Continuazione individuale dell’attività da parte dell’unico socio di società di persone
Continuazione individuale dell'attività da parte di unico socio di società di persone
di Daniela Boggiali
Ufficio Studi Consiglio Nazionale del Notariato

1. La causa di scioglimento prevista dall'art. 2274 n. 4 c.c.

Il n. 4 dell'art. 2272 c.c., dettato in materia di società semplici, prevede che la società si scioglie "quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita".

Tale norma trova applicazione anche alle s.n.c. in forza del richiamo ad essa contenuto nell'art. 2308 c.c., mentre per le s.a.s. l'art. 2323 c.c., dopo avere a sua volta richiamato l'art. 2308 c.c., aggiunge che la società si scioglie, altresì, quando rimangono soltanto soci accomandanti o soci accomandatari, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno".

La lettera dell'art. 2272, n. 4, c.c., è chiara nel prevedere che la società ha sei mesi di tempo per poter ricostituire la pluralità dei soci: secondo la dottrina prevalente, il venir meno della pluralità dei soci non è di per sé causa di scioglimento della società, bensì è tale la mancata ricostituzione della pluralità entro il predetto termine di sei mesi, la quale determina la cessazione del vincolo societario(1).

Una volta decorso il termine semestrale previsto nell'art. 2272, n. 4, c.c., il socio, preso atto del verificarsi della causa di scioglimento, si trova di fronte alle seguenti alternative:

- procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese previa liquidazione dei creditori e, laddove dalla liquidazione residui il complesso aziendale, proseguire nell'attività come imprenditore individuale;

- o, qualora il socio intenda proseguire l'attività d'impresa conservando la continuità dei rapporti giuridici facenti capo alla società rimasta unipersonale, procedere alla trasformazione in un altro tipo di ente per il quale è ammessa la partecipazione di un solo soggetto.

2. La prosecuzione dell'attività sociale senza cancellazione o trasformazione della società

Tuttavia, spesso avviene che, decorso il termine di sei mesi, e nonostante l'avvenuto scioglimento, il socio continui di fatto ad amministrare la società, senza compiere alcun atto di liquidazione e senza provvedere alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.

Si verifica, in questo caso, l'esistenza di fatto di una società unipersonale a tempo indeterminato, che costituisce una fattispecie analoga a quella delle società di capitali unipersonali, dalle quali si differenzia – ovviamente – per il diverso regime di responsabilità per le obbligazioni sociali.

La sopravvenuta unipersonalità della compagine sociale produce, infatti, la causa di scioglimento ma non l'estinzione della società, in quanto quest'ultima si verifica soltanto in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese(2).

Prima di tale momento, la società esiste, ancorché priva del requisito della pluripersonalità, che di regola è elemento essenziale del contratto di società, così come definito in via generale dall'art. 2247 c.c., fatto salvo il caso, espressamente previsto dal legislatore, delle s.p.a. e s.r.l. unipersonali(3).

In considerazione del fatto che la società esiste fintantoché non venga cancellata dal registro delle imprese, la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, pur provocando una causa di scioglimento, non determina di per sé l'estinzione della società di persone che, quindi, continua ad esistere nonostante sia divenuta unipersonale.

Proprio in relazione a tale evenienza, una parte della dottrina ha correttamente osservato che la presenza di almeno due soci, pur operando come requisito essenziale per la costituzione di una società di persone, è, invece, destinata a perdere la caratteristica di condizione di validità del contratto sociale durante le vicende successive, senza che ciò si ponga in contrasto con le regole che presiedono lo svolgimento dell'attività economica attraverso il ricorso al modello delle società di persone(4).

La società di persone divenuta unipersonale è, tuttavia, soggetta ad un particolare regime di responsabilità per le obbligazioni sociali e si trova, inoltre, in una condizione di esistenza precaria.

Sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, la prosecuzione dell'attività sociale nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento determina, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni posto a carico degli amministratori e dei liquidatori rispettivamente dagli artt. 2274 e 2279 c.c.

Si è, tuttavia, osservato come tale norma non costituisca un deterrente eccessivo per il socio superstite, considerato che nelle società di persone, diversamente a quanto avviene nelle società di capitali, il socio amministratore è già illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni contratte dalla società(5).

Anche in caso di s.a.s. rimasta con un solo accomandante, la prosecuzione dell'attività da parte di quest'ultimo avrebbe comunque prodotto la perdita della limitazione di responsabilità ai sensi dell' art. 2320 c.c., salvo il caso di nomina di un amministratore provvisorio, il quale comunque non potrebbe esercitare tali funzioni per un periodo superiore a sei mesi, decorso il quale scatterebbe in ogni caso la responsabilità illimitata dell'accomandante superstite.

La prosecuzione dell'attività sociale decorsi i sei mesi dal venir meno della pluralità dei soci, oltre a determinare la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, implica altresì il mancato svolgimento dell'attività di liquidazione(6).

