Direttiva 2014/17/UE - Art. 26 - Mercati flessibili e affidabili - Commento di Giuseppe Francesco Aiello
Direttiva 2014/17/UE
Art. 26 - Mercati flessibili e affidabili
Commento di Giuseppe Francesco Aiello
Assegnista di ricerca in Diritto privato, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
Art. 26
Mercati flessibili e affidabili
1. Gli Stati membri mettono a punto meccanismi adeguati per assicurare che il diritto sulla garanzia reale sia esigibile da parte o a nome dei creditori. Gli Stati membri assicurano che i creditori mantengano idonei registri riguardanti i tipi di beni immobili accettati come garanzia reale, nonché le relative politiche di sottoscrizione di mutui ipotecari utilizzate.
2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie onde assicurare un controllo statistico adeguato del mercato immobiliare residenziale, anche a fini di vigilanza del mercato, ove opportuno incoraggiando lo sviluppo e l’utilizzo di specifici indici dei prezzi, che possono essere pubblici, privati o entrambi.
La genesi parlamentare dell’art. 26 e l’espunzione della facoltà di sostituzione del mutuante
L’art. 26 ha una genesi peculiare: totalmente assente nella proposta elaborata dalla Commissione, la norma compare per la prima volta con la rubrica attuale in un emendamento del Parlamento (emendamento 88, art. 18-bis), recante una serie di previsioni ben più estesa di quella contenuta negli attuali due commi(1).
I testi degli originari emendamenti alla proposta della Commissione possono essere d’aiuto nell’interpretazione di una disposizione molto sintetica e, perciò, potenzialmente ermetica. Nella versione «parlamentare», dell’attuale art. 26 la disposizione avrebbe posto una norma capace di fare da contraltare all’art. 25: il primo paragrafo dell’emendamento 88, infatti, conferiva al creditore un potere simile al diritto del mutuatario all’estinzione anticipata, obbligando gli Stati membri ad
«autorizzare» i mutuanti a trasferire i propri contratti ad altri enti creditizi senza dover registrare una nuova ipoteca. Il diritto di cedere il contratto, in ogni caso, non sarebbe stato inderogabile. La disposizione della direttiva, infatti, subordinava il sorgere di tale facoltà in capo al creditore alla ricorrenza di due condizioni negative: l’assenza di una clausola che esplicitamente la vietasse e la mancanza di modifiche in peius per il consumatore (art. 18-bis, comma 1, lett. a)(2).
La disposizione è stata espunta dal testo approvato dal Parlamento in prima lettura anche a causa delle perplessità manifestate dalle associazioni dei consumatori, che hanno evidenziato i pericoli per la concorrenza potenzialmente derivanti dalla libera cedibilità del contratto di credito: la possibilità per i consumatori di selezionare mutuanti affidabili - si dice - verrebbe significativamente compressa dalla facoltà (riconosciuta alle banche dall’art. 18-bis) di trasferire interi portafogli di contratti(3). Istituti di credito incapaci di conquistarsi sul mercato la fiducia dei consumatori, in definitiva, potrebbero «utilizzare» imprese bancarie più affidabili a modo di «intermediari occulti».
Nell’ordinamento italiano, d’altra parte, l’assenso preventivo alla cessione del contratto è esplicitamente contemplato e consentito dall’art. 1407 c.c., che ne regola i requisiti di forma e subordina l’efficacia della sostituzione soggettiva alla notificazione del successivo atto di trasferimento, al fine di escludere la rilevanza della mera conoscenza di fatto della cessione(4).
La norma codicistica ora citata, tuttavia, dev’essere confrontata con l’art. 33, comma 2, lett. f, cod. cons., che inserisce nell’elenco delle clausole presuntivamente vessatorie quelle che consentono al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, «qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo». La norma, rispetto alla corrispondente regola della direttiva alla quale dà attuazione(5), modula la formulazione tenendo conto del contesto nazionale, includendo esplicitamente nella «lista grigia» le clausole di assenso preventivo alla cessione, allo scopo di fugare eventuali dubbi sulla capacità dell’art. 1407 c.c. di rendere inapplicabile il controllo di abusività(6). La precisazione del legislatore, però, pare inutile alla luce delle osservazioni di chi ha giustamente rilevato che quando il consenso alla sostituzione non è prestato preventivamente esso non è disciplinato dal contratto e, quindi, non vi è alcuna clausola che possa dirsi vessatoria(7).
La norma che l’emendamento 88 mirava a introdurre, dunque, avrebbe potuto sortire l’effetto di «coprire» per mezzo di una disposizione di diritto dell’UE la clausola con cui l’ente creditizio- professionista ottiene il consenso preventivo del cliente-consumatore al trasferimento del contratto. L’espunzione della norma dal testo della direttiva 2014/17 oggi vigente, viceversa, lascia impregiudicato il vaglio sulla vessatorietà della clausola. In ogni caso, l’esempio pare capace di disvelare le finalità perseguite da disposizioni che, prima facie, possono apparire all’interprete inutili e ridondanti: le norme che riconoscono al professionista facoltà normalmente derivanti dall’autonomia privata mirano, in genere, a «blindare» clausole potenzialmente vessatorie, attraverso locuzioni (come «gli Stati membri non impediscono») che non individuano mere possibilità di costruzione del contratto in quanto tali sindacabili.
L’art. 26, così privato della disposizione sulla sostituzione del lato attivo del rapporto, detta oggi delle regole che costituiscono il calco di norme già vigenti, d’impronta più marcatamente pubblicistica e prudenziale, ma rivelano, a ben guardare, non trascurabili conseguenze sulla disciplina della relazione mutuante-mutuatario. La stessa trasposizione di queste disposizioni in una direttiva dalle dichiarate finalità consumeristiche obbliga l’interprete a valorizzare gli spunti «privatistici» ricavabili dal testo e dal contesto in cui tali norme sono state inserite. In particolare, le regole di condotta destinate a governare il rapporto banca-cliente sembrano oggi prendere direttamente in considerazione l’interesse sostanziale del mutuatario ad ottenere un finanziamento e a farsi carico dell’obbligo di restituire una somma che non superi le proprie capacità di indebitamento. Tale interesse, che fino ad oggi poteva apparire solo occasionalmente protetto, sembra assurgere alla dignità di situazione soggettiva giuridicamente rilevante, protetta da norme che concretizzano il dovere di correttezza che grava sull’ente creditizio.
Finalità della norma
L’art. 26 obbliga gli Stati membri a predisporre misure idonee ad assicurare l’«esigibilità» dell’ipoteca di cui è titolare il creditore, individuando e regolando le tipologie di beni suscettibili di essere dedotti in garanzia e favorendo lo sviluppo di indici dei valori immobiliari attendibili.
Lo scopo della norma, dichiarato nella rubrica, è quello di incrementare in primis l’affidabilità e, in aggiunta, la flessibilità del mercato dei mutui immobiliari. La concreta possibilità del creditore di recuperare il denaro prestato attraverso l’escussione della garanzia, infatti, accresce la solidità di un mercato che, negli ultimi anni, ha ricevuto significativi scossoni proprio a causa delle difficoltà incontrate dalle banche nell’ottenere la restituzione dei capitali investiti.
