Direttiva 2014/17/UE - Art. 24 - Crediti a tasso variabile - Commento di Tiziana Rumi
Direttiva 2014/17/UE
Art. 24 - Crediti a tasso variabile
Commento di Tiziana Rumi
Ricercatore confermato dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria.
Art. 24
Crediti a tasso variabile
Se il contratto di credito è un credito a tasso variabile, gli Stati membri assicurano che:
a) ogni indice o tasso di riferimento utilizzato per calcolare il tasso debitore sia chiaro, accessibile, obiettivo e verificabile dalle parti contrattuali e dalle autorità competenti; e
b) gli archivi storici degli indici per il calcolo dei tassi debitori siano mantenuti dai fornitori di tali indici o dai creditori.
Premessa
A qualche anno di distanza dall’emanazione della direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori, il legislatore europeo è intervenuto dettando una disciplina specifica anche per il credito finalizzato all’acquisto di immobili residenziali. La direttiva 2014/17/UE (da ora direttiva), infatti, tenendo conto delle peculiarità dei crediti ipotecari, introduce regole innovative soprattutto in ordine ai profili precontrattuali (obblighi pubblicitari e di informazione, valutazione del merito creditizio, diritto di ripensamento) al fine di rendere queste operazioni di finanziamento massimamente trasparenti. Il cuore della nuova disciplina, infatti, è costituito dalla previsione di tutta una serie di obblighi informativi che, da un livello più generale, gradualmente, si specificano e si personalizzano(1).L’esigenza di proteggere i consumatori da pratiche commerciali scorrette o fuorvianti, idonee ad ingenerare false aspettative circa la disponibilità o il costo di un credito, si evidenzia già nella fase pubblicitaria, prodromica alla contrattazione, in cui il soggetto che eroga il finanziamento è tenuto a fornire le cd. Informazioni di base. L’art. 11 della direttiva, infatti, prescrive agli Stati membri di garantire che «qualsiasi pubblicità relativa ai contratti di credito che indichi un tasso d’interesse o qualunque altro dato numerico riguardante il costo del credito per il consumatore contenga le informazioni di base» le quali indicano
«in maniera chiara, concisa ed evidenziata», e con l’ausilio di un esempio rappresentativo, una serie di dati tra cui «il tasso debitore, precisando se fisso o variabile o una combinazione dei due tipi, corredato di informazioni dettagliate relative alle commissioni comprese nel costo totale del credito per il consumatore» (lett. c).Poiché la legislazione europea sui mutui residenziali mira ad «assicurare una trasparenza sufficiente a chiarire ai consumatori la natura degli impegni contratti nell’interesse della stabilità finanziaria e l’esistenza o meno di una certa flessibilità nel corso del contratto di credito», ne consegue l’opportunità che i consumatori ricevano informazioni sul tasso debitore durante il rapporto contrattuale nonché nella fase precontrattuale(2). Tale obiettivo è raggiunto mediante la previsione delle cd. Informazioni generali, che soddisfano l’esigenza del consumatore di poter conoscere la gamma di prodotti e servizi offerti dal creditore e le loro principali caratteristiche(3). In particolare, l’art. 13 della direttiva prescrive, tra i contenuti essenziali delle informazioni generali anche «i tipi di tassi disponibili, precisando se fissi o variabili o di entrambe le tipologie, con una breve descrizione delle caratteristiche di un tasso fisso o variabile, comprese le relative implicazioni per il consumatore» (lett. e). La protezione del consumatore/cliente, in considerazione anche della particolare condizione emotiva in cui versa chi necessita del prestito per realizzare le proprie esigenze (in particolare l’acquisto della casa di abitazione), rende opportune, poi, tutta una serie di informazioni personalizzate da ricevere in tempo utile prima della conclusione del contratto di credito in modo da consentirgli il confronto e la riflessione sulle caratteristiche dei prodotti offerti(4). Le informazioni personalizzate sono fornite su supporto cartaceo o altro supporto durevole, mediante il Prospetto informativo europeo standardizzato (da ora Pies), contenuto nell’Allegato II alla direttiva e composto da un testo introduttivo, utile per determinare il periodo di validità delle informazioni, e da quindici sezioni concernenti, tra l’altro, il tasso d’interesse e gli altri costi del credito, la frequenza e il numero dei pagamenti, l’importo di ciascuna rata, la tabella di ammortamento esemplificativa ecc.(5 )Alla luce di ciò, se è certo che l’indicazione del tasso debitore deve essere necessariamente compresa nelle informazioni che il creditore è tenuto a fornire al consumatore, resta da chiarire il significato di questo concetto-chiave ai fini della richiesta di finanziamento. A tal riguardo vale la pena evidenziare che la definizione di tasso debitore è contenuta nell’art. 4, n. 16 direttiva (sia pure per relationem, dato il richiamo all’art. 3 lett. j direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori) e consiste nel «tasso di interesse, espresso in percentuale fissa o variabile applicato su base annuale all’importo dei prelievi effettuati». La scelta di un tasso debitore fisso o variabile o combinato, non è secondaria poiché, come vedremo, incide sul numero e sull’importo delle rate oltre che sul piano di rimborso del mutuo che dovrà essere rivisto alla luce delle variazioni di tasso eventualmente intervenute.
I diversi tipi di tasso debitore e le scelte dei consumatori
In materia di mutuo si distingue tra prestiti a tasso fisso e prestiti a tasso variabile. Nel primo caso il tasso di interesse, una volta fissato al momento della stipula del contratto, in base al tasso di riferimento del mercato Eurirs(6 )o Irs (Interest rate swap), non dovrebbe subire variazioni nel tempo fino all’estinzione del finanziamento, con la conseguenza di rendere più agevole l’impostazione del piano di ammortamento del mutuo che, una volta strutturato,non necessita di alcuna revisione. Il tasso fisso si presenta vantaggioso perché il debitore ancor prima di pagare la prima rata può conoscere l’ammontare del debito da restituire ad ogni singola rata del mutuo, comprensiva di capitale, spese ed interessi(7). Il mutuo a tasso variabile, invece, si caratterizza per la particolare flessibilità poiché muta in relazione all’andamento di alcuni indici o parametri di riferimento che vengono specificamente indicati nel contratto(8). Tali indici possono essere diversi. Il più diffuso a livello europeo è il tasso Euribor (a 3 o 6 mesi). Si tratta del tasso interbancario di riferimento per i mutui a tasso variabile al quale le più importanti banche dell’eurozona si fanno prestito tra loro(9). A questo tasso rilevato nel mercato interbancario, l’istituto di credito concedente il mutuo aggiunge uno spread (variabile solitamente tra l’1% e il 3%) che tiene conto sia dei costi affrontati dalla banca per procurarsi sul mercato il denaro da prestare ad interesse, sia del rischio che il creditore corre nel concedere un finanziamento che il mutuatario restituirà a rate(10). Il tasso di interesse effettivo sarà determinato, quindi, dallo spread sommato al tasso Eurirs (per i mutui a tasso fisso), e al tasso Euribor(11 )(o, in alternativa al tasso Bce(12), se il mutuo è a tasso variabile).La dicotomia tasso fisso/tasso variabile si è nel tempo arricchita di figure, per così dire ibride, che coniugano caratteristiche di entrambe le tipologie di tasso. Si parla di mutui a tasso misto o di mutui a tasso variabile forniti di cap o di floor (o di entrambi). I primi, adatti ai mutuatari indecisi circa il tasso di interesse che soddisfi meglio le loro esigenze, si caratterizzano per il fatto che il tasso d’interesse può essere modificato, durante il periodo di vita del mutuo, da fisso a variabile o viceversa, alle scadenze e alle condizioni stabilite nel contratto; i secondi, invece, sono sempre tassi variabili ma con un limite predefinito, in modo da neutralizzare i rischi connessi ad eccessivi aumenti o diminuzioni degli indici di riferimento, che incidono pesantemente sulle rate di mutuo. In particolare, in caso di tasso variabile cap(13 )(o capped rate) viene fissato un limite massimo ovvero una soglia (es. 5,5 %) raggiunta la quale il mutuo diventa a tasso fisso (cd. trigger rate). In questi casi, finché il tasso variabile “finito” (cioè quello dato dall’indice Euribor sommato allo spread) si mantiene sotto soglia, il cliente continua a pagare la rata al tasso variabile concordato. Nel momento in cui, il tasso variabile tocca la soglia o la supera, e fino a quando lo stesso non ritorna sotto soglia, il mutuatario pagherà un tasso d’interesse equivalente alla soglia (es. 5,5%), che quindi da variabile, per un certo periodo, sarà fisso. Ovviamente, questo contenimento del tasso variabile entro il limite della soglia ha un prezzo, costituito dall’aumento dello spread applicato dalla banca al mutuatario. Analogo discorso può farsi per i tassi variabili forniti di floor(14), con la differenza che qui la soglia rappresenta il limite minimo (es. 2%) al di sotto del quale il mutuo diventa a tasso fisso. Di conseguenza, qualora il tasso variabile andrà al di sotto della soglia minima e per tutto il tempo in cui questa rimarrà tale, il mutuatario continuerà a pagare la rata al tasso soglia concordato (2%). Poiché il floor avvantaggia l’istituto di credito, il mutuatario che ha concordato un tasso variabile floor verrà ricompensato con una diminuzione dello spread applicato al mutuo. Se, poi, il mutuatario vuole certezza sull’importo delle rate del mutuo senza rinunciare alla possibilità di spuntare un tasso d’interesse inferiore al tasso fisso può stipulare un mutuo a tasso variabile con rata fissa. In questo caso, infatti, sebbene il tasso d’interesse muti in relazione al variare dei parametri di riferimento (tasso Euribor sommato allo spread) con conseguente cambiamento dell’importo da corrispondere, si riesce comunque a mantenere fissa la rata. Varierà soltanto il numero delle rate che aumenterà se il mutuo dovesse divenire più oneroso, e diminuirà, in caso contrario. La scelta tra i diversi tipi di tasso può dipendere da diversi fattori. Fondamentale è la sostenibilità (presente e attesa) della rata del mutuo, che dipende dalla capacità reddituale del soggetto e dall’importo della rata medesima(15), ma determinanti sono, anche, le conoscenze finanziarie del consumatore(16). A tal riguardo, vale la pena precisare che la direttiva