Sotto tale profilo, non sembra potersi invocare una presunta lesione del diritto alla liquidazione dei creditori sociali, considerato che questi ultimi, laddove intendano agire per il soddisfacimento delle proprie pretese, hanno l'onere di escutere preventivamente il patrimonio sociale, rispetto a quello dei singoli soci, anche durante la fase di liquidazione: in tal senso si esprimono sia l'art. 2268 c.c. in materia di società semplice, secondo cui "il socio richiesto del pagamento di debiti sociali può domandare, anche se la società è in liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi", sia l'art. 2304 c.c. in materia di s.n.c., per il quale "i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale".

Non sembra, quindi, potersi ravvisare alcun interesse di soggetti diversi dal socio superstite allo svolgimento della liquidazione e, quindi, siffatto interesse deve ritenersi da costui disponibile. Ciò implica che la continuazione della attività di impresa da parte dell'unico socio di una società in liquidazione sia il frutto di una scelta ammissibile, a condizione che lo stesso non si appropri, ancorché parzialmente, dei beni sociali, prima di avere estinto i debiti sociali, in violazione dell'art. 2280 c.c., che stabilisce il divieto di procedere a ripartizioni finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli(7).

E', invece, diversa la posizione dei creditori particolari del socio rispetto a quella dei creditori sociali.

L'art. 2307, comma 3, c.c., infatti, prevede che in caso di proroga tacita della società, il creditore particolare del socio possa chiedere la liquidazione della quota del suo debitore a norma dell'art. 2270 c.c.

Tale norma, ove venga ritenuta applicabile alle cause di scioglimento diverse dalla scadenza del termine di durata della società, ancorché non impedisca la prosecuzione dell'attività sociale, determina, tuttavia, il rischio che la richiesta di liquidazione della partecipazione del socio unico si traduca nella liquidazione giudiziale della società(8).

Oltre al rischio di liquidazione derivante da un'azione esecutiva promossa dal creditore particolare del socio, la società rimasta con un unico socio da più di sei mesi è soggetta al rischio della cancellazione d'ufficio da parte del registro delle imprese.

L'art. 3 d.p.r. 23 luglio 2004, n. 247 (regolamento di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese), stabilisce che il procedimento per la cancellazione della società semplice, della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice è avviato quando l'Ufficio del Registro delle imprese rileva la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine dei sei mesi.

La possibilità di una cancellazione d'ufficio non sembra, quindi, consentire una durata della società di persone con unico socio all'infinito e senza limiti temporali(9).

Occorre, tuttavia, considerare che la cancellazione è preceduta da un atto di interpello rivolto agli amministratori della società, invitati o a comunicare l'avvenuto scioglimento della società o a dimostrare la persistenza dell'attività sociale.

Successivamente, il Presidente del Tribunale, sulla base delle risultanze, nomina un liquidatore oppure disporre la cancellazione della società dal registro delle imprese.

Pertanto, laddove venga attivato il procedimento di cancellazione d'ufficio, la società si trova di fronte all'alternativa se dare seguito all'estinzione o, viceversa, proseguire l'attività sociale essendo, però, tenuta in questo secondo caso, ad eliminare la causa di scioglimento.

In conclusione, l'unico socio di una società di persone, una volta decorso il termine di sei mesi richiesto per la ricostituzione della pluralità dei soci, può validamente continuare a svolgere l'attività sociale, ma è esposto al rischio dell'azione esecutiva del suo creditore particolare ed all'eventualità di una cancellazione d'ufficio(10).

3. L'eliminazione tardiva della causa di scioglimento

Finché la società non viene cancellata dal registro delle imprese, essa esiste, nonostante si sia verificata una causa di scioglimento, e, pertanto, è possibile rimuovere tale causa o attraverso l'ingresso di nuovi soggetti nella compagine sociale, o mediante la trasformazione in società unipersonale.

In entrambi i casi, la rimozione della causa di scioglimento costituisce una revoca implicita dello stato di liquidazione della società, la quale viene generalmente ammessa dagli interpreti, argomentando dall'art. 2272, n.3) c.c., che ammette lo scioglimento volontario, e dalla considerazione che non esiste un interesse specifico dei creditori sociali allo svolgimento della  liquidazione,  dal  momento  che costoro possono sempre contare sulla responsabilità illimitata dei soci(11).

Diversa è, invece, la posizione del creditore particolare del socio, che in seguito allo scioglimento della società ha acquistato il diritto di chiedere la liquidazione della quota sociale del suo debitore (artt. 2270 e 2305 c.c.).

Si è, quindi, sostenuto che l'eliminazione tardiva della causa di scioglimento non possa privare il creditore particolare del potere di chiedere la liquidazione della quota e, pertanto, si è ritenuta applicabile la medesima regola dettata dall'art. 2307 c.c. per il caso della proroga tacita, che attribuisce il diritto di opposizione(12).

Sul piano operativo, appare comunque possibile procedere o alla cessione di quota in favore di nuovi soggetti, o alla trasformazione, senza che occorra un'apposita dichiarazione di revoca dello stato di liquidazione della società. Eventualmente, sotto il profilo documentale, sarà opportuno dare atto del fatto che, nonostante si sia verificata la causa di scioglimento di cui al n. 4) dell'art. 2272 c.c., la società è continuata e non è mai stata messa in liquidazione e che si procede a rimuovere la predetta causa di scioglimento mediante ingresso di un nuovo socio o trasformazione.

