Marchi, brevetti, segreti aziendali e altre privative industriali rappresentano una delle componenti tipiche del complesso di beni organizzato al fine di svolgere attività d'impresa. Questo stretto rapporto tra trasferimento di azienda e circolazione dei diritti di proprietà industriale è un dato di comune evidenza in un'economia industrialmente evoluta nella quale la ricerca tecnologica, almeno nel settore privato, si svolge in modo assolutamente prevalente attraverso strutture complesse organizzate in forma imprenditoriale. Tale rapporto è ancora più necessitato per le privative che costituiscono i segni distintivi dell'attività d'impresa. Non è un caso che proprio in quest'ultimo ambito, come si vedrà, si trovino le uniche norme di carattere sostanziale che il legislatore ha dettato in materia.
Secondo buona fede, si devono intendere trasferiti con l'azienda tutti i beni che la compongono – e quindi anche i corrispondenti diritti di proprietà industriale – salvo che sia diversamente disposto dalle parti in modo espresso. Tale circostanza, oltre ad escludere la necessità di individuare nell'atto i singoli beni in modo analitico, implica che debbano considerarsi trasferiti anche privative non titolate come i segreti aziendali e le invenzioni non brevettate e che quindi colui che cede l'azienda abbia l'obbligo di comunicarli al suo avente causa(1). D'altra parte, è preferibile effettuare comunque la menzione espressa dei beni aziendali quando la forma scritta sia richiesta a pena di nullità del relativo atto di circolazione o per la sua successiva trascrizione(2).
Sotto il profilo degli obblighi formali, licenze e cessioni, in base alle norme nazionali, non sono di per sé soggetti a regole specifiche né a fini di validità né a fini probatori, sebbene, in considerazione della complessità e del valore di tali accordi, nella prassi venga quasi sempre utilizzata la forma scritta(5). Si può quindi parlare, nei casi in cui il particolare bene trasferito ed il tipo di atto utilizzato richiedano la trascrizione, di una forma ad regularitatem, funzionale al compimento degli oneri pubblicitari, salve le deroghe che si illustreranno. Un'eccezione è rappresentata dal marchio comunitario e dalla domanda di brevetto europeo, dal momento che per la loro cessione è richiesta la forma scritta a pena di nullità. D'altra parte, per il marchio questa regola è derogata proprio nel caso in cui lo stesso sia trasferito insieme alla totalità dell'azienda(6).
Infine, potrebbe essere necessario osservare dei requisiti formali a pena di nullità a seconda del titolo dell'attribuzione. Con particolare riferimento alle cessioni, ad esempio, nulla impedisce che le parti si possano accordare per disporre del titolo in modo gratuito(7). In tale caso si dovrà verificare se sussista anche una causa di liberalità, ipotesi nella quale sembra corretto che trovino applicazione alcune delle regole proprie della donazione, tra cui, in particolare, per ciò che qui interessa, quelle relative agli oneri di forma, a garanzia della spontaneità del trasferimento.
Si è detto come il legislatore detti alcune regole di carattere sostanziale con riferimento alla circolazione dei segni distintivi dell'attività d'impresa: il riferimento è, in primo luogo, alle disposizioni del Codice civile sulla presunzione relativa di trasferimento del marchio unitamente all'insieme dell'azienda, introdotta nel 1992, e sul trasferimento della ditta(8).
Per quanto riguarda la regola prevista per i marchi, essa ha una portata molto ampia in quanto, applicandosi a segni figurativi, denominazioni di fantasia e ditte derivate, ne rimangono esclusi solo i marchi che contengono il patronimico dell'alienante, a tutela del diritto di quest'ultimo di continuare ad utilizzare in proprio il marchio che rechi il suo nome.
Il legislatore italiano del 1992, riformulando la norma del Codice civile, ha introdotto la libertà di disporre di tale privativa, mediante cessione o licenza, teoricamente anche senza alcun elemento dell'azienda(9). Questa innovazione trova tuttavia ancora oggi un limite nell'esigenza di evitare rischi di inganno per il pubblico dei consumatori non solo sull'origine dei prodotti ma anche sulle loro caratteristiche qualitative(10): dopo la riforma, infatti, non potendo più essere garantita la costanza del complesso aziendale, è apparso necessario tutelare le funzioni del marchio attraverso un maggior controllo sui relativi atti di disposizione. Un cambiamento efficacemente sintetizzato da Ricolfi, per il quale «L'assetto vigente della circolazione del marchio si situa così al punto di incontro fra il principio tendenziale della libertà di circolazione e quello cogente del divieto di inganno»(11).
E' per questo motivo che l'art. 23, comma 2 del Codice della proprietà industriale (CPI) richiede, in primo luogo, che «in caso di licenza non esclusiva, il licenziatario si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi eguali a quelli corrispondenti messi in commercio o prestati nel territorio dello Stato con lo stesso marchio dal titolare o da altri licenziatari». L'interpretazione della norma è nel senso che quando vi sia una pluralità di soggetti che ha il diritto di realizzare prodotti identici contraddistinti dal medesimo marchio è necessario garantire che tutti abbiano la stessa qualità per impedire che i consumatori possano essere tratti in inganno(12). Si tratta di una previsione apparentemente tutelata solo a livello contrattuale tra licenziante e licenziatario, ma in realtà si è sottolineato come anch'essa non sia altro che una specificazione del principio generale che vieta l'uso decettivo del marchio, e quindi debba considerarsi norma imperativa non derogabile dalle parti(13). Ciò è confermato dal fatto che, secondo l'opinione prevalente, anche in caso di inerzia del licenziante rispetto all'inadempimento del licenziatario, potrà comunque essere invocata la decadenza del marchio per uso ingannevole, prevista dall'art. 14, comma 2, lett. a) CPI(14).
La previsione dell'art. 23, comma 2 CPI viene considerata applicabile solo nel caso di licenze per prodotti identici. Tuttavia si ritengono lecite anche licenze per prodotti semplicemente affini – sia nel caso di una pluralità di licenze non esclusive, sia nel caso di licenze esclusive ma territorialmente parziali – a condizione che venga rispettato il più generale principio, dettato dall'art. 23, comma 4 CPI, secondo il quale «dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico»(15). Da questa disposizione si ricava un più generico obbligo di uniformità qualitativa, che sarà tanto più limitato quanto minore sarà l'affinità tra i prodotti, e sul cui rispetto il licenziante, unico titolare della privativa, è chiamato a vigilare(16). Si è infatti chiarito come queste prescrizioni imperative comportino non solo l'obbligo per il licenziatario di adeguarsi agli standard fissati, ma anche quello del licenziante di fornire le conoscenze tecniche necessarie a questo scopo e di vigilare sul loro rispetto(17).
Con riferimento alla cessione del marchio sono state sviluppate riflessioni analoghe, sempre basate sull'esigenza di evitare la lesione della "fede pubblica". Anche per questi contratti vale, infatti, l'obbligo dell'art. 23, comma 4 CPI di garantire che i prodotti abbiano caratteristiche e qualità corrispondenti alle aspettative del pubblico. Ciò vale, in primo luogo, nel caso di cessione in esclusiva del marchio, nel confronto tra i prodotti realizzati dal titolare anteriore e dal nuovo titolare(18). Particolarmente delicata è la circostanza nella quale si ritenga che il trasferimento del marchio, per sua stessa natura, determini un rischio di inganno per il pubblico in ragione di determinate caratteristiche del marchio o dei soggetti titolari(19).
Il problema si pone, in secondo luogo, quando il medesimo marchio sia trasferito in modo frazionato a più imprese diverse. La cessione parziale, relativa cioè solo ad alcuni prodotti, è infatti espressamente considerata ammissibile dal legislatore, purché tuttavia non si tratti di prodotti che possano creare, attraverso la loro interferenza, un rischio di confusione per il pubblico. Ciò, secondo una prima opinione, avviene quando il frazionamento riguarda «prodotti sicuramente affini, senza che le parti abbiano adottato misure idonee a evitare il pericolo di confusione»(20). Un'altra opinione sembra invece sostenere la generale illegittimità della cessione parziale per prodotti affini, dal momento che, a differenza di quanto avviene per la licenza, mancherebbe un soggetto unico titolare del marchio che possa vigilare sulla conformità qualitativa dei prodotti realizzati dai diversi cessionari(21).
Al contrario, la cessione non esclusiva, cioè limitata solo a una parte del territorio nel quale il marchio è valido, tradizionalmente è sempre considerata inammissibile. Si ritiene, infatti, che la possibilità per imprenditori tra di loro indipendenti di immettere sul mercato, seppur formalmente frazionato, prodotti identici o affini con lo stesso marchio determini di per sé un ineliminabile rischio di confusione per i consumatori(22). Lo stesso principio è considerato applicabile anche al marchio comunitario, con riferimento al quale la cessione per singoli stati è esclusa anche in considerazione del principio di unitarietà affermato dall'art. 1, comma 2 del Regolamento sul marchio comunitario (RMC)(23).
Con riferimento al marchio comunitario è infine opportuno notare la presenza di una clausola generale di salvaguardia che non è presente per il marchio nazionale: l'art. 17, comma 4 RMC prevede che, se dal trasferimento del marchio deriva un evidente pericolo di inganno del pubblico «circa la natura, la qualità o la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi per i quali è registrato», l'Ufficio comunitario competente – cioè l'UAMI – può rifiutarsi di registrare l'atto(24): una procedura amministrativa posta ancora una volta a tutela del principio di non decettività nell'uso del marchio.
E' evidente come l'articolata e complessa casistica qui riassunta richieda al notaio di verificare la compatibilità dell'assetto di interessi perseguito dalle parti con i limiti previsti per la circolazione del marchio. E' perciò necessario capire entro quali limiti la violazione della norma imperativa costituita dal divieto di inganno per il pubblico determini la nullità dell'atto che trasferisce o concede in licenza il marchio.
Se si osserva la dottrina che si è specificamente occupata di questa materia, bisogna rilevare come la nullità del contratto sia stata espressamente suggerita per molti dei casi sopra analizzati. Con riferimento alle cessioni, quando queste siano intrinsecamente ingannevoli(25), oppure quando siano frazionate territorialmente per prodotti identici o affini(26), o ancora se siano parziali per prodotti affini(27). Con riferimento alla licenza, si menziona il caso di violazione o mancato inserimento della clausola dell'art. 23, comma 2 CPI, che impone di usare il medesimo marchio per contraddistinguere prodotti identici(28), o di quella dell'art. 23, comma 4 CPI, sull'obbligo di uniformità qualitativa tra prodotti affini(29). L'ultima ipotesi è rappresentata dal contratto di cessione che ricada nel rifiuto di registrazione da parte dell'UAMI per manifesta ingannevolezza: ancora una volta diversi autori sostengono la nullità del contratto(30).