La flessibilità dello stesso mercato, viceversa, può essere incrementata solo indirettamente dalle disposizioni in commento: la conoscibilità dei prezzi degli immobili assicurata dagli indici di cui al comma 2, infatti, potrebbe rendere più agevole la modifica soggettiva del lato attivo del rapporto, ove garantisse informazioni affidabili sulla reale entità delle somme ricavabili dall’escussione delle ipoteche iscritte. In ogni caso, la menzione della «flessibilità» dei mercati nella rubrica pare più strettamente legata alla versione originaria della disposizione, volta ad attribuire ad entrambi i contraenti un’ampia facoltà di modificare entrambi gli elementi soggettivi del rapporto obbligatorio(8).
Il tentativo di spiegare lo scopo della norma dichiarato in rubrica può essere utile nell’individuazione della «quota parte» di tutela del consumatore contenuta nella disposizione, ma ancor più valido per lo stesso fine può risultare l’esame del «considerando» corrispondente all’articolo. Il presupposto giustificativo della disposizione è rinvenibile nelle osservazioni riportate nel considerando n. (3): la crisi finanziaria ha dimostrato che un comportamento irresponsabile da parte degli operatori del mercato può mettere a rischio le basi del sistema finanziario, di conseguenza il G20 ha incaricato il Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial stability board) di fissare principi in materia di requisiti validi per la sottoscrizione in relazione a beni immobili residenziali, in particolare, per quel che qui rileva, quelli concernenti i rapporti prestito/valore. Le finalità di tutela dei consumatori e protezione della solidità del sistema, in quest’ottica, convergono e, nelle enunciazioni di principio, vengono sostanzialmente equiparate(9). Il primo scopo, anzi, dovrebbe avere una funzione sostanzialmente preminente, stante il disposto dell’art. 2, comma 1, che consente agli Stati «di mantenere o introdurre disposizioni più stringenti per tutelare i consumatori».
In verità, la lettera della disposizione in commento pare tratteggiare norme più direttamente destinate a puntellare la stabilità del sistema, convertendo in obblighi per gli enti erogatori del credito quelli che, nella precedente disciplina, costituivano degli oneri destinati a ridurre la ponderazione del rischio derivante da mutui ipotecari.
L’accordo internazionale «Basilea 2», in particolare, nella determinazione dei requisiti patrimoniali minimi dei soggetti vigilati, aveva riservato una ponderazione di favore al rischio derivante da esposizioni garantite da immobili residenziali. Il Comitato di Basilea imponeva alle autorità di vigilanza una applicazione restrittiva di questa ponderazione al 35% del coefficiente di rischio «in osservanza di rigorosi criteri cautelativi, come l’esistenza di un consistente margine di garanzia addizionale sull’ammontare del prestito basato su stringenti regole di valutazione»(10). In primo luogo, fra i requisiti della garanzia reale, lo schema di regolazione annovera la «certezza giuridica» della stessa, alla quale pare assimilabile la «esigibilità» di cui all’art. 26 in commento: il meccanismo legale con cui una garanzia siffatta viene prestata o trasferita deve assicurare alla banca il diritto di escuterla (o di assumerne legalmente il possesso) in modo tempestivo nell’eventualità di inadempimento della controparte (§ 123). In secondo luogo, il documento richiede che siano chiaramente documentate la natura delle garanzie (comprese quelle Rre, Residential real estate) accettate dalla banca e la connessa politica creditizia (§ 510; 522).
Queste previsioni convenzionali venivano “comunitarizzate” dalla successiva direttiva 2006/48, che elencava in maniera più analitica i requisiti delle ipoteche idonee a mitigare il rischio di rientro dall’esposizione creditizia. Per quel che interessa ai fini del commento all’art. 26, un allegato alla direttiva pretendeva per le garanzie reali: a) «certezza giuridica»; b) «sorveglianza sui valori immobiliari»; c)
«documentazione» dei tipi di immobili residenziali (e non residenziali) accettati dall’ente creditizio e della connessa politica di concessione dei mutui(11).
In ragione dell’evidente vicinanza fra le norme contenute nell’art. 26 e quelle poste dai precedenti atti convenzionali e normativi che avevano introdotto e disciplinato i suddetti «oneri», la maggiore analiticità della descrizione di questi ultimi può fornire oggi strumenti utili all’interpretazione della direttiva 2014/17.
Esigibilità e certezza giuridica della garanzia: osservazioni sulla pignorabilità della prima casa alla luce della più recente giurisprudenza europea sull’abitazione come diritto fondamentale
Il primo periodo del primo comma dell’articolo in commento pare difficilmente comprensibile ad una prima lettura: il requisito dell’ “esigibilità” della garanzia reale, infatti, potrebbe inverarsi in una petizione di principio se gli si assegnasse un significato esclusivamente giuridico. L’effetto della garanzia ipotecaria, infatti, consiste tipicamente nella facoltà del creditore di far espropriare (anche nei confronti del terzo acquirente) il bene e di soddisfarsi con preferenza sul prezzo ricavato (2808 c.c.). Il riferimento alla «esigibilità», dunque, potrebbe essere letto in senso strettamente giuridico solo in coerenza con le finalità economiche perseguite dalla norma: l’art. 26, in questa direzione, potrebbe imporre agli Stati di assicurare una concreta ed effettiva facoltà di far vendere il bene, precludendo loro l’adozione di misure volte a limitare in maniera significativa le facoltà del creditore ipotecario di far espropriare i beni dati in garanzia.
Si allude qui a quelle previsioni, evocate nei programmi dei partiti politici più che nelle aule parlamentari(12), volte a introdurre nell’ordinamento italiano l’impignorabilità della «prima casa»(13). L’esclusione della facoltà del creditore ipotecario di far espropriare la residenza familiare, com’è evidente, renderebbe la garanzia giuridicamente «inesigibile» in un numero di casi statisticamente ed economicamente significativo. Una lettura di tal genere della prima norma contenuta nell’art. 26 potrebbe spostare la sede del dibattito nazionale sul tema dal confronto politico alle aule della Corte di Giustizia.
Non è difficile prevedere, ad esempio, il giudizio negativo dei giudici del Lussemburgo sulla compatibilità con la direttiva 2014/17 della versione “estrema” dell’impignorabilità che si ritrova in una delle poche iniziative legislative in materia(14).
Il testo sottoposto all’attenzione della Camera nella scorsa legislatura avrebbe emendato l’art. 2910 c.c. inserendovi un terzo comma del seguente tenore: «In nessun caso può essere espropriato, pignorato, esecutato o comunque sottratto al godimento del legittimo proprietario, l’immobile di prima e unica abitazione e le relative accessioni e pertinenze».
Una previsione siffatta snaturerebbe de facto la garanzia ipotecaria, privando il creditore della facoltà di far vendere il principale cespite di un patrimonio che il debitore potrebbe scientemente costruire dando un peso specifico particolarmente significativo all’unica abitazione impignorabile. In aggiunta, la scelta di collocare l’accertamento della natura dell’immobile al momento dell’esperimento dell’azione esecutiva - piuttosto che al tempo della stipula del negozio - rischierebbe di minare alla base la funzione della garanzia. L’iscrizione di un’ipoteca su un immobile, infatti, non potrebbe in alcun modo impedire al proprietario del bene (debitore, terzo datore o successivo avente causa) di adibirlo nel corso dell’esecuzione del contratto di credito a residenza familiare, sottraendolo così alla massa aggredibile.
Una normativa del genere, in definitiva, potrebbe rendere del tutto inutilizzabile lo strumento del mutuo ipotecario. Il risultato dell’entrata in vigore della norma, del resto, non era ignoto all’estensore della proposta di legge, che disponeva - nell’ultimo articolo del testo - la conversione in prestiti vitalizi ipotecari di quelli stipulati prima dell’entrata in vigore della novella.
