla responsabilizzazione degli enti creditizi è contenuto nel considerando (26) alla direttiva(19 )del 2008.
Ciò nonostante, non può negarsi come tale principio, finalizzato ad elevare il grado di diligenza esigibile all’ente finanziatore nel corso dei suoi rapporti microeconomici di credito al consumo(20), sia permeato all’interno della obbligazione precontrattuale di valutazione del merito creditizio, già introdotta nel nostro ordinamento interno dal D.lgs. n. 141/2010 d’attuazione alla direttiva 2008/48/ CE, all’interno del Testo unico bancario all’art. 124-bis(21).
È, quindi, evidente come, in un contesto normativo - quale quello comunitario - in cui la regolamentazione del credito al consumo assume ad oggetto il credito inteso come forma protratta di “relazione sociale”, la responsabilità che è posta a carico degli operatori finanziari grava e non potrebbe che gravare sugli stessi non soltanto all’atto del prestito, bensì anche prima della sua erogazione, nonché durante l’intero corso del rapporto negoziale, penetrando tutta la durata della vita del contratto(22). Dopo l’emanazione della direttiva 2008/48/CE, il legislatore europeo interviene nuovamente sulla materia dei contratti di credito ai consumatori dettando una disciplina, quella di cui alla direttiva 2014/17/UE, specifica per il credito finalizzato all’acquisto di immobili residenziali, che - tenendo conto della peculiarità dei crediti ipotecari(23 )- innovi e dettagli quelle peculiari prescrizioni volte al contenimento del rischio di over-indebtness, ivi compreso l’obbligo a carico del creditore di selezionare le richieste di finanziamento preferendo l’accesso al credito soltanto dei consumatori meritevoli(24).

(Segue). L’obbligo di valutazione del merito creditizio secondo la direttiva 2008/48/CE

Il legislatore italiano recepisce le prescrizioni degli articoli 8 e 9 della direttiva 2008/48/CE, in ordine all’obbligo di valutazione del merito creditizio, nell’art. 124-bis Tub, (inserito con D.lgs. n. 141/2010), nel cui contenuto confluiscono fedelmente(25).
La norma interna impone al finanziatore, prima della conclusione del contratto o, ai sensi e per gli effetti del comma 2, dopo la sua conclusione, allorquando le parti addivengano alla determinazione di aumentare significativamente l’importo totale del credito, di verificare il merito del consumatore - inteso quale sostenibilità del finanziamento da parte del debitore in considerazione della sua specifica capacità patrimoniale - attraverso la raccolta di informazioni adeguate provenienti dal consumatore stesso, ovvero, nel caso di necessità, dall’interrogazione di una banca dati(26).
Per la prima volta, all’interno del mercato del credito al consumo, trova cittadinanza la distinzione tra consumatore “meritevole” ed “immeritevole”(27 )nonché, al contempo, quella tra creditore diligente e creditore negligente, idonea ad assumere rilievo già in sede precontrattuale.
Più precisamente, l’esito negativo della verifica del merito creditizio di colui che aspira ad ottenere un finanziamento può, ai sensi e per gli effetti dell’art. 124-bis Tub, precludere al consumatore immeritevole l’accesso al credito(28).
Il credito, in una più ampia dimensione pubblicistica di tutela del mercato, assurge a risorsa da concedere solo a soggetti meritevoli, ovvero, capaci di adempiere all’obbligo restitutorio(29).
Questa elementare considerazione non appare di poco conto se si considera, da un lato, che spesse volte il finanziamento è richiesto dal consumatore al precipuo scopo di contenere un pregresso indebitamento, dall’altro, che l’impianto codicistico del 1942 ricostruisce il rapporto obbligatorio, quantomeno nella sua fase genetica, come sola espressione della relazione di fiducia nel binomio debitore/creditore, dunque, senza dar rilievo ad elementi esterni, quale potrebbe essere anche la consistenza patrimoniale del debitore(30).
Sostanzialmente, al momento della nascita e nel corso di tutta la fase fisiologica del rapporto obbligatorio, questo, si connota per una sua totale indifferenza rispetto al patrimonio del debitore ed altresì alla proporzionalità di questo rispetto al debito.
L’inserimento dell’art. 124-bis Tub sembra, in conclusione, inaugurare una nuova lettura dell’art. 2740 c.c. accordando alla garanzia patrimoniale generica del debitore un’importanza, nonché una valenza, che va ben oltre i tradizionali strumenti di conservazione di cui al codice civile al libro VI(31). Quanto, invece, all’esaltazione del concetto di colpa, come unità di misura della diligenza del creditore nell’uniformarsi al precetto di buona fede e nell’adempiere agli obblighi di protezione del consumatore, occorre constatare come l’obiettivo di contenere, in siffatta maniera, il rischio di sovraindebitamento non può dirsi raggiunto a cagione di un lacunoso ed inadeguato ventaglio rimediale posto a presidio del suddetto adempimento dell’obbligo di selezionare le domande preferendo l’accesso al credito del solo consumatore meritevole.
La mancanza, nel dettato comunitario, di un espresso apparato sanzionatorio per le ipotesi di omessa o errata verifica del merito creditizio si traduce nella scelta del legislatore europeo - compiuta all’art. 23 della direttiva del 2008 - di rimettere agli Stati membri il compito di adottarne la relativa disciplina, purché questa garantisca l’attuazione delle norme sostanziali comunitarie introdotte e con la sola prescrizione della necessaria efficacia, proporzionalità e dissuasività delle misure punitive concretamente adottate(32).
L’insufficienza del ventaglio rimediale finisce, inevitabilmente, con l’attenuare la distinzione tra colui che diligentemente eroga il finanziamento all’esito della verifica in ordine alla solvibilità del sovvenuto e quel creditore che, invece, lo eroga in spregio all’obbligo di cui all’art. 124-bis Tub, così favorendo lo sviluppo del sovraindebitamento od anche incrementando lo stato pregresso di sovraesposizione debitoria.

(Segue). Valutazione del merito creditizio alla luce della recente disciplina integrativa di cui al Capo 6 della direttiva 2014/17/UE

Pubblicata il 28 febbraio 2014 sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, la direttiva 2014/17/ UE integra e modifica la precedente direttiva 2008/48/CE ridefinendo un quadro comune tra gli Stati membri concernente, in tema di credito al consumo finalizzato all’acquisto di beni immobili residenziali, alcuni profili quali, in particolare, la verifica del merito creditizio, le regole di disclousure ed i requisiti prudenziali, di vigilanza, nonché di stabilimento degli intermediari del credito.
L’attesa di un recepimento a livello nazionale della normativa in commento, il cui termine finale - ex art. 42 - è fissato nel 21 marzo 2016, non esime l’interprete dal raffronto tra le due direttive alle quali è sottesa la medesima ratio, ovvero, realizzare una tutela rafforzata per i consumatori che concludono contratti di credito per l’acquisto immobiliare, così, scongiurando le pratiche scorrette proliferate, negli anni, anche grazie alla asimmetria informativa che connota siffatti tipi negoziali(33).
Con la direttiva 2014/17/UE, relativamente alla valutazione del merito creditizio del consumatore, il legislatore europeo sceglie di lasciare immutata, rispetto alla normativa contenuta nella direttiva del 2008, sia la collocazione temporale di siffatta obbligazione, gravante sul finanziatore «prima della conclusione del contratto», sia la necessità di procedere - pendente il rapporto obbligatorio - ad una sua «rivalutazione sulla base di informazioni aggiornate» propedeutica ad ogni modifica significativa della somma concessa a credito(34).
Mentre l’art. 18 della direttiva del 2014 si limita a qualificare espressamente la verifica in questione come “approfondita”, è il successivo art. 20 che chiarisce quali devono essere gli elementi e le informazioni atti a fondare il convincimento dell’ente creditore sul merito creditizio(35).
Più precisamente, il creditore ottiene le informazioni attinenti il reddito, le spese ed in generale la situazione economica e finanziaria del consumatore da «fonti interne o esterne, incluso il consumatore», purché sussista un rapporto di necessità/proporzionalità tra il dato sensibile ed il fine a cui aspira il consumatore dell’accesso al credito(36).
Questa relazione di strumentalità sembra essere suggerita, a sommesso avviso della scrivente, dalla previsione della possibilità di richiedere ed ottenere dal consumatore, già nella fase precontrattuale, tutte quelle informazioni ed evidenze documentali che provengano da «fonti indipendenti verificabili» purché la suddetta «richiesta [risulti] proporzionata e limitata a quanto necessario per eseguire un’adeguata valutazione del merito creditizio»(37).
In sostanza, il finanziatore esperisce la propria doverosa attività di verifica del merito creditizio del sovvenuto o assumendo le necessarie informazioni direttamente dal consumatore ovvero avvalendosi anche della consultazione delle cosiddette «banche dati pertinenti»(38), salvo in quest’ultimo caso di garantire che il trattamento di tali dati non avvenga senza pregiudizio per quei diritti del consumatore riconosciuti dalla direttiva 95/46/CE.
Posta l’indubbia utilità delle cosiddette «centrali rischi», la legittimità di una loro consultazione resta, quindi, ancora a due circostanze di fatto:
- la necessità che i consumatori siano «informati dai creditori della consultazione della banca dati relativa ai crediti prima della consultazione stessa»(39);
- ed in ultimo, il riconoscimento in capo ai consumatori del «diritto di accedere ai dati personali che li riguardano contenuti in tale banca dati in modo da poter, se del caso, rettificarli, cancellarli o bloccarli qualora siano inesatti o trattati in modo illegittimo»(40).
Nel considerando (55) della direttiva si chiarisce ulteriormente che «tale valutazione … dovrebbe tener conto di tutti i fattori necessari e pertinenti che potrebbero influenzare la capacità del consumatore di rimborsare il credito per la sua intera durata. In particolare la capacità del consumatore di servire e rimborsare integralmente il credito dovrebbe tener conto di pagamenti futuri o aumenti dovuti ad ammortamenti negativi o pagamenti differiti del capitale o degli interessi e dovrebbe essere considerata alla luce di altre spese periodiche, altri debiti e impegni finanziari nonché redditi, risparmi e attivi. È opportuno tenere ragionevolmente conto di eventi futuri per tutta la durata del contratto di credito proposto»(41).
Il legislatore europeo non si preoccupa, invece, di disciplinare testualmente il caso in cui l’indagine sul merito creditizio, correttamente espletata, conduca ad esiti negativi di immeritevolezza, per così dire, di colui che aspira all’accesso al credito(42).
Alla lett. a, dell’art. 18 è espressamente previsto che «il creditore eroghi il credito al consumatore solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto di credito saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte dal contratto di credito»; pertanto, a contrario può desumersi l’assunto secondo cui una valutazione positiva della solvibilità del debitore è presupposto indefettibile per il suo accesso al finanziamento(43).
Al tempo stesso non può essere considerato vero il contrario, cioè, deve escludersi che da una valutazione positiva del merito creditizio scaturisca necessariamente la stipula di un contratto di credito al consumo, non sussistendo in capo al finanziatore alcun obbligo in tal senso ed anzi continuando a vigere un principio discrezionalità imprenditoriale nella concessione del credito.
Infine, anche ove la verifica del merito creditizio del consumatore conduca ad un riscontro negativo, potrebbe ugualmente residuare in capo all’ente creditore una responsabilità extracontrattuale con conseguente obbligo di risarcire il danno per il caso in cui lo stesso, mancando di comunicare “senza indugio” le ragioni di esclusione del cliente dal credito, violi il precetto di buona fede(44). Conseguentemente, quand’anche il rifiuto alla richiesta di finanziamento appaia legittimo, perché ancorato ad un riscontro negativo della solvibilità di colui che aspira al finanziamento, il legislatore europeo configura in capo al cliente un vero e proprio diritto a ricevere indicazioni circa le ragioni dell’eventuale diniego di credito o, in alternativa, il diritto del consumatore a vedersi comunicati i risultati della consultazione e gli estremi della banca dati, per il caso in cui il rifiuto si fondi sul trattamento automatico dei dati stessi(45).
Ad anticipazione di siffatta previsione contenuta nell’art. 18 della direttiva in commento, si pone una pronuncia del Collegio di coordinamento Abf che, già nel contesto di valutazione del merito creditizio di cui all’art. 124-bis Tub, qualificava la necessità di una indicazione delle specifiche ragioni di rifiuto del credito al consumo quale profilo imprescindibile di quella doverosa funzione di orientamento - assolta dall’intermediario nei confronti del cliente - nei rapporti di credito presenti e futuri(46).

