I libri contabili nella responsabilità del cessionario per i debiti inerenti all’azienda ceduta
I libri contabili nella responsabilità del cessionario per i debiti inerenti all'azienda ceduta(*)
di Ciro Caccavale
Notaio in Ercolano, Associato di Diritto commerciale, Università di Napoli “Parthenope”
1. La sorte dei debiti dell'azienda ceduta: il carattere bivalente della questione (tra prospettiva interna e prospettiva esterna)
Le brevi riflessioni che seguono traggono spunto dalla rilettura di una decisione giurisprudenziale, non più recentissima, intervenuta nell'ambito della eclatante vicenda del dissesto di un gruppo industriale italiano molto noto (Trib. Milano, 10 aprile 2004, ord.).
Il giudizio è nella sua fase cautelare e alcuni degli investitori danneggiati, nel far valere le proprie ragioni (anche) nei confronti della società incaricata, come revisore principale, della revisione contabile del gruppo (deducendone la responsabilità per violazione dei doveri che regolano l'attività di revisione contabile), ne chiedono il sequestro cautelativo dei beni mobili e immobili; agiscono, tuttavia, anziché contro la società che all'epoca dei fatti era incaricata della revisione dei conti, nei confronti della società alla quale quest'ultima aveva ceduto la propria azienda, ovvero il ramo concernente l'attività di revisione e organizzazione contabile.
Bisogna sapere che la cessionaria aveva assunto la medesima denominazione della cedente, aveva stabilito la sede nel medesimo indirizzo della sede di quest'ultima e aveva affidato la carica di presidente del C.d.a. alla stessa persona cui competeva già la presidenza della cedente stessa, che intanto, dal canto suo, era stata posta in liquidazione, con diversa denominazione.
Evidentemente, presupposto necessario per l'autorizzazione del richiesto sequestro era che la società cessionaria dovesse rispondere per il debito risarcitorio della cedente. Fatto è che, nel caso di specie (tralasciando ogni altra questione che non interessa ai nostri fini), il divisato debito non risultava iscritto nei libri contabili obbligatori di quest'ultima.
Che cosa il giudice abbia deciso lo vedremo in seguito; nel frattempo la vicenda ci conduce immediatamente al tema, che ci riguarda, della sorte che subiscono i debiti dell'azienda quando questa venga trasferita per atto tra vivi.
Nella disciplina dedicata all'azienda il codice civile se ne occupa all'art. 2560, il quale sancisce che, in caso di trasferimento, l'acquirente, a certe condizioni, risponde anche lui dei debiti aziendali, mentre l'alienante non ne è liberato, salvo che i creditori vi abbiano consentito.
A parte l'interrogativo, rispetto al quale ancora non si è pervenuti ad una risposta univoca, in ordine all'oggetto del consenso che i creditori devono esprimere affinché l'alienante venga liberato – se, cioè, debba trattarsi di una generica adesione all'atto di cessione oppure di una puntuale dichiarazione di esonero - ancora non del tutto esaurita è pure la questione concernente l'allocazione dei debiti aziendali nei rapporti interni tra cedente e cessionario.
Come è noto, da una parte, si sostiene che il trasferimento comporti, come effetto naturale, il subingresso dell'acquirente anche nei debiti aziendali, cosicché è a suo carico che grava il relativo peso economico, dall'altra, si nega che tale effetto sia disposto dalla legge e si assume - (tenuto conto che l'art. 2560 tace sul punto e che ai debiti non può riconoscersi la natura di beni) – che esso effetto possa dipendere soltanto dal concreto regolamento contrattuale (a tal riguardo dovendosi poi distinguere tra quanti pretendono una puntuale previsione pattizia in tal senso e quanti (in sintonia con la più moderna concezione del contratto) ritengono di poter argomentare l'accollo anche dalla natura dell'affare che al contratto è sotteso).
Tale questione, tuttavia, sebbene sia di sicuro interesse, non solo nella prospettiva teorica ma anche nell'ottica della tecnica contrattuale (anche notarile), è già stata posta al centro di un ampio dibattito e in questa occasione ben poco si potrebbe aggiungere alla gamma delle opinioni già espresse .
La questione sulla quale vale invece la pena di svolgere adesso qualche considerazione è quella, pure molto delicata (come lascia intravedere la vicenda giudiziaria dalla quale ci si è mossi), della responsabilità dell'acquirente dell'azienda, verso l'esterno, nei confronti dei creditori dell'alienante, e dei presupposti ai quali, per legge, l'assoggettamento alla divisata responsabilità è subordinato: in merito ad essa non avendo ancora raggiunto, l'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza, esiti del tutto soddisfacenti.