2014/17/UE ha introdotto, a carico delle banche e degli intermediari creditizi, un «obbligo di assistenza» sui prodotti creditizi offerti al consumatore che implica, ovviamente, anche l’illustrazione di elementi, come il tasso debitore, essenziali per il finanziamento. La previsione di un siffatto obbligo deriva, probabilmente, dalla convinzione dell’insufficienza delle informazioni precontrattuali a consentire una decisione razionale e consapevole del consumatore su quale, tra i contratti di credito proposti, sia il più adatto alle sue esigenze ed alla sua situazione finanziaria(17). Viene valorizzata, così, la componente collaborativa dell’intermediario nel processo decisionale del consumatore la cui capacità di comparare le varie offerte di credito non può derivare dalla mera erogazione di informazioni documentali, ma implica, da parte dell’intermediario, un’attività di educazione finanziaria(18 )consistente nell’accompagnare “pedagogicamente” il proprio interlocutore al fine di «consentirgli una manipolazione meno sprovveduta dei dati raccolti rispetto al momento in cui ha varcato la soglia dei locali del finanziatore»(19). Si apprezza, inoltre, il valore aggiunto dell’obbligo di assistenza rispetto alle informazioni personalizzate del Pies. Queste ultime, infatti, mirano a garantire un consenso consapevole del consumatore, libero dai condizionamenti derivanti dall’asimmetria informativa che caratterizza la sua posizione rispetto alla controparte professionale e che qui risulta più accentuata dai tecnicismi di settore. L’obbligo di assistenza, invece, «mira ad un obiettivo più ambizioso, ossia quello di guidare il consenso del consumatore verso scelte che siano non soltanto “libere” e “consapevoli” ma anche “giuste” ed “adeguate” rispetto alle sue esigenze ed alla sua situazione finanziaria»(20). L’assistenza, in ogni caso, non va oltre il servizio di consulenza e, pertanto, ogni valutazione di merito sulla conclusione o meno del contratto di credito spetta soltanto al consumatore(21).
La disciplina dei crediti a tasso variabile
Con la direttiva Mutui il legislatore europeo si pone l’obiettivo di rendere più trasparenti le operazioni di credito ipotecario ai consumatori, ritenendo che un mercato creditizio più trasparente ed efficiente sia essenziale «per promuovere lo sviluppo delle attività transfrontaliere e per realizzare un mercato interno dei contratti di credito relativi a beni immobili residenziali». Le sostanziali differenze esistenti tra le legislazioni nazionali in ordine alle norme di comportamento nell’attività di erogazione di crediti per beni immobili residenziali e tra i sistemi di regolamentazione e vigilanza dei diversi soggetti che erogano il credito, creavano, infatti, ostacolo allo sviluppo del mercato creditizio europeo(22). Accanto alla predisposizione di regole di trasparenza dettate per la generalità dei contratti di credito, però, il legislatore europeo si è preoccupato di disciplinare alcune tipologie di prestito che presentano maggiori rischi per i consumatori. Si tratta dei cd. crediti in valuta estera, «contratti dai consumatori in tale valuta al fine di beneficiare del tasso debitore offerto, ma senza un’adeguata informazione o comprensione in ordine al rischio di cambio connesso»(23 )e dei crediti a tasso variabile che compensano il più basso tasso di interesse con il maggiore rischio dovuto al suo essere legato alle fluttuazioni del mercato finanziario. Se il contratto di credito è a tasso variabile, l’art. 24 direttiva impegna gli Stati membri ad assicurare che «ogni indice o tasso di riferimento utilizzato per calcolare il tasso debitore sia chiaro, accessibile, obiettivo e verificabile dalle parti contrattuali e dalle autorità competenti». Si intende, in questo modo, rendere trasparente, oltre che accessibile ai consumatori ed alle autorità competenti(24), la procedura di calcolo del tasso debitore in considerazione della esistenza di diversi possibili parametri di riferimento. Il più usato nell’eurozona è, come detto in precedenza, l’Euribor, che è fissato quotidianamente dalla European banking federation, ma ci possono essere mutui a tasso variabile ancorati anche al tasso Bce, stabilito periodicamente dalla stessa Bce, ed al tasso Libor (Londoninterbankoffered rate), calcolato giornalmente dalla BritishBankers’ Association. Da qui l’opportunità che tali indici siano chiari, accessibili, obiettivi e verificabili, ad esempio, mediante la loro pubblicazione su supporti durevoli che ne rendano possibile la consultazione ed il controllo da parte delle autorità nazionali a ciò designate. La norma in commento si completa, poi, richiedendo che anche «gli archivi storici degli indici per il calcolo dei tassi debitori siano mantenuti dai fornitori di tali indici o dai creditori», quasi a voler assicurare una sorta di tracciabilità dei tassi variabili. Nessuna indicazione, tuttavia, è prevista per l’ipotesi in cui manchi o sia erronea l’indicazione dei parametri di riferimento del tasso debitore. Quid iuris, allora, se viene violata la regola di trasparenza stabilita dalla norma in commento? In attesa di una possibile risposta al quesito da parte del legislatore italiano, al momento dell’attuazione della direttiva, è facile immaginare che tale violazione rileverà, intanto, a livello prudenziale. Spetterà all’autorità nazionale cui compete effettuare il controllo sulla sana e prudente gestione dei soggetti che erogano il credito (nel nostro caso questo ruolo è rivestito dalla Banca d’Italia), individuare le sanzioni amministrative applicabili. Resta da chiarire, tuttavia, se alle misure pubblicistiche possano/debbano aggiungersi anche sanzioni di carattere privatistico. La previsione del tasso debitore quale elemento essenziale del Pies (v. punto 4, rubricato Tasso d’interesse e altri costi) consente di inquadrare questo dato nell’ambito delle informazioni precontrattuali che il creditore è tenuto a fornire ai consumatori. Ma le conseguenze della violazione dei doveri di informazione costituiscono un profilo, di per sé, problematico dal momento che l’art. 38 della direttiva, alla stregua dell’art. 23 direttiva 2008/48/CE, si limita ad imporre agli Stati membri di stabilire «le norme riguardanti le sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni di diritto interno adottate sulla base della presente direttiva» e di prendere «tutte le misure necessarie per garantirne l’applicazione», aggiungendo, poi, che «tali sanzioni sono [=devono essere] efficaci, proporzionate e dissuasive». La scelta dei rimedi applicabili spetterà, quindi, al legislatore dell’attuazione, ma è molto probabile che, anche in questa occasione, non si disporranno specifiche sanzioni per la violazione degli obblighi di informazione precontrattuale, con la conseguenza di lasciare all’interprete il compito di individuarle di volta in volta. Ad esempio,se il Pies è lacunoso, in quanto mancano indicazioni su elementi essenziali del contratto di credito come il costo complessivo dell’operazione di finanziamento, che non siano altrimenti desumibili o integrabili, si potrà addirittura prospettare una nullità (testuale) del contratto per mancanza di essentialia (sulla falsariga di quella disciplinata dall’art. 1418, comma 2 c.c.) da trattare analogamente a quella ex art. 125-bis, comma 9, Tub, mentre in caso di informazioni false o ingannevoli, ferma restando l’operatività delle norme in materia di pratiche commerciali scorrette quando siano alterate, in atto o in potenza, le scelte del consumatore, si potrebbe dare spazio alla tutela risarcitoria, configurando, in capo al mutuante, una responsabilità precontrattuale da contratto valido(25). Se, poi, l’ingannevolezza delle informazioni contenute nel Pies riguarda i «tassi di interesse», i «prezzi» o altre «condizioni» che risultano più sfavorevoli per i clienti rispetto a quelli reclamizzati nella pubblicità, sarà possibile qualificare nulle le relative clausole e considerarle come non apposte. Ciò in analogia con la disciplina sul credito ai consumatori il cui art. 125-bis, comma 2, richiama espressamente la disciplina generale sulla trasparenza bancaria e segnatamente, l’art. 117, commi 6 e 7, Tub.