(Segue) focus sulla valutazione dei beni immobili

Le attività svolte nell’ambito della verifica del merito creditizio costituiscono un vero e proprio procedimento istruttorio avente ad oggetto i profili reddituali, ma anche quelli patrimoniali del soggetto richiedente il credito, per stabilirne la solidità finanziaria e la sua capacità di restituzione del finanziamento.
Va da sé che, essendo ignoti i rischi del mercato che condizionano il rimborso del capitale mutuato ed il pagamento di interessi futuri, la valutazione del merito creditizio è meramente previsionale, né potrebbe essere altrimenti.
Per queste ragioni l’anzidetta attività istruttoria, pur muovendo da aspetti formali volti a ricostruire la complessiva situazione giuridica di cui è titolare il sovvenuto, non può esaurirsi soltanto a siffatta verifica.
Se, da un lato, può essere utile per il creditore ricorrere anche ad informazioni provenienti da fonti esterne quali, ad esempio, il Catasto e la Conservatoria dei registri immobiliari, dall’altro, la verifica del merito creditizio non può neppure basarsi esclusivamente «sul fatto che il valore del bene immobile residenziale [da acquistarsi ed offerto in garanzia] sia superiore all’importo del credito»(47), come testualmente disciplina la direttiva 2014/17/UE all’art. 18, paragrafo 4.
La necessità di accertare l’effettiva proprietà dei beni immobili e mobili soggetti a registrazione, nonché l’assenza di diritti reali da parte di terzi gravanti su tali beni di titolarità di colui che aspira al finanziamento, è sicuramente utile per effettuare quel giudizio prognostico sulla evoluzione futura della situazione economica, finanziaria e patrimoniale del consumatore, indispensabile stante il fisiologico differimento del momento della restituzione della somma mutuata.
A ben vedere, quindi, i beni immobili di proprietà del sovvenuto sono oggetto di una duplice valutazione: la prima, nell’ambito della verifica di cui all’art. 18 della direttiva 2014/17/UE, al fine di accertare la capacità del cliente ad adempiere puntualmente e tempestivamente ai propri obblighi, la seconda, nell’ambito della valutazione di cui all’art. 19 della direttiva in commento, al fine di accertare la “affidabilità” della res in termini di garanzia per la concessione del credito ipotecario(48).
La previsione dell’art. 19, innovando la disciplina generica in materia di credito al consumo di cui alla direttiva del 2008, detta una prescrizione che è specifica proprio per quei finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni immobili residenziali e, dunque, incarica gli Stati membri di elaborare «nel proprio territorio standard per la valutazione» dei suddetti beni immobili residenziali e di provvedere «affinché i periti interni ed esterni siano competenti sotto il profilo professionale e sufficientemente indipendenti dal processo di sottoscrizione del credito in modo da poter fornire una valutazione imparziale ed obiettiva, che deve essere documentata su supporto durevole e della quale deve essere conservato un esemplare dal creditore»(49).
In sostanza, nella disciplina sulla “Valutazione dei beni immobili” il legislatore europeo riferendosi ad un concetto ampio di “affidabilità” si preoccupa di incaricare il finanziatore di identificare l’immobile offerto a garanzia del finanziamento, verificare la sussistenza dei requisiti per una sua circolazione giuridica ed infine di determinarne il valore di mercato; il tutto in forza di un procedimento trasparente condotto da periti competenti e dotati di autonomia di giudizio.
La specificità della garanzia ipotecaria che accede al credito al consumo implica, quindi, nella valutazione del legislatore europeo, l’opportunità di introdurre criteri standard per stimare i beni in questione, considerando che il loro valore incide sulla misura di credito finanziabile al consumatore. Ad onor del vero, nel nostro ordinamento “Le Linee guida Abi” - adottate nell’ambito di un Protocollo d’Intesa, siglato il 25 novembre 2010 - per la valutazione degli immobili in garanzia delle esposizioni creditizie hanno anticipato, con lungimiranza, i principi indicati poi dalla direttiva comunitaria, introducendo dei parametri di valutazione uniformi degli immobili e rimettendo le risultanze dell’analisi ad un documento tecnico-estimativo redatto da un perito in possesso di tutte le necessarie qualifiche, capacità ed esperienza(50).
La circostanza che la direttiva europea 2014/17/UE proceda in questa stessa direzione, apre le porte alla possibilità di adoperare - mediante le norme di recepimento - quelle stesse Linee guida, già ispirate agli standard internazionali ed europei, quale «standard per la valutazione» di cui all’art. 19 della direttiva in commento.