4. Le ipotesi di continuazione dell'attività  in forma individuale

Laddove il socio unico intenda proseguire l'attività sociale in forma individuale, rimuovendo contestualmente la causa di scioglimento, egli si trova di fronte a due alternative: cancellare la società assegnandosi l'azienda, che continuerà a gestire in forma di impresa individuale, o trasformare la società in altro ente che consenta la partecipazione di un unico soggetto.

I) La trasformazione

Laddove si opti per la trasformazione, non sorgono dubbi sulla possibilità di adottare la forma di società di capitali unipersonali.

Costituiscono, invece, delle ipotesi controverse la trasformazione in altro tipo di società di persone con un unico socio e quella in impresa individuale, soluzione – quest'ultima - che si porrebbe come alternativa alla cancellazione e assegnazione dell'azienda al socio superstite.

Le tematiche sono affrontate in due studi del Consiglio nazionale del notariato, ai quali si rinvia(13).

II) La cancellazione della società senza liquidazione e la prosecuzione dell'attività in forma di impresa individuale

In linea generale, il procedimento di liquidazione delle società di persone - che trova disciplina nell'art. 2275 e che, concettualmente, consta di quattro momenti, rappresentati dalla redazione dell'inventario, dalla monetizzazione dei beni in natura e dei crediti esigibili, dal pagamento dei creditori sociali e dalla eventuale distribuzione di residuo ai soci in via proporzionale rispetto alla quota da essi posseduta - risulta essere facoltativo e fungibile con forme convenzionali di liquidazione.

La facoltatività della liquidazione viene argomentata dal permanere della garanzia costituita dalla persistente responsabilità illimitata dei soci e si ritiene che la fungibilità del procedimento formale sia possibile non solo qualora lo statuto preveda quale destinazione il patrimonio sociale debba avere ma anche quando, pur in mancanza di ciò, i soci concordino nel procedere alla definizione integrale dei loro rapporti preesistenti.

La giurisprudenza prevalente afferma, quindi, come "il procedimento di liquidazione nella società di persone non è posto dalla legge in modo assoluto, costituendone una fase facoltativa nell'interesse dei soci, i quali possono evitarla pervenendo all'estinzione dell'ente, attraverso una divisione concordata, ovvero chiedendo al giudice la definizione dei reciproci rapporti di dare e avere, anche secondo le modalità proprie per lo scioglimento della comunione ordinaria(14).

Nonostante lo scioglimento possa avvenire senza la fase della liquidazione, perché possa darsi assegnazione del patrimonio sociale in capo ai soci, è tuttavia necessario dapprima procedere, anche in assenza di un formale procedimento di liquidazione, alla definizione dei rapporti con i terzi.

Viene in questione il principio sancito dall'art. 2280 c.c. che stabilisce il divieto di procedere a ripartizioni finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli, che la dottrina ritiene inderogabile in quanto posto a tutela dei creditori sociali che devono essere prioritariamente soddisfatti(15).

Invero, secondo un orientamento giurisprudenziale più risalente, la previsione dell'art. 2280, ed il principio da esso sancito, andrebbero ricondotti esclusivamente nell'alveo del formale procedimento di liquidazione(16): secondo tali pronunce, nelle società di persone (così come in quelle di fatto ed irregolari), in cui le ragioni dei creditori sono garantite dal regime di responsabilità illimitata dei soci, il divieto fatto ai liquidatori di ripartire fra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali (art. 2280 c.c.) finché non siano stati pagati i creditori sociali o non siano state accantonate per il pagamento dei debiti non ancora scaduti le somme necessarie, non è imposto dalla legge in modo assoluto; il procedimento di liquidazione, infatti, può essere omesso nel caso in cui lo statuto stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale, ovvero quando, in mancanza di apposito patto, i soci siano d'accordo nel procedere alla definizione integrale dei loro rapporti preesistenti.

Tuttavia, nella giurisprudenza più recente si afferma come il divieto opererebbe a prescindere dall'apertura di un formale procedimento di liquidazione: la legge vuole che i creditori sociali siano prioritariamente soddisfatti, e non già meramente garantiti dal patrimonio della società ed ammette quale unica alternativa al pagamento, l'accantonamento formale delle somme liquide nella contabilità sociale. A nulla vale per eludere il dettato di legge penalmente sanzionato, richiamarsi alla garanzia generica offerta dal capitale iscritto o alla successiva liquidazione con piena soddisfazione dei creditori(17).

Pertanto, nella società di persone, i soci (o l'unico socio rimasto), pur potendo adottare il modo di liquidazione che ritengono più opportuno, devono in ogni caso provvedere a soddisfare i creditori sociali prima di procedere alla ripartizione del patrimonio sociale (residuo)(18).