Sebbene non sia qui possibile affrontare una lunga disamina sulle teorie relative alla nullità virtuale del contratto, non si può tuttavia prescindere da un richiamo al discrimine costituito da violazioni della norma imperativa che discendano in sé dal contenuto del regolamento contrattuale e violazioni che siano invece integrate attraverso il comportamento posto in essere dalle parti, tanto nella fase delle trattative quanto nella fase esecutiva: mentre nel primo caso l'assetto di interessi è vietato dalla legge, nel secondo sono le sue modalità attuative a confliggere con la norma. Coerentemente, si ritiene che a quest'ultima ipotesi non possa essere ricollegato l'effetto della nullità del contratto(31).
Nel presente caso, sembra quindi corretto applicare la sanzione della nullità alle ipotesi di cessione di marchio che risultino intrinsecamente ingannevoli, nonché di cessioni non esclusive per prodotti identici o affini: ciò in quanto, nel primo caso per definizione e nel secondo per concorde opinione di dottrina e giurisprudenza, si ha una situazione di inganno per il pubblico che discende dalla stessa configurazione normativa del contratto attuata dalle parti e che prescinde da un concreto accertamento del comportamento adottato in sede esecutiva.
Con riferimento alle cessioni parziali per prodotti affini ed alle licenze viene invece in gioco la necessità di valutare o che non vi sia inganno per i consumatori in elementi essenziali per il loro apprezzamento o che sia garantita l'identità qualitativa tra i prodotti immessi sul mercato: pertanto, al di là di ipotesi, auspicabilmente di scuola, in cui le parti impieghino clausole che espressamente derogano nel contratto a questi obblighi, la valutazione si sposta sulle concrete modalità esecutive dell'accordo, dalle quali, tuttavia, non si può certo far discendere l'originaria invalidità del contratto(32); del resto anche la mancanza di clausole esplicite che regolino le prestazioni richieste alle parti per attuare il divieto di inganno non sembra di per sé sufficiente a rendere nullo l'accordo, considerato che questi obblighi potranno ben essere considerati impliciti, ai sensi dell'art. 1374 c.c., e correttamente adempiuti(33).
Se si considera poi la sfera di rilevanza dell'obbligo di astensione per il notaio, ai sensi dell'art. 28, comma 1 della Legge notarile, si dovrà probabilmente adottare un criterio ancora più restrittivo. L'accertamento dell'intrinseca ingannevolezza del contratto in ragione delle caratteristiche del marchio o del titolare oppure l'accertamento del rapporto di affinità tra i prodotti potrebbero infatti comportare, come si è accennato, valutazioni tutt'altro che scontate, tanto più in un contesto nel quale il dibattito dottrinario su certi profili è ancora aperto e la casistica giurisprudenziale molto limitata. In casi simili non si potrebbe perciò ritenere integrato quel requisito di manifesta invalidità della clausola, richiesto dall'ordinamento affinché il notaio si debba astenere dal compimento dell'atto(34).
Nei casi in cui manchi questo presupposto alcuni ulteriori obblighi potranno essere ricavati dalla funzione di adeguamento che incombe sul notaio. Questi dovrà infatti informare le parti delle circostanze di fatto che potrebbero determinare l'invalidità del contratto per violazione del divieto di inganno del pubblico – naturalmente laddove tali circostanze siano riconoscibili secondo la diligenza esigibile dal professionista – e proporre clausole che consentano di superare la situazione di ambiguità.
Mentre le norme sostanziali relative al trasferimento dei diritti di proprietà industriale, come abbiamo visto, sono scarse e non uniformi, il relativo sistema pubblicitario è al contrario disciplinato in modo maggiormente completo e unitario.
Il Codice della Proprietà industriale prevede un sistema di trascrizione a base reale presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM) che deve considerarsi applicabile a tutte le privative industriali titolate che si acquistano mediante registrazione o brevettazione – e, pertanto, marchi registrati, invenzioni, nuove varietà vegetali, topografie di semiconduttori e modelli. In particolare, l'art. 138 CPI detta un lungo elenco di atti aventi ad oggetto diritti su beni immateriali, i quali «debbono essere resi pubblici mediante trascrizione». Tale elencazione, estremamente ampia, comprende pressoché tutti gli atti inter vivos o mortis causa che determinano modificazioni oggettive o soggettive relativamente a tali beni(35).
Sotto il profilo delle funzioni, la trascrizione, nella maggior parte dei casi, consente di rendere l'atto opponibile ai terzi, facendo prevalere colui che per primo ha trascritto il titolo di acquisto: un concetto espressamente affermato dall'art. 139, comma 2 CPI, riprendendo quanto già anteriormente previsto dalla legge invenzioni e dalla legge marchi(36).
E' dunque pacifico che la trascrizione risolva il conflitto tra più acquirenti dal medesimo dante causa. Maggiormente discusso in dottrina è stato il fatto che tale meccanismo garantisse l'opponibilità di un diritto personale di sfruttamento anche nei confronti degli acquirenti della titolarità sulla privativa. Si è infatti autorevolmente sostenuto che l'assolutezza del diritto, con riferimento ai beni immateriali, non si estenderebbe a garantire il diritto di seguito(37). Questa interpretazione, fondata probabilmente sulla valorizzazione del rapporto materiale tra la cosa ed il titolare come fondamento dell'inerenza, non sembra tuttavia ammissibile in base al chiaro disposto dell'art. 139 c.p.i., il quale riferisce l'effetto dell'opponibilità ai terzi che «a qualunque titolo hanno acquistato e legalmente conservato diritti sul titolo di proprietà industriale»(38). Il riferimento è stato agevolmente interpretato nel senso che, una volta intervenuta la trascrizione, la licenza possa essere opposta anche ai terzi che abbiano acquistato la titolarità sul bene immateriale. E' invece sempre stato pacifico che, per fare valere i propri diritti nei confronti di un contraffattore, cioè di chi faccia un uso illegittimo della privativa, non è necessario che l'atto sia stato trascritto, in quanto tale soggetto non può essere considerato un terzo che ha acquisito un diritto sul titolo(39).
In altre ipotesi più limitate la trascrizione ha un ruolo diverso. Nel caso dei diritti reali di garanzia è opinione di gran lunga prevalente che, in analogia all'iscrizione ipotecaria, le formalità pubblicitarie svolgano una funzione costitutiva(40). Diversamente, con riguardo ai verbali di pignoramento ed alle domande giudiziali, la funzione è prenotativa(41), mentre, in presenza di testamenti e altri atti che provano l'avvenuta successione legittima, la funzione è di mera garanzia della continuità dei trasferimenti. Infine, si è sempre attribuito alla trascrizione nel Registro UIBM un ruolo, seppure meramente indiziario, anche con riferimento alla prova dell'esistenza del contratto, in analogia con quanto affermato per la trascrizione ordinaria(42).
Sotto il profilo degli effetti della trascrizione si rileva dunque, rispetto al sistema della pubblicità immobiliare, una sostanziale analogia che, quando non è stata espressamente dettata dal legislatore, è stata avallata con convinzione dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Ma gli elementi di contatto tra i due sistemi pubblicitari sono ancora maggiori: si afferma abitualmente che il sistema di trascrizione presso l'UIBM è stato modellato su quello della trascrizione immobiliare(43). Il primo viene infatti disciplinato con leggi che vedono la luce nello stesso periodo del Codice del 1942 e che, rispetto a quest'ultimo, si pongono in un'ottica di coordinamento, secondo quel principio sistematico, pur nella pluralità dei modelli di trascrizione, elaborato da Pugliatti(44).
L'esatta configurazione sistematica di questo rapporto è tuttavia ancora oggetto di discussione. Secondo un primo orientamento, bisogna ritenere che i principi generali della trascrizione immobiliare si applichino nei limiti in cui non sia diversamente disposto, sulla base di un vero e proprio rapporto di specialità tra i due sistemi di trascrizione, in virtù del rinvio operato dall'ultimo comma dell'art. 2695 c.c.(45). Al contrario, una diversa opinione ritiene che valga la regola dettata dall'art. 2696 c.c. per i beni mobili diversi da auto, navi ed aerei, secondo cui si applicano solo le leggi proprie di ogni specifico bene, escludendo che la disciplina generale della trascrizione immobiliare possa essere richiamata(46). Anche in giurisprudenza si trova affermata la possibilità di applicare le regole della trascrizione immobiliare quantomeno in via analogica(47),tanto è vero che su queste basi è stata, ad esempio, sostenuta l'applicabilità anche al registro dei marchi della regola relativa alla continuità delle trascrizioni e all'effetto prenotativo(48).
Naturalmente vi sono anche differenze da tenere in considerazione: le funzioni di carattere pubblicistico che hanno progressivamente investito la pubblicità immobiliare non hanno invece interessato la trascrizione mobiliare e neanche quella dei beni immateriali, le quali continuerebbero quindi a svolgere una funzione prettamente privatistica(49). Una distinzione confermata dal fatto che non è previsto l'obbligo per il notaio di trascrivere gli atti relativi a questi beni.
In definitiva resta tuttavia innegabile quantomeno la netta analogia di funzioni tra i registri UIBM e quelli immobiliari e su queste basi si è tradizionalmente ritenuto che le esigenze di sicurezza proprie di questi ultimi debbano valere anche con riferimento alla pubblicità dei diritti di proprietà industriale(50).
In realtà, negli ultimi anni, alcuni interventi normativi hanno significativamente alterato il tradizionale assetto della procedura di trascrizione, segnando una netta cesura rispetto alla pubblicità immobiliare.
Ai fini della trascrizione, l'art. 138, comma 3 CPI, attribuisce un rilievo primario agli atti pubblici ed alle scritture private autenticate ma affianca a questa previsione il riferimento anche a «qualsiasi altra documentazione prevista all'art. 196 c.p.i.»(51). Quest'ultimo articolo nella sua prima formulazione prevedeva che, nel caso di fusione, fosse sufficiente allegare all'istanza di trascrizione una certificazione rilasciata dal Registro delle imprese o da un'altra autorità competente, mentre, nel caso di cessione, «una dichiarazione di cessione o di avvenuta cessione firmata dal cedente e dal cessionario» con l'elencazione dei diritti oggetto della cessione. Su tali basi si è così avallata l'idea che, in queste due ipotesi, le quali rappresentano una percentuale significativa dei trasferimenti aventi ad oggetto diritti di proprietà industriale, fosse possibile prescindere dall'atto pubblico e dalla scrittura privata autenticata(52). Tale orientamento è stato sostanzialmente accolto anche da parte degli uffici delle Camere di Commercio incaricati di ricevere tali atti e di trasmetterli all'UIBM(53).