Modifica unilaterale del tasso d’interesse e tutela dei consumatori
Dopo la stipula del contratto di mutuo il tasso debitore può subire delle variazioni che possono dipendere dall’accordo delle parti (rinegoziazione(26)), dalla volontà del debitore (in ipotesi di estinzione anticipata(27 )del mutuo o di esercizio dell’opzione di passare dal tasso fisso al tasso variabile e viceversa) e, infine, dalla volontà del creditore che esercita unilateralmente il cd. ius variandi delle condizioni economiche del contratto. Quest’ultima eventualità è oggi presupposta dall’art. 27, par. 1, direttiva che invita gli Stati membri a provvedere «affinché il creditore informi il consumatore di eventuali modifiche del tasso debitore dandone comunicazione su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima che decorrano gli effetti della modifica. L’informazione comprende almeno l’importo dei pagamenti da effettuare dopo che il nuovo tasso debitore sia divenuto applicabile e, se il numero o la frequenza dei pagamenti sono modificati, i relativi dettagli». Si tratta di un’importante novità che va coordinata con la disciplina nazionale dello jus variandi bancario, contenuta nell’art. 118 Tub. In particolare, il comma 2 dell’art. 118 Tub, dopo le modifiche allo stesso apportate dalla legge n. 106 del
2011, si è arricchito di un comma 2-bis. Secondo questa disposizione, se il cliente non è un consumatore né una microimpresa, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato (e, quindi, anche nei mutui di lungo periodo) «possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedono la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto». Da qui la conclusione cui è giunta parte della dottrina di «escludere, nel nuovo contesto normativo, la facoltà della banca di modificare in peius il tasso di interesse (fisso o la componente fissa del tasso variabile) nei confronti di consumatori e micro imprese»(28), conclusione, peraltro, avallata dall’ultimo periodo dell’art. 118, comma 1, Tub, dove si prevede che anche negli altri contratti di durata (ovvero quelli a tempo determinato) «la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi d’interesse, sempre che sussista un giustificato motivo»(29). A fronte di ciò, resta il fatto che lo ius variandi bancario è specificamente previsto dal codice del consumo(30 )e che nella prassi dei mutui bancari per l’acquisto dell’abitazione principale è assai diffusa la modifica unilaterale dello spread da parte degli istituti di credito al momento del rogito notarile, modifica che, per le sue modalità sorprendenti, spiazza i consumatori i quali, costretti dalla necessità del finanziamento e preoccupati di perdere la caparra data, finiscono per concludere, comunque, il contratto di mutuo. Vero è che il cliente potrebbe “reagire” alla variazione operata dalla banca, esercitando il diritto di recesso ma il prezzo da pagare nel caso del mutuo sarebbe eccessivo. Dovrebbe, infatti, restituire in un’unica tranche la somma ricevuta a mutuo, di cui verosimilmente non dispone subito, e pagare gli interessi nel frattempo maturati(31). Come si concilia, allora, il contrasto normativo(32 )che intercorre tra l’art. 118, comma 2-bis Tub (che esclude lo ius variandi del tasso di interesse quando a stipulare i contratti di mutuo siano consumatori e microimprese), e l’art. 33, comma
4, cod. cons. (che, viceversa, legittima gli istituti di credito alla modifica unilaterale dei tassi di interesse e degli altri aspetti economici del contratto di mutuo a condizione che: 1)ricorra un giustificato motivo;
2) si dia immediata comunicazione al consumatore e 3) venga riconosciuto al consumatore il diritto di recedere dal contratto)? Attenta dottrina, nel tentativo di fornire una soluzione dotata di coerenza sistematica e, al tempo stesso, idonea a fornire maggiore tutela ai consumatori, individua nell’art. 118
Tub la norma idonea «a regolare per extenso il cd. ius variandi nei contratti bancari unilateralmente commerciali»(33). A ragionare diversamente si incorrerebbe in diversi inconvenienti. Ritenere applicabile, nel caso di specie, l’art. 33, comma 4, cod. cons., porterebbe ad una soluzione meno vantaggiosa per i consumatori di quella che si determinerebbe applicando l’art. 118, con la conseguenza paradossale di offrire ai consumatori una protezione minore di quella riservata al professionista. Più precisamente si afferma che nell’art. 33, comma 4, «A) manca il preavviso, sostituito dalla comunicazione immediata della modifica in atto; non c’è più, poi, B) quel requisito formale della specifica sottoscrizione presente nell’art. 118, comma 1 e, maxime, il recesso del consumatore ha la foggia non del consenso tacito sospensivo … ma del rifiuto eliminativo, cancellante retroattivamente gli effetti di una modifica sfavorevole. Che, perciò, seppur in maniera del tutto precaria, è immediatamente efficace. Se poi, …, dovesse accedersi a quella diffusa (quanto claudicante) interpretazione che vuole il limite del carattere indeterminato non riprodotto nel comma 4, potrebbe aversi che, nei contratti finanziari b2c a termine finale, è negoziabile persino C) una facoltà di modifica unilaterale delle clausole economiche aventi ad oggetto i tassi di interesse, nonostante l’art. 118, comma 2-bis lo escluda espressamente nel caso parti del mutuo siano un consumatore o una micro- impresa …». Per questa impostazione, allora, una forma di coordinamento tra le due normative
«scartata l’idea di un’abrogazione tacita per incompatibilità (ex art. 15 disp. prel. c.c.), non foss’altro per la palese specialità reciproca delle due normative, può condursi prima facie in due modi: o pensando ad uno ius variandi che, nell’art. 33, commi 3 e 4, cod. cons. trova titolo in una norma di legge dispositiva oppure immaginando che l’art. 118 regoli i soli rapporti finanziari di consumo ad esecuzione istantanea differita, stante la circostanza che, rispetto ad essi, la presunzione di vessatorietà ex art. 33, comma 2, lett. m, vige - parrebbe - senza deroga alcuna». Poiché entrambe le soluzioni si presentano insoddisfacenti(34), la dottrina in commento preferisce «pensare, in una prospettiva di regime speciale, ad un art. 33, commi 3 e 4, che si limita a stralciare i contratti a tempo indeterminato da una presunzione legale, altrimenti esistente, di vessatorietà, col richiamo in pari tempo al disposto dell’art.