In tale prospettiva si è affermato come «la necessità del procedimento di liquidazione consegue anche dall'essere da esso coinvolti non solo gli interessi dei soci, ma anche gli interessi dei terzi. Ciò che è facoltativo è solo l'osservanza della disciplina legale, potendo i soci determinare una convenzionale, non procedere alla nomina dei liquidatori, ma definire i rapporti essi stessi mediante accordo diretto alla cessazione ed alla succitata definizione con libere modalità...»(19).

A riprova della fondatezza di tale rilievo si può aggiungere come parrebbe del tutto incongruente ritenere applicabile il divieto di ripartizione laddove si segua la via della liquidazione formale ed escluderne invece l'applicabilità laddove i soci vi provvedano convenzionalmente: anche perché nell'uno come nell'altro caso opererebbe comunque la garanzia della persistente responsabilità illimitata dei soci. Pertanto l'esigenza della preventiva soddisfazione dei creditori va salvaguardata tanto laddove si opti per la liquidazione formale, quanto laddove si proceda convenzionalmente.

In altre parole, l'assegnazione del patrimonio sociale al socio o ai soci superstiti presuppone o il soddisfacimento dei creditori o l'accantonamento di somme necessarie per pagarli.

Quanto alle modalità dell'assegnazione, ai sensi dell'art. 2282 c.c., "estinti i debiti sociali, l'attivo residuo è destinato al rimborso dei conferimenti. L'eventuale eccedenza è ripartita tra i soci in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni".

Una volta avvenuto il pagamento dei debiti sociali, e dopo l'approvazione del rendiconto finale,  occorre quindi procedere al rimborso dei conferimenti ai soci ed alla ripartizione del residuo attivo tra i soci in proporzione alla quota di ciascuno nei guadagni.

In tal caso si ritiene che il residuo attivo sia disciplinato dal regime di comunione pro indiviso(20).

Laddove, invece, lo scioglimento abbia riguardato una società unipersonale, l'intero patrimonio sociale dovrà essere assegnato a quest'ultimo.

Sennonché, tanto nel caso di scioglimento di società pluripersonale, quanto nel caso di scioglimento di società pluripersonale, si ritiene che l'assegnazione del residuo attivo abbia la natura di atto traslativo e che la materiale divisione dei beni fra gli ex soci o l'assegnazione all'unico superstite costituisca poi una mera attività di esecuzione in cui si concretizza detto trasferimento.

Il venir meno del soggetto cui era imputato il bene implica, infatti, l'eliminazione della sovrastruttura (società) che impedisce altrimenti di qualificare l'assetto proprietario su quel bene in termini di comunione ordinaria da parte dei soci o titolarità da parte dell'unico socio.

Quanto alla società pluripersonale, non si tratta, beninteso, di una comunione che ha il suo titolo nella legge (ex art. 1100 c.c.), ma semmai di un fenomeno inverso: posto che si estingue la sovrastruttura cui era imputato il bene residuo la sua eliminazione implica la necessaria attribuzione di quel bene residuo ai soci, non essendovi altri possibili destinatari, nonché l'instaurarsi del regime di comunione sul bene.

Invero, potrebbe dubitarsi, in questa fase, della natura traslativa del fenomeno, trattandosi, appunto del venir meno della sovrastruttura cui è imputato il bene: le norme sulla liquidazione consentono l'individuazione dei soggetti cui spetta quel bene, non la diretta imputazione, posto che altrimenti, anche ove il bene fosse stato regolarmente compreso nel bilancio finale, dalla sua assegnazione potrebbe prescindersi ogniqualvolta i soci volessero mantenerne la contitolarità.

È quindi verosimile ritenere che, a seguito dell'approvazione del bilancio finale, sorga la legittimazione dei soci alla assegnazione del bene, che dovrà poi avvenire o con un atto propriamente divisorio, o con l'assegnazione in comunione(21).

Analoghe considerazioni valgono per la società rimasta unipersonale: ancorché l'intero patrimonio non possa che essere assegnato all'unico socio superstite, non appare possibile prescindere da un atto che produca l'effetto di trasferire i beni dalla società al socio, realizzando così una fase attuativa della materiale assegnazione degli stessi.

La necessità di tale materiale attuazione emerge, in particolare, laddove – come nel caso di specie – il patrimonio sociale comprenda beni immobili.

Lo scioglimento della società determina, infatti, l'estinzione dell'ente e, pertanto, sotto il profilo soggettivo si verifica una sostituzione del soggetto titolare dei beni con altro soggetto distinto dal primo, determinando così una vicenda traslativa soggetta a trascrizione nei registri immobiliari.

In particolare, l'art. 2645 c.c. - che è norma di chiusura dell'intero sistema pubblicitario - prevede la trascrizione di atti o provvedimenti diversi da quelli elencati all'art. 2643 c.c., ma produttivi degli stessi effetti in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari, tra i quali sono compresi tanto gli atti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, quanto quelli che costituiscono o sciolgono la comunione sugli immobili.

Occorre, tuttavia, considerare gli eventuali riflessi delle pronunce delle Sezioni Unite sull'efficacia estintiva della cancellazione e sulle sopravvenienze attive rispetto a tali considerazione.