Con il successivo D.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, nell'art. 196, comma 1, lett. a) CPI è stata prevista la possibilità di ottenere la trascrizione di un contratto di licenza fornendo, in alternativa alla copia dell'atto, una mera dichiarazione di «avvenuta concessione di licenza»(54). Si è così esteso anche alle licenze un meccanismo, analogo a quello previsto per le cessioni, il quale consente di fornire la prova dell'atto da trascrivere mediante la presentazione di una scrittura privata semplice, con sottoscrizione delle parti, che si limiti a dichiarare l'avvenuta stipula tra le stesse di un contratto avente ad oggetto determinati beni immateriali(55).
L'operazione compiuta dal legislatore completa così l'inversione del significato sostanziale da attribuire all'art. 138, comma 3 CPI, il quale – come si è visto – sembra in realtà attribuire una funzione residuale ai documenti diversi dall'atto pubblico e dalla scrittura privata autenticata, ai fini della trascrizione nel Registro UIBM. Al contrario oggi è possibile prescindere da tali requisiti per tutte le operazioni che rientrano nella nozione di cessione o licenza – fattispecie che si può ritenere coprano la totalità degli atti aventi ad oggetto la circolazione inter vivos di tali beni. Si è così avallato un meccanismo di trascrizione in pubblici Registri – con funzione quantomeno dichiarativa e probatoria – in grado di prescindere integralmente dalla verifica notarile circa l'identità, la capacità e la legittimazione delle parti nonché la legalità dell'atto(56).
Un'analoga forma di semplificazione è stata adottata – sempre in base all'art. 196, comma 1, lett. a) CPI – anche con riferimento alle ipotesi di fusione tra imprese. Nel caso di operazioni aventi ad oggetto il trasferimento di diritti su beni immateriali effettuate nell'ambito di una fusione aziendale, il legislatore prevede che, ai fini della trascrizione presso l'UIBM, sia sufficiente allegare una «certificazione rilasciata dal Registro delle imprese». Tale riferimento è stato inteso nel senso che la parte interessata potrà presentare un certificato camerale attestante la fusione.
Questa procedura offre comunque garanzie maggiori rispetto a quella prevista per cessioni e licenze, in quanto l'iscrizione della fusione nel Registro delle imprese deve essere necessariamente fatta sulla base di un atto pubblico, in base a quanto dispone l'art. 2504 c.c. Tuttavia dalla visura non si ricava l'elencazione dei diritti di proprietà industriale che sono stati trasferiti con la fusione: spetterà all'UIBM rintracciare i diritti di cui risultino titolari le società coinvolte nell'operazione sulla base di quanto risulta dalle trascrizioni anteriori. Ciò genera un margine di incertezza, in quanto, ove non siano stati regolarmente trascritti tutti i passaggi anteriori, potrebbe non venire correttamente ricostruita la situazione facente capo alla società che risulta dalla fusione. Per tale motivo è prassi che sia allegato all'istanza di trascrizione un documento che riepiloga i beni immateriali interessati(57), talvolta accompagnato da un'ulteriore dichiarazione attestante il trasferimento da un soggetto all'altro. Anche in questo caso si pone quindi l'interrogativo se per questo tipo di atti risulti necessario rispettare un particolare onere di forma. In realtà, sembra che anche i trasferimenti di diritti di proprietà industriale conseguenti a fusioni societarie possano essere agevolmente ricondotti al genus della «cessione» e quindi beneficiare della procedura semplificata già descritta, ai sensi dell'art. 196, comma 1, lett. a) CPI.
Il legislatore ha da ultimo fatta salva la possibilità per l'UIBM di richiedere, ove lo ritenga opportuno, l'attestazione, da parte di «un pubblico ufficiale» o di «ogni altra autorità pubblica competente», che i documenti trasmessi sono conformi agli originali. E' stata così dettata una norma di chiusura che salvaguarda la possibilità per l'Ufficio di pretendere attestazioni ulteriori per le istanze di trascrizione che appaiano dubbie. Tale procedura pare utilizzabile per richiedere che sia certificata la conformità di una dichiarazione di avvenuta cessione o avvenuta licenza al contratto effettivamente stipulato tra le parti. La norma tuttavia non si estende fino al punto di pretendere che, a certe condizioni, l'accordo di cui si chiede la trascrizione sia effettuato con peculiari requisiti di forma, lasciando così invariato il pericolo di un vulnus originario all'intero meccanismo pubblicitario(58).
Di ciò sembrano consapevoli alcuni Autori che si sono da ultimo occupati di tali temi, tanto da sostenere che l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata dovrebbero essere ancora considerati necessari per tutti i tipi di trascrizione: l'analogia istituita tra le funzioni e la disciplina dei registri della proprietà industriale rispetto a quelle dei registri dei beni immobili impone di seguire regole che ne garantiscano in pari misura la certezza. Si è così giunti a sostenere che la norma che ammette trascrizioni mediante atti non autenticati dovrebbe essere considerata incostituzionale in quanto fonte di un'irragionevole disparità di trattamento tra situazioni analoghe nonché potenzialmente lesiva del principio di buon funzionamento della Pubblica Amministrazione(59).Più recentemente i dubbi di costituzionalità per una simile regolazione della materia sono stati ribaditi con forza da Paolo Spada, il quale ha ricordato che strumenti di preclusione del contenzioso, quali le regole sulla trascrizione, possono essere considerati conformi al diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. solo «nella misura nella quale la preclusione risalga ad una certezza legale generata da un «ufficio» che, per il regime che ne governa l'azione, sia accreditabile di terzietà rispetto alle parti potenzialmente in lite (art. 111, 2° comma) e operi essendo soggetto «soltanto alla legge» (art. 101); e, in ragione di ciò (imparzialità e soggezione «soltanto alla legge»), sia succedaneo dell'ufficio giudiziario». La sottrazione al controllo notarile degli atti relativi alla circolazione dei diritti di proprietà industriale preclude naturalmente il rispetto di simili garanzie e ciò appare ancora più grave per lo strabismo che questa scelta comporta rispetto al regime vigente per i beni immobili e gli altri beni ad essi assimilati(60).
La giurisprudenza, nelle invero ancora limitate occasioni nelle quali ha avuto occasione di affrontare la questione, ha invece assunto posizioni più sfumate. Si può ricordare un'ordinanza del 2013 del Tribunale di Genova, che, pur avendo riconosciuto in linea generale la possibilità di applicare alla trascrizione nei registri UIBM le regole civilistiche in via analogica, ha tuttavia escluso che vi siano i presupposti per invocare l'applicazione della regola che impone la forma notarile ai fini della registrazione, stante il fatto che la «dettagliata disciplina del CPI esclude lacune sul punto»(61).
D'altra parte, bisogna rilevare come la scelta adottata dal legislatore italiano non sia il frutto di un orientamento isolato ma, al contrario, si collochi nel solco di una più ampia impostazione adottata a livello europeo.
La tendenza alla semplificazione degli oneri formali richiesti ai fini della trascrizione nell'ordinamento italiano trova un'evidente corrispondenza con quanto previsto per il marchio comunitario ed il brevetto europeo.
Con riferimento al primo, il regolamento del 2009 che ha disciplinato la materia, prevede l'iscrizione nell'apposito Registro dei marchi comunitari – tenuto presso l'Ufficio per l'Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI) ad Alicante – al fine di rendere opponibili ai terzi «trasferimenti, licenze e diritti di garanzia» su tali beni. Il fatto che la norma si riferisca genericamente a tutti i terzi ha fatto ritenere che, a differenza di quanto previsto per il marchio nazionale, l'atto debba essere iscritto anche ai fini dell'opponibilità ai terzi contraffattori(62). La seconda parte dell'art. 23 RMC fa comunque salva, in mancanza dell'iscrizione, la prova della mala fede del terzo che abbia successivamente acquisito diritti incompatibili sul marchio.
Per quanto riguarda la procedura da seguire, non si trovano indicazioni espresse nel regolamento perciò è necessario fare riferimento alle direttive interne dell'UAMI. Queste precisano che, per dare la prova dell'atto di cui si chiede l'iscrizione, è sufficiente fornire una dichiarazione sottoscritta dalle parti contraenti o anche solo dal dante causa, da allegare alla domanda. Si precisa altresì che tutti questi documenti possono essere depositati anche in copia senza bisogno di alcuna autenticazione(63).
Ne è ulteriore conferma la vicenda riguardante il brevetto europeo dove, seppure attraverso un assetto normativo in parte differenziato, si possono raggiungere le medesime conclusioni. Ancora una volta nella Convenzione sul brevetto europeo nulla viene precisato circa le formalità richieste per la trascrizione nel Registro dei brevetti europei, per cui sul tema è necessario fare riferimento al Regolamento di esecuzione. Questo stabilisce che i trasferimenti hanno effetto nei confronti dell'Ufficio europeo dei brevetti (EPO) dal momento in cui ad esso siano trasmessi i relativi documenti(64).
La formulazione invero non chiarissima pone alcuni problemi interpretativi: in primo luogo, è pacifico che l'efficacia vada ricollegata non tanto al fatto in sé della trasmissione dei documenti quanto alla loro trascrizione nel registro tenuto dall'EPO. In secondo luogo, bisogna notare come nell'ultima formulazione della norma sia scomparsa la precisazione relativa al tipo di documenti necessario per la trascrizione: inizialmente venivano richiesti l'originale o la copia certificata conforme dell'atto da trascrivere o degli estratti di quest'ultimo; a metà anni '90 si optò per una formulazione che faceva riferimento a qualsiasi documento giudicato idoneo dall'Ufficio a fornire la prova dell'atto da trascrivere; oggi invece è previsto un riferimento ancora più sintetico ai documenti che forniscano la prova del trasferimento(65).
Per comprendere cosa si intenda con tale espressione è dunque necessario fare un ulteriore rinvio alle Linee guida interne dell'organizzazione. Queste ultime muovono decisamente nella direzione di agevolare l'invio di scritture private semplici, chiarendo che, ai fini della prova dell'atto, necessaria per ottenere la trascrizione, è sufficiente una dichiarazione sottoscritta da entrambe le parti o anche soltanto dal dante causa(66). In definitiva, anche in materia di brevetto europeo, le norme e le prassi guidano verso l'adozione di un meccanismo analogo a quello riscontrato per marchi e brevetti nazionali e per il marchio comunitario, nel quale gli oneri formali funzionali alla trascrizione risultano decisamente semplificati(67).