1469-bis c. c.: inteso come norma, che assicura sempre la prevalenza della disciplina più favorevole al consumatore, a fare il resto» e questa disciplina viene rinvenuta (giova ribadirlo) proprio nell’art. 118
Tub. Procedendo dalla stessa idea, ovvero l’idea per la quale il coordinamento tra le norme in questione debba avvenire garantendo al consumatore la massima tutela possibile, viene da chiedersi se, effettivamente, questo fine possa dirsi realizzato applicando la disciplina contenuta nell’art. 118 Tub. Dall’interpretazione di questa disposizione emerge che: a) nei contratti a tempo indeterminato, quale che sia lo status del cliente (e, quindi, indipendentemente dal fatto che si tratti di professionista, consumatore o micro - impresa), «può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo» (art. 118, comma 1); b) negli altri contratti di durata (intendendosi quelli a tempo determinato in cui rientra, ad es., anche il mutuo) viene stabilito il divieto di ius variandi con riguardo ai tassi di interesse, ma se il cliente è un professionista, si consente alla banca/istituto di credito/intermediario finanziario di derogare al divieto inserendo «clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto» (art. 118, commi 1, secondo periodo, e 2-bis). Appare chiaro, allora, che mentre il divieto (recte la norma che impone il divieto) di ius variandi quando il cliente è un professionista può essere derogato(a) per espressa disposizione di legge (comma 2-bis dell’art. 118), il divieto (recte la norma che impone il divieto) di ius variandi quando il cliente è un consumatore o una micro - impresa risulta, viceversa, inderogabile. Se così è, sul piano pratico, avremo l’importante conseguenza che la clausola di modifica unilaterale del tasso d’interesse, inserita nel contratto di mutuo in cui è parte il consumatore, contrastando con una norma inderogabile, seu imperativa, dovrebbe determinare non soltanto la nullità della clausola, ma anche quella dell’intero contratto(35). A meno che (ed è questo l’aspetto più rilevante per assicurare la massima tutela al consumatore), non si legga l’art. 118 Tub in combinazione con il successivo art. 127 secondo cui le nullità previste dal titolo VI del Tub «operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice». In questo modo, infatti, si potrebbe configurare la nullità in questione come nullità testuale di protezione(36). La finalità protettiva, peraltro, è concordemente riconosciuta alle nullità disciplinate dall’art. 127 Tub che, grazie alla sua nuova formulazione (introdotta dal D.lgs. 141 del
2010), «si allinea (con l’ovvia eccezione del riferimento al “cliente” e non al “consumatore”) all’analoga previsione contenuta nell’art. 36 cod. cons. ed è espressione del «modo di operare unidirezionale della nullità»(37 )nel senso che in «nessuna circostanza … una causa di nullità prevista dal Titolo VI potrà tradursi in uno svantaggio per il cliente»(38). Ma vi è di più. La nullità desumibile dal combinato disposto degli artt. 118 e 127 Tub sarebbe una nullità di protezione virtuale con la precisazione che «ciò che è virtuale non è tanto la nullità in sé considerata (che, anzi, è - secondo quanto stiamo supponendo - testualmente prevista dal legislatore), ma piuttosto il suo carattere “protettivo” (che non è esplicitato dal legislatore, ma viene desunto dall’interprete alla luce della ratio della previsione legislativa)»(39). Tale nullità, infatti, trova la sua disciplina, in parte nel citato art. 127 Tub (con riferimento ai profili della legittimazione riservata al solo contraente protetto e della rilevabilità d’ufficio da parte del giudice nel solo interesse del cliente/consumatore) e, per la restante parte, trattandosi di una nullità che, come già detto, partecipa della stessa ratio sottesa alla nullità di protezione consumeristica, nell’applicazione analogica del regime per questa «esplicitamente e testualmente previsto dal legislatore» all’art. art. 36 cod. cons., che individua tra i caratteri distintivi del rimedio, la necessaria parziarietà: la nullità di protezione, infatti, colpisce soltanto le singole clausole, ed è insuscettibile di estendersi al regolamento contrattuale nel suo complesso. Il risultato cui si giunge per questa via (la neutralizzazione della sola clausola espressione dello ius variandi, senza travolgere l’intero contratto) è preferibile rispetto a quello che il consumatore potrebbe conseguire in applicazione della disciplina sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori. Difatti, la presunzione di vessatorietà delle clausole di modifica unilaterale dei tassi d’interesse, convenzionalmente inserite nei contratti di finanziamento a tempo determinato, comunque giustificata(40), sarebbe superabile dal professionista con la prova (peraltro non difficile) dell’intervenuta trattativa individuale e, quindi, del consenso prestato dal consumatore proprio allo ius variandi. Coerentemente con quanto detto, l’art. 27 della direttiva Mutui, sopra citato, laddove presuppone lo ius variandi del tasso debitore da parte delle banche,imponendo ai creditori di darne comunicazione al debitore «su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima che decorrano gli effetti della modifica», e stabilisce il contenuto indefettibile di questa informazione, affermando che la stessa deve comprendere «almeno l’importo dei pagamenti da effettuare dopo che il nuovo tasso debitore sia divenuto applicabile e, se il numero o la frequenza dei pagamenti sono modificati, i relativi dettagli», deve essere interpretato nel senso che la variazione del tasso debitore non può che riferirsi alla componente variabile dello stesso, rispetto alla quale rimane comunque l’obbligo del creditore di darne notizia al consumatore per rendere massimamente trasparente l’operazione. La clausola di variazione dello spread, sia pure in conseguenza della variazione del parametro di riferimento, costituisce, invece, una clausola nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 118, comma
2-bis, Tub. A tale nullità, però, si applica uno statuto normativo diverso da quello che contraddistingue la nullità tout court, costituito, come abbiamo detto, sia dalla legittimazione riservata al consumatore e dalla rilevabilità d’ufficio da parte del giudice nell’esclusivo interesse del consumatore, desumibili dall’art. 127 Tub, sia dalla possibilità di applicare analogicamente la restante disciplina della nullità di protezione (necessaria parziarietà, convalidabilità dell’atto ecc.) ricostruibile alla luce dell’art. 36 cod. cons. e della giurisprudenza comunitaria via via sviluppatasi in materia(41).