2. Le istanze di tutela coinvolte nella responsabilità del cessionario nei confronti dei creditori aziendali
Ad una prima lettura potrebbe sembrare che il già richiamato art. 2560 (che per l'appunto si occupa della sola incidenza del trasferimento dell'azienda nei confronti dei creditori) non susciti alcun problema interpretativo.
Il testo del suo comma 2, che qui precipuamente interessa, parrebbe inequivoco nel sancire, anche mediante rinvio al comma 1, che la responsabilità per i debiti dell'alienante si estende all'acquirente se:
a) ineriscano all'azienda ceduta;
b) siano anteriori al trasferimento;
c) risultino iscritti nei libri contabili obbligatori e
d) l'azienda (ovvero l'impresa cui l'azienda trasferita inerisce) sia non agricola ma commerciale (evidentemente, poi, di non piccole dimensioni, atteso che al piccolo imprenditore il codice civile non impone la tenuta della contabilità e in relazione alla sua azienda mai potrebbe ravvisarsi la sussistenza di quei libri contabili obbligatori che invece la norma al vaglio contempla).
La ratio legis, dal canto suo, sembrerebbe giustificare appieno il dato testuale.
L'accollo ex lege, disposto dalla norma al vaglio (indipendentemente da un'assunzione del debito da parte del cessionario), è sancito, e perciò in via inderogabile, a tutela dei creditori: l'impresa è finanziata, infatti, in considerazione (o per lo meno anche in considerazione) della sua redditività e sul presupposto che l'imprenditore sia in grado di restituire il finanziamento con i proventi che derivino dal suo esercizio, cosicché l'azienda costituisce per i creditori una importante garanzia, non nel senso che in sede esecutiva vantino su di essa diritti di prelazione di sorta, ma in quanto costituisce strumento, nel quale essi creditori ripongono affidamento, della capacità finanziaria del loro debitore. Conseguentemente, quando si verifica che l'imprenditore si spogli della azienda, ricevendone semmai in cambio un bene estremamente volatile e facile da occultare quale il denaro, è per evitare che l'operazione si ripercuota a danno dei suoi creditori, che si consente a costoro di rivalersi anche nei confronti del cessionario, che per l'appunto consegue con l'azienda la disponibilità di quel bene al quale sono rivolte le di loro aspettative.
In ultima istanza, nel preservare al massimo grado la posizione dei creditori dell'impresa, viene perseguito lo stesso interesse di quest'ultima a ricevere credito, laddove il ricorso all'indebitamento è essenziale per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale.
Le istanze di tutela del credito non potevano però rendere neglette quelle di tutela dell'affidamento dell'acquirente e, in definitiva, le istanze di promozione della circolazione dei beni sul mercato, inclusi i beni produttivi, la cui riallocazione presso terzi (talvolta necessaria per incrementarne l'efficienza o addirittura per impedirne la disgregazione) resterebbe pesantemente ostacolata ove l'acquirente potesse essere chiamato a rispondere per i debiti aziendali indipendentemente dalla circostanza che in occasione dell'acquisto ne abbia avuto o possa averne avuto conoscenza.
Proprio al fine di impedire che l'acquisizione di un'azienda si traduca in una operazione oltremodo costosa, a causa di pesanti oneri di indagine da assolversi preventivamente da parte di colui che intenda rendersene acquirente, e si tramuti in definitiva in operazione altamente aleatoria, per contemperare gli opposti interessi in gioco, si è limitata la responsabilità di quest'ultimo ai soli debiti aziendali dei quali possa acquisire agevolmente contezza prima della conclusione del contratto di acquisto: in essi avendo identificato finalmente quelli che risultano iscritti nei libri contabili obbligatori.
3. I debiti contrattuali e i rapporti contrattuali in corso nella circolazione dell'azienda: interferenze e distinzioni
In via preliminare è il caso di ricordare che, a definire il regime dei debiti aziendali, concorre anche la previsione dell'art. 2558, c.c., ove disciplinandosi la successione nei contratti, è sancito, diversamente da quanto disposto dall'art. 2560, che:
a) l'acquirente vi subentra ex lege (purché non si tratti di contratti a carattere personale) sostituendosi al contraente originario che aliena l'azienda (successione privativa);
b) le parti possono escludere tale subingresso;
c) la vicenda non è condizionata dalle risultanze contabili: in particolare l'acquirente subentra nei contratti aziendali indipendentemente dalla iscrizione delle relative poste nei libri contabili obbligatori.
Il subingresso nei contratti, equivalendo al subingresso nei relativi rapporti, implica anche subingresso, con rilevanza altresì esterna, nei debiti che ne derivano, cosicché occorre essere d'accordo sulla definizione dei rispettivi ambiti di competenza delle due discipline: quella sulla successione nei contratti (e nei debiti (oltre i crediti) in essi incardinati) e quella sulla responsabilità per i debiti (puri).