Ultimo profilo di ambiguità del regolamento di esecuzione riguarda la funzione della trascrizione. La norma infatti, affermando che il trasferimento produce effetti nei confronti dell'EPO solo dal momento in cui questi abbia ricevuto la documentazione, sembra disciplinare l'opponibilità con esclusivo riguardo all'Ufficio stesso senza precisare l'effetto nei confronti dei terzi. In realtà, anche in questo caso sembra opportuno attribuire alla trascrizione efficacia dichiarativa tout court, in primo luogo poiché non è chiaro che senso avrebbe rendere l'atto opponibile o meno soltanto nei confronti dell'EPO e non di tutti gli altri soggetti che acquistino diritti sul brevetto stesso. In secondo luogo, poiché, ove la Convenzione non disponga diversamente, vale il principio per cui trovano applicazione le norme dei singoli Paesi aderenti(68); pertanto, se l'articolo in questione venisse considerato lacunoso sotto il profilo dell'effetto della trascrizione rispetto ai terzi, in Italia si dovrebbe rinviare alla disciplina nazionale, la quale parla di funzione dichiarativa.
La presente analisi mostra quindi come in materia di proprietà industriale, sulla base di un impulso proveniente dall'elaborazione comunitaria o comunque europea, in Italia si sia venuto formando un sistema che ha progressivamente marginalizzato la funzione notarile fino ad escluderla di fatto completamente, almeno dalla sfera maggiormente rilevante degli scambi contrattuali. La scelta di rendere il ricorso all'atto pubblico o alla scrittura privata autenticata un'opzione facoltativa ha infatti indotto nella prassi a seguire la strada giudicata più rapida e meno onerosa, lasciando all'UIBM soltanto la possibilità di esigere un'attestazione di conformità del documento trasmesso all'originale. Bisogna semmai evidenziare come il nostro Paese, pur avendo importato questo orientamento dall'humus culturale europeo, sia stato il primo a riconoscerlo con legge ordinaria.
Tutto ciò è intervenuto su un sistema di trascrizione che, come già illustrato, secondo molti dovrebbe essere considerato una species della pubblicità immobiliare. Tuttavia, anche se si seguono gli orientamenti alternativi, i quali ritengono che la pubblicità nei registri UIBM debba seguire esclusivamente le proprie regole, stupisce constatare come un sistema che condivide con la trascrizione immobiliare quantomeno una netta analogia di funzioni, sia stato così radicalmente trasformato con riferimento alle regole sulla certezza del traffico giuridico.
Se è vero che, con la riforma del 2006, si è reso facoltativo il ricorso al notaio anche per gli atti di trasferimento di autoveicoli, imbarcazioni, aeromobili, macchinari, tuttavia per l'autenticazione di questi atti è stata dettata una procedura alternativa, cercando un nuovo punto di equilibrio tra celerità e sicurezza dei traffici(69); e nonostante queste cautele, i numerosi casi di irregolarità negli atti di trasferimento dei veicoli, rilevati negli ultimi anni, stanno portando a riflettere sull'opportunità di introdurre correttivi alla riforma. Forse al momento una casistica altrettanto ampia e preoccupante non sta interessando il settore dei diritti di proprietà industriale; ciò non di meno, il problema non è affatto teorico, come dimostrano i casi affrontati dalla giurisprudenza di doppia cessione di marchio, di concessione di licenze incompatibili sul medesimo marchio o più in generale di opponibilità a terzi di un atto relativo a un diritto di proprietà industriale(70).Non si può del resto non guardare con preoccupazione al rischio che, anche in conseguenza della configurazione sempre più sui generis della pubblicità nei registri UIBM, si diffondano principi come quello affermato da una pronuncia romana, la quale ha negato la possibilità di far valere gli effetti propri della trascrizione, pur previsti dall'art. 139 c.p.i. «qualora dalla documentazione acquisita in giudizio emergano elementi che inducano a ritenere che la relativa domanda di trascrizione sia stata presentata in malafede e cioè nella consapevolezza di violare un altrui diritto»(71). E' evidente che superare il criterio dell'irrilevanza degli stati soggettivi dei contraenti ai fini degli effetti della trascrizione determinerebbe una cesura netta rispetto al regime dei beni immobili e farebbe svanire qualsiasi aspettativa di celerità e sicurezza dei traffici relativi ai diritti di proprietà industriale(72).
Si deve perciò ribadire l'impressione che la drastica semplificazione delle formalità che accompagnano la circolazione giuridica relativa ai beni immateriali – cui si è giunti probabilmente in ragione del carattere specialistico della materia ma senza che vi fosse un impegno cogente a livello europeo – abbia omesso un'adeguata considerazione delle esigenze di sicurezza che anche in questo settore risultano fondamentali. Ciò è ancora più avvalorato dalla particolare natura dei beni di cui si tratta. Numerosi sono infatti gli elementi che suggeriscono l'importanza cruciale, proprio in questo settore, di un sistema di registri pubblici disciplinato con criteri rigorosi ed affidabili: si pensi alla notevole rilevanza economica che marchi e brevetti possono raggiungere ma, in modo ancora più specifico, alla circostanza che tali beni non possono costituire oggetto di appropriazione materiale e sono sempre suscettibili di godimento da parte di una pluralità di soggetti contemporaneamente. Tale circostanza non solo può rendere più difficile accertare la legittimazione della parte a disporre del bene ma può anche incidere sulla dimostrazione ex post del danno subito a causa dell'altrui esercizio illegittimo del diritto. Questo spiega al tempo stesso la portata assoluta della tutela che l'ordinamento attribuisce al soggetto considerato titolare, mediante l'azione di contraffazione. Tutti questi elementi confermano l'idea che sia importante garantire fin da subito certezza sul soggetto legittimato ad esercitare i diritti sul brevetto o sul marchio.
Considerare la disciplina vigente incostituzionale e dunque ripristinare in pieno la prerogativa notarile sembra tuttavia un'ipotesi non facilmente percorribile. E' allora auspicabile un nuovo intervento del legislatore volto a contemperare con maggiore attenzione esigenze di rapidità e sicurezza della circolazione giuridica. In quest'ottica sarebbe opportuno conservare almeno un'area di competenza esclusiva del notaio che può essere individuata in via regolamentare in base, ad esempio, a parametri di rilevanza economica degli atti. Sarebbe altresì auspicabile che l'UIBM avesse il potere discrezionale di richiedere, nei casi in cui lo ritenga opportuno, l'autenticazione degli atti e non solo la certificazione di conformità agli originali. In alternativa o preferibilmente in via integrativa, si può immaginare di potenziare il ruolo di controllo di professionisti ed istituzioni già coinvolti nel procedimento di trascrizione, come i consulenti in proprietà industriale o le Camere di Commercio. E' però difficile dire se tali soggetti, che attualmente intervengono soltanto a garanzia della corretta trasmissione dei dati all'UIBM, siano disponibili ad assumersi responsabilità paragonabili a quelle proprie della funzione notarile.
Alla luce del sostanziale superamento della prerogativa notarile nel caso di singoli contratti di licenza o cessione di diritti di proprietà industriale, è ragionevole ritenere che, in mancanza di futuri interventi legislativi, i notai saranno chiamati a occuparsi di contratti relativi a questa tipologia di beni immateriali soprattutto in occasione di un trasferimento di azienda. Bisogna perciò da ultimo affrontare il tema del rapporto tra la pubblicità propria dell'azienda e quella delle singole privative industriali e delineare il ruolo che deve svolgere il notaio in questo ambito.
Tradizionalmente si esclude che la pubblicità commerciale possa essere considerata uno strumento di soluzione del conflitto tra più acquirenti con riferimento a beni facenti parte della medesima azienda per i quali siano dettate specifiche formalità pubblicitarie ai fini dell'opponibilità ai terzi(73). Ciò viene abitualmente affermato con riferimento ai beni immobili, ai beni mobili non registrati e anche ai beni mobili per i quali vale la regola del possesso di buona fede; si deve però naturalmente ritenere che una simile regola trovi applicazione anche per i diritti di proprietà industriale, almeno nei limiti in cui questi siano soggetti al disposto dell'art. 139 CPI – che regola espressamente il conflitto tra più acquirenti dello stesso diritto di proprietà industriale sulla base della priorità della trascrizione nei registri UIBM – o di regole similari, quali quelle che abbiamo visto per il brevetto europeo e per il marchio comunitario.
La circostanza che la trascrizione nei registri UIBM possa oggi essere effettuata anche semplicemente sulla base di una scrittura privata, al contrario dell'iscrizione nel registro delle imprese, per la quale la forma notarile appare sempre necessaria, non sembra costituire di per sé elemento sufficiente per riaprire il dibattito sul rapporto tra la due formalità pubblicitarie, stante il chiaro dettato legislativo che legittima queste diverse procedure.
Ciò comporta la necessità, per colui che acquista l'azienda, di curare la trascrizione anche di questi singoli beni, al fine di evitare che un terzo possa successivamente vantare diritti confliggenti. Non vi è infatti un obbligo del notaio che esegue l'iscrizione nel registro delle imprese di eseguire anche la trascrizione nei registri della proprietà industriale. L'opportunità di procedere in tal senso, al fine di scongiurare il pericolo di successivi conflitti, è perciò rimessa al professionista, in difetto di un espresso incarico conferito dalle parti. Sarà invece comunque compito del notaio ricordare alle parti la necessità di procedere alla trascrizione al fine di rendere il trasferimento dei beni immateriali compresi nell'azienda opponibile ai terzi.
D'altra parte, in considerazione delle funzioni svolte dalla pubblicità nei registri della proprietà industriale, bisogna ritenere che il notaio sia soggetto anche ad una serie di obblighi preliminari. In primo luogo, è necessario che l'atto di trasferimento dell'azienda contenga una precisa descrizione quantomeno dei diritti di proprietà industriale titolati che sono trasferiti o concessi in godimento con l'azienda, al fine di agevolare l'adempimento dei relativi oneri pubblicitari(74). Inoltre, in base al disposto dell'art. 54 del regolamento notarile, che impone di accertare la legittimazione delle parti contraenti, appare necessario che il notaio verifichi la continuità delle trascrizioni relative ai diritti titolati trasferiti, tanto più alla luce di orientamenti giurisprudenziali che sostengono l'applicazione anche a questi beni del principio della continuità delle trascrizioni.