La giurisprudenza dell’Abf e l’importante ruolo della buona fede
In tema di ius variandi la dottrina ha evidenziato la scarsità di una compiuta elaborazione da parte della giurisprudenza(42). In questa sede, tuttavia, vale la pena soffermarsi su alcune pronunce dell’Abf significative per la soluzione offerta ai clienti/consumatori che hanno subito la modifica unilaterale del tasso d’interesse da parte degli istituti di credito. Ovviamente, il problema dello ius variandi non si pone quando la variazione interessa la parte variabile del tasso d’interesse, ovvero gli indici (parametri di riferimento) come l’Euribor che, per definizione sono destinati a subire oscillazioni nel tempo, ma emerge quando viene unilateralmente modificata la misura dello spread (componente fissa del tasso d’interesse) rispetto a quella originariamente convenuta, magari anche in conseguenza di mutamenti relativi agli indici suddetti. Mentre nel primo caso «la modifica dell’andamento dei tassi d’interesse conseguenti all’oscillazione del parametro di riferimento rappresenta un fatto assolutamente fisiologico, che introduce sì un profilo di alea, la quale tuttavia è quella normale e immanente alla causa di questo tipo di operazione, e soprattutto è destinata a gravare in maniera pienamente equilibrata, ancorché speculare, su entrambe le parti contraenti»(43), la modifica unilaterale dello spread costituisce un comportamento “abusivo” della banca che altera unilateralmente e arbitrariamente le modalità di distribuzione del rischio contrattuale originariamente convenute al solo fine di precludere al cliente di potersi avvantaggiare della complessiva riduzione del tasso debitore derivante dalla riduzione dell’indice di riferimento prescelto in occasione della stipulazione del contratto. Da qui l’inammissibilità dello ius variandi relativo allo spread sancita da Abf, 11 maggio 2010, n. 388 cui, però, sono seguite altre decisioni(44 )dove l’accoglimento del ricorso è stato motivato sulla valutazione di inadeguatezza della motivazione presente nella proposta di modifica, piuttosto che sull’ammissibilità tout court della stessa, lasciando trapelare un giudizio di non astratta inammissibilità della variazione dello spread(45). In pronunce più recenti l’Abf è giunto a considerare le modifiche unilaterali del tasso d’interesse operate dall’intermediario, e segnatamente la maggiorazione dello spread rispetto a quello originariamente pattuito, come condotte censurabili per violazione dei canoni di correttezza e buona fede nelle trattative e, quindi, come ipotesi di responsabilità precontrattuale. Emblematica è, in questo senso, la decisione del Collegio di Roma del 14 gennaio 2013, n. 275(46 )che ha ritenuto il comportamento dell’intermediario, di modifica in pejus dello spread originariamente pattuito (dal 2,10 al 3,30 %), motivato con «l’andamento oscillante del mercato finanziario e creditizio», contrario a buona fede nello svolgimento delle trattative contrattuali per aver indotto la controparte ad affidarsi legittimamente circa la stipulazione del contratto alle condizioni originariamente offerte(47). La decisione in esame fa proprio anche il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui «la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido e inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto» (Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24795; ma già, Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3621, Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 1998, n. 10249). Il richiamo alle recenti pronunce dell’Abf, che censurano il comportamento dell’intermediario di modifica unilaterale lo spread originariamente pattuito per violazione della buona fede in contrahendo, è utile, nell’economia di questo lavoro, perché il risultato cui esse giungono (ovvero quello di sanzionare il comportamento scorretto dell’istituto di credito) poteva essere “meglio” raggiunto procedendo dalla nullità parziale necessaria (ricostruita combinando gli artt. 118, comma 2-bis e 127 Tub nonché l’art. 36 cod. cons., applicabile per analogia) della clausola con cui la banca, nei mutui a tasso variabile stipulati con i consumatori, modifichi unilateralmente lo spread rispetto a quello originariamente pattuito alla luce di valutazioni che attengono a fattori esterni e contingenti (es. la crisi economica globale) del cui verificarsi la banca avrebbe dovuto tener conto proprio al momento iniziale di fissazione dello spread(48). Mentre il criterio della buona fede potrebbe, comunque, consentire di “scriminare” la condotta dell’intermediario che richiede la variazione dello spread in presenza di un giustificato motivo oggettivo (es. esito negativo della valutazione del merito creditizio del cliente/consumatore)(49 )e con modalità non irragionevoli né emulative nei confronti del soggetto passivo, la nullità parziale necessaria risultante dagli artt. 118 e 127 Tub non lascia possibilità alcuna, mettendo fuori gioco le clausole espressione dello ius variandi del professionista per contrasto con una norma imperativa.
(1) Per maggiori approfondimenti sia consentito il rinvio a T. RUMI, «Profili privatistici della nuova disciplina sul credito relativo agli immobili residenziali», in I contratti, 2015, 1, p. 70 e ss.
(2) Cfr. il considerando n. 67 della direttiva.
(3) Sul punto cfr. il considerando 38 che distingue il ruolo della pubblicità da quello delle informazioni generali. Mentre la prima tende a concentrarsi su uno o più prodotti determinati del creditore, le informazioni generali sono relative a tutta la gamma dei prodotti di credito offerti e ciò favorisce una scelta più ponderata e consapevole dei consumatori, i quali dovrebbero poter accedere, in qualsiasi momento, alle informazioni generali sui prodotti di credito disponibili.
(4) Sebbene l’informativa precontrattuale da fornire mediante il Pies era già prevista dal codice di condotta volontario del 2001, la direttiva in commento, anche alla luce delle indicazioni della Commissione che si è occupata di monitorare l’applicazione del suddetto codice negli Stati membri, procede a rivedere il contenuto e la presentazione del Pies per garantire che questo risulti più chiaro e comprensibile e che contenga tutte le informazioni ritenute rilevanti per i consumatori. Al pari delle Informazioni europee di base di cui alla direttiva 2008/48/Ce, quelle contenute nel Pies assolvono due distinte finalità «legate tra loro da un ordine temporale e da uno gerarchico, ossia da un lato la comparabilità e dall’altro la consapevolezza: la capacità di confrontare rappresenta il prius, mentre quella di compiere una scelta con cognizione di causa il posterius … Il primo obiettivo … è quello di cui deve occuparsi il finanziatore… la seconda finalità appartiene solo e soltanto al consumatore …». Così A. MINTO, «Il nuovo documento denominato “Informazioni europee di base” nell’ambito del rinnovato regime informativo nei contratti di credito ai consumatori», in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 100 e ss.
(5) È opportuno ribadire che la struttura e i contenuti del Pies costituiscono un profilo di disciplina oggetto di armonizzazione massima, sicché non è consentito agli Stati membri introdurre modelli alternativi di diffusione delle informazioni. L’unica eccezione è rappresentata per quegli Stati membri che prima del 20 marzo 2014 abbiano predisposto un prospetto informativo che adempie ad obblighi di informazione equivalenti a quelli previsti dall’allegato II. Tali Stati, infatti, ai sensi dell’art. 14, par. 5 direttiva, potranno continuare ad utilizzare questo modello alternativo fino al 21 marzo 2019.
(6) Si tratta del tasso interbancario di riferimento per i mutui a tasso fisso, diffuso ogni giorno dalla Federazione bancaria europea.
(7) Così R. CAFARO - P. PAGLIARO, Il contratto di mutuo, Milano, 2011, p. 7.
(8) Per la distinzione tra le diverse tipologie di tasso d’interesse cfr. anche M. TATARANO, Il mutuo bancario tra sistema e prassi, Napoli, 2012, p. 57 e ss.
(9) A seconda della scadenza i principali indici Euribor si suddividono in: 1 settimana; 2 settimane; 3 settimane; 1 mese; 2 mesi; 3 mesi; 6 mesi; 1 anno. Quelli maggiormente impiegati dalle banche come base per il calcolo dei tassi di interesse dei mutui a tasso variabile sono l’Euribor a 1 mese e l’Euribor a 3 mesi. Nel decennio 2000 - 2011, la media storica di questi indici si è attestata al di sotto del 3%. Il picco più alto è stato raggiunto ad ottobre 2008, quando è stata superata la soglia del 5% , in concomitanza con il fallimento della banca americana Lehman Brothers e la crisi dei derivati subprime. Così V. LOPS, Il mutuo perfetto, Milano, 2011, p. 64 e ss.
(10) Cfr. AA.VV., L’agente immobiliare, Rimini, 2014, p. 581.
(11) Sta per Euro interbankoffered rate ed è il parametro di riferimento del mercato interbancario dei paesi aderenti alla Uem. Ha sostituito gli indici nazionali (per l’Italia il Ribor) dal 1° gennaio 1999. È rilevato giornalmente alle ore 11 a cura del Comitato di gestione dell’Euribor e diffuso sui principali mercati telematici (vedi Ribor (Rome interbankoffered rate), Eonia, depositi interbancari a tempo, mercato interbancario).
(12) Si tratta di un tasso alternativo all’indice Euribor, introdotto dal legislatore italiano, con il D.l. “anticrisi” n. 185 del 29 novembre 2008, a causa del repentino sbalzo subito dall’indice Euribor nell’autunno del 2008. In quell’occasione il differenziale tra gli Euribor e il tasso Bce si era improvvisamente allargato, comportando per chi stava rimborsando un mutuo a tasso variabile un sensibile aumento delle rate, a fronte di un tasso Bce fermo al 3,75%. Poiché nel 2009 gli indici Euribor hanno intrapreso una lunga discesa fino a toccare il minimo storico ad aprile 2010, pochissimi mutui dal 2009 in poi sono stati agganciati al tasso Bce, continuando a seguire gli Euribor a 1 e 3 mesi. Così V. LOPS, op. cit., p. 67 e ss. Parte della dottrina ha evidenziato che, con l’indicizzazione del mutui al tasso Bce, si dà al consumatore la possibilità di scelta tra due parametri differenti, ma non si risolve il problema sostanziale di porre un limite alla maggiorazione che la banca può proporre, modificando lo spread. Difatti, le banche applicano spread diversi a seconda che il parametro di indicizzazione per il calcolo della rata nei mutui a tasso variabile sia l’Euribor o il tasso Bce. Se quest’ultimo è inferiore al primo i finanziamenti ad esso ancorati prevedono uno spread maggiore rispetto a quelli indicizzati al tasso Euribor, annullando, così, il margine di risparmio per i consumatori. Peraltro, con il tasso Bce la rata può restare bloccata anche per periodi molto lunghi, ed anche nel caso in cui l’Euribor dovesse risultare più basso, con la conseguenza di penalizzare il consumatore che avesse scelto di ancorare il mutuo al tasso Bce. Per questi rilievi cfr. F. CHESSA, «Tasso Bce: un nuovo parametro di indicizzazione per i mutui», in Imm. e propr. 2009, 3, p. 151.