Le Sezioni Unite, con la sentenza 12 marzo 2013, n. 6070, ritornano sulla questione degli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, dopo essersene già occupate tre anni prima, con le pronunce 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062 e, con specifico riferimento alle società di persone, con la sentenza 9 aprile 2010, n. 8426.

Rinviandosi, per un maggior approfondimento, alla Segnalazione Novità Giurisprudenziale a commento di Cassazione Civile, SS.UU., 22 febbraio 2010, n. 4062, in CNN Notizie del 9 marzo 2010, Le Sezioni Unite sull'efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese , est. Ruotolo, con questo più recente intervento, le SS.UU. enunciano due principi di diritto:

"Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato".

"La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l'estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall'art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l'evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta".

La posizione della giurisprudenza appare quindi  ormai attestata su alcuni punti fermi: la valenza estintiva della cancellazione, il "subentro" dei soci nella titolarità delle posizione attive e passive residue.

Si tratta ora di verificare quali implicazioni pratiche abbiano questi due assunti per l'attività notarile.

Il problema è appunto quello della sorte del bene che non sia stato oggetto di liquidazione e che si intenda ora trasferire a terzi.

Già in passato la giurisprudenza aveva configurato la situazione di contitolarità dei soci che si viene ad instaurare all'esito della cancellazione in termini di fenomeno successorio.

In tale prospettiva, in uno studio del Consiglio Nazionale del Notariato, si era rilevato come, a siffatta qualificazione – una sorta di successione mortis causa dei soci alla società estinta – «dovrebbe poi corrispondere, quantomeno laddove nell'attivo residuino beni immobili, un conseguente regime di pubblicità.

Si ipotizzi che gli ex soci intervengano tutti all'atto di trasferimento ad un terzo del bene residuo; per assicurare la continuità delle trascrizione sembrerebbe tuttavia necessario saldare la trascrizione di tale atto di disposizione con una precedente trascrizione contro la società – estinta – ed a favore dei soci (che è ciò che si sarebbe verificato qualora il bene non fosse stato "dimenticato" nella liquidazione).

Tale trascrizione troverebbe il suo titolo nella estinzione della società, attraverso un atto con cui gli stessi ex soci, premessa l'estinzione della società, dichiarino di esser gli attuali titolari del bene in forza di "successione".

La fattispecie descritta presenta alcuni aspetti analoghi a quelli contemplati dall'art. 2648 c.c.

Ma si tratta di una ricostruzione che,

- da un lato, si scontra con il principio di tassatività (invero degli effetti, e non degli atti, il che forse non esclude a priori la percorribilità di tale via) della trascrizione, che non ammette appunto, l'estensione per analogia a fattispecie non contemplate;

- e, dall'altro lato e soprattutto, appare difficilmente compatibile con la stessa struttura della norma richiamata (non essendo pienamente assimilabile il bene residuato ad un bene ereditario, né potendosi propriamente parlare di accettazione dell'eredità).

Non appare quindi, quello delineato, un percorso dagli esiti certi e non ci si nasconde che – ove si ritenesse insoddisfacente la tesi della assimilazione alla trascrizione degli acquisti mortis causa – l'esito potrebbe in definitiva esser quello della mancanza della continuità nelle formalità pubblicitarie.

Invero, il termine successione viene sovente utilizzato anche con riguardo a vicende concernenti enti (si pensi al caso di confluenza di un ente in un altro), ma in senso figurato, per rappresentare appunto il subentro di un soggetto nei rapporti attivi e passivi di altro soggetto che si estingue.

Altro è il fenomeno della successione mortis causa che il legislatore disciplina, sul piano della pubblicità immobiliare, nelle citate disposizioni» (Ruotolo, Società cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive, Studio n. 38-2006/I, in Studi e materiali, 2006, 1499 ss.

 La novità della posizione assunta dalle Sezioni Unite del 2013 e della conseguente qualificazione della vicenda di termini di successione dei soci alla società, sembrerebbe consentire l'adozione anche di una diversa soluzione.

Si era, infatti, ipotizzato, proprio in ragione della difficoltà di qualificare la vicenda in termini propriamente successori, all'integrazione - mediante un atto di carattere sostanzialmente ricognitivo dell'omessa indicazione del cespite - dell'assegnazione effettuata a seguito dell'approvazione del bilancio finale di liquidazione, sulla base del rilievo per cui la liquidazione consiste, nella sua fase finale, nella generica "assegnazione" dell'attivo residuo ai soci, come tale idonea a ricomprendere l'intero attivo ancorché non espressamente enunciato. Tale atto, secondo la ricostruzione profilata, sarebbe stato soggetto a trascrizione, ai sensi dell'art. 2643 n. 1), c.c., in quanto implicante l'effetto del trasferimento della proprietà con gli effetti propri previsti dall'art. 2644 c.c., e non solo quelli della continuità ex art. 2560 c.c.

La prospettiva era quella di uniformare la divisione prevista nel bilancio finale di liquidazione ed il subentro dei soci alla società estinta rispetto alle sopravvivenze attive sia sul piano del titolo, che su quello della pubblicità immobiliare.