Queste norme sulla trascrizione non comprendono tuttavia l'intero ambito delle privative che possono comporre un'azienda. Ci si può perciò chiedere se l'iscrizione nel registro delle imprese assuma una rilevanza residuale, in funzione di pubblicità dell'atto circolatorio, per questi altri diritti di proprietà industriale.
Un primo indizio in tal senso si ricava dall'art. 23, comma 2 RMC, secondo il quale si esclude che l'opponibilità a terzi di atti di cessione, licenza o costituzione di diritti reali sul marchio comunitario richieda la previa iscrizione negli appositi registri quando il marchio sia trasferito con la totalità dell'azienda o con qualsiasi altra successione a titolo universale(75). In altre parole, il legislatore comunitario, in presenza di queste specifiche circostanze deroga alla regola della pubblicità dichiarativa. Tale norma, come si ricorderà, si affianca e si coordina con la presunzione di trasferimento del marchio insieme alla totalità dell'azienda dettata dall'art. 17, comma 2 RMC.
Resta tuttavia il rischio di conflitti tra l'acquirente dell'azienda e l'acquirente di singoli beni che fanno parte della stessa. Con riferimento a queste ipotesi, il quesito è quindi se il legislatore comunitario, escludendo l'applicabilità del principio di prevalenza dell'acquirente primo iscritto, abbia inteso rinviare semplicemente alla regola generale del prior in tempore potior in iure o abbia invece lasciato spazio anche a criteri suppletivi di soluzione del conflitto tra più acquirenti del medesimo marchio. Questa seconda soluzione pare in realtà preferibile in quanto la concisa formulazione dell'art. 23 RMC si limita a dichiarare inapplicabile la regola della pubblicità dichiarativa, rinviando in modo implicito alle regole di circolazione proprie dell'azienda. Tali regole sono necessariamente quelle nazionali, e perciò, per quanto riguarda l'Italia, il principio della priorità temporale dell'acquisto, temperato però dall'efficacia negativa della mancata iscrizione del trasferimento nel Registro delle Imprese.
Se infatti l'art. 2193 c.c. non detta, a differenza dell'art. 2644 c.c. e dell'art. 139 CPI, una regola di prevalenza del secondo acquirente primo iscritto, sembra tuttavia corretto riconoscere a tale norma la funzione di rendere l'acquisto anteriore dell'azienda che non sia stato iscritto inopponibile al successivo acquirente del singolo bene aziendale, quando quest'ultimo non sia soggetto a un particolare regime pubblicitario e salva la prova della mala fede del secondo acquirente(76).
Una simile soluzione ha l'effetto di tutelare l'affidamento del secondo acquirente che acquisti un bene aziendale dall'originario titolare dell'azienda, ignorando in buona fede il già avvenuto trasferimento, dal momento che questo non risulta iscritto e non è giunto a sua conoscenza neppure in altro modo. Al tempo stesso non impedisce al primo acquirente del singolo bene aziendale di prevalere sul successivo acquirente dell'intera azienda: in questo caso non varrà, infatti, la priorità dell'iscrizione nel registro delle imprese ma, secondo la regola ordinaria, la trascrizione nel registro dei marchi comunitari(77).
Questo peculiare criterio circolatorio trova applicazione in ragione della regola che sottrae il segno distintivo comunitario a uno specifico regime di pubblicità in caso di trasferimento con la totalità dell'azienda. Sembra però allora corretto estendere questa disciplina anche ai diritti di proprietà industriale che non sono soggetti a un particolare regime pubblicitario in assoluto.
Il riferimento è alle c.d. privative non titolate, come il marchio di fatto, i segreti aziendali, i disegni o modelli comunitari non registrati. A differenza dei diritti di proprietà industriale titolati,i quali «si costituiscono tutti mediante atti amministrativi (registrazione o brevettazione …) di cui si precisa la natura di accertamento costitutivo»(78), i diritti non titolati sono di per sé protetti semplicemente qualora ricorrano certi presupposti stabiliti dalla legge. Per quanto riguarda la sfera pubblicitaria, tali privative si distinguono dalle altre in quanto ad esse non si applicano le regole di cui agli artt. 138 – 139 CPI; non sono infatti stati istituiti dei registri per la loro trascrizione(79).
Poiché dunque anche questi diritti circolano senza una specifica disciplina pubblicitaria, essi, qualora siano ceduti o concessi in licenza insieme all'azienda della quale fanno parte, possono essere equiparati al marchio comunitario(80).Sembra perciò corretto e opportuno tutelare anche in questi casi l'affidamento che l'acquirente del singolo bene faccia nella mancata iscrizione del trasferimento dell'azienda, facendo così prevalere il suo acquisto, sebbene successivo. Analogamente a quanto proposto per il marchio comunitario, l'acquisto anteriore della privativa non titolata come bene singolo seguirà invece la regola ordinaria del prior in tempore potior in iure.
Alla luce di questi elementi, bisogna pertanto ritenere che, con riferimento a marchi comunitari e a diritti di proprietà industriale non titolati facenti parte di un'azienda, sul notaio incomba l'obbligo di procedere anche alla verifica della completezza delle iscrizioni presso il Registro delle imprese al fine di garantire la legittimazione delle parti a disporne(81).
(1) F. Martorano, L'azienda, in Trattato di Diritto Commerciale, fondato da Buonocore, sez. I, tomo 3, Torino, Giappichelli, 2010, p. 64.
(2) In tal senso si esprime anche la Regola n. 19. In tema di cessione e affitto di azienda, adottata dal Consiglio Nazionale del Notariato, la quale rientra tra i protocolli notarili attualmente in vigore e richiamati al punto 44 del Codice deontologico: «Costituisce comportamento deontologicamente scorretto la sistematica inosservanza dei protocolli dell'attività notarile approvati dal CNN ai fini dell'adozione di adeguate misure a garanzia della qualità della prestazione».
(3) Mentre la cessione trasferisce la titolarità della privativa a un altro soggetto, la licenza si limita ad attribuire un temporaneo diritto di sfruttamento sulla privativa. Sul tema, ex multis, si vedano: P. Auteri, Cessione e licenza di marchio, in G. Ghidini, La riforma della legge marchi, Padova, CEDAM, 1995, p. 103; M. Ammendola, Licenza di marchio e tutela dell'avviamento, Padova, CEDAM, 1984, p. 122; N. Zorzi, La circolazione dei segni distintivi, Padova, CEDAM, 1994; V. Mangini, La licenza di brevetto, Padova, CEDAM, 1970.
(4) P. Spada, La circolazione della privativa, in T. Ravà, Diritto industriale, vol. II. Invenzioni e modelli industriali, a cura di Fabiani e Spada, Torino, UTET, 1988, p. 169 ss.; Mangini, cit., 10 ss.; P. Greco e P. Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, UTET, 1968, p. 267 ss.; P. Auteri, Riflessioni sul contratto di licenza di brevetto per invenzione industriale, in Riv. dir. ind., 1961, II, p. 361 ss.
(5) Interessante tuttavia notare ciò che afferma V. Di Cataldo, I segni distintivi, Milano, Giuffrè, 1993, p. 144, a conferma dello stretto rapporto tra azienda e diritti di proprietà industriale: secondo l'Autore, dal momento che la cessione dei marchi si configura abitualmente quale patto accessorio al trasferimento d'azienda, si dovrebbe parlare in questi casi di forma scritta ad probationem in ragione di quanto disposto dall'art. 2556 c.c. per l'azienda e dall'art. 2722 c.c. per i patti aggiunti a un contratto in forma scritta.
(6) Cfr. art. 17, comma 3 del Regolamento sul Marchio comunitario (Regolamento CE n. 207/2009 del 26 febbraio 2009: RMC 2009) – il quale prevede un'ulteriore deroga alla forma scritta per il caso in cui la cessione del marchio risulti da una sentenza – e art. 72 della Convenzione sul Brevetto europeo (conclusa il 5 ottobre 1973 e riveduta il 29 novembre 2000: CBE 2000).
(7) Una donazione sembra però configurabile anche con riferimento alla licenza, come atto di disposizione in via temporanea di alcuni diritti sulla privativa. Analoghi problemi di forma si presentano anche nel caso di conferimento della privativa in una società di capitali: SPADA, op. cit., p. 176.
(8) L'art. 2565 c.c. afferma che la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda, ma che, in caso di trasferimento di azienda, la ditta viene trasferita solo se c'è il consenso espresso dell'alienante. Due proposizioni apparentemente contraddittorie vengono giustificate sostenendo che l'impresa è costituita tanto dall'azienda quanto dall'imprenditore, per cui si lascia a quest'ultimo il diritto di scegliere se tenere la ditta presso di sé o cederla insieme agli altri elementi "reali" dell'impresa: così A. Vanzetti e M. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, Giuffrè, 2012, p. 340 ss. Questa regola viene considerata applicabile anche all'insegna.
(9) Precedentemente il marchio non poteva circolare separatamente dall'azienda. La riforma fu introdotta a seguito della Direttiva CE 88/104 sul ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di marchi, sebbene quest'ultima non lo imponesse; il legislatore italiano giudicò opportuno adeguarsi alla soluzione già adottata da molti altri Paesi e dal progetto di regolamento sul marchio comunitario per evitare che la scelta del marchio nazionale apparisse meno appetibile: A. Vanzetti, La nuova legge marchi. Codice e commento alla riforma, Milano, Giuffrè, 1993, p. 62.
(10) In ordine al fatto che, dopo la riforma, alla tradizionale funzione del marchio quale indicatore di provenienza dei prodotti si sia affiancata anche la funzione di garanzia qualitativa a tutela dell'affidamento del pubblico, cfr. M. Ricolfi, I segni distintivi. Diritto interno e comunitario, Torino, Giappichelli, 1999, part. p. 29.
(11)Ibid., p. 171. In ordine al ruolo di principio fondamentale della materia svolto dal divieto di inganno, cfr. Vanzetti, op.cit., p. 132 ss.; V. Di Cataldo, I contratti di merchandising nella nuova legge marchi, in La riforma della legge marchi, a cura di Ghidini, Padova, CEDAM, 1995, p. 75 s.; C. Galli, Protezione del marchio e interessi del mercato, in Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti, Milano, Giuffrè, 2004, I, p. 669 ss.
(12) La regola va estesa anche alle licenze esclusive ma territorialmente parziali per prodotti identici: RICOLFI, op. cit., p. 177.