Ebbene, dalla lettura dell'art. 2558, sembrerebbe potersi desumere, in estrema sintesi (tralasciandosi le puntualizzazioni e i distinguo pure molto importanti che meriterebbero d'essere compiuti), che essa trovi applicazione quando si tratti di contratti (aziendali in senso stretto o di impresa) a prestazioni corrispettive (esclusi dunque i contratti unilaterali), dei quali entrambe le parti debbano ancora eseguire le rispettive prestazioni, integralmente o anche soltanto parzialmente, purché, qualora il contratto abbia già ricevuto parziale esecuzione, permanga tra i segmenti ineseguiti delle reciproche prestazioni il medesimo equilibrio che avvinceva le prestazioni stesse nella loro interezza.
E' soltanto la ricorrenza di tali circostanze che consente infatti di ritenere sufficientemente preservate, tanto le ragioni dell'acquirente della azienda, che ai sensi di legge subentra nei contratti ancorché non ne abbia avuto o possa non averne avuto contezza; tanto le ragioni del terzo contraente, che, pur senza averlo consentito, si vede sostituita la originaria sua controparte.
Sebbene nasca allora da contratto, dovrebbe ritenersi ugualmente assoggettato alla disciplina dell'art. 2560, e non dell'art. 2558, sia il debito per il pagamento del prezzo di un bene già trasferito al cedente o di una fornitura già eseguita in suo favore prima dell'alienazione dell'azienda; sia il debito da responsabilità a titolo di garanzia per i vizi di un prodotto già venduto e saldato; sia il debito da restituzione di un mutuo feneratizio già erogato al cedente stesso.
4. I regimi speciali di alcune categorie di debito
Alcune categorie di debito, a ragione degli interessi di ordine superiore che vi sono implicati, sono assoggettate ad un regime speciale, alla cui stregua la responsabilità dell'acquirente dell'azienda viene affrancata dall'iscrizione nei libri contabili obbligatori.
Una deroga al regime ordinario è dettata in via generale per i debiti da lavoro subordinato e per i debiti tributari.
Quanto ai primi, l'art. 2112, c.c. (dopo aver sancito, al comma 1, che, in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario), statuisce, al comma 2, che il cedente e il cessionario sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore vanta al tempo del trasferimento ancorché non appostati in scritture contabili.
A tale riguardo è opportuno segnalare che:
a) i debiti in questione sono soltanto quelli verso i lavoratori ancora alle dipendenze dell'azienda ceduta, mentre per i debiti verso lavoratori non più in forza all'azienda vige la regola generale;
b) deve trattarsi di debiti nei confronti dei lavoratori e non di debiti ai quali il datore di lavoro è tenuto verso istituti previdenziali;
[c) la responsabilità si estende anche all'affittuario e all'usufruttuario dell'azienda].
Con riguardo ai debiti di natura tributaria, viene all'attenzione l'art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ove si prevede la responsabilità del cessionario dell'azienda, salvo il beneficio della preventiva esecuzione del cedente, entro i limiti del valore dell'azienda stessa, per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nello stesso periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. La responsabilità è limitata ai debiti risultanti, alla data della cessione, agli atti dell'Amministrazione finanziaria e, come si è già evidenziato, non è subordinata alla appostazione contabile.
Gli uffici anche su richiesta del (futuro) cessionario sono tenuti a rilasciare apposito certificato e il cessionario resta esonerato da responsabilità, sia nel caso in cui il certificato non evidenzi violazioni, sia nel caso in cui il certificato non venga rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta.
Significativi profili di specialità sono previsti anche per i debiti (oltre che per i contratti) afferenti alle aziende bancarie dall'art. 58 D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385.
Rispetto al regime ordinario è ivi contemplata, sempre in relazione al profilo esterno della vicenda, una espressa deroga in ordine alla liberazione del cedente, essendo sancito, in ragione della peculiarità delle operazioni di riallocazione delle aziende bancarie, che i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dalla iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto di cessione, di esigere l'adempimento sia dal cedente sia dal cessionario, ma trascorso tale termine il cessionario risponde in via esclusiva.
Nulla è detto nella disciplina di settore circa il presupposto dell'iscrizione nei libri contabili: al riguardo dovendosi allora segnalare che, sebbene non manchino voci che reclamino l'applicazione della regola di diritto comune, la dottrina prevalente ritiene che la disciplina codicistica sia stata derogata da quella speciale, implicitamente, anche per questo ulteriore profilo e che, pertanto, la responsabilità del cessionario prescinda dalla predetta registrazione nella contabilità.
