Lo spazio dell'autonomia privata: disciplina dei vizi, circolazione della posizione contrattuale, art. 8 dlgs 122/2005
Lo spazio dell'autonomia privata: disciplina dei vizi, circolazione della posizione contrattuale, art. 8 dlgs 122/2005
di Giovanni Rizzi
Notaio in Vicenza

1. La natura giuridica e la struttura del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione

1.1 L'art. 23 D.L. 12 settembre 2014 n. 133, convertito con legge 11 novembre 2004 n. 164, ha introdotto nel nostro ordinamento la figura dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione (cd. "rent to buy").

Si tratta di contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto; il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo. Detti contratti debbono essere trascritti ai sensi dell' articolo 2645-bis codice civile; la trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all' articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.

Si ritiene che il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sia un contratto tipico, che trova la sua disciplina per l'appunto nell'art. 23 del suddetto D.L. 133/2014. Appare fuorviante, pertanto, cercare assimilazioni di tale nuovo istituto con altre figure espressamente disciplinate (locazione, usufrutto, preliminare, opzione, ecc. ecc.), per cercare di colmare eventuali lacune normative richiamando la disciplina dell'una o piuttosto dell'altra di tali figure. Il modo stesso con il quale è stato strutturato il suddetto art. 23, D.L. 133/2014, sembra proprio escludere la possibilità di addivenire a qualsiasi tipo di assimilazione; la norma infatti, nell'utilizzare la tecnica del rinvio a norme disciplinanti altre fattispecie, non richiama la disciplina relativa ad una e sola ben determinata figura, così da poter legittimare un'eventuale assimilazione tra il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione e tale figura. Al contrario richiama le norme relative a più e diverse figure, cosicchè non si può dire a quale delle stesse debba essere riconosciuta la "priorità", al fine di ricondurre nel suo ambito anche il nuovo contratto. L'art. 23, D.L. 133/2014 richiama, indifferentemente:

- la disciplina in materia di preliminare: al comma 1, laddove è prevista la possibilità della trascrizione con il rinvio alla disposizione dell'art. 2645bis c.c.; al comma 3, laddove è prevista la possibilità di cancellare la trascrizione del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, con il rinvio alla disposizione dell'art. 2668, co. 4, c.c.; ancora al comma 3 laddove è riconosciuto privilegio speciale ai crediti del conduttore nel caso non si addivenga alla stipula dell'atto traslativo della proprietà, con il rinvio alla disposizione dell'art. 2775bis c.c.; ancora al comma 3 laddove sono disciplinati i rapporti tra iscrizione di ipoteca e trascrizione del contratto, con il rinvio alla disposizione dell'art. 2825bis c.c.) ;

- la disciplina in materia di locazione: al comma 1, laddove sono disciplinati gli effetti della trascrizione con il rinvio alla disposizione dell'art. 2643, co. 1, n. 8) c.c.

- la disciplina in materia di usufrutto: al comma 3 laddove sono disciplinati gli obblighi posti a carico del conduttore e del concedente, durante la fase del godimento,  mediante il rinvio alle disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 e 1012 e 1013 del cod. civ., in quanto compatibili.

Lo stesso legislatore ha voluto evitare, in maniera espressa, qualsiasi assimilazione ad altre e diverse figure contrattuali. Se si pensa che la figura, con la quale il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione presenta maggiori affinità, è la locazione finanziaria, ebbene, il legislatore, nell'incipit del primo comma dell'art. 23, D.L. 133/2014 ha avuto cura di precisare che la norma de quo riguarda "i contratti diversi dalla locazione finanziaria...." proprio per evitare qualsiasi possibile riqualificazione in tali termini della nuova figura contrattuale.

1.2 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è, pertanto, un contratto tipico che si articola in due fasi (di cui una solo eventuale):

i) la prima fase è quella della concessione in godimento. Per effetto della stipula del contratto sorge a carico del proprietario dell'immobile (il concedente) l'obbligo di consegna dello stesso al conduttore. A carico di quest'ultimo sorge l'obbligo di pagare il canone pattuito al concedente (sia per la componente destinata a remunerazione del godimento che per la componente da imputare al prezzo di acquisto). Il diritto di godimento che per effetto della stipula del contratto spetta al conduttore è un diritto personale, di natura obbligatoria. Bisogna escludere che si tratti di un diritto reale, assimilabile al diritto di usufrutto o di abitazione e ciò benché la norma, al comma terzo, per disciplinare gli obblighi posti a carico del conduttore e del concedente richiami espressamente le disposizioni dettate in tema di usufrutto. Tale ricostruzione si fonda sul disposto del primo comma dell'art. 23, D.L. 133/2014, che, nel disciplinare gli effetti della trascrizione ha richiamato l'art. 2643, co. 1, numero 8) c.c., dettato per i contratti di locazione di beni immobili di durata superiore ai nove anni (contratti dai quali, per l'appunto, sorge un diritto personale di godimento a favore del locatario) e non l'art. 2643, co. 1, numero 2) c.c., dettato per i contratti che trasferiscono il diritto di usufrutto, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell'enfiteuta (contratti dai quali sorgono, invece, dei diritti reali a favore dei beneficiari). Pertanto il godimento dell'immobile va qualificato come diritto personale del conduttore, di natura obbligatoria, funzionale al successivo acquisto della proprietà.