Gli effetti sulla “esigibilità” della garanzia di simili limiti alla pignorabilità degli immobili risulterebbero molto probabilmente incompatibili con la direttiva 2014/17. Del resto, finirebbero certamente al cospetto della Corte di Giustizia anche limitazioni più circoscritte della facoltà del creditore ipotecario di far espropriare il bene dato in garanzia.
Un emendamento alla legge di conversione del D.l. 66/2014(15), ad esempio, mirava ad introdurre un’impignorabilità doppiamente relativa, limitando, da un lato, il novero degli immobili e, dall’altro, la platea dei creditori incapaci di espropriarli (aziende, istituti di credito e intermediari finanziari). L’impossibilità di fare della “prima casa” l’oggetto di una procedura esecutiva, infatti, era subordinata al ricorrere congiunto di tre condizioni. In primis, l’immobile avrebbe dovuto essere adibito a civile abitazione del debitore, ivi residente senza soluzione di continuità fin dalla data di accensione del mutuo. In secondo luogo, l’«immunità» dall’esecuzione della prima casa dipendeva dal fatto che nessuno dei componenti del nucleo familiare del debitore fosse proprietario o titolare di diritti reali di godimento su altri immobili nella stessa provincia(16). Infine, l’impignorabilità era limitata ai fabbricati il cui valore (calcolato sulla base delle disposizioni sull’imposta di registro) non superasse i 200.000 euro(17). L’emendamento citato, come la proposta di legge precedentemente illustrata, disponeva infine la conversione dei mutui ipotecari in essere all’entrata in vigore delle nuove norme in crediti vitalizi ex art. 11-quaterdecies, comma 12, D.l. n. 203/2005, subordinando l’effetto legale alla “adesione” del debitore.
L’analitica descrizione delle condizioni necessarie per l’impignorabilità fa dell’ultima iniziativa legislativa una riforma senz’altro più idonea a confrontarsi con i nuovi vincoli europei.
I limiti alle azioni esecutive volte ad aggredire patrimoni di modesta entità potrebbero risultare coerenti con le disposizioni vigenti (giudicate in più occasioni legittime dalla Corte Costituzionale) poste a tutela del minimo vitale del debitore. Il diritto sostanziale conosce temperamenti alla facoltà del creditore di aggredire redditi da lavoro e pensioni sociali, escludendo la quota che assicura «mezzi adeguati alle esigenze di vita»(18).
Una forma, precaria e interinale, di tutela per l’abitazione del debitore è esplicitamente prevista dall’art.
47, comma 2, L. fall., che stabilisce che la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività. Il diritto suddetto - come precisa la giurisprudenza - non ha rilevanza esterna rispetto al ristretto ambito del fallimento ed è rivolto, quindi, verso l’ufficio fallimentare(19). Tuttavia, a parte quella appena citata, nessuna legge speciale tutela sul piano sostanziale il debitore-proprietario che abiti nell’immobile aggredito dai creditori.
I limiti all’esecuzione forzata su immobili di scarso valore, però, non sono estranei alle tradizioni giuridiche di altri Paesi occidentali e non si rivelano, dunque, strutturalmente incompatibili con i prestiti ipotecari. In particolare, Stati Uniti e Canada hanno ereditato dalla legislazione ottocentesca, destinata ad attrarre immigrati capaci di occupare un territorio enorme e ancora in gran parte inesplorato, il c.d. “homestead exemption law”, diffuso a seguito del successo del Texas, che aveva visto la propria popolazione crescere rapidamente grazie alla fama di “paradiso dei debitori” conquistatasi con una legge del 1839(20). L’unicità del contesto nel quale le leggi suddette sono nate dovrebbe dimostrarne l’eccezionalità e scoraggiare ex se ogni tentativo di importazione, tuttavia modelli simili a quelli del XIX secolo sono ancora in vigore e offrono spunti non trascurabili a chi desideri predisporre una seria proposta volta a contemperare la tutela degli interessi valorizzati dall’art. 47 Cost. con la necessità di garantire la sopravvivenza del mercato dei mutui.
Le perplessità espresse sulle proposte di legge in materia di “impignorabilità della prima casa”, dunque, non comportano necessariamente l’illegittimità di qualsiasi disciplina volta a limitare o modulare le azioni esecutive esperibili dal creditore sulla prima casa del debitore. Al contrario, il rilievo costituzionale del diritto all’abitazione ed il riconoscimento a livello sovranazionale dello stesso interesse costituiscono una solida base giuridica sulla quale pare possibile tratteggiare una novella dell’esecuzione immobiliare.
La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, ha recentemente affermato che occorre prestare particolare attenzione alla circostanza che un procedimento esecutivo sulla garanzia abbia ad oggetto un bene immobile che costituisca l’abitazione della famiglia del debitore-consumatore(21). In ragione del carattere fondamentale del diritto all’abitazione garantito dall’art. 7 della Carta di Nizza, la perdita della casa familiare, secondo la Corte, non costituisce un normale evento suscettibile di verificarsi in conseguenza dell’esercizio del diritto volontariamente attribuito al creditore. Il mero fatto dell’abbandono forzato della propria dimora pone i familiari del consumatore-debitore «in una situazione particolarmente delicata» e, pertanto, anche in base alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo(22), qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura(23).
Il diritto all’abitazione, del resto, potrebbe appartenere alle tradizioni costituzionali comuni a numerosi Paesi europei: la dottrina che si è occupata del tema ha mostrato come - seppure con toni diversi - almeno le Carte fondamentali più recenti contemplino un interesse siffatto(24).
La costituzione italiana, nel già evocato art. 47, enfatizza il legame fra risparmio popolare ed accesso alla proprietà dell’abitazione e la giurisprudenza costituzionale è giunta persino a subordinare, rispetto al valore di quest’ultima, interessi di primaria importanza, quali il paesaggio e l’ambiente(25).
Tuttavia, nei commenti all’art. 47 Cost. si è da tempo precisato che «il riferimento alla proprietà, quantunque diretto, non è in esso esclusivo e non costituisce il centro né logico né grammaticale della formula»(26 )e che «l’accesso alla proprietà in quanto tale dovrebbe perdere di significato, prevalendo l’interesse per l’accesso all’abitazione»(27). La contrapposizione fra diritto “alla” casa e diritto “sulla” casa, in definitiva, ha portato autorevolissime voci dottrinarie a criticare l’impostazione che privilegia, nel regime dei beni, il momento dominativo rispetto a quello funzionale, presentando la massima estensione della proprietà dell’alloggio come soluzione ottimale(28).
La questione del rilievo costituzionale del diritto all’abitazione e della dialettica fra le varie declinazioni europee (nazionali e, soprattutto, sovranazionali) si fa evidentemente più complessa man mano che si aggiungono tasselli al mosaico.
Il - pur non esclusivo - nesso tra diritto all’abitazione ed accesso alla proprietà della stessa consente di ricondurre alla tutela approntata dall’art. 47 Cost. lo stesso mercato dei mutui. L’ausilio che quest’ultimo offre all’impiego suddetto non può che imporre una costruzione del sistema dell’esecuzione forzata immobiliare che impedisca l’estinzione del più importante metodo utilizzato dal «risparmio popolare» per acquistare una casa(29).