5. Le scritture contabili rilevanti per la responsabilità del cessionario
La disamina del rapporto che intercorre tra la responsabilità dell'acquirente dell'azienda per i debiti aziendali e la loro registrazione contabile, induce a spendere qualche parola anche sulla nozione di libri contabili obbligatori menzionati dalla norma in esame.
Come è noto l'ordinamento, nell'imporre la tenuta della contabilità, - in funzione innanzitutto di una gestione ordinata e attenta, quale presupposto dell'efficienza dell'impresa -, ha prescritto che l'imprenditore si doti non solo dei libri all'uopo nominativamente indicati (cd. scritture obbligatorie nominate), ma anche di ogni altra scrittura richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa (cd. scritture obbligatorie innominate) (art. 2214, c.c.).
Prese alla lettera, alcune affermazioni della dottrina e della giurisprudenza, che individuano il presupposto della responsabilità nella appostazione nelle scritture contabili obbligatorie tout court, potrebbe lasciare intendere che sia indifferente che il debito risulti da scritture obbligatorie nominate (libro giornale o libro inventari) o da scritture obbligatorie innominate (ad esempio, ma l'elencazione è soltanto esemplificativa: libro e conti di mastro, libro magazzino, libro dei cespiti ammortizzabili, libro dei conti correnti).
All'opposto basta rilevare che una tale conclusione si rivelerebbe del tutto incongrua rispetto allo scopo che la norma in commento persegue.
Invero, se la responsabilità del cessionario dell'azienda è subordinata alle risultanze dei debiti dai libri contabili obbligatori perchè, a tutela del suo affidamento, si vuole che innanzitutto egli sappia con certezza quali documenti debba consultare, è facile constatare che, se il cessionario può essere all'oscuro della tenuta da parte del cedente di scritture contabili facoltative, allo stesso modo, e a giusta ragione, potrebbe ignorare la tenuta di scritture rese obbligatorie in virtù di caratteristiche peculiari dell'azienda ad acquistarsi, che potrebbe non essere stato ancora in grado di apprezzare, e da valutazioni discrezionali del cedente, che potrebbe non essere stato in grado di venire a sapere.
Del resto, l'art. 2560 menziona i libri contabili obbligatori, e tale definizione è riferita, dall'art. 2214, alle sole scritture obbligatorie tipiche, venendo quelle obbligatorie atipiche ivi definite "scritture" e non "libri".
V'è piuttosto che tra le scritture obbligatorie nominate, ed espressamente menzionate nel codice, e le scritture obbligatorie innominate, che ivi non sono specificamente indicate, accessorie o ausiliarie alle prime, si interpongono quelle obbligatorie e innominate ma strumentali a quelle nominate, l'obbligo di tenuta delle quali è indefettibile per ogni impresa e deriva per l'appunto dalla loro propedeuticità rispetto alla tenuta dei libri obbligatori nominati.
Scritture obbligatorie, innominate ma tipiche, nel senso che in nessuna impresa possono mancare in quanto funzionali al metodo contabile della "partita doppia" – l'adozione del quale è presupposta dall'ordinamento positivo ed è in definitiva propedeutico alla redazione del bilancio - sono ritenuti i conti di mastro.
Si tratta dunque di scritture la cui obbligatorietà (diversamente da quanto si è osservato per le scritture atipiche) prescinde da circostanze variamente apprezzabili ed è sancita, una volta per tutte, sebbene implicitamente, dalla normativa codicistica, cosicché una loro rilevanza ai fini della responsabilità per i debiti aziendali non parrebbe in grado di compromettere quelle esigenze di certezza che la norma al vaglio intende preservare.
In senso contrario occorre considerare che la legge non ne impone la tenuta in forma di libro, laddove l'aggregazione delle registrazioni in un libro (quale non a caso imposta per le scritture obbligatorie nominate) vale essa stessa a corroborarne l'affidabilità e, in occasione del trasferimento dell'azienda, a più compiutamente salvaguardare l'affidamento del cessionario (che prima di concludere l'affare ne consulti e verifichi per l'appunto la documentazione contabile e) le cui ragioni l'ordinamento, come si è visto, intende tutelare.
Alla categoria delle scritture contabili innominate e necessariamente obbligatorie si riconduce talvolta la "prima nota", la compilazione della quale è funzionale alla redazione del "libro giornale".
E' difficile tuttavia ritenere che le scritturazioni nella "prima nota" rispondano al requisito prescritto dall'art. 2560, in quanto le esigenze di certezza che ispirano la norma al vaglio suggeriscono di valorizzare soltanto quei dati che abbiano superato il vaglio dell'appostazione definitiva e che risultino intellegibili secondo codici comunemente condivisi, mentre i dati della prima nota sono in transito verso altre scritture, dove saranno appostati in via stabile, e i criteri delle relative registrazioni, almeno nella prassi, tollerano margini di discrezionalità ben più ampi di quelli ammessi dalle norme dell'"ordinata contabilità" richiamate dall'art. 2219 c.c.