ii) la seconda fase, quella comportante il trasferimento della proprietà dell'immobile dal concedente al conduttore, è, invece, del tutto eventuale; è da escludere che l'effetto traslativo si produca automaticamente alla conclusione del periodo convenuto per il godimento; così come bisogna escludere che vi sia un obbligo gravante su entrambe le parti del contratto di addivenire, una volta concluso il periodo di godimento, al trasferimento della proprietà dell'immobile. La norma stabilisce, infatti, che il contratto prevede "l'immediata concessione in godimento di un immobile con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato." La norma, quindi, non prevede un obbligo reciproco delle parti a concludere l'atto con effetti traslativi, né prevede che tali effetti si producano automaticamente a prescindere da una ulteriore manifestazione di volontà delle parti; la norma riconosce al conduttore il diritto all'acquisto. Il conduttore pertanto, in quanto titolare di un diritto e non destinatario di un obbligo, alla scadenza del termine convenuto, è libero di decidere se procedere o meno all'acquisto (fermo, peraltro, restando l'obbligo del concedente di procedere alla cessione nel caso in cui il conduttore decida di esercitare il proprio diritto). Quindi tutto dipende dalla decisione che verrà assunta dal conduttore, per cui:

- se il conduttore deciderà di non esercitare il proprio diritto all'acquisto, il contratto, alla scadenza del termine convenuto, cesserà di produrre ogni effetto con diritto del concedente alla riconsegna dell'immobile ed a trattenere l'intera componente dei canoni imputabile a remunerazione del godimento, e con diritto del conduttore, invece, alla restituzione della parte della componente dei canoni imputabile al prezzo di cessione, quale determinata dalle parti in contratto;

- se il conduttore deciderà di esercitare il proprio diritto all'acquisto, il concedente sarà tenuto a prestare il proprio consenso all'atto traslativo. Il conduttore, a sua volta, dovrà corrispondere il prezzo pattuito (al netto della parte dei canoni da imputare a corrispettivo). Qualora il concedente non dovesse adempiere l'obbligo di stipulazione dell'atto formale di cessione, il conduttore potrà avvalersi del rimedio di cui all'art. 2932 c.c. (esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto) ed ottenere, in tal modo, una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. La possibilità di ricorrere al rimedio di cui all'art. 2932 c.c., nel caso di specie, è espressamente riconosciuta dall'art. 23, co. 3, ultimo periodo, D.L. 133/2014.

1.3 In contratto dovranno necessariamente indicarsi le due diverse componenti che, secondo lo schema tipico del contratto de quo, costituiscono il canone da pagare: la componente destinata a remunerazione del godimento e la componente da imputare al prezzo nel caso di esercizio da parte del conduttore del suo diritto all'acquisto. E' opinione diffusa, nei primi commenti della norma, che questa suddivisione del canone sia un elemento caratterizzante del contratto de quo, al punto che la sua mancata esplicitazione determinerebbe la nullità del contratto. Tale ricostruzione sembra trovare conforto nelle disposizioni dei commi 1bis e 5 dell'art. 23, D.L. 133/2014 che prevedono diverse conseguenze per le due componenti del canone nel caso di mancato esercizio da parte del conduttore del suo diritto all'acquisto e nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento. L'esplicitazione in contratto della duplice componente del canone costituisce, pertanto, elemento essenziale, richiesto per la stessa validità del contratto de quo, in quanto strettamente collegato a quello che è lo scopo del contratto stesso (la concessione in godimento in funzione della successiva alienazione). Né sarebbe sufficiente ad evitare tale nullità l'indicazione, per l'una o l'altra delle due componenti, di un importo meramente simbolico.

1.4. Secondo lo schema "tipico" delineato dall'art. 23, D.L. 133/2014, con il contratto de quo, il conduttore assume il diritto ma non anche l'obbligo ad acquistare l'immobile concesso in godimento.