(13) L’acronimo Cap identifica un contratto di opzione su tassi a medio-lungo termine. Come indica il nome (letteralmente tappo o coperchio) il Cap viene usato per limitare verso l’alto il costo di un debito a tasso variabile. Come l’Irs, il Cap prevede un capitale nozionale e ha una durata contrattuale compresa tra una decorrenza iniziale (di solito due giorni lavorativi dopo la stipula) e una scadenza. La vita del Cap è divisa in una serie di periodi di interesse di uguale durata, con eventualmente uno o due periodi spezzati all’inizio e alla fine. Il contratto fissa inoltre un tasso cap, o strike, che rappresenta il limite massimo di costo che il detentore si vuole garantire. Due giorni lavorativi prima dell’inizio di ogni periodo si ha la rilevazione del parametro, o tasso di riferimento (di solito il Libor sulla divisa di denominazione per la durata del periodo).
(14) Si tratta di un contratto analogo al cap che viene utilizzato per limitare verso il basso il rendimento di un credito a tasso variabile. Il floor riconosce al detentore un payoff periodico commisurato alla differenza tra il tasso strike e il tasso di riferimento variabile rilevato prima dell’inizio di ogni periodo. Il floor corrisponde a una serie di put su tassi di interesse, ciascuno dei quali è detto floorlet o, in alternativa, a una serie di call su depositi a termine.
(15) Cfr. M. LIERA, Finanza personale, Milano, 2011, p. 42.
(16) Secondo l’analisi di R. CAFARO - P. PAGLIARO, op. cit., p. 8, il tasso fisso può dirsi ideale «per chi vuole conoscere gli importi delle rate per tutta la durata del mutuo; l’ammontare complessivo del debito contratto; per chi vuole avere un debito fisso; per chi prevede un’inflazione in crescita. Mentre, il tasso variabile è adatto a chi prevede un calo dell’inflazione e quindi del costo del denaro; ha un reddito medio-alto; è più propenso al rischio. Ancora, il tasso misto può consigliarsi a chi sottoscrive un mutuo in un periodo di particolare incertezza sull’andamento futuro dei tassi; preferisce non prendere subito una decisione definitiva sul tasso; vuole poter adattare il tasso del mutuo alle future condizioni del mercato. Esiste, inoltre, il cd. tasso capped rate consigliabile a chi vuole mantenere la flessibilità del tasso variabile limitandone i rischi; non vuole rinunciare alla garanzia di un tasso fisso senza però sopportarne i maggiori costi. Infine, il tasso bilanciato è adatto a chi ha una maggiore conoscenza delle dinamiche del tasso di interesse; vuole personalizzare il tasso del mutuo sulla base delle proprie preferenze tra i tassi d’interesse; cerca il miglior equilibrio tra le caratteristiche del tasso fisso e del tasso variabile».
(17) Da qui l’utilità delle spiegazioni fornite da creditori, intermediari o rappresentanti designati prevista dall’art. 16 direttiva. Sull’obbligo di assistenza cfr., altresì, il considerando 48.
(18) Vale la pena evidenziare che in materia di crediti ipotecari il legislatore europeo si è posto proprio l’obiettivo dell’educazione finanziaria dei consumatori (art. 6 direttiva e considerando 29), in considerazione della particolarità di questi mutui, di valore cospicuo e di lunga durata.
(19) Così A. MINTO, op. cit., p. 116 e ss. L’A., tuttavia, evidenzia che tale risultato è difficile da raggiungere poiché l’assunzione di una decisione «informata e consapevole», elaborata dopo aver comparato le varie offerte presenti sul mercato del credito, presuppone la figura di un consumatore ideale (che fa visita ai diversi intermediari, raccoglie tutti i dati necessari e compara, grazie alla cultura finanziaria nel frattempo maturata, le diverse offerte di credito) che, nella prassi, si presenta raramente. Accade, infatti, che i consumatori si affidano passivamente alle proposte dell’operatore bancario della propria filiale di fiducia e concludono il contratto di credito contestualmente alla consegna dei documenti di informativa precontrattuale.
(20) Così T. FEBBRAJO, La tutela del consenso del consumatore: disciplina vigente e prospettive di riforma, in AA. VV., La tutela del consumatore nelle posizioni di debito e credito, Napoli, 2010, p. 218.
(21) Lo si ricava anche dal considerando 48 dove si puntualizza che le spiegazioni adeguate «non dovrebbero costituire di per sé stesse una raccomandazione personale».
(22) Cfr. considerando 2 direttiva.
(23) Cfr. considerando 4 e art. 23 della direttiva. Per i necessari approfondimenti sul punto vedi supra il commento di Pagliantini e Azzarri.
(24) Si tratta, ai sensi dell’art. 5, par. 1, direttiva di «pubbliche autorità o organismi riconosciuti dal diritto nazionale oppure da pubbliche autorità espressamente abilitate a tal fine dalla legislazione nazionale», esclusi i creditori, gli intermediari del credito o i rappresentanti designati, «abilitate a garantire l’applicazione e il rispetto della presente direttiva, dotate dei poteri di indagine e di controllo nonché delle risorse adeguate necessarie all’adempimento efficiente ed efficace delle loro funzioni».
(25) Cfr. G. D’AMICO, voce Formazione del contratto, in Enc. dir., Annali II, tomo 2, 2008, p. 587.
(26) Vale la pena rilevare che il legislatore italiano, qualche anno fa, è intervenuto proprio in materia di rinegoziazione dei contratti di mutuo a tasso variabile con il D.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito con l. 24 luglio 2008, n. 126. Con il provvedimento in questione si prevede la possibilità per le parti di “rinegoziare” il mutuo alle condizioni stabilite da una convenzione intercorsa tra Abi e Mef, aperta all’adesione di banche ed intermediari finanziari. Come si è opportunamente evidenziato in dottrina, non si tratta di una rinegoziazione vera e propria del tasso di interesse originariamente pattuito, ma di uno strumento che incide sulle modalità di restituzione del mutuo e che assicura «la riduzione dell’importo delle singole rate del mutuo, ad un ammontare pari a quello della rata che si ottiene applicando all’importo originario del mutuo il tasso di interesse come risultante dalla media aritmetica dei tassi applicati ai sensi del contratto nell’anno 2006» (cfr. S. VIOTTI, «I nuovi strumenti giuridici di modifica dei contratti di mutuo», in Giur. merito, n. 12/2008, p. 3084 e ss.). Più precisamente, per effetto della rinegoziazione, la somma mutuata sarà adempiuta mediante il versamento di rate fisse e predeterminate nel modo suddetto, mentre la differenza tra l’importo della rata originariamente dovuta e quello risultante dall’atto di rinegoziazione verrà addebitata su un conto di finanziamento accessorio. Ovviamente, la sostituzione della rata variabile con quella fissa alleggerisce il peso finanziario del mutuatario prolungando il termine finale di adempimento dell’obbligazione restitutoria ma, per contro, accresce l’importo da rimborsare poiché più lungo è il tempo di restituzione maggiori saranno gli interessi da pagare. Sul punto cfr. F. NAPPI, «Profili della disciplina del credito al consumo. La rinegoziazione dei mutui ex art. 3 L. 24 luglio 2008 n. 126», in Banca, borsa, tit. cred., 2010, 1, p. 37; A.A. DOLMETTA, «Mutui per abitare: dai decreti Bersani alla convenzione Tremonti», in I contratti, 2008, p. 762; P.L. FAUSTI, «La “rinegoziazione” dei mutui», Studio n. 696 - 2008/C, in www.notariato. it. Sulla rinegoziazione dei mutui, poi, ha inciso anche il c.d. “Decreto Sviluppo” (D.l. 70 del 13 maggio 2011, convertito nella L. n. 106 del 12 luglio 2011). Tuttavia, parte della dottrina ha evidenziato come la convenienza di sostituire un mutuo a tasso variabile con un mutuo a tasso fisso non solo si presenta incerta, ma va considerata in un’ottica di lungo periodo e dipende dall’evoluzione dei tassi variabili nell’orizzonte di durata del mutuo. Si fa l’esempio di un mutuo con capitale residuo di 100.000 euro e durata residua pari a 10 anni, ancorato all’Euribor ad 1 mese. Se nel 2011, con Euribor a 1 mese pari a 1,44% a fronte dell’Eurirs (indice di riferimento del tasso fisso) a 10 anni, pari a 3,19%, una sostituzione del tasso variabile con il tasso fisso implicherebbe per il mutuatario di pagare, subito, una rata più elevata perché aggiungendo lo spread dell’1% il tasso passerebbe dal 2,44% al 4,19%, e la rata aumenterebbe di 1.750 euro all’anno. Ad una valutazione diversa si giunge, invece, se si considera l’Euribor 1 mese, nel 2013. Poiché questo indice è pari al 4% e risulta, quindi, superiore all’Eurirs, una modifica del tasso variabile in tasso fisso, in questo caso, finisce per diminuire la rata di 810 euro all’anno. Per queste valutazioni di convenienza cfr. C. OCCHIPINTI - F. DEL STABILE, «Il Decreto Sviluppo 2011: rinegoziazione e portabilità dei mutui», in Imm. e propr., 2011, 9, p. 574.