Si dava atto dell'orientamento giurisprudenziale dell'epoca che faceva derivare dall'estinzione la contitolarità del cespite "dimenticato" in capo ai soci, senza ulteriormente qualificarlo. E, nella incertezza della qualificazione, si era in sostanza ritenuto che comunque il titolo di tale acquisto fosse il bilancio finale di liquidazione (tendenzialmente volto a realizzare la divisione dell'intero residuo patrimoniale) suscettibile di esser successivamente integrato con un atto avente ad oggetto la sopravvivenza attiva.

 Le sentenze delle Sezioni Unite del marzo 2013 parrebbero invece consentire una diversa e assai meno tortuosa soluzione.

Sentenze che, a dire il vero, sono state anticipate da altre pronunce che hanno ricondotto l'instaurarsi della contitolarità tra i soci ad un fenomeno successorio(22).

Infatti, il venir meno del soggetto cui era imputato il bene implicherebbe l'eliminazione della sovrastruttura (società) che impedisce altrimenti di qualificare l'assetto proprietario su quel bene in termini di comunione o contitolarità ordinaria da parte dei soci; e l'effetto della instaurazione della comunione sarebbe automatico e conseguente a tale estinzione.

Il fenomeno, allora, potrebbe sì essere ricostruito come successione, ma con un'assoluta peculiarità: chi succede, il socio, succede in quanto socio e non in forza di un comportamento (accettazione espressa o tacita), come avviene per le successioni mortis causa.

E l'automatismo dell'instaurarsi del regime di contitolarità impedirebbe, invero, anche di ricostruire la vicenda in termini di successione a titolo particolare: anche nel legato l'acquisto prescinde da un comportamento, è automatico, ma è fatta salva la possibilità di rinunciarvi.

Qui, invece, non sarebbe possibile rinunciare alla contitolarità, perché questa discenderebbe dal fatto dell'esser (stato) socio.

Un fenomeno sì successorio, ma che sembrerebbe evocare quello degli heredes necessarii del diritto romano, che acquistavano l'eredità senza che vi fosse bisogno di alcuna manifestazione di volontà intesa a tale risultato, o della saisine nel diritto germanico (der Todte erbt den Lebendigen; o le mort saisit le vif)  per cui "il morto impossessa il vivo", in virtù di un'automatica investitura del chiamato nel possesso e nella titolarità dei beni ereditari.

Si è contitolari in quanto si è stati soci, e per l'individuazione di coloro che sono contitolari è necessario far riferimento a coloro che erano soci al momento della approvazione del bilancio finale di liquidazione.

Tutto ciò potrebbe avere notevoli riflessi anche sul piano della pubblicità immobiliare.

L'automatismo nell'instaurarsi del regime di contitolarità e l'esistenza di un sistema di pubblicità delle vicende relative alle partecipazioni sociali sembrerebbe, infatti, consentire il superamento del problema della continuità della trascrizione: trattandosi di un effetto, per così dire, legale, susseguente all'estinzione della società, esso non sarebbe oggetto di trascrizione, essendo possibile riferirsi, per ciò che attiene alla titolarità, alle risultanze storiche del registro delle imprese al momento della cancellazione della società.

La soluzione proposta ha, tuttavia, inevitabili riflessi sul piano tributario: se l'effetto dell'instaurarsi della comunione tra i soci all'esito della cancellazione della società dal registro delle imprese è un effetto legale, e dunque non è necessario un atto integrativo dell'assegnazione, mancherebbe una fattispecie imponibile. Con il rischio, quindi, che la presenza di una sopravvivenza attiva, più che frutto di dimenticanza, sia più frequentemente conseguenza di un comportamento omissivo voluto.

Queste perplessità, legate ai riflessi fiscali ma anche alle conseguenze sul piano della pubblicità immobiliare per la quale non sarebbe più riscontrabile una continuità né in forma diretta (dalle sole risultanze dei Registri immobiliari) né in forma indiretta (mediante parallela compulsazione del registro imprese, dal quale pare difficile evidenziare il passaggio società/socio), inducono forse a ritenere tutt'ora preferibile il ricorso all'atto ricognitivo che venne suggerito all'indomani delle prime pronunce sull'efficacia estintiva della cancellazione post riforma.

Soluzione che appare opportuna anche nel caso di società unipersonale, considerato che, nonostante in tale ipotesi non esista margine di scelta sull'individuazione dell'assegnatario del bene, resta ferma l'esigenza di garantire la continuità sul piano della pubblicità immobiliare e di evitare possibili comportamenti elusivi sul piano fiscale.

In sostanza, l'atto ricognitivo consente di dare evidenza delle vicende relative alla titolarità del bene e, soprattutto, consente la liquidazione delle imposte dovute per le predette vicende, laddove ciò non sia avvenuto in precedenza.