Valutazioni conclusive: criticità e lacune

La direttiva 2014/17/UE, pur integrando la disciplina già vigente del credito al consumo, sembra, prima facie, lasciare irrisolte tutte le questioni interpretative sorte all’indomani del recepimento della direttiva del 2008(51).
Come già chiarito, infatti, il legislatore nazionale di ciascuno Stato membro avrebbe dovuto configurare in sede di attuazione della direttiva n. 48 un sistema sanzionatorio interno funzionale alla massima armonizzazione del mercato, specie sotto il profilo di un livello equivalente di protezione per tutti i consumatori.
È corretto sostenere che il nostro legislatore consapevolmente sceglie, all’opposto, di non cogliere l’opportunità di esercitare quella “discrezionalità vincolata” riconosciutagli dalla direttiva del 2008, così mancando di introdurre nel D.lgs. n. 141/2010 specifici rimedi «efficaci, proporzionati e dissuasivi» per l’ipotesi di violazione dei precetti comunitari(52).
Il legislatore italiano, dunque, omette discrezionalmente la tipizzazione delle sanzioni da irrogarsi sia per l’eventualità in cui il creditore non conceda il credito sull’errata verifica del merito creditizio, sia per il caso in cui conceda il credito ad un consumatore immeritevole(53), nella sostanza, lasciando in toto inattuato il contenuto precettivo dell’art. 23 della direttiva 2008/48/CE rubricato “Sanzioni”.
Stante la voluta e conscia neutralità dell’art. 124-bis Tub in ordine ai rimedi posti a presidio delle disposizioni ivi contenute, la dottrina manifesta opinioni divergenti sulle sanzioni da irrogarsi, oscillando fra la tesi della sanzione di tipo invalidatorio(54 )e quella di tipo risarcitorio(55).
Ciò che appare indiscusso, anche avuto riguardo alla ratio sottesa alla disciplina del credito al consumo, è che la lesione del diritto individuale del consumatore ad una preventiva valutazione del proprio merito creditizio si concretizza nella violazione di un obbligo precontrattuale idonea, certamente, a configurare un danno risarcibile per il sovvenuto, quale quello derivante dal peggioramento della propria esposizione debitoria e dall’impossibilità di adempiere all’obbligazione restitutoria(56).
Nel silenzio del legislatore appare, invece, poco plausibile il ricorso a qualsivoglia rimedio invalidatorio, ivi compresa la figura residuale della cosiddetta nullità “virtuale”(57), ancorché tale sanzione presenterebbe il vantaggio di consentire una ricostruzione dell’intera disciplina del credito al consumo in un’ottica unitaria.
Difatti, la scelta dell’interprete di un rimedio meramente risarcitorio per la violazione di un’obbligazione precontrattuale, quale quella dell’art. 124-bis Tub, implica un effetto di smembramento della disciplina del “credito responsabile” in due categorie di norme: quelle di protezione del consumatore, poste a pena di invalidità dell’atto quale, ad esempio, quella della forma scritta ex art. 117 Tub, e norme sulla trasparenza ed accessibilità al credito, in cui la funzione di tutela della parte negoziale debole risulta affievolita e la cui violazione non inficia la validità dell’operazione(58).
La lacunosità della disciplina sulle sanzioni da comminarsi a presidio dell’adempimento delle obbligazioni introdotte dalla direttiva 2008/48/CE ha finito col minare, non soltanto nel nostro ordinamento giuridico, ma in quasi tutti gli Stati membri, quel proposito di armonizzazione massima costituente obiettivo principe della normativa stessa.
Ne è prova il recente intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con pronuncia del 27 marzo 2014 - Quarta Sezione (causa C-565/2012), si è vista costretta ad intervenire sul punto accertando come la decadenza dal pagamento dei soli interessi convenzionali, prevista dall’ordinamento francese a fronte dell’inadempimento creditorio dell’obbligo di verifica della solvibilità del consumatore, costituisca in concreto una sanzione inidonea a realizzare quel livello “elevato ed equivalente” di protezione voluto dalla direttiva del 2008 nell’ambito del credito al consumo(59). Muovendo dall’esame del caso francese e della sua legislazione la Corte europea ha avuto, invero, occasione di fornire un criterio astratto per comprovare l’adeguatezza dei singoli sistemi sanzionatori predisposti in attuazione dell’art. 23 della direttiva 2008/48/CE, definendo ed anzi limitando i confini di discrezionalità nazionale, nonché precisando lo specifico contenuto del requisito d’effettività delle sanzioni(60).
La Corte di Giustizia chiarisce la necessità di interpretare l’art. 23 della direttiva 2008/48 nel senso che «esso osta all’applicazione di un regime nazionale di sanzioni in forza del quale, in caso di violazione, da parte del creditore, del suo obbligo precontrattuale di valutare la solvibilità del debitore consultando una banca dati pertinente, il creditore decada dal suo diritto agli interessi convenzionali, ma benefici di pieno diritto degli interessi al tasso legale, esigibili a decorrere dalla pronuncia di una decisione giudiziaria che condanna tale debitore al versamento delle somme ancora dovute, i quali sono inoltre maggiorati di cinque punti se, alla scadenza di un termine di due mesi successivi a tale pronuncia, quest’ultimo non ha saldato il suo debito»(61).
Trattasi, come evidente, di un mero criterio interpretativo che difficilmente può spiegare una efficacia diretta in altri ordinamenti che prevedano sanzioni diverse da quello francese, come conseguenza all’inadempimento dell’obbligo precontrattuale di verifica del merito del consumatore(62).
Ferma restando, quindi, l’immediata riferibilità della pronuncia della Corte di Giustizia al solo ordinamento francese, è evidente come il criterio interpretativo fornito sia idoneo ad impattare sul diritto privato comunitario, producendo a più ampio raggio un’efficacia indiretta in tutti gli Stati membri.
Difatti, la statuizione in questione evidenziando come la decadenza del creditore dal diritto a percepire i soli interessi convenzionali, se integralmente compensata dall’esigibilità di interessi a tasso legale maggiorato, contrasta il disposto dell’art. 23 della direttiva 2008/48/CE e si rivela una sanzione non adeguata né dissuasiva, fornisce delle indicazioni guida, generali ed utili ad indirizzare l’attività ermeneutica dei giudici nazionali di ciascun ordinamento interno e, prima ancora, dei legislatori nazionali.
Alla luce del ragionamento sin qui condotto, appare ancor più incongruente e non condivisibile la scelta sottesa alla direttiva 2014/17/UE di perseverare nella parziarietà della disciplina delle sanzioni. Se da un lato, la Corte di Giustizia europea cerca, in via interpretativa, di sopperire alle carenze di quell’armonizzazione “massima”, ma incompleta, realizzata con la direttiva 2008/48/CE, contestualmente, dall’altro lato, il legislatore europeo persevera nella scelta di una lacunosa disciplina della materia del credito al consumo limitandosi, nel disposto dell’attuale art. 38 - sulla falsariga di quanto già previsto dall’art. 23 della direttiva 2008/48/CE, a rimettere agli Stati membri il compito di stabilire «le sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni di diritto interno adottate sulla base della (presente) direttiva»(63).
Traendo le dovute conclusioni, è indubbiamente da apprezzare la rinnovata attenzione del legislatore europeo per la tutela del consumatore, specie con riferimento ai suoi bisogni nell’ambito del settore dei mutui ipotecari per l’acquisto di immobili residenziali, ma al contempo non si può che essere critici dinanzi al vuoto normativo in merito al ventaglio rimediale posto a presidio delle disposizioni stesse. Nelle more dell’attuazione della direttiva 2014/17/UE e fino a quando gli Stati membri non sciolgano quella riserva di “discrezionalità vincolata” riconosciuta loro, ancora una volta, continua a restare tangibile il rischio di veder vanificata siffatta premura di protezione del consumatore.


(1) I contratti di credito al consumatore vengono definiti, ai sensi dell’art. 121, lett. c, D.lgs. n. 385/93 (per brevità “Testo unico bancario”), come quelli tramite i quali «il creditore concede o s’impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria». In sostanza il D.lgs. n. 141/2010, d’attuazione della direttiva 2008/48/ CE, novellando la materia, opta per una definizione tesa ad individuare non già uno o più tipi contrattuali, ma un’intera operazione economica, così prediligendo uno schema versatile capace di esaltare la logica economica alla base della volontà delle parti.

(2) La prima disciplina del credito al consumo viene introdotta nell’ordinamento nazionale a seguito del recepimento della direttiva 87/102/CEE che si pone quale obiettivo quello di predisporre uno standard minimo di tutele - trattasi del cosiddetto “approccio minimale” - da adottarsi all’interno di ciascuno Stato membro, ma rispetto al quale i singoli ordinamenti restano, tendenzialmente, liberi in ordine alla scelta delle maggiore o minore incisività delle relative disposizioni di recepimento. Con la direttiva 2008/48/CE, invece, si assiste ad un radicale mutamento d’indirizzo del legislatore comunitario che prende di mira una - più ambiziosa e massima - armonizzazione degli ordinamenti nazionali, attraverso la rimozione di tutte le principali differenze normative esistenti, in materia, all’interno dei vari Stati membri. Il legislatore comunitario, animato dal messaggio neoliberale della meritevolezza del credito come manifestazione di incremento della concorrenza e conseguente contenimento dei costi - il tutto a beneficio del consumatore - ne favorisce la maggiore accessibilità con una direttiva che se, da un lato, stimola la creazione di un mercato unico di servizi finanziari europeo, così superando quell’eccessiva frammentazione normativa frutto del precedente intervento comunitario, dall’altro, cerca quantomeno di uniformare le varie misure nazionali predisposte a tutela del consumatore sulla base dell’amara constatazione di una tendenziale inerzia, sino a quel momento, degli Stati membri dinanzi al sopravvento delle banche sul credito al consumo sostanziatosi in forme di restrizione e contenimento nell’erogazione. Vedi F. MAZZINI, «L’Italia si allinea alle regole di tutela europee sui finanziamenti per l’acquisto di beni e servizi», in Guida al dir. - dossier, 7, 2010, p. 68.

(3) Il mercato del credito ipotecario costituisce una parte cospicua dell’economia europea. Nel Documento del Consiglio UE n. 12905/13 del 12 settembre 2013, infatti, si rappresenta come il 70% dei cittadini dell’UE sono proprietari/occupanti un’unità immobiliare acquistata con l’aiuto di prestiti ipotecari. Questi ultimi varrebbero circa il 52% del Pil dell’UE. In Italia l’analisi dei dati suggerisce una netta propensione delle famiglie all’investimento immobiliare che, plausibilmente, veicola una idea di stabilità economica. Come, infatti, evidenzia un’indagine conoscitiva della IV Commissione-Finanze della Camera dei Deputati la crescita della propensione delle famiglie italiane all’indebitamento derivante da mutui per l’acquisto dell’abitazione principale è pari ad una misura annua di circa 8,5% rispetto alla quota percentuale del 28,6% del totale degli impieghi, calcolata nell’anno 2009, nel mese di giugno. Il documento conclusivo di siffatta approfondita analisi - approvato il 23 febbraio 2010 - è stato pubblicato ed è oggi disponibile sul relativo sito Internet www.camera. it. Sul punto cfr. A. LIGUORI, «La disciplina del credito al consumo e le novità apportate dal D.lgs. 141/2010», consultabile su www.altalex.com.

(4) La produzione normativa in commento rappresenta uno degli esempi più significativi di ciò che viene autorevolmente definito come “il diritto al tempo della crisi”. Vedi S. MAZZAMUTO, «Il contratto europeo nel tempo della crisi», in Europa e dir. priv., 2010, n. 3, p. 601. In realtà, come è stato osservato, il testo della direttiva 2008/48/CE, accusato di attribuire carattere recessivo e secondario alla tutela del consumatore, sembrerebbe finalizzato ad incentivare la conclusione di contratti di credito al consumo cosiddetti cross border, ovvero, transfrontalieri. Difatti, a conferma di tale intuizione vi è la considerazione che l’intervento normativo adotta quale base di diritto, in luogo dell’art. 153 del Trattato istitutivo della Comunità europea specificatamente rubricato “Protezione dei consumatori”, l’art. 95 del medesimo Trattato concernente gli interventi comunitari di armonizzazione del mercato interno che attuano gli obiettivi di tutela del consumatore solo in via mediata. Sul punto cfr. G. CARRIERO, «Brevi note sulla delega per l’attuazione della nuova direttiva sui contratti di credito ai consumatori», in Contratti, 2009, p. 1146.