In aggiunta, l’evoluzione storica della proprietà immobiliare ha portato gli edifici atti all’uso abitativo ad assumere essi stessi la vocazione ad essere utilizzati quali “strumenti finanziari”; osservando il fenomeno, la dottrina si interroga sull’opportunità di estendere la portata dell’art. 47 Cost. fino a ricomprendervi il risparmio, accumulato in prospettiva diacronica, per mezzo dell’indebitamento, nell’acquisto di una casa(30). Il nesso fra i due commi della disposizione costituzionale dimostra che la destinazione del risparmio all’acquisto dell’abitazione è considerata dalla Carta fondamentale una destinazione di particolare rilievo sociale(31).
Il paradosso mostra così, in realtà, quanto ambiguo possa finire per risultare l’utilizzo dell’argomento della preminenza del diritto all’abitazione sulle ragioni del creditore insoddisfatto: le misure a tutela del primo non possono precludere “di fatto” la possibilità di accedere alla proprietà dell’abitazione per il tramite di un ricorso allo strumento del risparmio(32). La protezione di tale accessibilità di fatto, però, non può prescindere - a sua volta - dalla garanzia dell’affidabilità dei mercati immobiliari(33).
La suddetta affidabilità, in conclusione, è la miglior tutela per lo stesso investimento del risparmio (e del debito) impiegato nell’acquisto della casa; di conseguenza, per quanto paradossale la sintesi possa apparire, non minare la pignorabilità dell’abitazione del singolo contribuisce alla difesa del diritto alla proprietà dell’abitazione(34).
Documentazione delle politiche di sottoscrizione di mutui e rilevanza dell’interesse legittimo di diritto privato all’accesso al credito
L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 26 pone a carico degli enti creditizi l’obbligo di mantenere registri riguardanti i tipi di beni immobili accettati come garanzia reale e le relative politiche di sottoscrizione di mutui ipotecari utilizzate.
La disposizione non prevede esplicitamente una divulgazione di tali documenti, ma lo studio del Financial stability board, menzionato nei considerando della direttiva, ha sottolineato la necessità di incrementare il tasso di pubblicità delle pratiche e delle tendenze nella sottoscrizione dei mutui, raccomandando alle autorità pubbliche non solo la raccolta e la pubblicazione di tali dati, ma anche e soprattutto l’adozione di incentivi idonei a spingere gli enti creditizi ad essere più trasparenti in materia(35).
La “tracciabilità” delle politiche di sottoscrizione dei mutui, sicuramente rilevante a fini di vigilanza prudenziale, pare anche destinata ad evitare che la solidità della valutazione del merito creditizio favorisca la c.d. «esclusione finanziaria»(36), vale a dire l’arbitrario o ingiustificato rifiuto del credito(37). L’accessibilità (al pubblico o anche ai soli interessati) delle informazioni che la direttiva obbliga a registrare, infatti, potrebbe fornire ai soggetti che si siano visti ingiustificatamente negare l’ammissione al finanziamento gli argomenti e gli strumenti giuridici necessari per ottenere un ristoro del pregiudizio patito. Il bilanciamento fra l’onere di giustificazione del rifiuto e il diritto alla riservatezza sulle scelte operative e strategiche interne all’azienda (che questa ha interesse a non divulgare all’esterno) potrebbe essere operato dal legislatore in sede di attuazione della direttiva.
Il problema è evidentemente molto complesso e non si pretende, in questa sede, di offrire più che qualche spunto.
La disposizione in commento pare idonea a gettare le basi per un discorso sulla risarcibilità del «danno da ingiustificato rifiuto (originario) del finanziamento», specialmente se la si coordina con l’art. 18, comma 6, lett. c) della medesima direttiva. L’ultima norma citata(38), infatti, prevede che, quando la richiesta di credito è respinta, il creditore informi il consumatore senza indugio. In particolare, l’art.
18 impone di specificare l’eventualità che la decisione sia stata basata sul trattamento automatico di dati dell’aspirante debitore (tramite accesso alle banche dati di cui al capo 7)(39).
Il combinato disposto degli articoli 18 e 26 della direttiva pare dimostrare l’intenzione del legislatore europeo di conferire rilevanza giuridica all’interesse al finanziamento dell’aspirante debitore.
Il tema è tutt’altro che ignoto alla dottrina e alla giurisprudenza italiane. La questione, in verità, è stata affrontata per lo più avendo riguardo al “brutale” diniego del credito sopravvenuto(40): la fattispecie prototipica, ormai divenuta caso di scuola, è costituita dalla responsabilità della banca per l’improvvisa revoca del fido a fronte della ripetuta tolleranza da parte dell’istituto di credito dei numerosi sconfinamenti pregressi. La contrarietà a buona fede di una condotta siffatta è stata riscontrata dalla giurisprudenza di legittimità anche nel caso in cui il recesso ad nutum fosse pattiziamente consentito: le modalità di esercizio del diritto potestativo di recesso da parte della banca rimangono sindacabili ex art. 1375 c.c. «ove in concreto esso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari»(41).
La fattispecie qui presa in considerazione sulla scorta della norma in commento, tuttavia, non si identifica con la scorretta attuazione di un rapporto obbligatorio che già lega creditore e debitore. Nel caso del “vizio originario” dell’arbitrario rifiuto del credito, infatti, non può valere a valorizzare l’interesse dell’aspirante debitore la fonte negoziale del pregresso rapporto. Non è neanche detto, in aggiunta, che la banca abbia leso il legittimo affidamento riposto dalla controparte nella probabile erogazione del finanziamento; affidamento che ricorre, viceversa, nel caso della reiterata condotta di tolleranza degli “sconfinamenti” della soglia di fido. L’ingiustificato recesso da uno stadio significativo o avanzato delle trattative finalizzate alla stipula del contratto di mutuo, d’altra parte, sarebbe agevolmente inquadrabile nello schema della responsabilità precontrattuale.
L’interesse che gli artt. 26 e 18 della direttiva sembrano capaci di valorizzare, al contrario, attiene alla possibilità stessa di accedere al credito.
La sindacabilità dell’originario diniego opposto dalla banca a una richiesta di credito (non legata, in definitiva, a pregresse relazioni commerciali fra ente e aspirante cliente) è stata affermata in tempi recenti dall’Arbitro bancario finanziario(42). Il decidente ha dedotto dai principi di correttezza e trasparenza che devono ispirare l’operato degli intermediari finanziari nei confronti della clientela la sussistenza di un obbligo di fornire indicazioni circa la valutazione posta a fondamento della (pur sempre discrezionale) decisione di non erogare il credito. La pronuncia dell’Abf ha valorizzato le statuizioni in materia dell’autorità amministrativa: la Banca d’Italia, con una circolare sulla “customer satisfaction”, ha raccomandato agli enti vigilati l’adozione di misure idonee a fornire maggiore attenzione alla
«clientela potenziale»(43). In particolare, l’Autorità ha disposto che, qualora l’istituto di credito decida di non accettare una richiesta di finanziamento, debba fornire riscontro con sollecitudine al cliente e verificare la possibilità di corredare l’informazione di indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito(44).
In definitiva, la pronuncia dell’Arbitro bancario finanziario non nega affatto il diritto della banca di valutare il merito creditizio selezionando i propri clienti, ma afferma con chiarezza la natura “discrezionale” della facoltà di erogare il credito, che trova un limite nei doveri di correttezza e buona fede (operanti in contesti relazionali anche non caratterizzati dall’esistenza di un vincolo obbligatorio fra gli attori(45)) e nello specifico grado di professionalità che l’ordinamento richiede. Tuttavia, l’abuso del diritto o la violazione della correttezza non sembrano di per sé sufficienti per fondare un giudizio di responsabilità(46).