Si dovrebbe escludere che ai fini della responsabilizzazione del cessionario valgono poi le risultanze di lettere, telegrammi e fatture, ricevute o spedite, che ai sensi di legge, in originale o in copia, l'alienante abbia conservato (ancorché rilegati in volumi) (art. 2214, comma 2, c.c.).
E ciò per più versi: sia perché (e il rilievo vale solo per la corrispondenza in entrata) è evidente che nessuna norma di esperienza consente di ritenere che lettere, telegrammi e fatture provenienti da terzi possano avvalorare l'esistenza di debiti a carico del destinatario; sia perché (e la constatazione ha a che vedere con la questione della natura di scrittura contabile o meno di tali documenti) potrebbero riportare dati espressi in termini diversi da quelli monetari o numerici propri dei dati contabili, che possono risultare sprovvisti della medesima intellegibilità di questi ultimi; sia (ancora) perché (e il rilievo prescinde dalla di loro qualificazione quali vere e proprie scritture contabili) non è imposto che nella raccolta di tali documenti si segua qualche criterio sistematico, idoneo a indirizzarne e guidarne la consultazione da parte dei terzi (potenziali acquirenti dell'azienda); sia perché si tratta ancora una volta di documenti per i quali la conservazione in forma di libro non è obbligatoria.
Non possono qualificarsi, inoltre, come "contabili" i "libri sociali", pure in alcuni tipi di società obbligatori per legge.
Più in generale restano fuori dalla previsione della norma in esame le scritture imposte da leggi speciali per finalità diverse da quelle proprie del diritto contabile e, con esse, secondo l'opinione prevalente, le scritture, pure obbligatorie, prescritte dal diritto tributario.
In ogni caso, ai fini dell'insorgere della responsabilità del cessionario, trattandosi di far valere posizioni passive a carico dell'autore delle registrazioni - coerentemente con quanto si sostiene a proposito dell'efficacia probatoria delle scritture contabili contro l'imprenditore cui appartengono (art. 2709, c.c.) - non è richiesto che i libri siano regolarmente tenuti, essendo sufficiente che il debito vi risulti annotato.
6. L'appostazione contabile quale elemento costitutivo della responsabilità del cessionario nell'opinione corrente
L'interrogativo con il quale non si può fare a meno di confrontarsi è quello della sorte, ancora una volta nella prospettiva della mera responsabilità verso i creditori, dei debiti che non risultino dai libri contabili obbligatori epperò non siano del tutto segreti.
Il caso dei debiti dei quali esso acquirente poteva acquisire conoscenza consultando fonti diverse dai libri contabili obbligatori è fuori discussione perché l'ordinamento, prevedendo quale sia lo strumento deputato a rendere conoscibili i debiti, ha inteso (come si è visto, a garanzia della certezza delle contrattazioni) circoscrivere senz'altro l'onere di indagine dell'acquirente in ordine alle fonti da consultare.
Esclusa la rilevanza della semplice conoscibilità dei debiti, qualunque sia lo strumento tecnico che la assicuri, l'interrogativo si restringe ai debiti non iscritti e nondimeno noti all'acquirente.
Sorprendentemente un'ampia maggioranza della dottrina e la giurisprudenza unanime, quest'ultima spesso in modo categorico, sostengono che la conoscenza effettiva del debito non vale a sostituire la mancanza della sua appostazione contabile.
Attenendosi all'affermazione secondo la quale l'iscrizione contabile nei libri obbligatori rileva come elemento propriamente costitutivo della responsabilità del cessionario, quest'ultimo dovrebbe rimanere esonerato tout court da responsabilità per i debiti aziendali:
a) quando l'alienante abbia effettivamente omesso di tenere i libri contabili (trattandosi di imprenditori commerciali non piccoli, tale circostanza implica sempre disobbedienza al precetto di legge, salvo, secondo una certa opinione, il caso degli imprenditori rientranti nel regime impositivo della contabilità semplificata (art. 18 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), ove si prescinde dalla tenuta dei libri disposti dal codice civile, qualora si assuma che in virtù della normativa tributaria siano stati esonerati dalla tenuta della contabilità anche agli effetti civilistici);
b) quando i libri contabili siano andati distrutti (e, di fatto, anche quando siano stati smarriti) prima del perfezionamento del contratto di cessione dell'azienda.