(27) Sul punto vedi infra il commento all’art. 25 direttiva.
(28) Per tutti, A. DALMARTELLO, «Osservazioni a Cass., 25 maggio 2012, n. 8548: mutuo bancario, ius variandi e tasso di interessi», in Banca borsa tit. cred., 2012, 5, II, p. 632; V. SANGIOVANNI, «Le modifiche unilaterali dei contratti bancari fra recenti riforme e decisioni dell’arbitro bancario finanziario», in Obbl. e contr., 2012, 3, p. 212; S. PAGLIANTINI, «L’incerta disciplina del nuovo ius variandi bancario: tracce per una lettura sistematica», in Nuove leggi civ. comm., 2012, 1, p. 122 e ss.
(29) Si tratta, in effetti, delle clausole «più sensibili, economicamente, per il cliente. Nella scelta su quale tipo di mutuo concludere, chi si rivolge alla banca verifica soprattutto le condizioni economiche del rapporto contrattuale, che trovano espressione principalmente nel tasso d’interesse. Laddove l’istituto di credito fosse legittimato, in pendenza di contratto, a modificare il tasso, il cliente potrebbe trovarsi in difficoltà, non riuscendo più a fronteggiare i costi di restituzione del capitale e di pagamento degli interessi». Così V. SANGIOVANNI, op. cit., p. 212.
(30) Si veda, per i servizi finanziari a tempo indeterminato, l’art. 33, comma 3, cod. cons. e, con riguardo ai contratti di finanziamento senza distinzioni (e, quindi, almeno secondo la littera legis, anche quelli a tempo determinato) il comma 4 del medesimo articolo per il quale «Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari il professionista può modificare, senza preavviso, sempreché vi sia un giustificato motivo in deroga alle lett. n, e o, del comma 2, il tasso d’interesse o l’importo di qualunque altro onere relativo alla prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata comunicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto». In dottrina, peraltro, si è individuata la giustificazione dello ius variandi non tanto quale tecnica idonea a gestire in maniera più remunerativa i rapporti di durata nell’ottica di garantire la «stabilità del sistema creditizio», quanto piuttosto quale strumento di riequilibrio, in ipotesi di sopravvenienze, di contratti pendenti, al fine di consentire la «stabilità dell’operazione contrattuale» (A. SCARPELLO, La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, p. 270). Detto altrimenti, il ius variandi bancario si presenta come un rimedio che consente alle banche di gestire le sopravvenienze trasferendo il relativo rischio sulla clientela. Così S. PAGLIANTINI, «L’incerta disciplina del nuovo ius variandi bancario: tracce per una lettura sistematica», cit., p. 121, nonché G. SANTONI, «Lo jus variandi delle banche nella disciplina della L. 248 del 2006», in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 261).
(31) Perplessità sulla sufficienza del rimedio del recesso come strumento idoneo a controbilanciare il potere di modifica unilaterale della banca erano già espresse, in dottrina, da P.L. FAUSTI, Il mutuo, in Tratt. dir. civ., diretto da Perlingieri, Napoli, 2004, p. 195.
(32) Criticano il legislatore che, incomprensibilmente, ha eluso il coordinamento dell’art. 118 con la disciplina delle clausole vessatorie, G. DE CRISTOFARO, «La nuova disciplina dei contratti di credito al consumo e la riforma del Tub», in Contratti, 2010, p. 1047; S. PAGLIANTINI, «La nuova disciplina del cd. Ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche», in Contratti, 2011, 2, p. 194; A. VIGLIANISI FERRARO, «Lo ius variandi nella nuova disciplina del credito ai consumatori», in Nuove leggi civ. comm., 2012, 6, p. 1200.
(33) Così S. PAGLIANTINI, «L’incerta disciplina del nuovo ius variandi bancario: tracce per una lettura sistematica», cit., p. 144.
(34) Scrive, infatti, S. PAGLIANTINI, «L’incerta disciplina del nuovo ius variandi bancario: tracce per una lettura sistematica», cit., p. 143 e s. «Gli è, però, che la prima interpretazione - di un ius variandi ex lege ovvero operante di diritto che, contrariamente a quanto dispone la dir. 1993/13/CEE (art. 3, § 3, lett. j e k dell’allegato), la lettera dell’art. 33, comma 3, non parrebbe denegare - già in prima battuta genera degli effetti innegabilmente irragionevoli. Se infatti l’art. 33, commi 3 e 4, quale norma esplicitante ciò che i professionisti “possono fare”, opera allorquando, pur se sempre e solo è da credere in un contratto b2c a tempo indeterminato, il c.d. ius variandi (economico e normativo) non è stato derogativamente pattuito, si avrà come risultato che il codice del consumo, …, contempla in realtà una disciplina assai meno protettiva dell’art. 118 Tub: con, all’evidenza, il conseguente corollario di uno statuto normativo differenziato, tra contratti b2c e b2b, ove a godere di maggior protezione è il cliente professionista. Il che, non solo in termini di razionalità ermeneutica, pare tutto fuorché un esito propriamente persuasivo. La seconda interpretazione, è vero, col circoscrivere il perimetro di operatività dell’art. 118 ai contratti finanziari b2c con termine finale limita queste aporie ma non le azzera dovendosi tener conto del fatto: - che la distinzione tra modifica e clausole ex novo, nell’art. 33, comma 3, lett. b, come s’è visto, non c’è, e - che, quanto al comma 4, persiste la singolarità di una modifica (delle clausole economiche) senza preavviso, a dir poco sospetta - v. art. 3 Cost. - di legittimità costituzionale».
(35) La clausola nulla, infatti, incidendo sulle condizioni economiche del contratto - e, segnatamente, sul prezzo del finanziamento - si presenta essenziale per le parti e, quindi, la sua nullità si estende all’intero contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c. c. risultato che, a ben vedere, danneggia (e non poco) il consumatore. Quest’ultimo, infatti, proprio perché la nullità opera ex tunc ed è rilevabile d’ufficio dal giudice, si vedrà improvvisamente caducato il contratto ed avrà l’obbligo di restituire per intero la somma presa a mutuo, con l’aggiunta degli interessi maturati. Sulle problematiche relative alle “restituzioni” conseguenti alla nullità del contratto cfr., di recente, G. D’AMICO, «Nullità e risoluzione per inadempimento: restituzioni e risarcimento del danno», in Nuove leggi civ. comm., 2014, 4, p. 769 e ss.