(13) M. Ammendola, Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e segni, Milano, Giuffrè, 2004, p. 71 ss; N. Zorzi, Il marchio come valore di scambio, Padova, Cedam, 1995, p. 225 s.
(14) La norma afferma: «Il marchio d'impresa decade: a) se sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato». Una diversa opinione ritiene che il divieto discenda dal combinato disposto degli articoli 21, comma 2 c.p.i. («Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi») e 23, comma 4 c.p.i. («In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico»): G. Sena, Il nuovo diritto dei marchi, Milano, Giuffrè, 2001, p. 123.
(15) Si considerano affini i prodotti che, se contraddistinti dallo stesso marchio, sono ricondotti dal pubblico alla medesima fonte produttiva. Si fa notare tuttavia come la prassi del merchandising e della specializzazione produttiva porti a frazionare in modo sempre più minuto i segmenti di mercato e quindi a ridurre le ipotesi di affinità: Vanzetti, La nuova legge marchi, cit., p. 64.
(16) P. Auteri, La licenza di marchio e il merchandising, in Aa. Vv., Segni e forme distintive. La nuova disciplina, Milano, Giuffrè, 2001, p. 161 ss.; DiCataldo, I segni distintivi, cit., p. 137. Anche nel caso di licenze o cessioni di marchi per realizzare prodotti merceologicamente del tutto diversi (esempio tipico sono le licenze di marchi che godono di rinomanza per attività di merchandising), G. Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, Giuffrè, 2001, p. 151 ss., suggerisce che sia possibile e opportuno garantire «l'adeguamento dei prodotti a determinati standards qualitativi», al fine di evitare l'inganno del pubblico.
(17) RICOLFI, I segni distintivi, cit., p. 177.
(18) Si suggerisce come il divieto di inganno del pubblico possa essere rispettato anche informando adeguatamente i consumatori del mutato livello qualitativo dei beni contraddistinti dal marchio: Ricolfi, op. cit., p. 172.
(19) Si fa l'esempio dei marchi che si riferiscono alla zona di provenienza del prodotto: se dopo il trasferimento questo legame territoriale non viene mantenuto si ha inganno per i consumatori (Ricolfi, op. loc. cit.). Analogamente, Sena, Il nuovo diritto dei marchi, cit., p. 39, il quale menziona anche marchi deboli e della moda; P. Marchetti, Note sulla libera trasferibilità del marchio, in La riforma della legge marchi, a cura di GHIDINI, Padova, Cedam, 1995, p. 168 s., collega la decettività anche a caratteristiche proprie del nuovo titolare.
(20) Così Auteri, Cessione e licenza di marchio, cit., p. 105.
(21) Ricolfi, op. cit., p. 173 s. Naturalmente la soluzione investe nuovamente il problema del concetto di affinità tra prodotti: vedi supra nota 9.
(22) G. Marasà, La circolazione del marchio, in Commento tematico della legge marchi, Torino, Giappichelli, 1998, p. 106; Ricolfi, I segni distintivi, cit., p. 174. Nello stesso senso Auteri, op. ult. cit., p. 102 ss., il quale però suggerisce che la cessione «in comunione a favore di più soggetti legati da rapporti tali da assicurare la possibilità dell'uso in comune in relazione ad un'attività sostanzialmente unitaria» sia ammissibile: in questo caso l'unitarietà e la coerenza nell'uso del marchio potrebbe, almeno in teoria, essere garantita.
(23) La versione più recente è del 26 febbraio 2009 (Reg. CE n. 207/2009) ma il principio era già stato affermato in modo identico nei regolamenti anteriori: «Il marchio comunitario ha carattere unitario. Esso produce gli stessi effetti in tutta la Comunità: può essere registrato, trasferito, formare oggetto di rinuncia, di decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il suo uso può essere vietato soltanto per l'intera Comunità. Tale principio si applica salvo disposizione contraria del presente regolamento».
(24) E' fatta salva la possibilità per l'avente causa «di limitare la registrazione del marchio comunitario a quei prodotti o servizi per i quali il marchio non risulterà ingannevole»: cfr. art. 17, comma 4 RMC.
(25) Zorzi, Il marchio come valore di scambio, cit., p. 153 ss., suggerisce che in questi casi il contratto sia nullo per illiceità dell'oggetto; Ricolfi, op. cit., p. 172 s.
(26) In giurisprudenza, con riferimento a un marchio comunitario, Corte Giust., 22 giugno 1994, (causa C-9/93), in Giust. civ., 1994, I, p. 2383. In dottrina, Auteri, op. cit., p. 103; Ricolfi, op. cit., p. 174: entrambi giustificano questa scelta in particolare con la violazione del principio dell'esclusività dell'uso del marchio; Sena, Il nuovo diritto dei marchi, cit., p. 116; con riferimento a un marchio comunitario, Zorzi, Il marchio come valore di scambio, cit., p. 332, la quale richiama il principio di unitarietà del marchio dettato dal legislatore; contra Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 136.
(27)Auteri, op. cit., p. 105, fa salva la possibilità di adottare in concreto misure per evitare l'inganno del pubblico; Ricolfi, op. cit., p. 173 s.
(28) Auteri, op. cit., p. 111, secondo il quale la licenza che non contenga, neppure implicitamente, le prestazioni necessarie per garantire la conformità dei prodotti deve essere considerata nulla; Lodo arb., 18 novembre 2005, in GADI, 2006, p. 514.
(29) Ancora Auteri, op. cit., p. 113 s., con riferimento all'ipotesi analoga in cui il contratto «non contenga una tale regolamentazione o … addirittura lasci espressamente libero il licenziatario nell'uso del marchio».
(30) L. C. Ubertazzi, «I marchi comunitari di gruppo», in Dir. com. scambi int., 1988, p. 13; Zorzi, La circolazione dei segni distintivi, cit., p. 329; G. La Villa, Introduzione al diritto dei marchi d'impresa, Torino, Giappichelli, 1996, p. 146.
(31) Sul tema cfr., in giurisprudenza, oltre a Cass., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26724, in Corr. Giur., 2008, p. 223 ss., Trib. Bologna, 18 dicembre 2006, in Obbl. contr., 2007, p. 812 ss., per il quale «La nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, 1° co., c.c., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto». In dottrina, ex multis, V. Roppo, «La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf», in Danno resp., 2008, p. 536 ss.; A. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, ESI, 2003, p. 157; U. BRECCIA, Causa, in Il contratto in generale, tomo III, a cura di Alpa, Breccia e Liserre, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, vol. XIII, Torino, Giappichelli, 1999, p. 158 ss.; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, Giuffrè, 1993, p. 48 ss.; G. DE NOVA, «Il contratto contrario a norme imperative», in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 43 ss.
(32) Basti pensare come il divieto di inganno per il pubblico secondo un orientamento affermato non consiste nel garantire un'assoluta e rigida identità qualitativa dei prodotti nel tempo: esso perciò non si verificherebbe quando vi sia un miglioramento del livello qualitativo dei prodotti oppure un cambiamento che comunque dia luogo a un prodotto equivalente e neppure quando il pubblico dei consumatori sia adeguatamente avvertito circa il peggioramento delle condizioni qualitative dei prodotti. In questo senso Trib. Milano, 10 dicembre 2003, in GADI, 2004, p. 669. In dottrina: Vanzetti, La nuova legge marchi, cit., p. 67 e 134; Auteri, Cessione e licenza di marchio, cit., p. 96; Di Cataldo, I segni distintivi, cit., p. 135.
(33)Ricolfi, I segni distintivi, cit., p. 179.
(34) Cass., 13 ottobre 2011, n. 21202, in Resp. civ. prev., 2012, p. 1272; Vita not., 2012, p. 360.
(35) Art. 138, comma 1 CPI.: «Debbono essere resi pubblici mediante trascrizione presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi: a) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che trasferiscono in tutto o in parte, i diritti su titoli di proprietà industriale; b) gli atti fra vivi, a titolo oneroso o gratuito, che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento privilegi speciali o diritti di garanzia, costituiti ai sensi dell'articolo 140 concernenti i titoli anzidetti; c) gli atti di divisione, di società, di transazione, di rinuncia, relativi ai diritti enunciati nelle lettere a) e b); d) il verbale di pignoramento; e) il verbale di aggiudicazione in seguito a vendita forzata; f) il verbale di sospensione della vendita di parte dei diritti di proprietà industriale pignorati per essere restituiti al debitore, a norma del codice di procedura civile; g) i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità; h) le sentenze che dichiarano l'esistenza degli atti indicati nelle lettere a), b) e c), quando tali atti non siano stati precedentemente trascritti. Le sentenze che pronunciano la nullità, l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione di un atto trascritto devono essere annotate in margine alla trascrizione dell'atto al quale si riferiscono. Possono inoltre essere trascritte le domande giudiziali dirette ad ottenere le sentenze di cui al presente articolo. In tale caso gli effetti della trascrizione della sentenza risalgono alla data della trascrizione della domanda giudiziale; i) i testamenti e gli atti che provano l'avvenuta successione legittima e le sentenze relative; l) le sentenze di rivendicazione di diritti di proprietà industriale e le relative domande giudiziali; m) le sentenze che dispongono la conversione di titoli di proprietà industriale nulli e le relative domande giudiziali; n) le domande giudiziali dirette ad ottenere le sentenze di cui al presente articolo».
(36) Art. 139, commi 1-3 CPI: «1. Gli atti e le sentenze, tranne i testamenti e gli altri atti e sentenze indicati alle lettere d), i) ed l) dell'articolo 138, finché non siano trascritti, non hanno effetto di fronte ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato e legalmente conservato diritti sul titolo di proprietà industriale. 2. Nel conflitto di più acquirenti dello stesso diritto di proprietà industriale dal medesimo titolare, è preferito chi ha trascritto per primo il suo titolo di acquisto. La trascrizione del verbale di pignoramento, finché dura la sua efficacia, sospende gli effetti delle trascrizioni ulteriori degli atti e delle sentenze anzidetti. 3. Gli effetti di tali trascrizioni vengono meno dopo la trascrizione del verbale di aggiudicazione, purché avvenga entro tre mesi dalla data della aggiudicazione stessa». Cfr. G. BONELLI, Privativa per invenzione industriale, in Noviss. Dig. it., Torino, UTET, 1966, p. 947; V. MANGINI, Il marchio e gli altri segni distintivi, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. ec., diretto da Galgano, Padova, CEDAM, 1982, p. 307.