Il cessionario, poi, non dovrebbe rispondere del debito che non risulti appostato nemmeno se il debito sia indicato nello stesso contratto di cessione (perché, ad esempio, le parti abbiano voluto precisare che il debito stesso resti a carico del cedente) e, anzi, nemmeno se il debito sia stato da lui assunto, qualora l'assunzione a suo carico sia avvenuta mediante accollo meramente interno.
La Suprema Corte ha avuto modo di ribadire anche in tempi recenti il divisato principio, statuendo, con la perentorietà di cui si è detto, che "l'iscrizione dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente dell'azienda" e pertanto "non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza dei debiti fosse comunque conosciuta da parte dell'acquirente" (Cass. 10 dicembre 2010, n. 22831; conf., tra le altre, Cass. 3 marzo 1994, n. 2108 Cass. 20 giugno 1998, n. 6173; Cass. 20 febbraio 1999, n. 1429; Cass. 20 giugno 2000, n. 8363; Cass. 3 aprile 2002, n. 4726; Cass. 28 settembre 2004, n. 19454; Cass. 9 marzo 2006, n. 5123; Cass. 29 settembre 2006, n. 21229; Cass. 18 dicembre 2008, n. 29653; Cass. 9 ottobre 2009, n. 21481; Cass. 3 dicembre 2009, n. 25403).
7. L'exceptio doli nell'imputazione al cessionario della responsabilità per debiti non contabilizzati
Occorre sapere adesso che, nel caso giudiziario dal quale ci si è mossi, il giudice ha negato la legittimazione passiva della società cessionaria della società incaricata della revisione contabile proprio sul presupposto che il debito per responsabilità da illecito della cedente non risultava contabilizzato.
Vale la pena di riprodurre testualmente la motivazione addotta nel provvedimento: "L'acquirente di un'azienda non subentra automaticamente ex art. 2558 c.c. anche nelle obbligazioni risarcitorie per danni cagionati a terzi dal cedente durante l'adempimento di obbligazioni inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta; di tali obbligazioni può rispondere ai sensi dell'art. 2560 c.c. solo in via cumulativa e sempre che risultino dai libri contabili obbligatori dell'azienda ceduta. Nel caso di specie l'obbligazione fatta valere dai ricorrenti verso la società di revisione è un c.d. "debito puro" perché non è collegato sinallagmaticamente con altra obbligazione corrispettiva verso la società e, quindi, rientra nell'ambito di disciplina dell'art. 2560 c.c. e non dell'art. 2558 c.c. In ipotesi di cessione di azienda l'iscrizione di debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, nei libri contabili obbligatori è elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente dell'azienda e non può essere surrogata dalla prova che l'esistenza dei debiti era comunque conosciuta da parte dell'acquirente medesimo. Pertanto chi voglia far valere un proprio credito verso l'acquirente dell'azienda ceduta ha l'onere di provare fra gli elementi costitutivi del proprio diritto anche detta iscrizione, onere della prova che i ricorrenti nel caso in esame non hanno in alcun modo offerto".
L'eccesso di formalismo appare subito evidente.
Ci si sarebbe attesi che il giudice si preoccupasse per lo meno (come non è invece avvenuto) di accertare un'eventuale collusione tra cedente e cessionaria, della quale a ben vedere non mancava del tutto qualche indizio (come dovrebbe emergere anche dalla sintetica esposizione della vicenda), e si interrogasse poi sulle conseguenze (anche in ordine alla responsabilità della cessionaria per i debiti della cedente) di un eventuale accordo fraudolento.
E' regola di principio, fondata sulla clausola generale della buona fede, desumibile da più norme del diritto positivo, quella della rilevanza dell'exceptio doli, che è congegno al quale si riconosce la capacità di rendere inapplicabili norme positive nei confronti di soggetti che di esse si avvalgano per perseguire interessi la cui realizzazione nel caso concreto viene sentita nella comune coscienza come gravemente iniqua.
All'exceptio doli, - i cui punti di contatto e i momenti di interferenza con il divieto dell'abuso del diritto non possono in questa sede nemmeno essere accennati -, si riconosce, in particolare, la forza di disattivare regole formali poste a tutela della circolazione, quando giusto vengano utilizzate per finalità deprecabili, di certo diverse da quelle per le quali siano state concepite.
E' discusso quale sia la gradazione che a tal fine il dolo deve assumere.