Il riferimento alla “discrezionalità” e ai limiti della stessa dovrebbe spingere l’interprete ad interrogarsi sulla possibilità di identificare un limite ulteriore al potere della banca di erogare il credito nella posizione giuridica del potenziale cliente e, dunque, sulla fondatezza di una qualificazione di quest’ultima come interesse legittimo di diritto privato.
La posizione dell’ “aspirante debitore” è certamente una situazione di vantaggio (volta al conseguimento del risultato favorevole in cui si concretizza la concessione di un finanziamento) ed inattiva (poiché il suo soddisfacimento non dipende dal comportamento del soggetto che vi aspira, bensì da quello di un soggetto diverso). Seguendo le direttive tracciate tempo addietro dalla più autorevole dottrina(47), pare di poter ravvisare nella fattispecie gli elementi che caratterizzano la contestata situazione giuridica soggettiva recentemente “riscoperta” dalla Suprema Corte(48): la discrezionalità del comportamento del soggetto agente e la relazione di complementarità fra le due situazioni. Quest’ultimo aspetto pare semplicemente intuibile: il perseguimento dell’interesse della banca all’erogazione del credito, oggetto sociale della propria attività, non può avvenire se non tramite la soddisfazione dell’interesse del cliente ad ottenere la disponibilità della somma di danaro.
La sussistenza del primo requisito pare desumibile proprio dal combinato disposto degli artt. 18 e 26 della direttiva: la norma pare evidenziare «un altrui interesse anche del quale il soggetto agente non possa non tener conto in vista del legittimo esercizio del suo “potere” e di un “potere” destinato, per ciò stesso, a risultare non arbitrario ma, appunto, discrezionale»(49). L’interesse del potenziale cliente ad accedere al credito pare valorizzato dai limiti posti alla valutazione del merito creditizio e, soprattutto, dalla predeterminazione legale dei criteri in base ai quali la banca sceglie il proprio mutuatario e le garanzie idonee ad assicurare l’adempimento.
La direttiva, in sostanza, pare avviare una vera e propria “procedimentalizzazione” della decisione relativa all’erogazione del credito, rispetto alla quale si abbozza un timido onere di motivazione.
Il legislatore nazionale potrà trarre, in occasione dell’adempimento dell’obbligo di attuazione, conclusioni più coraggiose; ma anche di fronte a una piana trasposizione dei contenuti della direttiva, la giurisprudenza potrebbe ricavare da disposizioni del tutto simili a quelle in commento elementi utili per ritenere giuridicamente tutelato l’interesse ad evitare l’esclusione finanziaria.
L’affermazione di un’ipotetica responsabilità da lesione dell’interesse legittimo di diritto privato dell’aspirante mutuatario, naturalmente, porrebbe all’interprete l’ulteriore e conseguente quesito concernente la qualificazione e la quantificazione del danno risarcibile.
Il profilo economicamente più interessante, ovviamente, concerne la quantificazione del danno patrimoniale causalmente ricollegabile all’ingiustificato rifiuto della banca.
Tuttavia, la già menzionata decisione dell’Arbitro bancario finanziario offre uno spunto più facilmente sviluppabile entro i limiti del presente contributo. L’organo di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela ha accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dal ricorrente, «in considerazione delle circostanze oggettive e soggettive che caratterizzano il caso concreto, con specifico riguardo al profilo soggettivo del richiedente e alle concrete modalità che hanno contraddistinto l’insistito rifiuto dell’intermediario di fornire chiarimenti adeguati»(50). Nella fattispecie concreta esaminata dall’Abf, l’attore domandava il ristoro del danno in seguito alla «lesione della propria dignità di uomo e lavoratore», subita non tanto in ragione dell’iniziale rifiuto del credito da parte dell’intermediario finanziario, bensì a causa del successivo diniego di un più modesto credito al consumo (per l’acquisto di un televisore), dovuto al segnale d’allarme cagionato dal convenuto.
Il problema della risarcibilità del danno non patrimoniale in situazioni di tal fatta riguarda la demarcazione della «complessa linea di confine fra persona e patrimonio» nell’individuazione dei diritti inviolabili(51). Determinate offese, forse anche quella presa in esame dall’Arbitro, coinvolgono solo apparentemente la cornice formale di un diritto patrimoniale e possono finire per colpire un valore fondamentale della persona. La stessa logica dell’«esclusione finanziaria», rapportata all’oggetto della direttiva in commento, che disciplina i mutui finalizzati all’acquisto di un’abitazione, fornisce indici sufficienti ad impedire di bollare con il marchio dell’infondatezza qualsiasi speculazione sulla possibilità che il diniego di un credito pienamente inquadrabile nella logica dell’art. 47 Cost. possa ledere interessi inviolabili della persona(52).
Sorveglianza sui valori immobiliari e interesse del mutuatario a un rapporto adeguato debito-garanzia
Il secondo e ultimo comma della norma in commento, che mira ad assicurare un efficace controllo statistico, pubblico e privato, sull’andamento dei valori del mercato immobiliare, indispensabile ai fini dell’apprezzamento dell’idoneità della garanzia a raggiungere lo scopo, offre l’occasione per prospettare l’individuazione di un’ulteriore ipotesi di interesse legittimo di diritto privato dell’aspirante mutuatario, identificabile con l’interesse all’effettiva continenza nei limiti di legge del rapporto fra ammontare del credito e valore dell’immobile(53).
L’art. 26, comma 2, infatti, pur non menzionando (nella sua versione definitivamente approvata da
Consiglio e Parlamento)(54 )il c.d. «appropriate loan-to-value ratio» (Ltv), presuppone la rilevanza del prezzo di mercato nell’immobile ai fini dell’esigibilità economica dell’ipoteca. Il significato dell’ultimo comma dell’art. 26, dunque, può essere adeguatamente compreso solo se messo a sistema con il capo VI, dedicato alla Valutazione del merito creditizio e, più in particolare, con l’art. 19 sulla valutazione dei beni immobili. Tali norme assumono rilevanza nella fase di formazione del negozio, la cui conclusione deve essere preceduta da una corretta valutazione dell’immobile residenziale che, in ogni caso, è incapace di rendere superflua qualsiasi altra ponderazione della capacità del debitore di corrispondere capitale e interessi (art. 18, comma 3)(55).
L’attenzione per il valore del bene dato in garanzia emerge da numerose disposizioni della direttiva, ma il legislatore europeo non ha avuto né il coraggio di spingersi fino all’imposizione di un rapporto fisso credito/valore dell’immobile, né quello di sviluppare uno standard di quantificazione della somma concretamente ricavabile dall’espropriazione(56). La direttiva si è premurata di assicurare l’effettività del rapporto garanzia-mutuo prevedendo l’obbligo di utilizzare, in sede di misurazione del merito creditizio «standard di valutazione affidabili», modellati su quelli riconosciuti a livello internazionale(57). In particolare, fra gli obblighi imposti ai creditori dai suddetti standard, il considerando (26) richiama la competenza e la diligenza dei professionisti incaricati di redigere le relazioni di valutazione dei beni, comprovate dalle qualifiche da questi conseguite; nonché la necessità di conservare una «esauriente e plausibile» documentazione relativa alla valutazione delle garanzie. I suddetti oneri volti a rendere attendibile la valutazione, dunque, gravano sugli erogatori del credito. La garanzia di una ponderazione non fittizia o meramente formale dell’adeguatezza della garanzia, però, non è rimessa interamente ed esclusivamente agli operatori del mercato. La direttiva, infatti, “auspica” un monitoraggio adeguato dei mercati dei beni immobili residenziali.