(5) Con il Libro Verde del 19 luglio 2005 ed il successivo Libro Bianco del 18 dicembre 2007 (consultabili su www.europa.eu) la Commissione europea esamina l’opportunità di un intervento normativo in materia di credito ipotecario al fine di rimodellare il sistema delle garanzie, all’interno del mercato unico europeo, così assicurando maggiori chances ai soggetti meno abbienti di soddisfare bisogni primari. Il credito rappresenta, infatti, specie per le fasce economicamente più deboli, un mezzo necessario al sostentamento della famiglia con la conseguenza che norme maggiormente restrittive di accesso a questo si traducono in forme di esclusione idonee, finanche, ad incoraggiare il ricorso a creditori/ predatori usurari e non bancari.

(6) «La produzione di nuova ricchezza, un tempo affidata al capitale conferito, è divenuta ormai frutto della manipolazione del debito, con il conseguente trasferimento dell’investimento di denaro dal settore delle imprese alla finanza», così si esprime S. MAZZAMUTO, «Il contratto europeo nel tempo della crisi», cit., p. 640. In sostanza, mentre il capitale industriale cerca la propria realizzazione attraverso le varie fasi del processo produttivo, subendone le sorti, il capitale finanziario non può assumere altri né ulteriori rischi rispetto a quello del mancato rimborso della somma anticipata. L’Autore, inoltre, evidenzia l’inidoneità del mercato concorrenziale a produrre benessere e, soprattutto, «l’inadeguatezza della pretesa di affidare alla disciplina privatistica il compito di orientare l’operato degli agenti del mercato» sì da offrire risposte adeguate alle istanze sociali dei soggetti svantaggiati.

(7) Il sovraindebitamento viene definito dal legislatore nazionale, all’art. 6, comma 2, legge n. 3 del 27 gennaio 2012, come quella «situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità ad adempierle regolarmente».

(8) L’espressione “mutui subprime” vale ad individuare quella particolare tipologia, all’interno del mercato dei mutui, destinata a prenditori con basso merito di credito. I mutui subprime venivano offerti, in linea di principio, dalle banche statunitensi alla clientela non primaria, ossia con basso merito di credito. L’unica motivazione razionale al massiccio ricorso ai subprime, rischiosi per definizione, dunque, è la possibilità di lucrare delle condizioni di informazione asimmetrica attraverso la cartolarizzazione e la loro rivendita agli investitori finali che, a differenza dei prestatori dei mutui, ne disconoscono il rischio. In sostanza coloro che concedono un mutuo subprime, ben consci del rischio, non intendendo tenere il prestito in bilancio, lo rivendono - attraverso la cartolarizzazione - e così trasferiscono, nonché frammentano, la possibile insolvenza all’investitore in titoli subprime. In assenza di liquidità sui mercati, la suddetta dispersione di rischio - di cui è incerta e la natura e le dimensioni - sollecita tutti gli agenti a comportamenti difensivi idonei e sufficienti a causare un’accelerazione nelle perdite. Vedi U. MATTEI, Il rispar mio immobiliare privato - Bene comune certezza, Contributi di E. Ariano, A. Quarta, Roma, 2013, p. 22.

(9) All’interno del più ampio processo - frutto dell’innovazione finanziaria - di trasferimento del rischio di insolvenza di un credito, tra i vari strumenti fruibili, si colloca anche quello della cartolarizzazione dei mutui che sortisce l’effetto peculiare di trasferire, congiuntamente al rischio, altresì il credito il quale circola alla stregua di quanto accadrebbe con una cessione del credito di cui all’art. 1260 c.c. Tutti siffatti veicoli di trasferimento del rischio del credito vengono, generalmente, definiti come “finanza strutturata”. Vedi S. CASELLI e S. GATTI, La finanza strutturata in Italia: operazioni e best practice, Roma, 2005.

(10) La circostanza che il creditore debba, nel proprio principale interesse, analizzare la capacità del debitore a rimborsare tempestivamente la quota di capitale, nonché l’affidabilità e la puntualità dei suoi pagamenti rappresenta, oramai, un principio consolidato dell’esperienza bancaria. Per una approfondita riflessione sulle ragioni sottese alla scelta di inserire in un’apposita previsione normativa un «principio di sana e prudente gestione», cfr. G. PIEPOLI, «Sovraindebitamento e credito responsabile», in Banca, borsa, tit. cred., 2013, p. 44. L’Autore, infatti, evidenzia una crescita, in materia di credito al consumo, del fenomeno del cosiddetto «finanziamento irresponsabile» ai consumatori, specie con riguardo a quei finanziamenti che non essendo di ammontare significativamente elevato hanno intrinseco un tasso di rischio più contenuto. La tendenza a valutazioni superficiali del merito creditizio ed il ricorso a forme di contrattazione standardizzata capaci di accentuare le asimmetrie informative insite in siffatte prassi negoziali si pongono in contrasto con un «corretto governo della finanza pubblica e del sistema di welfare».

(11) In altri termini, i mutui ipotecari, concessi a soggetti che difficilmente avrebbero potuto rimborsarlo, poi trasformati in segmenti di obbligazioni dalle banche, attraverso la tecnica della cartolarizzazione, hanno continuato a circolare tra gli investitori rappresentando, ben presto, un’enorme massa di titoli rischiosissimi (tristemente noti come “titoli tossici”). È plausibile ritenere che proprio l’esperienza statunitense della cartolarizzazione dei mutui subprime abbia indotto il legislatore europeo a valutare come fattore di pericolo per l’intera stabilità del sistema il fenomeno dell’eccessivo indebitamento della clientela. Vedi C. BRESCIA MORRA, «L’obbligo di “valutare il merito creditizio” nella nuova disciplina del credito al consumo», in Studi & Commenti, IX.1 Gennaio–Ottobre 2010, Rivista fondata da G. Cabras e P. Ferro-Luzzi, disponibile su www.dircomm.it

(12) Né può trascurarsi la circostanza che la poca trasparenza sull’allocazione dei rischi incorporati nei titoli ingenera, altresì, una perdita di fiducia negli investitori.

(13) Così può leggersi nel considerando (2) della direttiva 2014/17/UE, in commento, in cui si precisa che «lo sviluppo di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente senza frontiere interne è essenziale per promuovere lo sviluppo delle attività transfrontaliere», concretizzando quel mercato interno in cui è assicurata la libera circolazione di merci, servizi, nonché la libertà di stabilimento. Per la creazione di un mercato del credito unico, efficiente e competitivo che, ispirandosi al disposto dell’art. 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, attui un elevato livello di protezione del consumatore promuovendo, al contempo, la stabilità finanziaria, cfr. S. TOMMASI, «Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali», in I contratti, vol. 10, 2011, p. 956.

(14) Cfr. A. ZITA, Contraddizioni concettuali e anomalie sistemiche del mercato finanziario: considerazioni minime sulla centralità della tutela del risparmiatore, in Il diritto dell’economia, I, Modena, 2008, p. 77; «il risparmio costituisce un ingranaggio fondamentale dei sistemi economici moderni e contemporanei. E ciò in virtù del fatto che l’impresa trova in via prioritaria nelle risorse monetarie non consumate il capitale necessario per lo svolgimento della propria attività».

(15) La direttiva 2014/17/UE all’atto di definire il “consumatore”, all’art. 4, n. 2, opera un mero rinvio a quanto già disposto nella precedente direttiva 2008/48/CE, all’art. 3, lett. a, qualificando come tale soltanto la «persona fisica che, nell’ambito delle transazioni disciplinate dalla direttiva, agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o alla professione eventualmente esercitata». Peraltro, visto il regime di esclusioni in virtù del quale la direttiva del 2008 non trova applicazione, si può ulteriormente dettagliare la nozione di consumatore come colui che, oltre ad agire per scopi cosiddetti privatistici, imprime alla somma mutuata una destinazione consumeristica. A complicare ulteriormente il quadro nozionistico, si deve constatare che nel considerando (12) della direttiva 2014/17/UE, il legislatore europeo sceglie di precisare e, per certi versi, ampliare la suddetta qualifica soggettiva ricomprendendovi anche quella persona che acceda al finanziamento per «duplice scopo»: sia «per fini che parzialmente rientrano nell’ambito delle attività commerciali o professionali della persona», sia per fini che «parzialmente ne restino al di fuori» a condizione che «lo scopo commerciale o professionale sia talmente limitato da non risultare predominante nel contesto generale del contratto».

(16) La legge n. 88 del 7 luglio 2009 nel delegare al governo l’attuazione della direttiva 2008/48/CE riguardante i contratti di credito ai consumatori, all’art. 33 alla lett. a, comma 1, prevede testualmente l’estensione degli «strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE anche ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori». Tale estensione opera ogniqualvolta una delle parti negoziali, pur non rivestendo la qualifica soggettiva di consumatore e dunque non versando in uno stato di debolezza che possa definirsi “strutturale”, necessiti di tutela o a causa dell’asimmetria informativa, causata dal confronto con una posizione che è marcatamente superiore, quale è quella del contraente professionale, ovvero, in ragione di quelle specifiche esigenze personali che lo hanno indotto al finanziamento. Vedi F. NAPPI, «Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex art. 3 L. 24 luglio 2008 n. 126», in Banca, borsa, tit. cred., I, 2010, p. 24. Ad onor del vero l’espressione “contraente debole”, a cui il legislatore comunitario ancora il ricorso agli strumenti di protezione nei contratti di finanziamento in senso lato, è rappresentativa di una categoria soggettiva incerta, di matrice sociologica, che attinge al linguaggio comune per identificare gli interessi che di volta in volta vengono i contrapposizione con quelli dell’impresa.