(36) Sulla nullità di protezione la letteratura è, ormai, sterminata. A titolo esemplificativo ci limitiamo a segnalare V. SCALISI, «Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione», in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 460; F. DI MARZIO, «Nullità di protezione, codice del consumo e contratti del consumatore», in Riv. dir. priv., 2005, p. 837 e ss.; G. PASSAGNOLI, Nullità di protezione, in Codice del consumo, Commentario, a cura di Vettori, Padova, 2007, p. 370 ss.; S. POLIDORI, «Nullità di protezione e interesse pubblico», in Rass. dir. civ., 2009, 1019 ss.; S. PAGLIANTINI, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di Giustizia, in Le forme della nullità, a cura di S. Pagliantini, Torino, 2009, p. 27 e ss.; ID., «Nullità di protezione, integrazione dispositiva e massimo effetto utile per il consumatore: variazioni sul tema dell’asimmetria contrattuale», in Nuove leggi civ. comm., 2012, p. 751 e ss.; ID., «Nullità formali bancarie e restituzioni (a margine di una recente decisione dell’Abf)», in Nuove leggi civ. comm., 2013, II, p. e 179 ss.; M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008; G. DE CRISTOFARO, Le invalidità negoziali “di protezione” nel diritto comunitario dei contratti, in Le forme della nullità, cit., p. 210 e ss.; A. GENTILI, «La “nullità di protezione”», in Europa e dir. priv., n. 1/2011, p. 77 e ss.
(37) L’espressione appartiene a A. GENTILI, «Nullità, annullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo)», in Contratti, 2003, p. 205.
(38) Così PORTOLANO, Sub art. 127 Tub, in Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, tomo II, artt. 70 - 162, a cura di C. Costa, Torino, 2013, p. 1508. Nello stesso ordine di idee, di recente, G. CLARIZIA, «Nullità di protezione e limite temporale di cognizione dell’Abf», in Nuove leggi civ. comm., 2014, 7-8, p. 613 per la quale la centralità dell’interesse del cliente, nei contratti bancari è stata messa in evidenza ancor prima del D.lgs. 141/2010 che ha riformulato l’art. 127 Tub dalla giurisprudenza e, in particolare, da Pret. Bologna, 4 gennaio 1999, in Corr. giur., 1999, p. 600 e ss., con nota di Gioia. Precisa U. MALVAGNA («Credito fondiario, nullità “a vantaggio del cliente” e legittimazione di altri», in Banca, borsa, tit. cred., 2014, 5, II, p. 140 e ss.) «prevedere che il rimedio operi a vantaggio del cliente significa unicamente che l’operare del rimedio è subordinato alla protezione della posizione obiettiva del cliente: l’interesse pubblico “in senso stretto” assunto come rilevante dal precetto potrà, pertanto,essere tutelato nei limiti in cui il suo perseguimento non contrasti con quello del cliente (il quale, concretizzandosi nel vantaggio materiale che, caso per caso, può derivargli dall’avvalersi della nullità, è per definizione mutevole)».
(39) Così G. D’AMICO, «Nullità virtuale - Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità)», in Contratti, 2009, 7, p. 739 e ss. L’ A. ritiene ammissibile (la configurabilità di) una nullità testuale di protezione priva di una disciplina specifica, lacuna che può essere colmata applicando analogicamente la disciplina della nullità di protezione dettata dal legislatore in consimili casu, mentre esclude categoricamente la configurabilità di nullità virtuali di protezione, stante il pericolo di un’eccessiva discrezionalità del giudice «arbitro non solo (della individuazione) del rimedio, ma anche (della costruzione) della sua disciplina». E, difatti, tutte le volte in cui «il legislatore abbia dettato una norma “imperativa” senza indicare espressamente la nullità quale rimedio per la sua violazione… per pervenire alla configurazione di una nullità di protezione, bisogna risolvere un doppio problema: anzitutto occorre stabilire se si sia in presenza di un caso in cui il contrasto con la norma imperativa determina la nullità (e non, invece, un altro rimedio; o, addirittura, nessun rimedio civilistico); solo dopo aver risposto a questa prima domanda, ci si può porre, ulteriormente, il problema, di come codesta nullità (virtualmente desunta dalla natura della norma violata) debba essere disciplinata». Ragionevoli perplessità ed un orientamento decisamente contrario alla nullità virtuale di protezione si riscontra anche in S. PAGLIANTINI, «Nullità virtuali di protezione?», in Contratti, 2009, 11, p. 1014, per il quale «se si muove … dall’idea che una regola di validità può aver sì un contenuto indeterminato ma -…- o è di conio legislativo oppure non è, allora nullità virtuale di protezione si palesa come un concetto opaco ed ondivago. Diversamente dalla figura finitima denominabile nullità di protezione virtuale: perché mentre l’immaginare una nullità testuale che sia carente di un proprio statuto normativo, pone (soltanto) una questione di ricorso all’argomento analogico, ipotizzare una nullità, per infrazione ad una regola di condotta, quando il legislatore niente dice, equivale a rimettere alla discrezionalità giudiziale l’apprezzamento dell’an e del quomodo (della nullità)». Favorevole alla configurabilità di una nullità virtuale di protezione è, invece, A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, Padova, 2008, p. 152.
(40) E, quindi, sia facendo riferimento all’art. 33, comma 4, cod. cons., sempre che lo si consideri applicabile ai contratti di finanziamento a tempo determinato, sia ricorrendo alla presunzione di vessatorietà di cui all’art. 33, comma 2, lett. m, n, ed o, cod. cons., qualora dovesse ritenersi più corretto che «l’art. 33, commi 3 e 4 cod. cons., sul ius variandi del professionista nei contratti b2c aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari, da sempre è riferito ai soli contratti a tempo indeterminato» (S. PAGLIANTINI, «La nuova disciplina del cd. Ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche», cit., p. 192).
(41) Con riguardo alla legittimazione del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione il riferimento è, in particolare, a quel nutrito filone di pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea, inaugurato dalla sentenza Océano Grupo Editorial, 27 giugno 2000, Cause riunite C-240/98 – C-244/98 (in Foro it., 2000, IV, c. 413 e in Europa e dir. priv., 2000, p. 1179 e ss. con nota di Orestano) e proseguito con le sentenze: Cofidis SA, 21 novembre 2002 -, C-473/00 in Racc., 2002, I - 10875; Rampion, 4 ottobre 2010, C-429/05, in Racc., 2007, I-8017; Mostaza Claro, 26 ottobre 2006, C-168/05, in Danno e resp., 2007, 8-9, p. 875, con nota di Pastorelli; Pannon GSM, 4 giugno 2009, C-243/08, in Contratti, 2009, p. 1115 e ss., con nota di Monticelli; Asturcom Telecomunicaciones SL, 6 ottobre 2009, C-40/08, in Racc., 2009, I- 9579; Martìn Martìn, 17 dicembre 2009, C-227/08 in Racc., 2009, I – 11939.
(42) Cfr. A.A. DOLMETTA, «Jus variandi bancario. Tra passaggi legislativi e giurisprudenziali dell’Abf le linee evolutive dell’istituto», Il caso.it, II, p. 2 e ss.
(43) Così Abf, 15 marzo 2010, n. 122.
(44) Si tratta di Abf, 23 luglio 2010, n. 798 e Abf, 15 settembre 2010, n. 394, consultabili su www. arbitrobancariofinanziario.it
(45) Sul punto cfr. A. CENTINI, «Lo ius variandi nelle decisioni dell’Arbitro bancario e finanziario», in Contratti, 2012, 2, p. 194 e ss.
(46) Concludono per la responsabilità contrattuale della banca anche Abf, 19 febbraio 2013, n. 979; Abf, 23 aprile 2012, n. 1284.
(47) Con riguardo al riconoscimento della pretesa risarcitoria ed alla quantificazione dei danni derivanti dall’accertata responsabilità precontrattuale dell’intermediario, cfr. Abf, 7 febbraio 2014, n. 774.
(48) In situazioni del genere, infatti, la banca non può che imputare a sé stessa gli errori di valutazione relativi al mutamento delle condizioni economiche del mercato bancario originate dalla crisi mondiale, senza traslare questo rischio sui clienti consumatori.
(49) Cfr. Ministero dello sviluppo economico, Chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 10 della legge 4 agosto 2006, 21 febbraio 2007 richiamata da V. SANGIOVANNI, op. cit., p. 211 e ss.
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