Affinché il congegno in parola possa essere messo in azione, talvolta si pretende che ricorrano gli estremi del dolo specifico, talchè il soggetto rispetto al quale si tratta di rendere inoperante la tutela giuridica deve aver agito (caso mai corredando l'esercizio del diritto con adeguati artifizi o avvalendosi della fraudolenta cooperazione di terzi) per procurare ad altri un danno; talvolta si reputa sufficiente la ricorrenza del dolo generico, che si traduce semplicemente nella consapevolezza delle conseguenze dannose che si producono o anche possono prodursi a danno altrui (cfr., ad esempio, in materia societaria, in riferimento alle limitazioni dei poteri degli amministratori: Cass. 6 gennaio 1993, n. 1506; Cass. 8 novembre 2000, n. 14509; Cass. 2 settembre 2004, n. 17678).
Si potrebbe ipotizzare allora (a parte ogni altra considerazione in ordine alla revocabilità dell'atto) che alla stregua della regola dell'exceptio doli il cessionario venga coinvolto nei debiti dell'azienda o quando l'atto di cessione sia stato concluso con la consapevolezza del pregiudizio che, a causa della mancata registrazione contabile dei debiti, ne avrebbero risentito i suoi creditori o, a seconda del raggio di azione che ad essa regola si riconosca, quando addirittura sia stato concluso allo scopo di danneggiarli (ciò anche a prescindere dalle ipotesi di concorso in bancarotta fraudolenta (art. 216 ss. l. fall.), che pure può verificarsi: cfr., ad esempio, Cass. 9 ottobre 2009, n. 21481).
Allo stesso modo si può discutere se non integri gli estremi del dolo (generico) anche la consapevolezza, da parte dell'acquirente, che l'alienante, in spregio ai precetti di legge, non abbia tenuto affatto la contabilità aziendale o la abbia tenuta in modo palesemente inattendibile.
Non dovrebbero sollevarsi dubbi, d'altro canto, sulla responsabilità del cessionario ex art. 2560 quando questi, in previsione dell'acquisto dell'azienda, abbia in qualche modo cooperato o partecipato con il cedente alla distruzione o allo smarrimento o alla alterazione delle relative scritture contabili.
Purtuttavia l'exceptio doli è rimedio che solo in via residuale riesce ad assicurare un soddisfacente assetto delle responsabilità, in quanto postula comunque, come si è detto, una qualche forma di partecipazione, quantomeno in termini di consapevolezza, da parte del cessionario, in ordine alla negativa incidenza della cessione dell'azienda sulle aspettative dei creditori.
Ben più pregnante si prospetta pertanto una diversa ricostruzione della disciplina al vaglio, nella quale la responsabilità del cessionario dipenda in via alternativa, o dall'appostazione contabile, o - ciò che assume particolare importanza in relazione ai debiti da illecito, che nella prassi non di rado sfuggono alla registrazione in contabilità - dalla effettiva conoscenza del debito da parte di esso cessionario nel momento in cui il contratto di cessione venga concluso.
8. La surrogabilità della appostazione contabile con la conoscenza effettiva del debito non iscritto nei libri contabili
E' davvero difficile comprendere come sia potuto succedere che la teoria dell'efficacia costitutiva dell'appostazione contabile abbia riscosso tanto successo, così da divenire oramai, almeno in giurisprudenza, ius receptum.
E' certo fuor di dubbio che il requisito della iscrizione in contabilità è posto a tutela dell'affidamento, in quanto volto a limitare, nell'estensione e nei costi, l'onere dell'acquirente di assumere informazioni sui debiti aziendali.
E' però altrettanto incontestabile che rispetto ai debiti, non già soltanto riconoscibili, ma effettivamente noti, l'acquirente non deve profondere alcuno sforzo di attenzione aggiuntiva e il suo affidamento non è assolutamente a rischio, per il semplice motivo che ne ha già contezza e non deve fare alcunché per venirne a conoscenza.
Insomma, laddove si rendano opponibili al cessionario dell'azienda i debiti ad essa inerenti che, non iscritti nei libri contabili, gli siano tuttavia noti, si realizza nella maniera più piena la tutela dell'interesse dei creditori, alla quale è finalizzata la norma la vaglio, e allo stesso tempo lo sforzo di indagine e il grado di aleatorietà dell'operazione resta contenuto proprio nei medesimi limiti che l'ordinamento reputa congrui, al fine di contemperare, con l'interesse perseguito, della tutela dei creditori, l'interesse, che ad esso si contrappone, dello stesso cessionario.
Deve essere chiaro che i creditori dell'azienda meritano la medesima considerazione indipendentemente dalla circostanza che i loro crediti risultino, o meno, dai libri contabili obbligatori, e che il requisito della registrazione contabile è posto, non a tutela delle loro ragioni, ma in funzione di un interesse antagonista, quello dell'affidamento, che viene in gioco, non quale oggetto della tutela, ma soltanto quale suo limite.
Conseguentemente, se l'interesse che funge da limite non viene sacrificato oltre la previsione normativa non v'è ragione di comprimere la tutela dell'interesse che costituisce l'obiettivo perseguito dalla norma.