(17) La disciplina comunitaria mira ad attuare una forma di solidarietà contrattuale che si sostanzia in una serie specifica di doveri di protezione in capo al creditore tenuto a salvaguardare il cliente nei limiti in cui ciò non comporti il sacrificio di un apprezzabile interesse proprio. In sostanza, la direttiva 2008/48/CEE, prima, e la direttiva 2014/17/UE, poi, creano una fitta rete di regole finalizzate al rafforzamento dell’efficienza informativa del mercato ed alla corresponsabilizzazione del soggetto preposto all’erogazione del credito, nell’ottica di una tutela paternalistica del consumatore. I suddetti obblighi di comportamento dei creditori, invero, tutelano oggettivamente il mercato del credito evitando che impieghi troppo rischiosi del capitale finiscano per compromettere la sana e prudente gestione del finanziatore stesso. In tal senso cfr. Decisione n. 4440, 20 agosto 2013, Abf, Collegio di Roma, Pres. G. Marziale, Est. P. Sirena.

(18) Soltanto con l’entrata in vigore dell’art. 5 della bozza del 2005 alla direttiva 2008/48/CE, nei termini ivi prospettati, il responsible lending avrebbe potuto assurgere a principio cardine della normativa del mercato del credito al consumo. La disposizione in questione, infatti, presentava il seguente tenore letterale: «il creditore è tenuto a rispettare il principio del prestito responsabile». Vedi A. SARACINA, Il sovraindebitamento civile e del consumatore. Sistemi giuridici europei alla prova del dialogo, Scritto per i Dialogi europaei - Sulla convergenza nei valori, principi, regole e pratiche del diritto dell’economia e dell’impresa, Lecce, 2014, p. 123.

(19) «Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito, tenendo conto delle specificità del proprio mercato creditizio … In un mercato creditizio in espansione, in particolare, è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio», il principio del credito responsabile resta, quindi, chiaramente teorizzato all’interno della direttiva 2008/48/CE al considerando (26).

(20) Ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 2, lett. c, del codice del consumo, già sussiste in capo a coloro che svolgono professionalmente un’attività l’obbligo «ad operare nei confronti dei consumatori seguendo i principi di buona fede, correttezza e lealtà».

(21) Tale verifica dell’incidenza del credito sul reddito del consumatore e della sua capacità restitutoria risulta più o meno approfondita a seconda dell’entità del credito concesso; all’opposto, non può mai rilevare un giudizio di meritevolezza in ordine all’impiego delle somme concesse a finanziamento. Vedi L. MODICA, «Il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplina comunitaria», in Europa dir. priv., 2009, p. 829.

(22) Se la standardizzazione - connotato tipico dei contratti col consumatore - dal piano dell’atto si traspone al momento del rapporto si impone la necessità conseguente di far transitare anche gli strumenti di tutela del contraente debole dal governo dello schema negoziale del contratto al governo dei comportamenti tenuti dagli operatori economici, sia prima che durante il perfezionamento del negozio. Ne deriva un penetrante complesso di “doveri di protezione” ispirati alla correttezza e alla diligenza dell’attività del professionista che ha quale precipuo fine quello di evitare che il vantaggio competitivo, cui mira il finanziatore, lo induca ad abusare della situazione di asimmetria informativa in cui verte il consumatore spingendolo ad assumere obbligazioni squilibrate rispetto alla sua complessiva situazione patrimoniale sì da causare un sovra-indebitamento. Esso rappresenta un sicuro danno microeconomico per il singolo, ma altresì una fonte di distorsione del meccanismo concorrenziale del mercato. Vedi G. AZADI, Valutazione del merito creditizio, adeguatezza delle sanzioni e tutela microeconomica dei consumatori - Diritto civile, a cura di P. Rescigno, 2015, p. 285.

(23) Così, testualmente, si esprime il legislatore europeo nel considerando (7) alla direttiva 2014/14/UE in cui evidenzia come, proprio «la specificità dei contratti di credito relativi ai beni immobili» giustifica la sussistenza in capo agli Stati membri di una «facoltà di mantenere o introdurre disposizioni più rigorose di quelle stabilite dalla presente direttiva nei settori non espressamente oggetto di piena armonizzazione».

(24) Appare assolutamente errato propendere per una interpretazione della norma che impone la verifica del merito creditizio come valutazione preventiva della capacità di rimborso del capitale prestato o al solo fine di tutela dell’ente creditore ovvero, al più, a tutela di una generale certezza nell’attività di erogazione del credito. Difatti, l’operazione di valutazione della solvibilità del consumatore era presente nella prassi bancaria e finanziaria già molto prima del suo inserimento all’interno del Testo unico bancario come obbligo di legge. Conseguentemente, in tanto può cogliersi la portata innovativa dell’art. 124-bis Tub in quanto, questo, venga interpretato alla luce del principio di trasparenza che impronta il rapporto debitore/creditore. Cfr. C. IURILLI, La disciplina dei rapporti bancari: normativa, giurisprudenza e prassi, a cura di F. Fiorucci, Milano, 2012, p. 451.

(25) Merita un accenno il considerando (14) della direttiva del 2008 in cui il legislatore europeo, nel chiarire l’ambito d’applicazione della normativa, sottolinea come sia «opportuno escludere … i contratti di credito aventi per oggetto la concessione di un credito in relazione al quale viene costituita una garanzia immobiliare. Questo tipo di credito è di natura molto specifica». Appare di immediata evidenza la portata, per così dire, profetica del successivo intervento integrativo avvenuto con la direttiva 2014/17/ UE.

(26) Nella sostanza, quindi, il creditore è libero di adempiere l’obbligo limitandosi a chiedere al consumatore informazioni sulla sua solvibilità, di conseguenza la consultazione di una banca dati, essendo meramente eventuale, è rimessa ad una scelta discrezionale del finanziatore che vi abbia un personale interesse. La scelta del legislatore italiano non deve sorprendere l’interprete ponendosi perfettamente in linea con le previsioni comunitarie volte al raggiungimento di un duplice obiettivo: la tutela del sovvenuto, da un lato, e la stabilità di coloro che operano sul mercato del credito al consumo, dall’altro. Vedi M. GORGONI, «Sui contratti di finanziamento dei consumatori di cui al capo II titolo VI Tub novellato dal titolo I del D.lgs. n. 141 del 2010», in Giur. mer., 2011, p. 323.

(27) Cfr. A. SIMIONATO, Prime note in tema di valutazione del merito creditizio del consumatore nella direttiva 2008/48/CE, in AA.VV., La nuova disciplina europea del credito al consumo, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009, p. 185; l’Autore evidenzia come la distinzione affievolisce agli occhi del finanziatore, perdendovi interesse, ogni qualvolta il credito risulti assistito da garanzie personali dei terzi.

(28) Nonostante il legislatore imponga all’ente creditizio di assolvere all’obbligazione anzidetta di verifica della solvibilità del sovvenuto, sia prima della conclusione del contratto che nel corso dell’esecuzione del rapporto negoziale per l’ipotesi di una sua rilevante modificazione, deve escludersi che tale imposizione possa tradursi in un vero e proprio obbligo di prevenire il fenomeno del sovra-indebitamento in ragione della circostanza che, a fronte dell’accertato pericolo di insolvenza del debitore, la banca è e resta comunque libera di concedere il credito. È indiscusso che, ai sensi dell’art. 6 del decreto ministeriale (Ministero economia e finanze) del 3 febbraio 2011, n. 117, «al fine di assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito i finanziatori assolvono all’obbligo … previsto all’art. 124-bis Tub, applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati dagli artt. 53, 67, 108, 199 e 114-quaterdecies del Tub», ma è altrettanto vero che i concetti di prudenza e responsabilità sono da riferirsi alla banca e alla sua stabilità finanziaria non, invece, al cliente. Difatti, il legislatore comunitario si è preoccupato, nell’emanare la direttiva 2008/48/ CE, di non limitare la libertà di impresa delle banche e degli intermediari con prescrizioni restrittive che automaticamente avrebbero escluso dal finanziamento certe categorie di consumatori. Vedi D. MAFFEIS, «Molteplicità delle forme e pluralità di statuti del credito bancario nel mercato globale e nella società plurale», in Le nuove leggi civ. comm., II, 2012, p. 745.

(29) Il cosiddetto “credito responsabile” è, invero, un valore che deve ispirare tanto il consumatore all’atto di chiedere o meno un finanziamento, quanto il finanziatore all’atto di scegliere se concederlo o rifiutarlo. Tuttavia, trovandosi - il debitore - in una situazione di debolezza anche psichica insita nella sua stessa necessità di acquistare un bene a mezzo di un finanziamento, è assai probabile che corra il rischio di sovraindebitarsi o sopravvalutando la propria situazione economica e confidando ottimisticamente nelle proprie capacità restitutorie ovvero cadendo preda di campagne pubblicitarie aggressive ed ingannevoli. La violazione dell’obbligo che in virtù dell’art. 124- bis Tub grava in capo all’ente creditizio, accedendo alla fase precontrattuale quale regola di condotta, determina l’insorgere di quell’obbligazione risarcitoria tipica dell’illecito aquiliano. Pertanto, la rilevanza di siffatta violazione, attenendo ai soli rapporti interni tra finanziatore e consumatore, può ripercuotersi sugli altri creditori eventualmente coinvolti in una procedura di gestione concorsuale dei debiti di quel medesimo consumatore. Così vedi S. MAZZAMUTO, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2015, p. 447.