(1) Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 244; Campobasso, Diritto commerciale, II, 3a ed., Torino, 1995, 114; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 160; Cagnasso, Società semplice, in Tratt. Sacco, 1998, 272; Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, 108 ss; Galgano, Le società di persone, Milano, 1972, 289; Ghidini, Le società personali, Padova, 1972, 795, n. 27; Maisano, Lo scioglimento delle società, Milano, 1974, 129-148; Ascarelli, Contratto plurilaterale; comunione di interessi, società di due soci; morte di un socio nella società personale di due soci, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1953, 723; Auletta, La morte del socio nelle società di persone, in Annali del seminario giuridico dell'Università di Catania, IV, Napoli, 1950, 144-146; De Ferra, La proroga delle società commerciali, Milano, 1957, 42; Amatucci, Le società unipersonali e il problema della qualificazione del rapporto giuridico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1964, 133 e ss. Diversamente, secondo una tesi autorevole, ma minoritaria, nel momento in cui viene meno la pluralità dei soci si verificherebbe lo scioglimento della società e, conseguentemente, l'eventuale ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi costituisce una causa di risoluzione del suddetto effetto. In tal senso, Ferri, Le società, in Tratt. Vassalli, 3a ed., Torino, 1987, 310; Id., Delle Società, in Comm. Scialoja - Branca (artt. 2247-2324), Bologna-Roma, 1968, sub art. 2272, 208 e ss.; nel senso della retroattività anche Brunetti, Trattato del diritto delle società, Milano, 1948, I, 421; Angeloni, Imprese e società, Roma, 1952, 279; Scheggi, Manuale di diritto commerciale, I, Roma, 1959, 141; Tarzia, Liquidazione della società e liquidazione della singola quota sociale nelle società di persone, nota ad App. Torino 9 novembre 1973, in Dir. fall., 1974, II, 528; Stella Richter, Appunti sulla mancanza sopravvenuta della pluralità dei soci e sullo scioglimento della società di persone, nota a Trib. Roma 26 gennaio 1972, in Giust. civ., 1972, I, 1672; Angelini Rota, Società personale con un solo socio, nota a Cass. 3 agosto 1950, n. 2333, in Giust. civ., 1951, 198. In giurisprudenza si segnala App. Bologna 22 giugno 1976, in Giur. comm., 1978, II, 774 e ss., con nota critica di Jannucci, Irretroattività degli effetti dello scioglimento ex art. 2272 n. 4 c.c.

(2) Il dibattito sull'efficacia o meno estintiva della cancellazione dal registro delle imprese ha formato oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali. Nelle società di persone una conferma della tesi dell'efficacia estintiva è sempre stata rinvenuta nell'art. 2312, comma 2, c.c. (e nell'art. 2324 per le società in accomandita semplice), il quale stabilisce che «dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro diritti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi». La questione dell'applicabilità diretta o meno dell'art. 2495 c.c. alle società di persone è stata, poi, risolta prevalentemente in senso affermativo dalla giurisprudenza soprattutto a partire dalla pronuncia Cass. 28 agosto 2006, n. 18618, in Soc., 2007, 967, con nota di Pascali, Fallimento di società di fatto: applicabilità e decorrenza del termine annuale ex art. 10 legge fall., e in Fall. proc. conc., 2007, 294, con nota di Zanichelli, Società irregolari: cessazione dell'attività e dichiarazione di fallimento, e successivamente ribadita da Cass. 22 febbraio 2010, n.ri 4060, 4061 e 4062, in Giur. It., 2010, 1611, e da Cass. 12 marzo 2013, n. 6070, in Foro it., 2014, 230, con nota di Proto Pisani, Note sulla estinzione delle società per azioni, processi pendenti (e impugnazione della sentenza nei confronti della società estinta); in Soc., 2013, 542, con nota di Fimmanò, Le sezioni Unite pongono la "pietra tombale" sugli effetti tombali della cancellazione delle società di capitali; in Giur. comm., 2013, 603, con nota di De Sabato, Cancellazione dal Registro delle Imprese, estinzione ed effetti su rapporti giuridici sostanziali e processuali; in Riv. Not., 2013, 724, con nota di La Porta, L'estinzione del soggetto e le vicende delle situazioni soggettive nella cancellazione della società dal registro delle imprese; in Not., 2013, 521, con nota di Iaccarino, Interpretazione della valenza innovativa dell'art. 2495 c.c. ad opera della cassazione dal 2008 al 2013. La Cassazione, nelle citate sentenze, prende posizione sul punto, nel senso della applicabilità dell'art. 2495 c.c. anche alle società personali, muovendo dalla considerazione per cui come per l'art. 2495 c.c. la cancellazione comporta l'estinzione della personalità delle società di capitali, così la cancellazione comporta per le s.n.c. e le s.a.s. - che sarebbero prive di personalità giuridica e dotate solo di una limitata capacità per singoli atti di impresa - il venir meno di detta ridotta capacità, rendendola opponibile ai terzi con una pubblicità solo dichiarativa della fine della vita di essa. Si può quindi presumere, anche per le società personali, che la cancellazione dell'iscrizione nel registro delle imprese di esse comporti la fine della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali e le cooperative. Sul tema, v. Boggiali – Ruotolo, Efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e di persone dal registro delle imprese, in Riv. Not., 2010, 1396 ss.