L'art. 2560, sulla base della sua ratio - come del resto una parte della dottrina, ancorché minoritaria, ha avuto modo di sostenere - reclama dunque di essere interpretato in via estensiva, nel senso che il cessionario debba ritenersi chiamato a rispondere anche dei debiti a lui noti sebbene non siano appostati nei libri contabili obbligatori.
La conclusione che si è prospettata può intendersi come espressiva del medesimo principio sotteso alla regola che vige nel sistema della pubblicità commerciale, che è certo evocato anche dalla norma in commento che si rivolge agli imprenditori commerciali, tenuti per l'appunto all'iscrizione nel registro delle imprese e, per mezzo dell'assoggettamento al relativo regime normativo, assoggettati alla logica di fondo alla quale esso regime è improntato, ivi essendo previsto, all'art. 2193 c.c., che i fatti non iscritti possono essere ugualmente opposti al terzo purché si provi che questi ne abbia avuto conoscenza.
Non si afferma del resto, da parte della prevalente dottrina, a riprova della sussistenza di una significativa simmetria con il sistema pubblicitario (alla cui stregua l'iscrizione rende irrilevante l'eventuale ignoranza dei fatti iscritti), che l'appostazione nei libri contabili obbligatori di questo o quel debito aziendale rende inconferente la circostanza che il cessionario della azienda li abbia o meno consultati e che, consultandoli, abbia o meno soffermato la propria attenzione sull'uno o sull'altro debito?
Anche altri sono gli spunti che l'ordinamento offre poi nel senso indicato.
Così, ad esempio, in materia di cessione di credito - e il tema dei debiti evoca facilmente quello di crediti - l'art. 1264 c.c. prevede che la notificazione al debitore ceduto, necessaria per rendergli opponibile la cessione del credito,sia sopperita dalla circostanza che, della cessione stessa, esso debitore fosse (pur in mancanza di notifica) nondimeno a conoscenza.
In tutt'altro campo, a proposito del perfezionamento della donazione mediante scambio di proposta e accettazione, per il quale l'art. 782, c.c., richiede che l'atto di accettazione sia notificato al proponente, la dottrina che pure si interroga sulla nozione di notifica, – se cioè la norma postuli o meno l'intervento dell'ufficiale giudiziario –, ammette che la conoscenza effettiva da parte del proponente dell'atto di accettazione, a lui comunque trasmesso, valga a sostituirne la notificazione.
Occorre prendere atto del resto che la stessa giurisprudenza non manca talvolta di tradire un certo disagio per l'interpretazione più rigida, della quale pure si rende inamovibile sostenitrice nelle affermazioni di principio.
Ciò è quanto sembrerebbe dato di rilevare con riguardo a quelle decisioni che applicano il regime dei contratti, quale congegnato dall'art. 2558, che prescinde dal requisito dell'iscrizione nei libri contabili delle relative poste, anziché il regime dei debiti di cui alla norma al vaglio, in relazione a situazioni nelle quali a carico del cedente dell'azienda fossero pendenti, al momento della cessione, soltanto poste passive (cfr., ad esempio, Cass. 11 agosto 1990, n. 8219, e Cass. 29 aprile 1999, n. 4301, nonché, su questa stessa direttrice ma al diverso scopo di responsabilizzare l'affittuario dell'azienda non assoggettabile alla previsione dell'art. 2660, comma 2, Cass. 19 gennaio 2004, n. 11318).
Emblematica essendo, poi, di questo medesimo disagio, l'opinione, pure autorevolmente sostenuta, secondo la quale il cessionario subentrerebbe nel debito per il pagamento degli interessi e per la restituzione della somma capitale derivante da mutuo feneratizio, erogato a favore del cedente, alla stregua dell'art. 2558, e quindi indipendentemente dall'appostazione contabile di esso debito, sebbene la prestazione della parte mutuante debba ritenersi, a seconda di come si intende la fattispecie del mutuo oneroso, o già eseguita integralmente, o almeno eseguita in una misura tale che non più attuali sono le ragioni sottostanti la disciplina della successione nei contratti essendo oramai entrate in gioco quelle sulle quali poggia invece il regime dei debiti.
Vero è allora che, per tutelare in modo soddisfacente i creditori aziendali, non occorre che si sottraggano all'imperio dell'art. 2560 situazioni che ad esso vanno naturalmente ricondotte, ma basta che questa stessa norma venga interpretata coerentemente con la propria ratio, e non venga intesa quale strumento di immotivate deresponsabilizzazioni.
(*) Il presente scritto costituisce uno stralcio riadattato di una più ampia trattazione del tema da parte dello stesso autore, di prossima pubblicazione.
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