(30) Vedi A. DI MAJO, Il rapporto tra debito e patrimonio del debitore, in Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica, a cura di G. Grisi, Napoli, 2014, p. 23.

(31) Può, tuttavia, obiettarsi come l’obbligo di valutare il merito creditizio del consumatore posto a carico dell’ente finanziatore risulti di scarsa utilità pratica quantomeno nelle ipotesi in cui il credito sia garantito da un terzo, avente la qualifica di fideiussore, ed in quella in cui si proceda al trasferimento in capo ad altri del rischio del credito, successivamente alla sua erogazione, a mezzo di cessione della titolarità del credito stesso. La garanzia personale accessorio del credito determina, infatti, quella scissione tra colui che riceve il finanziamento ed il titolare del patrimonio costituente garanzia ex art. 2740 c.c. del rimborso. Nella premessa che il consumatore meritevole è soltanto colui che è in grado di restituire il capitale preso in prestito alla convenuta scadenza, il finanziatore nelle anzidette ipotesi non ha alcun interesse a selezionare le richieste di finanziamento sulla base delle risultanze della solvibilità del debitore, poiché, nel caso di credito garantito, egli potrà rivolgersi al coobbligato solidale - tenuto a prima richiesta, ovvero, col beneficium excussionis - e nel caso di credito ceduto, per effetto dell’avvenuta cartolarizzazione, il finanziatore non è più interessato alla restituzione. Alla luce della disamina di siffatte ipotesi appare, ancor più evidente, la necessità di imporre a titolo di obbligazione civile la verifica del merito creditizio, stante il totale disinteresse per il creditore a sondare la capacità del consumatore di restituzione della somma mutuata. All’opposto, nel caso in cui il mutuante assuma in proprio l’elevato rischio che il mutuatario non restituisca la somma prestata, ad esempio in assenza di una garanzia personale, il finanziatore risulta già spinto da un suo personale interesse a valutare la solvibilità del potenziale cliente di guisa che l’obbligo ex lege di saggiare il merito creditizio del consumatore non aggiunge null’altro ad una condotta doverosa in forza di una prassi bancaria. Vedi M. GORGONI, «Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori», in Resp. civ. prev., 2011, p. 765.

(32) A corredo della disposizione di cui al comma 3, dell’art. 124-bis Tub («La Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del Cicr, detta disposizioni attuative del presente articolo»), con D.m. n. 117/11, all’art. 6, il Ministro delle economie e delle finanze individua le linee guida necessarie ad una corretta valutazione del merito creditizio senza intervenire, tuttavia, in maniera esaustiva nell’attuazione della delega comunitaria in favore degli Stati membri ad identificare sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive» per l’ipotesi patologica di violazione delle disposizioni sul mercato del credito al consumo contenute nella direttiva 2008/48/CE. Nel nostro ordinamento la mancata previsione di una specifica sanzione amministrativa a carico di quell’ente finanziatore che, nelle operazioni di credito al consumo, non proceda alla verifica del merito creditizio si traduce nella amara costatazione che l’anzidetta previsione - di cui all’art. 23 della direttiva del 2008 - non sia stata minimamente recepita. L’impasse resta, comunque, superabile attraverso l’attività dell’interprete spettando, a lui soltanto, il compito di individuare le conseguenze civilistiche causate dalla violazione della disciplina di diritto bancario, anche alla luce dei principi cardine che governano il nostro diritto civile, quale - in primis - il precetto di buona fede che informa l’intera materia delle obbligazioni.

(33) «Tra le legislazioni dei vari Stati membri relative alle norme di comportamento nell’attività di erogazione di crediti per beni immobili residenziali e tra i sistemi di regolamentazione e vigilanza degli intermediari del credito e degli enti non creditizi che offrono contratti di credito relativi a beni immobili residenziali esistono differenze sostanziali. Tali differenze creano ostacoli che limitano il livello dell’attività transfrontaliera sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda, riducendo così la concorrenza e le possibilità di scelta sul mercato, facendo aumentare il costo dell’erogazione di crediti a carico dei prestatori e addirittura impedendo loro di esercitare tale attività» come è testualmente previsto dal considerando (2) della direttiva in commento.

(34) Stimare il grado di solvibilità del sovvenuto, come è stato acutamente osservato, può assolvere ad una duplice funzione: evitare di applicare tassi di interesse indifferenziati, da un lato, disincentivare condotte fraudolente in capo al consumatore una volta che abbia ottenuto il finanziamento, dall’altro. Quanto al primo aspetto, si precisa che l’elemento del tasso di interesse sintetizza la stima di rischiosità media dei debitori, conseguentemente, un tasso per così dire “indifferenziato”, cioè non parametrato alla solvibilità concreta del singolo debitore, ha come effetto quello di disincentivare i debitori più solvibili dal domandare credito allargando, invece, l’accesso al credito a debitori potenzialmente insolvibili. Quanto al secondo aspetto, al precipuo fine di contenere i comportamenti disonesti del sovvenuto o comunque di disincentivarli, l’art. 125 Tub prescrive a carico dei finanziatori l’obbligo di informare il consumatore, segnalato come cattivo pagatore presso le banche dati, della possibilità che gli venga preclusa l’accessibilità in futuro al credito. Sulla connessione esistente tra la valutazione del merito creditizio e la consultazione di banche dati e, più in generale, sul «dovere di cooperazione informativa» tra il concedente credito e il consumatore cfr. M. DE POLI, «Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazione del contratto e le conseguenze della loro violazione», in Dir. banca merc. fin., 2009, p. 33 e, del medesimo Autore, «Il “contratto bancario” nella dimensione comunitaria», in Riv. trim. dir. ec., 2, 2012, p. 21.

(35) La solvenza del debitore intesa come capacità di restituzione del capitale erogato al consumatore mira ad analizzare la “storia” di costui. Vedi il commento di R. VIGO, Art. 124-bis Tub, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: D.lgs. 1° Settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni, a cura di Concetto Costa, Torino, 2013, p. 1438.

(36) All’opposto la direttiva 2008/48/CE, che all’art. 1 dichiara di voler «armonizzare solo taluni aspetti» della materia dei contratti di credito dei consumatori, tace in ordine ai criteri atti a identificare il consumatore immeritevole. Il legislatore italiano, scegliendo di ereditare in sede di recepimento queste medesime lacune, ancora la verifica del merito creditizio ad un giudizio prognostico sulla capacità del consumatore di restituire il capitale che tenga sì conto della sua storia pregressa, ma che prescinda, in toto, da una valutazione di merito delle scelte di impiego della somma mutuata, stante la principale destinazione consumeristica del finanziamento.

(37) La direttiva 2008/48/CE, già impositiva dell’obbligo per il creditore di verifica preventiva della capacità di solvenza del debitore in forza di informazioni “adeguate”, ha posto parte della dottrina dinanzi all’interrogativo se tale regola di condotta possa tradursi in un vero e proprio onere in capo all’intermediario di verificare se il prodotto finanziario sia adatto all’investitore. Tuttavia, come è stato autorevolmente sostenuto, «non è il prodotto finanziario a dover essere adeguato rispetto alle esigenze del consumatore: sono piuttosto le informazioni sulla base delle quali l’intermediario si dispone a concedere credito a dover essere adeguate». Non è possibile, men che meno, sostenere che la responsabilità della banca, derivante dalla violazione dell’obbligazione anzidetta, sia additiva e diversa rispetto a quella che deriva dall’aver impiegato una misura inferiore ed insufficiente di diligenza professionale; ad argomentare il contrario, infatti, ipotizzando una cosiddetta «responsabilità da status» si finirebbe col «minare l’imprenditorialità del carattere dell’attività bancaria, aprendo un varco nella sindacabilità delle scelte della banca stessa nella concessione del credito». Vedi G. FALCONE, «Prestito responsabile e sovrindebitamento del consumatore», in Dir. fall., 2010, p. 647.

(38) Resta inteso, come ovvio, che il rischio della mancata corretta valutazione del merito derivante della incompletezza delle informazioni reperite all’epoca in cui la valutazione veniva effettuata resta a carico del solo finanziatore che non può, conseguentemente, risolvere il contratto. Questa disciplina di palese sfavore per il creditore viene, tuttavia, attenuata dall’espressa esclusione, dall’ambito di applicazione della suddetta regola, della ipotesi in cui il consumatore intenzionalmente fornisca informazioni imprecise o false o ometta informazioni che avrebbero portato ad una valutazione negativa del suo merito di credito.

(39) Si rammenta che soltanto con l’entrata in vigore del Codice deontologico sui sistemi di informazioni creditizie, Deliberazione del 16 novembre 2004 del Garante della Privacy, l’iter di indagine sulla solvibilità dei soggetti richiedenti il credito ottiene una puntuale disciplina. Difatti, nel suddetto documento si individua quale unica finalità del trattamento dati da parte delle banche dati creditizie, o “centrali rischi” anche note con l’acronimo “Sic” - “Sistema di informazioni creditizie”, la «tutela del credito, contenimento dei relativi rischi e valutazione del merito creditizio degli interessati, della loro affidabilità e puntualità nei pagamenti»; si identificano inoltre i dati trattabili, nonché le modalità per una loro raccolta, registrazione, aggiornamento e conservazione. Cfr. E. PELLECCHIA, «Il codice deontologico per le centrali rischi private», in Danno e resp., 3, 2005, p. 252.

(40) Così nel considerando (59).

(41) Allo stesso modo, nel considerando (26) della direttiva 2008/48/CE - che l’ordinamento italiano sceglie, in sede di recepimento, di non rendere precettivo - il legislatore comunitario puntualizza, con una formula discretamente sintetica, che «i creditori dovrebbero avere la responsabilità di verificare individualmente il merito creditizio dei consumatori. A tal fine dovrebbero poter utilizzare le informazioni fornite dal consumatore non soltanto durante la preparazione del contratto di credito in questione, ma anche nell’arco di una relazione commerciale di lunga data».