I dati normativi ora menzionati dimostrano certamente che lo scopo del legislatore è proteggere la banca da se stessa, impedendole di danneggiare il proprio capitale e con esso gli interessi collettivi che da questo dipendono; tuttavia, il “trasferimento” in una direttiva consumeristica di obblighi che fino ad oggi sono stati disciplinati da norme sulla vigilanza prudenziale dovrebbe spingere l’interprete ad interrogarsi sulla possibilità di considerare tali previsioni come dettate anche nell’interesse del debitore. Il potere della banca di determinare l’adeguatezza del mutuo erogato rispetto alla garanzia prestata, in definitiva, dovrebbe essere esercitato tenendo conto del legittimo interesse della controparte a farsi carico di un passivo sostenibile. L’interesse così individuato potrebbe giustificare e, in parte, correggere le opinabili conclusioni della sentenza - molto discussa in dottrina(58 )- con cui la Suprema Corte(59) ha scelto una non ben definita “responsabilità” quale sanzione per la violazione delle disposizioni nazionali che impongono un rapporto massimo loan-value. La pronuncia parte da un assunto del tutto incompatibile con la tesi che qui si cerca di tratteggiare: per i giudici di legittimità il cliente ha
«tutto l’interesse ad ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità». La constatazione, però, è stata aspramente criticata da chi ha osservato che un’affermazione del genere si fonda sull’irrazionale assunto della maggior redditività dell’impiego del danaro da parte del consumatore rispetto a quello dell’impresa bancaria(60).
Il riconoscimento di un interesse giuridicamente rilevante in capo al mutuatario, viceversa, consentirebbe di individuare in quest’ultimo il titolare del diritto al risarcimento del danno “completando” la fattispecie di responsabilità per violazione di una regola di correttezza evocata ma non descritta dalla Suprema Corte, che non può che avere il cliente come controparte.
In ogni caso, le norme di attuazione della direttiva - come per altre questioni sopra richiamate - potranno costituire l’occasione per chiudere vecchie dispute e per concretizzare gli obblighi di correttezza già gravanti sugli enti creditizi.
(1) La disposizione compare nel documento della seduta dell’11 ottobre 2012, n. A7-0202/2012, recante la relazione della Commissione per i problemi economici e monetari del Pe sulla proposta di direttiva. Gli emendamenti proposti modificavano, in primo luogo, il considerando n. 3, inserendovi il riferimento (mantenuto nella versione definitiva della direttiva) all’incarico del G20 al Financial stability board di elaborare valide norme per la sottoscrizione di mutui relativi a immobili residenziali.
(2) Lo stesso comma 1 dell’art. 18-bis disciplinava una diversa facoltà di variare le parti del contratto «quando si cambi casa», tale facoltà non era riconosciuta di default, bensì subordinata all’introduzione di un’apposita clausola contrattuale, (art. 18-bis, comma 1, lett. b).
(3) Beuc (Bureau européen des unions de consommateurs) Position und Ubersichten. Directive on credit agreements relating to residential property. Consumer’s remarks for trilogue, 8 febbraio 2013, p. 19.
(4) L’istituto è ricondotto da una dottrina minoritaria (CARRESI, La cessione del contratto, Milano, 1950, 123) alla figura della proposta; al contrario, l’opinione preferibile, affermata la natura contrattuale della «autorizzazione», ne ricava l’irrevocabilità (cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. III, Milano, 2000, p. 723).
(5) Art. 1, lett. p, dell’Allegato alla direttiva 93/13/CE.
(6) La vessatorietà della clausola, in ogni caso, sarebbe stata molto probabilmente valutabile anche in assenza di una disposizione siffatta. Solo prima facie, infatti, l’art. 1407 c.c. potrebbe sembrare capace di privare il giudice della facoltà di vagliare in concreto la vessatorietà di un assenso preventivo alla cessione del contratto, in quanto riproduttiva del contenuto di una disposizioni di legge (art. 34, comma 1, cod. cons.). In verità, l’ammissibilità del suddetto vaglio sarebbe stato possibile, innanzitutto, escludendo dalla portata della «esimente» di cui all’art. 34 le norme suppletive che prevedono una mera facoltà di costruzione del contratto (App. Roma, 7 maggio 2002, in Foro it., 2002, c. 2825. In dottrina, E. GRAZIUSO, La tutela del consumatore contro le clausole abusive, in Il diritto privato oggi, a cura di P. Cendon, Milano, 2010, p. 96; Codice del Consumo, a cura di V. Cuffaro, Milano, 2008, p. 224; P. STANZIONE - G. SCIANCALEPORE, Commentario al codice del consumo, Padova, 2006, p. 98). Un ulteriore argomento a favore della possibilità di ravvisare la nullità relativa della clausola si sarebbe potuto ricavare dall’estraneità dell’art. 1407 c.c. rispetto alla disciplina consumeristica nazionale, unica fonte capace di rendere superfluo il sindacato di vessatorietà in concreto, ineludibile nel caso di clausole regolate da una norma di diritto comune. Il 13° considerando della dir. 93/13/CEE, infatti, spiega la ratio della presunzione assoluta di non vessatorietà, circoscrivendone di conseguenza il campo di applicazione, affermando che «si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative»).
(7) G. LENER, «La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori», in Foro it., 1996, c. 145.
(8) Così l’art. 18-bis introdotto - rispetto alla proposta della Commissione - da un emendamento del Parlamento europeo. Della disposizione suddetta si dirà meglio infra.
(9) Cfr. S. TOMMASI, «Unione europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali», in Contratti, 2011, p. 956.
(10) Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, «Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione», Giugno 2004, in http://www.bis.org/ publ/bcbs107ita.pdf, § 72.
(11) Direttiva, 14 giugno 2006, 2006/48/CE, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio, Allegato VIII, § 1.3.1.
(12) Nella XVI legislatura, si veda la proposta di legge 21 settembre 2011, A.C. n 4633, Scilipoti-Frassinetti, “Impignorabilità della prima e unica casa. Modifica al codice civile artt. 2910-2911, al codice di procedura civile art. 514 e alla legge 248/2005”. Nella XVII, la Proposta di modifica n. 4.0.2 al D.d.l. n. 1465 (di conversione del D.l. 24 aprile 204, n. 66) volta ad introdurre nel disegno di legge l’art. 4-bis “Disposizioni in tema di impignorabilità della prima casa e dei beni mobili e immobili strumentali all’esercizio di imprese, arti e professioni”.
(13) Tutt’altra portata ha l’unica disposizione vigente in materia di impignorabilità della prima casa per l’adempimento delle obbligazioni tributarie, vale a dire l’art. 52 del D.l. 21 giugno 2013, n. 69, che (sostituendo l’art. 76 del D.P.R. 602/1973) dispone che «l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso … è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente».
(14) Pdl Scilipoti, cit., che a rimarcare l’inalienabilità dell’unica abitazione del debitore aggiungeva: «Non è ammessa forma alcuna di restrizione salvo espropriazione per motivi di interessi generale e salvo indennizzo». La proposta, ancora, emendava l’art. 2911 sollevando il creditore dall’onere di pignorare il bene gravato da ipoteca.
(15) Proposta di modifica n. 4.0.2 al D.D.l. n. 1465, cit., presentata da diciassette Senatori iscritti al gruppo «Movimento 5 stelle» e anch’essa volta ad integrare il testo dell’art. 2910 c.c.