(37) Così M. Giorgianni, Diritti reali (Diritto civile), in Noviss. Dig. It., Torino, UTET, 1957, p. 752, il quale definisce l'inerenza come il collegamento funzionale tra il potere e la cosa rispetto al quale l'ordinamento attribuisce «la virtù di rendere possibile al titolare il soddisfacimento del suo interesse, qualunque sia l'essenza dei rapporti di fatto o giuridici che involgeranno la cosa».
(38) Tale espressione replica esattamente il contenuto dell'art. 68 l.inv., presente nella legge invenzioni fin dalla sua introduzione, con Regio Decr. 29 giugno 1939, n. 1127. Cfr. G. Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, Giuffrè, 1990, p. 429, secondo cui «il contratto di licenza, se trascritto, è opponibile ai terzi acquirenti del brevetto o di diritti su di esso».
(39) Con riferimento al marchio comunitario, invece, come si vedrà, si ritiene che l'atto non iscritto non possa essere opposto neppure al contraffattore.
(40) Cfr. C. Galli, «Marchi comunitari e diritti di garanzia: problemi e prospettive», in AIDA, 2009, p. 187 ss., che segnala anche una differenza rispetto al marchio comunitario, per il quale il diritto di garanzia sembra sorgere a prescindere dall'iscrizione, in base a quanto prevede l'art. 19, par. 2, Reg. CE 207/2009; A. TOSATO e G. Angelicchio, Commento art. 139 c.p.i., in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, a cura di Marchetti e Ubertazzi, Padova, CEDAM, 2012, p. 653. Nel senso che anche i diritti di garanzia debbano essere iscritti soltanto a fini di opponibilità ai terzi: G. GABRIELLI, «La pubblicità legale nel sistema del codice civile», in Riv. dir. civ., 1992, I, p. 467 s.
(41) Trib. Torino, 29 marzo 1996, in Riv. dir. ind., 1996, II, p. 388 ss.
(42) Trib. Milano, 26 settembre 1974, in GADI, 1974, p. 1148. Con riferimento alla trascrizione immobiliare, cfr. F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, I, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da SCHLESINGER, Milano, Giuffrè, 1998, p. 32 ss. D'altra parte, proprio la presenza di un meccanismo di pubblicità legale dei titoli giustifica la considerazione – ampiamente affermata in giurisprudenza – che esista una presunzione relativa di colpa in capo al contraffattore, invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 125 CPI: M. CARTELLA, «Il risarcimento del danno nella contraffazione di marchio», in Dir. ind., 2001, p. 145; VANZETTI e DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 564. Sebbene la giurisprudenza abbia adottato uno standard che sostanzialmente esclude la possibilità di fornire la prova liberatoria per chi ha compiuto atti di contraffazione su un titolo registrato (cfr. M. S. SPOLIDORO, «Il risarcimento del danno nel codice della proprietà industriale. Appunti sull'art. 125 c.p.i.», in Riv. dir. ind., 2009, I, p. 162; C. CASTRONOVO, «La violazione della proprietà intellettuale come lesione del potere di disposizione. Dal danno all'arricchimento», in Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti, tomo I, Milano, Giuffrè, 2004, p. 366; L. NIVARRA, «Dolo, colpa, e buona fede nel sistema delle "sanzioni" a tutela della proprietà intellettuale», in AIDA, 2000, p. 330 s.), bisogna ritenere che il cessionario o il licenziatario, i quali operino in base ad un accordo stipulato con il soggetto risultante come titolare dal Registro UIBM, debbano essere considerati esenti da profili di colpevolezza: SENA, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, cit., p. 415.
(43) In giurisprudenza: App. Milano, 3 ottobre 2003, in Dir. ind., 2004, p. 137 ss.; Trib. Torino, 15 ottobre 2013, in Giurisprudenza delle Imprese, disponibile all'indirizzo web http://www.giurisprudenzadelleimprese.it/tag/tribunale-delle-imprese/, al 1° luglio 2014. In dottrina: A. Pividori, Il funzionamento del sistema di trascrizione e il ruolo dell'UIBM, sub art. 138 c.p.i., in Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale, a cura di Galli e Gambino, Torino, UTET, 2011, p. 1314. Greco e Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, cit., p. 301, dichiarano che brevetti e marchi «sono soggetti a trascrizione, secondo i principi e per gli effetti propri di tale istituto, nei limiti ed alle condizioni stabilite dalla legge speciale».
(44) S. PUGLIATTI, La trascrizione. La pubblicità in generale, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da CICU e MESSINEO, Milano, Giuffrè, 1957.
(45) TOSATO e Angelicchio, op. cit., p. 651; M. ROTONDI, Diritto industriale, Padova, Cedam, 1965, p. 263; S. Boutet – L. Lodi, Brevetti industriali, marchio, ditta, insegna, in Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, Torino, UTET, 1978, p. 252.
(46) T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, Giuffrè, 1960, p. 664 s.; GABRIELLI, «La pubblicità legale nel sistema del codice civile», cit., p. 467 s.
(47) Trib. Genova, 7 agosto 2013 (ord.), in Giurisprudenza delle Imprese, disponibile all'indirizzo web http://www.giurisprudenzadelleimprese.it/tag/tribunale-delle-imprese/, al 1° luglio 2014.
(48) Trib. Genova, 8 luglio 2013, ibid.
(49) G. PETRELLI, «Pubblicità legale e trascrizione immobiliare», in Rass. dir. civ., 2009, p. 714 s.
(50) A. CHIANALE, «La funzione dei registri pubblicitari nella costituzione di garanzie reali su privative titolate», in AIDA, 2009, p. 126; G. FLORIDIA, Il riassetto della proprietà industriale, Milano, Giuffrè, 2006, p. 569.
(51) Si tratta di un'innovazione introdotta con il Codice della Proprietà industriale, che ha sostituito il Regio Decr. 1127/1939 (c.d. legge invenzioni), il cui art. 67, comma 2 prevedeva, in modo molto più circostanziato, che: «Quando l'autenticazione non sia possibile, è in facoltà dell'Ufficio italiano brevetti e marchi di ammettere alla trascrizione una scrittura privata non autenticata». Nella prassi, pertanto, il ricorso al documento non autenticato rimaneva un'ipotesi eccezionale, sulla cui necessità l'UIBM era chiamato a vigilare: Circ. Min. Industria, 29 marzo 1999, n. 406. Cfr. CHIANALE, op. cit., p. 125. Bisogna precisare come l'art. 138, comma 3 c.p.i., nella sua formulazione originaria rinviasse all'art. 195 c.p.i., il quale in realtà disciplina la domanda di trascrizione e richiama a sua volta un decreto del Ministro delle attività produttive che per alcuni anni non è stato emanato. In pendenza di tale situazione è dunque intervenuta la Circolare Min. Attività produttive, 27 luglio 2005, n. 471, che ha indirizzato gli interpreti verso il disposto del successivo art. 196 c.p.i., come è stato successivamente confermato dal D.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, che ha corretto il rinvio contenuto nell'art. 138, comma 3 c.p.i.
(52) Tale procedimento semplificato non riguarda invece le trascrizioni di garanzie sulla privativa, come ha confermato anche la Circ. min. n. 471/05: cfr. CHIANALE, op. cit., p. 126.
(53) Nel 2010 il Regolamento di attuazione del Codice della Proprietà industriale ha dettato un articolo relativo alle formalità richieste per la trascrizione che in gran parte ricalca l'art. 196 c.p.i., ma che tuttavia prevede l'ammissibilità soltanto di dichiarazioni di «avvenuta cessione»: cfr. art. 40, comma 2, Decr. min. 13 gennaio 2010, n. 33. Ciò ha comportato che, nella prassi degli uffici competenti a trasmettere all'UIBM i documenti per la trascrizione, si è iniziato ad accettare solo dichiarazioni di «avvenuta cessione». La differenza sembra tuttavia puramente formale.
(54) L'originaria omissione di questa possibilità viene considerata ancora una volta frutto di un errore materiale nella redazione del Codice: C. Galli e S. Di Curzio, Le procedure di trascrizione e annotazione, in Codice della Proprietà Industriale: la riforma 2010, a cura di GALLI, Milano, IPSOA, 2010, p. 218.
(55) Come unica formalità aggiuntiva si richiede la previa registrazione dell'atto contenente la dichiarazione presso l'Agenzia delle Entrate per il pagamento delle relative tasse.
(56) Questa scelta viene spesso giustificata con ragioni di garanzia della riservatezza dei contratti aventi ad oggetto diritti di proprietà industriale. In realtà, brevetti e marchi sono inseriti in Registri pubblicamente consultabili fin dal momento in cui viene loro concessa tutela come privative, pertanto la riservatezza riguarderebbe profili del contenuto contrattuale analoghi a quelli di qualsiasi altro contratto.
(57) In tal senso si è espressa la Circolare Min. Att. produttive, n. 439/2002 (disponibile su Notiziario Ordine Consulenti Propr. Ind., n. 3/2002, p. 18), la quale tuttavia parla genericamente di «idonea documentazione» che attesti i diritti di proprietà intellettuale trasferiti.
(58) Bisogna inoltre ricordare che, secondo una sentenza pronunciata dalla Commissione dei ricorsi (12 dicembre 1991, n. 103), l'UIBM non è tenuto a verificare la continuità delle trascrizioni presentate.
(59) In tal senso si esprime CHIANALE, «La funzione dei registri pubblicitari», cit., p. 126. Anche Pividori, Il funzionamento del sistema di trascrizione, cit., p. 1314, ritiene che continui ad essere necessario l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata per tutti gli atti che costituiscano, modifichino o estinguano diritti reali o personali di godimento o di garanzia sulle privative.
(60) P. Spada, Prevenzione del contenzioso giudiziario e diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale. Note minime sulla pubblicità della circolazione dei diritti di proprietà industriale «titolati», in Notariato, 2014, pp. 579 ss.
(61) Trib. Genova, 7 agosto 2013, cit.
(62)Cfr. art. 23, Reg. CE 207/2009. In tal senso: M. RICOLFI, La circolazione del marchio, in AA. VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, Giappichelli, 2009, p. 144 s.; GALLI, «Marchi comunitari e diritti di garanzia», cit., p. 188.