(42) È discusso se possa configurarsi - o meno - un vero e proprio diritto soggettivo alla valutazione, ad ogni buon conto è indubbia la volontà del legislatore europeo di ancorare l’accessibilità al credito dei consumatori a quanto “coerente” con le risultanze scaturenti da un’analisi del merito creditizio. Come può leggersi nel considerando (57) della direttiva in commento «la decisione del creditore sulla opportunità di concedere il credito dovrebbe essere coerente con l’esito della valutazione del merito creditizio. Ad esempio, la capacità del creditore di trasferire parte del rischio di credito a terzi non dovrebbe condurlo a ignorare le conclusioni della valutazione del merito di credito, rendendo disponibile un contratto di credito a un consumatore che probabilmente non sarà in grado di rimborsarlo … Tuttavia, una valutazione positiva del merito di credito non dovrebbe tradursi nell’obbligo per il creditore di erogare il credito».

(43) Spetta agli Stati membri, in virtù della disposizione citata, assicurare che l’erogazione del credito consegua ad una verifica di esito positivo in ordine al merito creditizio. Dall’interpretazione di quanto anzidetto, parte della dottrina ha ipotizzato l’esistenza di un certo spazio di manovra in capo al legislatore statale che resterebbe libero, in sede di recepimento della direttiva europea, di decidere se inserire o meno un vero e proprio «dovere di astensione del finanziatore dal concedere il prestito conseguente ad una verifica negativa della solvibilità del consumatore». In ultimo, secondo siffatta ricostruzione interpretativa, sarebbe altresì compito dell’ordinamento interno qualificare il rispetto del dovere di astensione, così come eventualmente previsto, a pena di validità del contratto di credito al consumo, ovvero, al fine di una tutela risarcitoria. Sul punto vedi T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in I contratti, I, 2015, p. 70.

(44) A sostegno della sussistenza in capo al creditore di un obbligo di motivazione in caso di rifiuto della richiesta di finanziamento, anche prima della direttiva in commento, vedi pronuncia Abf Collegio di Roma, Decisione n. 2625, 30 luglio 2012, Pres. G. Marziale, Est. A. Leproux, con commento di G. LIBERATI BUCCIANTI, «Valutazione del merito creditizio e buona fede», alla disponibile su www.odcc.mulino.it.

(45) L’attuale disciplina contenuta all’art. 125 Tub, al comma 2, già grava il finanziatore dell’obbligo di informare il consumatore «immediatamente e gratuitamente del risultato della consultazione e degli estremi della banca dati» ove il rifiuto si basi su una specifica banca dati. Questa disciplina viene, pedissequamente, ripetuta anche nella previsione di cui alla lett. c, dell’art. 18 della direttiva 2014/17/UE. La finalità di siffatta previsione, come anzidetto, già cogente nel nostro ordinamento giuridico, è spiegata dal considerando (61) della direttiva in commento, con il seguente tenore letterale: «Qualora una domanda di credito sia stata rifiutata a seguito della consultazione di una banca dati o della mancanza di informazioni all’interno della stessa, il creditore dovrebbe informarne il consumatore e fornire gli estremi della banca dati consultata … in modo da consentire al consumatore di esercitare il suo diritto di accesso e, ove giustificato, rettificare, cancellare o bloccare i dati personali che lo riguardano ivi trattati. Se la decisione di respingere la richiesta di credito deriva da una valutazione di merito creditizio negativa, il creditore dovrebbe informare immediatamente il consumatore del rifiuto. Gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di decidere se richiedere ai creditori ulteriori precisazioni sui motivi del rifiuto».

(46) Vedi Abf, Collegio di Coordinamento, Decisione n. 6182, 29 novembre 2013, Pres. G. Marziale, Est. E. Quadri. Nell’ipotesi di una violazione dell’obbligo di motivazione del diniego il consumatore è tutelato sul piano prettamente obbligatorio del risarcimento del danno, non potendosi ipotizzare alcuna incisione sull’autonomia decisionale dell’ente sovventore, difatti, «i chiarimenti da fornire al cliente lasciano ferma la insindacabilità degli orientamenti dell’intermediario in ordine alla concessione del credito», come può evincersi chiaramente dal tenore letterale della pronuncia.

(47) Nell’ambito del finanziamento fondiario, l’indagine bancaria deve necessariamente focalizzarsi su specifici approfondimenti che accertino, oltre l’affidabilità del richiedente, altresì, l’idoneità dell’immobile offerto in garanzia ad assolvere alla propria funzione. Tuttavia, l’analisi della garanzia richiesta dalla banca al consumatore appare ontologicamente diversa rispetto ad una valutazione del merito creditizio consistente, così come definito all’art. 4, n. 17, della direttiva in commento, nella «valutazione delle prospettive che le obbligazioni debitorie risultanti dal contratto di credito siano rispettate», né potrà mai sostituire o integrare un giudizio di insolvibilità del sovvenuto per mancanza o insufficienza di redditi. In sostanza, la garanzia ipotecaria rilasciata dal cliente costituisce uno strumento in grado di attenuare, non già di eliminare, il rischio economico a cui si espone la banca erogando il credito, nonché quello insito nell’iniziativa finanziata. L’unica funzione assolta dalla garanzia patrimoniale è - e resta - quella civilistica tipica di ogni garanzia reale accessoria al credito, ovvero, facilitare il soddisfacimento del diritto proprio del creditore garantito, al tempo della fase patologica di un suo inadempimento.

(48) Questa considerazione trova conforto nel considerando (55) in cui testualmente si legge «mentre il valore del bene immobile è un elemento importante nella valutazione dell’importo del credito che può essere concesso al consumatore nel quadro di un contratto garantito, la valutazione del merito di credito dovrebbe basarsi sulla capacità del consumatore di far fronte ai propri obblighi nei termini del contratto. Di conseguenza la possibilità che il valore del bene immobile possa superare l’importo del credito o possa aumentare in futuro non dovrebbe costituire in generale condizione sufficiente per concedere il credito in questione».

(49) Il considerando (26) fornisce all’interprete una chiave di lettura dell’art. 19 della direttiva 2014/17/UE, esaltandone la sua reale portata. Nella prima parte, il legislatore europeo rimanda alla relazione sussistente tra la valutazione del bene immobile residenziale e l’insolvenza del creditore sottolineando la necessità di «garantire una [sua] corretta valutazione prima della conclusione del contratto di credito», in particolare, nell’ipotesi in cui «la valutazione incida sugli obblighi residui del consumatore, in caso di insolvenza». È discusso quale possa essere la conseguenza del mancato assolvimento dell’obbligo anzidetto ben potendosi sostenere, in attesa di conoscere le scelte operate dal legislatore interno in sede di recepimento, sia la tesi della sanzione della inefficacia della garanzia, che la tesi del mero risarcimento del danno. Nella seconda parte del considerando (26) in ordine agli standards idonei ad incardinare valutazioni affidabili, «che consentano stime realistiche e circostanziate dei beni immobili», si individuano come parametro di riferimento quelli «riconosciuti a livello internazionale, in particolare quelli sviluppati dall’International Valuation Standards Committee, dall’European Group of Valuers’ Associations o dal Royal Institution of Chartered Surveyors» contenenti «principi di alto livello che, tra l’altro, impongono ai creditori di adottare adeguate procedure interne di gestione del rischio e delle garanzie».

(50) Il momento della consulenza tecnica diventa, così, un passaggio strategico nell’esame dell’idoneità della garanzia del finanziamento. Le Linee guida vengono elaborate nell’ottica di rispondere alle istanze formulate nella circolare del 27 dicembre 2006, n. 263, della Banca d’Italia - di recepimento della direttiva europea sulla vigilanza Bancaria 2006/48 - volte ad assicurare la massima trasparenza e correttezza nel procedimento di valutazione degli immobili dati in garanzia nel mercato ipotecario, quali «elementi essenziali per garantire la stabilità dell’industria bancaria nelle operazioni di erogazione dei crediti». I principi introdotti per il perseguimento del suddetto obiettivo consentono «di eseguire valutazioni degli immobili a garanzia dei crediti secondo parametri di certezza del prezzo e trasparenza nei confronti di tutti gli stakeholders sia privati, nell’ottica di concorrere a modernizzare il mercato».

(51) Per un approfondimento sulle novità normative cfr. R. CALVO, «Le regole generali di condotta dei creditori, intermediari e rappresentanti nella direttiva 2014/17/ UE», in Corr. giur., 2015, 6, p. 823 e ss. e T. RUMI, op. cit., p. 72 e ss.