(16) In aggiunta, il citato n. 2 del nuovo terzo comma dell’art. 2910 c.c. escludeva l’impignorabilità nel caso in cui un familiare del debitore avesse ceduto a terzi diritti reali su altri immobili nel periodo di esecuzione del contratto di credito.
(17) «3) che il valore del fabbricato di cui al n. 1 sia inferiore ad euro 200.000,00. Il valore dei fabbricati, ai fini di quanto testé disposto, è calcolato in misura pari all’importo stabilito a norma dell’art. 52, comma 4, del T.D. delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26/4/1986, n. 131 e moltiplicato per tre; qualora non sia possibile determinare il valore alla stregua di quanto precede, il valore è determinato ai sensi dell’art. 79, comma 2, del D.P.R. 29/9/1973, n. 102».
(18) Una rassegna delle decisioni della Corte costituzionale sul punto si trova nello studio n. 191: «La tutela dei “soggetti deboli” come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale», a cura di M. Bellocci P. Passaglia, www.cortecostituzionale.it, p. 29 e ss.
(19) Cass., 30 maggio 2000, n. 7142, in Sistema leggi d’Italia Wolters Kluwer, cfr. M. GRAMATICA, Degli organi preposti al fallimento, in P. PAJARDI, Codice del fallimento, Milano, 2013, p. 584.
(20) Cfr. R. HYNES - A. MALANI - A. POSNER, «The Political Economy of Property Exemption Laws», in Journal of law and economics, 2004, p. 19.
(21) Corte Giust., 10 settembre 2014, Causa C-34/13, Monika Kusionová c. SMART Capital, a.s. La Corte, ha ritenuto che la direttiva 93/13/CE in materia di clausole vessatorie non osta ad una normativa nazionale che consente il recupero stragiudiziale di un credito fondato su clausole contrattuali eventualmente abusive, attraverso la realizzazione di un diritto reale di garanzia qualora questo non impedisca al consumatore di recuperare la proprietà dell’immobile una volta accertata in sede giudiziale la nullità del contratto costitutivo della garanzia.
(22) Sul complesso quadro europeo in cui si inscrive il rilievo primario del diritto all’abitazione cfr. E. BARGELLI, «Locazione abitativa e diritto europeo. armonie e disarmonie di un capitolo del diritto privato sociale», in Europa e dir. priv., 2007, p. 956, che rileva l’assenza di una previsione espressa nella Cedu (che tutela il connesso diritto alla vita privata e familiare, ex art. 8); dati normativi significativi sono rinvenuti nel diritto “all’assistenza abitativa” di cui all’art. 34, comma 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nel diritto all’abitazione di cui all’art. 31 della Carta sociale europea.
(23) Corte Edu, 13 maggio 2008, McCann c. Regno Unito, n. 19009/04, § 59: «the loss of one’s home is a most extreme form of interference with the right to respect for the home. Any person at risk of an interference of this magnitude should in principle be able to have the proportionality of the measure determined by an independent tribunal in the light of the relevant principles under Article 8 of the Convention»; poi ripresa da Corte Edu, 25 ottobre 2013, Rousk c. Svezia, n. 27183/04, § 137.
(24) U. BRECCIA, Diritto all’abitare, in XXI Secolo, Treccani, Roma, 2009, pone a confronto le Carte Costituzionali europee a partire da quella di Weimar (che, all’art. 155, funzionalizzava il controllo del territorio all’obiettivo di assicurare «ad ogni tedesco un’abitazione sana»). Il diritto di abitazione è espressamente riconosciuto, nell’ultimo quarto del Secolo scorso, dalle Costituzioni spagnola e portoghese.
(25) C. Cost., 23 luglio 1996, n. 302, in Giur. cost., 1996, p. 2495, pronunciata con riguardo all’art. 39, comma 8, della L. n. 724/1994: «la normativa sul condono risponde adeguatamente proprio alla finalità di realizzare un contemperamento dei valori in gioco, quelli del paesaggio, della salute, della conformità dell’iniziativa economica privata all’utilità sociale, della funzione sociale della proprietà da una parte, e quelli, pure di fondamentale rilevanza sul piano della dignità umana, dell’abitazione e del lavoro dall’altra», citata criticamente da E. NAVARRETTA, «Diritto civile e diritto costituzionale», in Riv. dir. civ., 2012, p. 675. La natura di «fondamentale diritto sociale» del diritto all’abitazione si fa risalire a C. Cost. 7 aprile 1988, n. 404, che estendeva il diritto di succedere nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza a favore del già convivente quando vi sia prole naturale.
(26) G. TARELLO, La disciplina costituzionale della proprietà. Lezioni introduttive, Corso di diritto civile, Genova, 1973, p. 51-52.
(27) . DE VITA, voce Diritto alla casa in diritto comparato, in Dig. disc. priv., sez. civ., VI, Torino, 1990, § 9.
(28) U. BRECCIA, Il diritto all’abitazione, Milano, 1980, p. 4.
(29) L’importanza del mutuo nell’ “accessibilità” dell’acquisto è rilevato dall’indicatore di accessibilità (affordability index) evidenziato nel Rapporto immobiliare 2014 del 13 maggio 2014, (relativo all’anno 2013) dell’Osservatorio mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate.
(30) F. BILANCIA, Brevi riflessioni sul diritto all’abitazione, in Diritti fondamentali e politiche dell’Unione europea dopo Lisbona, a cura di Guarriello-Puoti, Rimini, 2013, p. 274.
(31) F. MERUSI, Commento all’art. 47, in Commentario della Costituzione, Rapporti economici, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, p. 198, p. 154.
(32) G. TARELLO, op. cit., p. 55.
(33) F. BILANCIA, op. cit., p. 275.
(34) Sia consentito di rinviare, per l’enunciazione di un paradosso non del tutto dissimile, a G.F. AIELLO, «La predeterminazione legale del danno alla persona verso un nuovo scrutinio della consulta», in Resp. civ. prev., 2012, p. 589, dove si afferma che la protezione della stabilità del mercato assicurativo è funzionale alla garanzia di risarcibilità del danno biologico da sinistro stradale e, dunque, la calmierazione dei risarcimenti individuali è indispensabile per garantire l’effettività della tutela del diritto alla salute.
(35) «Financial stability board», Thematic Review on Mortgage Underwriting and Origination Practices, 17 marzo 2011, p. 26 e ss.
(36) Una sintesi dei riferimenti dottrinari sulla «esclusione finanziaria» si trova nel rapporto della Commissione Europea “Financial Services Provision and Prevention of Financial Exclusion” di marzo 2008, che la definisce come «a process whereby people encounter difficulties accessing and/or using financial services and products in the mainstream market that are appropriate to their needs and enable them to lead a normal social life in the society in which they belong».
(37) Doc. n. A7-0202/2012, relazione della Commissione per i problemi economici e monetari, cit., p. 131 «La valutazione deve essere solida ma per evitare l’esclusione finanziaria; occorre usare buonsenso per proteggere i consumatori da decisioni arbitrarie o ingiustificate di rifiuto del credito».
(38) Inserita nel capo 6, relativo alla valutazione del merito creditizio.
(39) L’ultimo periodo obbliga il creditore, sempre che il rifiuto sia basato sul risultato della consultazione di una banca dati, ad informare «il consumatore dei risultati di detta consultazione e indica gli estremi della banca dati consultata». Sul punto v. Cass., 9 gennaio 2013, n. 349, in Sistema leggi d’Italia Wolters Kluwer.