(63)D'altra parte, l'UAMI ha cura di precisare come tali prassi non abbiano valore normativo e siano quindi suscettibili di modifica a discrezione dell'Ufficio. Allo stato attuale l'orientamento sembra tuttavia consolidato: con riguardo ai «trasferimenti», cfr. The Manual Concerning Proceedings Before the Office, Part E – Section 3.1, p. 13 (disponibile all'indirizzo webhttps://oami.europa.eu/tunnel-web/secure/webdav/guest/document_library/contentPdfs/law_and_practice/trade_marks_practice_manual/parte_section_3_chap_1_transfer_en.pdf, al 1° luglio 2014):«Supporting documents need not be legalised … if the Office has reason to doubt the accuracy or veracity of the document, it may require additional proof».Con riguardo alle «licenze» sono previste disposizioni analoghe: cfr. TheManual Concerning Proceedings Before the Office, Part E – Section 3.2, p. 9 s. (disponibile all'indirizzo web https://oami.europa.eu/tunnel-web/secure/webdav/guest/document_library/contentPdfs/law_and_practice/trade_marks_practice_manual/Part_E_Section_3_chap_2_Licenses_en.pdf, al1° luglio 2014).
(64) Cfr. reg. 22, comma 1, RE CBE 2000 (Regolamento di esecuzione della CBE, approvato il 7 dicembre 2006), nella sua più recente formulazione risalente al 26 ottobre 2010.
(65) Più esattamente, si parla di «documents providing evidence of such transfer». Anche sotto il vigore della vecchia formulazione era stato però chiarito che l'autenticazione non doveva essere fatta necessariamente da un notaio ma poteva provenire anche da un mandatario o da un avvocato abilitato davanti all'EPO: cfr. art. 134, nn. 5) e 8) CBE 2000 (art. 134, nn. 4) e 7) CBE 1973) e sul punto R. Singer – M. Singer, Il brevetto europeo (trad. it.), Torino, UTET, 1993, p. 208.
(66) Cfr. Guidelines for examination in EPO, nella loro più recente formulazione risalente al 20 settembre 2013 (disponibile all'indirizzo web http://documents.epo.org/projects/babylon/eponet.nsf/0/6c9c0ec38c2d48dfc1257a21004930f4/$FILE/guidelines_for_examination_2013_part_e_en.pdf, al1° luglio 2014), parte E, cap. XII, par. 1: «Any kind of written evidence suitable to prove the transfer is admissible. A declaration signed by both parties is appropriate, but a declaration of transfer signed by the assignor would in any case be sufficient, as the assignee will in any case be notified by the EPO of the entry in the Register. Formal documentary proof (originals or certified copies), such as the instrument of transfer or official documents verifying the transfer or extracts thereof, are equally appropriate. If the evidence presented is found to be unsatisfactory, the EPO informs the party requesting the transfer accordingly, and invites it to remedy the stated deficiencies». Il paragrafo riguarda la trascrizione di atti relativi a domande di brevetto ma è espressamente richiamato anche per cessioni, licenze e diritti reali riguardanti brevetti già rilasciati.
(67) Bisogna anche precisare che - come avviene per l'UAMI ed a differenza di quanto previsto a livello nazionale - non sono necessari né la previa registrazione della dichiarazione delle parti presso l'Agenzia delle Entrate né il deposito della lettera di incarico, per i casi in cui l'operazione sia svolta da un mandatario, come avviene abitualmente.
(68) Bisogna infatti ricordare che, in estrema sintesi, la CBE ha la funzione di produrre in ciascuno degli Stati aderenti e designati dalla parte richiedente gli effetti di un brevetto nazionale, con applicazione della relativa disciplina. Soltanto per alcuni profili la Convenzione detta invece una disciplina uniforme della materia: cfr. Vanzetti e Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, cit., p. 509.
(69) Cfr. art. 7, Legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha convertito con modificazioni il D. l. 4 luglio 2006, n. 223: «L'autenticazione della sottoscrizione degli atti e delle dichiarazioni aventi ad oggetto l'alienazione di beni mobili registrati e rimorchi o la costituzione di diritti di garanzia sui medesimi può essere richiesta anche agli uffici comunali ed ai titolari degli sportelli telematici dell'automobilista di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 2000, n. 358, che sono tenuti a rilasciarla gratuitamente, tranne i previsti diritti di segreteria, nella stessa data della richiesta, salvo motivato diniego».
(70) Trib. Torino, 15 ottobre 2013, cit. riguarda il conflitto tra due acquirenti del medesimo marchio, il quale viene risolto facendo prevalere l'acquisto successivo ma trascritto anteriormente all'UIBM. Analogamente, Trib. Genova, 7 agosto 2013 (ord.), cit. e Trib. Genova, 8 luglio 2013, cit. riguardano entrambe un caso di conflitto tra un affitto di ramo di azienda e una licenza riguardanti il medesimo marchio, conflitto che viene risolto facendo prevalere l'atto successivo, trascritto però anteriormente presso l'UIBM. Trib. Roma, 2 luglio 2010, in Sezioni Specializzate in Proprietà Industriale, 2010, p. 415, riguarda invece un caso di opponibilità della cessione del marchio al fallimento della società cedente.
(71) In tal senso, Trib. Roma, 21 luglio 2010, in Sezioni Specializzate in Proprietà Industriale, 2010, p. 419.
(72) Basti sul punto rinviare a U. Natoli, La trascrizione, Torino, UTET, 1970, p. 99 s.; S. Pugliatti, La trascrizione immobiliare, Messina, V. Ferrara Editore, 1945, p. 16.
(73) Martorano, L'azienda, cit., p. 74 ss.; C. Angelici, Diritto commerciale, I, Bari, Laterza, 2008, p. 64; A. Pavone LaRosa, La pubblicità degli atti di trasferimento dell'azienda, in Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti, Milano, Giuffrè, 2004, tomo II, p. 1166; F. Fimmanò, «La pubblicità degli atti traslativi dell'azienda», in Il registro europeo delle imprese, 2003, I, p. 126 ss.; R. Vigo, Impresa e pubblicità immobiliare, Milano, Giuffrè, 2001, p. 27 ss. Alcuni autori hanno semmai suggerito di ricorrere all'iscrizione nel registro delle imprese per risolvere il conflitto tra più acquirenti della medesima azienda: D. Cenni, «L'iscrizione nel registro delle imprese e la doppia alienazione di azienda e di quota di s.r.l.», in Contr. Impr., 1996, p. 467 ss. Parlano invece dell'art. 2556, comma 2 c.c. come di una regola di circolazione che risolverebbe tutti i conflitti relativi all'acquisto dei diritti aziendali, salvo quelli relativi a diritti reali su beni immobili G. Auletta – N. Salanitro, Diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2006, p. 39.
(74) In tal senso cfr. anche la Regola n. 19 In tema di cessione e affitto di azienda, cit., p. 6.
(75) Cfr. art. 23 RMC: «1. Gli atti giuridici di cui agli articoli 17, 19 e 22, riguardanti il marchio comunitario, sono opponibili ai terzi in tutti gli Stati membri soltanto dopo essere stati iscritti nel registro. Tuttavia, prima della sua iscrizione, un atto è opponibile ai terzi che hanno acquisito diritti sul marchio dopo la data dell'atto, ma che erano a conoscenza di tale atto al momento dell'acquisizione di detti diritti. 2. Il paragrafo 1 non è applicabile nei confronti di una persona che ha acquisito il marchio comunitario o un diritto sul marchio comunitario mediante trasferimento dell'impresa nella sua totalità o mediante qualsiasi altra successione a titolo universale». La dottrina ha sottolineato come «impresa» e «azienda» in questo contesto possano essere considerate espressioni equivalenti per il legislatore comunitario: Sena, Il nuovo diritto dei marchi, cit., p. 174.
(76) In tal senso Martorano, L'azienda, cit., p. 48 ss., il quale analizza, con riguardo agli artt. 2193 e 2644 c.c., la differenza tra la mera efficacia negativa della mancata pubblicità e la prevalenza dell'acquisto in base alla priorità dell'iscrizione; G. Auletta, «Note sulla circolazione dell'azienda», in Riv. Soc., 1963, p. 472 ss.; R. Tommasini, Contributo alla teoria dell'azienda come oggetto di diritti, Giuffrè, 1986, p. 135 ss.; F. Fimmanò, La pubblicità degli atti traslativi dell'azienda, cit., p. 126 ss.
(77) Anche G. Marasà, «La pubblicità nel trasferimento d'azienda e del marchio nazionale e comunitario», in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, p. 78 s., suggerisce di utilizzare il criterio dell'iscrizione nel registro delle imprese con riferimento al marchio comunitario. Egli tuttavia prende in considerazione tale forma di pubblicità non solo sotto il profilo dell'efficacia negativa derivante dalla mancata iscrizione, ma come criterio di soluzione del conflitto tra acquirenti tout court, alla stregua dell'art. 2644 c.c.: cfr. ibid., p. 76 s. Tale soluzione sembra in realtà meno preferibile stante la diversa portata dell'art. 2193 c.c. e il fatto che in questo modo si derogherebbe alla disciplina per l'opponibilità del marchio espressamente dettata dal legislatore. Essa inoltre comporterebbe sempre la prevalenza di colui che iscrive l'atto di trasferimento dell'azienda su chi abbia acquistato anche anteriormente un singolo bene aziendale privo di proprie formalità pubblicitarie: vedi infra il caso delle privative non titolate. Richiede l'adempimento delle «formalità pubblicitarie relative all'acquisto dell'azienda» ai fini dell'opponibilità dell'atto di trasferimento del marchio con la totalità dell'azienda anche N. Abriani, I segni distintivi, in N. Abriani, G. Cottino e M. Ricolfi, Diritto industriale, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, vol. II, 2001, Padova, Cedam, p. 128.
(78) C. Galli e M. Bogni, La nozione di esclusiva e il fondamento dei diritti di proprietà industriale, sub art. 2 c.p.i., in Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale, a cura di Galli e Gambino, Torino, UTET, 2011, p. 29.
(79) Del resto, per alcune di queste privative non titolate non è facile immaginare un sistema pubblicitario compatibile con la loro natura: basti pensare alle informazioni segrete. Non è una caso che il regime pubblicitario sia indicato proprio come uno dei fondamentali elementi di distinzione tra queste due categorie di beni immateriali: G. Floridia, Il riassetto della proprietà industriale, Milano, Giuffrè, 2006, 569.
(80) Quanto alla possibilità di applicare ai beni immateriali la regola del possesso vale titolo non si può considerare ancora affermata, nonostante la generica apertura sul punto recentemente proposta in obiter da Cass., S.U., 5 marzo 2014, n. 5087, in Guida dir., 2014, n. 15, p. 68 ss.
(81) In tal senso, del resto, seppure in termini generali, cfr. di nuovo la Regola n. 19 In tema di cessione e affitto di azienda, cit., p. 11.