(52) Con l’espressione «culto della laconicità» ci si riferisce alla scelta consapevole dell’ordinamento giuridico italiano di tacere le conseguenze sanzionatorie dell’inadempimento di tutti quegli obblighi precontrattuali nei quali si sostanzia il «principio di credito responsabile». Tale vuoto normativo, tuttavia, reca con sé l’effetto di rimettere integralmente all’attività ermeneutica dei giudici nazionali l’arduo compito di una loro individuazione, infatti, è attraverso quel potere/dovere d’interpretazione delle norme interne che viene ugualmente assicurato il maggior effetto utile possibile alla normativa comunitaria. M. GORGONI, «Contratto di credito al consumatore», disponibile www.dirittodelrisparmio.it

(53) In questa ultima ipotesi rilevano, peraltro, anche profili di tutela dei terzi nei confronti dei quali l’incolpevole affidamento, ingenerato da una falsa rappresentazione della situazione finanziaria del sovvenuto, potrebbe giustificare pretese risarcitorie ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 c.c. Ai sensi e per gli effetti degli articoli 8 e 9 della direttiva 2008/48/CE, le risultanze dell’assolvimento dell’obbligo di verifica del merito creditizio divengono, infatti, un co-elemento confluente nel prodotto offerto, conseguentemente, ben può immaginarsi come il soggetto professionalmente qualificato che, resosi negligente nell’adempimento dell’obbligo di legge, fornisce informazioni false o inesatte riguardo alla condizione economica di un cliente, risponda nei confronti del destinatario delle notizie del danno da quest’ultimo sofferto. Siffatta riflessione trae spunto dalle conclusioni a cui sono approdate dottrina e giurisprudenza in ordine alla responsabilità del cosiddetto fenomeno di “benefondi bancario”; più precisamente, trattasi di una prassi, in uso tra gli istituti bancari, secondo la quale la banca trattaria fornisce ad un’altra banca, informazioni relative alla copertura o meno di un assegno presentato per il pagamento presso questa e, in generale, sulla solvenza del proprio cliente. La discussione in merito alla individuazione di una sorta di responsabilità da status, tenuto conto delle caratteristiche altamente professionali dei soggetti in cui è sorta, sembrerebbe optare per la qualificazione della responsabilità in questione come di tipo “extracontrattuale”, sostanziandosi in una violazione di quel precetto di solidarietà sociale che, pur in assenza di un rapporto negoziale, impone gli individui il rispetto dell’antico broccardo del “neminem laedere”, nel caso di specie, evitando di ingenerare in un altro soggetto una situazione di affidamento incolpevole perché giustificata oggettivamente dalla fiducia nella regolarità del suo comportamento. Sul punto, tra i tanti Autori, cfr. M. RONCHI, «La responsabilità della banca per false o inesatte informazioni nella giurisprudenza più recente», in Resp. civ. e prev., 2000, p. 599. In tal senso, anche la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, 7 febbraio 1979, n. 820, in Banca, borsa, tit. cred., II, 1980, p. 36.

(54) Dinanzi all’eccessivo indebitamento del consumatore conseguente alla mancata verifica di cui all’art. 124- bis Tub, secondo alcuni Autori, il rimedio più efficacie sarebbe quello della «nullità virtuale o di protezione» idoneo ad impedire speculazioni illegittime a danno del consumatore, spinto ad assumere obblighi contrattuali spropositati rispetto alle proprie capacità finanziarie ed al contempo a privare il finanziatore del profitto che, normalmente, deriva dalle operazioni di credito senza, tuttavia, produrre quell’effetto di caducazione dell’interno contratto, tipico della nullità di cui all’art. 1418 c.c. contro-funzionale rispetto all’esigenza di tutela della parte negoziale debole il cui interesse si sostanzia nella sola rimozione di singole clausole del contratto. A sostegno di siffatta teoria risiede non soltanto l’assunto che l’arricchimento del finanziatore possa qualificarsi come contra ius, poiché prodotto dalla violazione di un obbligo esplicitamente imposto dal legislatore, ma altresì la considerazione che in tal maniera il consumatore potrebbe beneficiare di quel particolare regime restitutorio previsto dall’art. 125-bis, comma 9, Tub, che, di fatto, trasforma il credito al consumo in un’operazione di finanziamento gratuita, consentendo la restituzione del solo capitale utilizzato, senza la corresponsione di alcun interesse. Sul punto cfr. S. PAGLIANTINI, «Una nullità virtuale di protezione? A proposito degli artt. 28 e 34 del c.d. “Cresci Italia”», in Osservatorio del dir. civ. e comm., 1, 2012, p. 73.

(55) Per una tutela di tipo inibitorio che si affianchi al rimedio risarcitorio, cfr. S. LA ROCCA, L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore, in AA. VV., La tutela del consumatore nelle posizioni di debito e di credito, a cura di V. Rizzo, E. Caterini, L. Di Nella e L. Mezzasoma, Napoli, 2010, p. 226.

(56) In tal senso anche la recente pronuncia Abf, Collegio di Roma, Decisione n. 4440, 20 agosto 2013, in cui testualmente si puntualizza come «l’obbligo che incombe sulla banca di valutare il merito creditizio del consumatore deve essere riguardato in un’ottica non soltanto prudenziale, ma anche di tutela di colui che ha formulato la richiesta di finanziamento», conseguentemente, il suo adempimento si sostanzia nell’ottemperanza di «uno specifico dovere di protezione nei confronti dell’altra parte contraente» la cui violazione determina «il diritto del cliente di essere risarcito del danno cagionatogli. In ogni caso, la violazione dell’art. 124-bis Tub non può determinare l’annullabilità del contratto di finanziamento, considerato che tale sanzione non è stata comminata dal legislatore e non è generalmente applicabile al di fuori dei casi previsti dalla legge». Vedi M. RABITTI, Soft law e governance: i fallimenti del mercato e l’esperienza dell’Arbitro bancario finanziario, in AA.VV., Il principio di sussidiarietà nel diritto privato, a cura di M. Nuzzo, Torino, 2015, p. 637.

(57) Sul punto cfr. G. D’AMICO, «Nullità virtuale-nullità di protezione, variazioni sulla nullità», in I contratti, 7, 2009, p. 732. L’Autore sottolinea come, ai fini della declaratoria di nullità ex art. 1418 c.c., comma 1, è necessario che sia l’intero contratto a contrastare con la norma imperativa, all’opposto, ove sia il comportamento di uno o di entrambi i contraenti, da tenersi nella fase di formazione del contratto, oggetto del comando, «la violazione di tale prescrizione renderà illecito il [solo] comportamento …, ma non comporterà come tale la illiceità del contratto e la sua nullità».

(58) In senso critico cfr. F. FORCELLINI, «Il nuovo contratto di credito ai consumatori: profili rimediali», in Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2011, IX, p. 221. L’Autore sottolinea come aderendo a tale impostazione si darebbero per presupposte «due distinte rationes legislative (la tutela del contraente debole, da un lato, la tutela del mercato, dall’altro)» rispettivamente sottese ai due diversi livelli rimediali così travisando lo spirito del legislatore comunitario.

(59) Se è vero, infatti, che gli Stati membri godono di un’ampia discrezionalità nella scelta di rimedi «efficaci, proporzionati e dissuasivi» conseguenti alla violazione degli obblighi imposti dalla direttiva del 2008, altrettanto vero è che il «principio di leale cooperazione» - esistente tra i Paesi stessi - impone la necessità di garantire una sorta di “analogia” con le sanzioni comminate a seguito di violazioni del diritto nazionale. In sostanza, le sanzioni di un ordinamento, siano esse a presidio del rispetto del diritto interno ovvero a tutela del diritto sovranazionale, devono “per natura ed importanza” essere tutte analoghe fra loro. Questa è la posizione condivisa da una costante giurisprudenza comunitaria, come riportata da G. AZADI, Valutazione del merito creditizio, adeguatezza delle sanzioni e tutela microeconomica dei consumatori, cit., p. 287.

(60) Nella specie, il code de la consommation all’articolo L. 311-48, comma 2, stabilisce che «qualora il creditore sia venuto meno agli obblighi fissati dagli articoli L. 311 8 e L. 311 9 [di recepimento della normativa comunitaria], egli decade dal diritto agli interessi, totalmente o nella proporzione determinata dal giudice ... Il debitore è tenuto unicamente al rimborso del capitale secondo le scadenze previste, nonché, eventualmente, al pagamento degli interessi dai quali il creditore non è decaduto». La stessa legislazione francese stabilisce, inoltre, all’articolo L. 313 3 del code monétaire et financier che «in caso di condanna pecuniaria con decisione giudiziaria, il tasso di interesse legale è maggiorato di cinque punti alla scadenza di un termine di due mesi decorrenti dal giorno in cui la decisione giudiziaria è divenuta esecutiva, anche solo provvisoriamente». Nei fatti, quindi, la violazione dell’obbligo precontrattuale di verifica da parte del creditore della solvibilità del debitore, introdotto nel codice del consumo dalla direttiva 2008/48, è adeguatamente sanzionato attraverso la decadenza del creditore dagli interessi convenzionali nel solo caso in cui quel medesimo creditore non si trovi a beneficiare, ex articolo L. 313-3, degli interessi al tasso legale maggiorati di cinque punti. In conclusione, il sistema sanzionatorio non presenta carattere realmente dissuasivo se si considera che i creditori, persino in caso di decadenza dal loro diritto agli interessi convenzionali, potrebbero comunque contare sull’esigibilità degli interessi al tasso legale maggiorato.

(61) All’opposto, i caratteri di efficacia e dissuasività della sanzione della decadenza dagli interessi convenzionali, richiesti dall’art. 23 della dir. 2008/48/CE, sarebbero fatti salvi ogni qualvolta in concreto gli importi dovuti - che residuano in conseguenza della applicazione della sanzione - siano notevolmente inferiori a quelli spettanti a quel medesimo creditore se avesse diligentemente e correttamente adempiuto all’obbligo precontrattuale di verifica del merito creditizio. Vedi G. AZADI, «Valutazione della solvibilità del debitore: inadempimento ed effettività delle sanzioni», in Giur. it., 2014, 5, p. 1078.

(62) Cfr. T. DALLA MASSARA, «Obbligo del creditore di valutare la solvibilità del debitore: la Corte di Giustizia sulla sanzione della decadenza dagli interessi convenzionali prevista nell’ordinamento francese», disponibile su www. dirittocivilecontemporaneo.com.

(63) Come può leggersi anche nel considerando (76) «È opportuno che gli Stati membri stabiliscano norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate a norma della presente direttiva e ne garantiscano l’attuazione. Benché la scelta delle sanzioni sia lasciata alla discrezionalità degli Stati membri, le sanzioni previste dovrebbero essere efficaci, proporzionate e dissuasive».

PUBBLICAZIONE
» Indice

ARTICOLO
» Note