(3) Così DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1987, p.108.

(4) Stella Richter Jr. – Ferri Jr., Mancata ricostituzione della pluralità dei soci e continuazione dello svolgimento dell'impresa, Studio CNN n. 774; Campobasso, Diritto Comm., 2, Diritto delle società, Torino, 2002, 126; Margiotta, La trasformazione della società in Impresa individuale, in Società, 2005, 976 e ss.

(5) Margiotta, La trasformazione della società in impresa individuale, in Società, 2005, 976 ss.

(6) Non reputa possibile individuare nella prosecuzione della attività di impresa una modalità, atipica, di liquidazione Boero, Sulla "trasformazione" di società di persone in impresa individuale, nota a Giudice del registro delle imprese presso Trib. Torino, 22 ottobre 1993, decr., in Giur. comm., 1994, II, 266.

(7) Stella Richter Jr. – Ferri Jr., Mancata ricostituzione della pluralità dei soci e continuazione dello svolgimento dell'impresa, Studio CNN n. 774. Recentemente DE Martino, La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone decorsi sei mesi ex art. 2272 n.4 c.c., in Studi e materiali, 2010, 721 ss.

(8) De Martino,  La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone decorsi sei mesi ex art. 2272 n. 4 c.c., cit., 729.

(9) Margiotta, La trasformazione della società in impresa individuale, in Società, 2005, 976 ss.

(10) La prosecuzione dell'attività sociale dopo sei mesi dal venir meno della pluralità dei soci è espressamente ritenuta ammissibile da Campobasso, Diritto commerciale, 2. Diritto delle società, Torino, 2002, 126.

(11) DE Martino, La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone decorsi sei mesi ex art. 2272 n.4 c.c., cit., 725.

(12) Stella Richter Jr. – Ferri Jr., Mancata ricostituzione della pluralità dei soci e continuazione dello svolgimento dell'impresa, cit.; DE Martino, La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone decorsi sei mesi ex art. 2272 n.4 c.c., cit., 725

(13) Boggiali – Maltoni – Ruotolo, Sulla ammissibilità della trasformazione di società unipersonali in società di persone, in Studi e materiali, 2014, 595 ss.; Boggiali –Ruotolo, Trasformazione di società unipersonale in impresa individuale, in Studi e materiali, 2014, 695 ss.

(14) Cass. 29 maggio 2003, n, 8599; nello stesso senso Cass. 3 marzo 2000, n. 2376, in Corr. Giur ., 2000, 5, 583; Cass. 27 gennaio 1992, n. 860; Cass. 22 novembre 1980 n. 6212, in Riv. Not ., 1981, 452, secondo cui "nella società in nome collettivo il procedimento formale di liquidazione non è imposto dalla legge in modo assoluto, ma costituisce una fase facoltativa nella vita della società. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Lodi, 15 luglio 2005, in Società , 2006, 1140, secondo cui i soci possono liberamente determinare, prescindendo da formalismi particolari, oltre allo scioglimento, anche le modalità della liquidazione, ove necessaria, per addivenire, attraverso la definizione dei rapporti pendenti, all'estinzione della società, essendo la liquidazione stabilita nell'interesse dei soci e non dei creditori sociali; conformemente Trib. Lucca 18 luglio 1988, in Società , 1989, 66; Trib. Reggio Calabria 21 marzo 1990, in Società , 1990, 958. Nel senso, invece, dell'essenzialità del procedimento Trib. Napoli 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487 e Cass. 4 aprile 1981 n. 1916, in Giur. Comm. , 1982, 28, secondo cui "il procedimento di liquidazione è necessario e insopprimibile".

(15) Cottino, Diritto commerciale, I, 2, 4ª ed., Padova, 2000, 253; Ferri, Le società, in Tratt. Vassalli, Torino, 1987, 321; Cameli, Liquidazione convenzionale di società personali e divisione della cosa comune, in Giust. Civ., 2004, 5, 1345; Campobasso, Diritto Commerciale, II, Diritto delle società, Torino, 2002, 129 ss.; Montalenti, Negozio di liquidazione di società personale e clausole di revisione: interessi tutelati e disciplina applicabile, in Giur. comm., 1982, II, 808.

(16) Cass. 27 gennaio 1992, n. 860; Cass. 5 gennaio 1967, n. 22; Cass. 9 ottobre 1969 n. 3239; Cass. 22 ottobre 1970 n. 2099.

(17) Cass. 31 agosto 2005, n. 17585, in Società, 2006, 854. Trib. Milano, 2 settembre 2003, in Giur. It., 2004, 105.

(18) Maccarrone, Estinzione della società di persone e continuazione dell'attività imprenditoriale da parte del socio superstite, in Riv. not., 1996, 843 ss.

(19) Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487.

(20) Porzio, La Cancellazione, in Abbadessa, Portale, Il nuovo diritto delle società, Torino, IV, 2007, 90.

(21) Ruotolo, Società cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive, in Studi e materiali, 2006, 1499 ss.

(22) Cass. 15 ottobre 2012, n. 17637; Cass. 23 maggio 2012, n. 8170.

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