(40) Un catalogo di ipotesi è inizialmente offerto da G.B. PORTALE, Tra responsabilità della banca e “ricommercializzazione” del diritto commerciale, in Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, a cura di Maccarone - Nigro, Milano, 1981, p. 263 e ss. A. CASTIELLO D’ANTONIO, «Crisi d’impresa e responsabilità della banca: “revoca brutale” del fido, concessione abusiva di credito», in Dir. fall. e soc. comm., 2009, p. 290; C. MARSEGLIA, «Rottura brutale del credito e responsabilità della banca», in Banca, borsa, tit. cred., 2008, p. 86; A. NIGRO, «La responsabilità della banca nell’erogazione del credito», in Le Società, 2007, p. 437; A. CASTIELLO D’ANTONIO, «La banca tra “concessione abusiva” e “interruzione brutale” del credito», in Dir. fall. e soc. comm., 2005, p. 765; M. MELINA, «Emissione di assegno su conto scoperto e “rottura brutale del credito”», in Banca, borsa, tit. cred., 2001, p. 203.
(41) Cass., 21 maggio 1997, n. 4538, in Foro it., 1997, I, c. 2479, con nota di Caputi; in seguito Cass., 14 luglio 2000, n. 9321, in Contratti, 2000, p. 1111; Cass., 26 settembre 2000, n. 12724, in Contratti, 2001, p. 230. Il tema, com’è ampiamente noto, è tornato agli onori delle cronache a seguito della celeberrima «sentenza Reanult», Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Foro it., 2010, I, p. 85.
(42) Arbitro bancario finanziario, Collegio di Napoli, 5 marzo 2014, n. 1291, in http://www.arbitrobancariofinanziario. it, rel. G. Conte.
(43) Comunicazione Banca d’Italia, Gestione degli esposti: relazioni con la clientela, 22 ottobre 2007, p. 6 e ss. Il fondamento di tale potere dell’autorità di vigilanza è oggi rinvenibile nell’art. 128-decies del T.U. bancario (introdotto dall’art. 11, D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141), che consente alla Banca d’Italia di stabilire «ulteriori regole per garantire trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela».
(44) La finalità di combattere l’esclusione finanziaria è ivi dimostrata dall’ulteriore raccomandazione che la Banca d’Italia rivolge agli intermediari che rifiutano il credito: «è opportuno che, in caso di situazioni di particolare disagio di tipo economico o personale, gli intermediari seguano la prassi di fornire al cliente indicazioni circa confidi, associazioni o fondazioni che operano nella prevenzione antiusura ovvero in merito a iniziative di micro-credito conosciute e operanti nella zona».
(45) E. NAVARRETTA, L’ingiustizia del danno e i problemi di confine tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale, in Trattato di Diritto civile Lipari-Rescigno, vol. IV, III, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, p. 234, dove il richiamo a dati normativi (in particolare, l’art. 21, lett. a, del T.U. sull’intermediazione finanziaria 58/1998; l’art. 11 D.lgs. 196/2003; l’art. 2598, n. 3 c.c.) è impiegato per dimostrare che il legislatore assoggetta ai doveri di correttezza anche relazioni non obbligatorie, al fine di confutare uno degli assi portanti della teoria del contatto sociale e dell’obbligazione senza prestazione (su cui Forma e sostanza dell’interesse legittimo nella prospettiva della responsabilità tra contratto e torto, in La nuova responsabilità civile, 2.a ed., Milano, 1997, 177).
(46) E. NAVARRETTA, «Forma e sostanza dell’interesse legittimo nella prospettiva della responsabilità», in Danno resp., 1999, p. 949.
(47) L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967; EAD., voce Interesse legittimo: diritto privato, in Digesto civ., IX, Torino, 1993. Una panoramica delle posizioni dei privatisti sulla configurabilità di una categoria siffatta nell’ambito della teoria generale del diritto all’indomani della fondamentale Cass. 500/99 si trova in E. NAVARRETTA, «Forma e sostanza dell’interesse legittimo nella prospettiva della responsabilità», cit., p. 949.
(48) I giudici di legittimità hanno impiegato la locuzione, in particolare, per etichettare la posizione soggettiva del dirigente pubblico aspirante all’incarico (Cass., 18 giugno 2014, n. 13867; Cass., 23 settembre 2013, n. 21700; Cass., 26 giugno 2013, n. 16097, in Sistema leggi d’Italia Wolters Kluwer) nonché quella del lavoratore privato che persegua un avanzamento di carriera per mezzo di un concorso bandito dal datore di lavoro con conseguente indicazione di criteri di selezione (Cass. 4 marzo 2004, n. 4462, in Danno e resp., 2004, p. 1013).
(49) L. BIGLIAZZI GERI, voce Interesse legittimo: diritto privato, cit., § 9.
(50) Arbitro bancario finanziario, Collegio di Napoli, 5 marzo 2014, n. 1291, cit.
(51) E. NAVARRETTA, Il danno non patrimoniale e la responsabilità extracontrattuale, in Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a cura di E. Navarretta, Milano, 2010, p. 30.
(52) Cfr. P. RESCIGNO, «Per uno studio sulla proprietà», in Riv. dir. civ., 1972, p. 55, che ravvisa un nesso tra alcune figure di proprietà - tra le quali la proprietà dell’abitazione - e i diritti inviolabili dell’uomo.
(53) Sulla possibilità di riscontrare un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale per lesione di affidamento incolpevole nel caso di erogazione di un finanziamento “non sostenibile”, cfr. E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, spec. p. 91 e ss.
(54) Espressamente contemplato, anche nell’allora art. 18-bis poi divenuto 26, da numerosi emendamenti presentati da Parlamentari europei.
(55) Elemento enfatizzato dai primi commentatori, cfr. D. LEGEAIS, «Crédit immobilier à la consommation - Directive sur le crédit immobilier», in RTD Com., 2014, p. 380.
(56) Lo rilevava, a proposito della proposta della Commissione, ma con considerazioni valide per il testo approvato, C. KÖNIG, «The creation of an internal market for mortgage loans: A never ending story?», in Swedish Institute for European Policy Studies - European Policy Analysis, 2013, 2.
(57) Nel considerando (26) vengono esplicitamente menzionati l’International Valuation Standards Committee, lo European Group of Valuers’ Associations e la Royal Institution of Chartered Surveyors.
(58) Per tutti A.A. DOLMETTA, «Credito fondiario e limite di finanziabilità. Critica della sentenza di Cass. n. 26672/2013», in Vita not., 2014, p. 37.
(59) Cass., 28 novembre 2013, n. 26672, La sentenza smentisce l’impostazione accolta da numerose pronunce di merito, che avevano dichiarato la nullità dei contratti di mutuo fondiario conclusi in violazione dell’art. 38, comma 2, del T.U. bancario. La disposizione, secondo la Suprema Corte, pone norme di «buona condotta la cui violazione potrà comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia, nonché eventuale responsabilità, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo». Una razionalizzazione della disorganica giurisprudenza di legittimità in materia si trova in S. PAGLIANTINI, «La logica (illogica) dell’art. 38 Tub ed il canone (mobile) della Cassazione», in Contratti, 2014, p. 439, che inquadra in tre filoni le principali tesi sulle conseguenze della violazione della norma: due la identificano come regola di validità del contratto (ricavandone, rispettivamente, la conseguenza della «nullità bancaria testuale» ex art. 117, comma 8 Tub ovvero della nullità «di diritto comune»); l’altro indirizzo qualifica l’art. 38 come regola di responsabilità.
(60) A.A. DOLMETTA, op. cit., p. 42.
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