Ciò non toglie che le parti possano anche apportare varianti allo schema "tipico" così delineato, ad esempio convenendo che il conduttore assuma anche l'obbligo all'acquisto. Tuttavia c'è da chiedersi se contratti che si discostino dallo schema "tipico" (a seguito di varianti del tipo di quella sopra descritta) possano pur sempre rientrare nel perimetro applicativo dell'art. 23, D.L. 133/2014, ovvero se, al contrario, ne fuoriescano (dovendo ritenersi contratti atipici, certamente leciti, in quanto diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ma non più soggetti alla disciplina di cui alla norma in commento).

Non è del tutto convincente la tesi di chi ritiene sicuramente riconducibile alla disciplina dell'art. 23 in commento anche la fattispecie in cui sia previsto l'obbligo bilaterale alla cessione dell'immobile concesso in godimento. Soprattutto non convince la tesi di chi fonda tale assunto sul disposto del comma 7 dell'art. 23 in questione (e questo, in quanto il suddetto settimo comma consentirebbe l'estensione della disciplina sul contratto di godimento in funzione della successiva alienazione anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti).

Non ci convince quest'ultimo assunto per due ragioni:

- in primis, in quanto il comma sette dell'art. 23 non si applica direttamente al contratto de quo, prevedendo lo stesso l'estensione ai contratti di locazione, con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti, non tanto della disciplina in tema di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, contenuta nei commi da 1 a 6 del medesimo art. 23, bensì della disciplina in tema di locazione di alloggi sociali con patto di riscatto, contenuta nell'art. 8, D.L. 28 marzo 2014 n. 47, convertito con legge 23 maggio 2014 n. 80. Il comma sette dell'art. 23 in commento, infatti, così dispone: "Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, è aggiunto il seguente: «5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.»."

- in secondo luogo, in quanto non ci sembra neppure possibile un'interpretazione estensiva della norma di cui al comma 7 dell'art. 23 tale da ricondurre nel suo abito applicativo anche il contratto de quo, in quanto norma dettata per altra e diversa fattispecie, la locazione di alloggi sociali, del tutto peculiare ed  implicante anche il coinvolgimento di interessi pubblici (inoltre, non ci si può non domandare come mai  il legislatore, nel dettare il comma sette dell'art. 23, non lo abbia riferito in primis proprio al contratto disciplinato nei sei commi precedenti, per poi estenderne la disciplina anche alle locazioni di alloggi sociali; se non lo ha fatto è perché, evidentemente, ha voluto circoscrivere la particolare disciplina del comma sette ai soli contratti di locazione di alloggi sociali).

Più convincente è invece la tesi della "tipicità" dello schema contrattuale dell'atto di cui qui si discute, nel senso che il contratto de quo presenterebbe come suo elemento essenziale e caratterizzante il riconoscimento al conduttore del diritto e non anche dell'obbligo all'acquisto dell'immobile. Tesi questa che ha trovato testuale conforto nella disposizione del comma 1bis dell'23, D.L. 133/2014, introdotto in sede di conversione in legge del decreto suddetto, che così dispone "Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito". Con questa norma vengono espressamente disciplinate le conseguenze del mancato esercizio di quel diritto all'acquisto spettante al conduttore, che sembra proprio essere l'elemento qualificante di questa particolare figura contrattuale.

Ovviamente, in questa fase di primo approccio all'interpretazione della normativa in commento, nessuna soluzione può darsi per scontata. Tuttavia in mancanza di riscontri giurisprudenziali (ed al momento è impossibile averne) è consigliabile non discostarsi da quello che è lo schema "tipico" del contatto de quo, quale risulta dal tenore letterale della norma. Vi è, altrimenti, il rischio, concreto, ogni qualvolta ci si discosti dallo schema "tipico", di vedersi in futuro negata l'applicazione della disciplina in commento; ad esempio se venisse previsto l'obbligo di alienazione a carico del concedente e l'obbligo di (e non il diritto all') acquisto a carico del conduttore, il contratto potrebbe non più essere qualificato come contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, bensì come un contratto di locazione collegato ad un preliminare bilaterale, con conseguente limitazione dell'efficacia della trascrizione a soli tre anni anziché dieci.

1.5 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione può avere per oggetto qualsiasi tipo di immobile: ad uso residenziale, commerciale, produttivo, direzionale, ecc.; non sembra via siano preclusione ad ammettere che oggetto del contratto de quo possa essere anche un terreno (agricolo, edificabile, ecc.); la norma in commento, infatti, non fa distinzione di sorta e non prevede esclusioni di nessun tipo. Si parla genericamente di contratti per la concessione in godimento di "un immobile".

Non sembra vi siano preclusioni neppure alla deduzione in contratto di fabbricati realizzati solo al grezzo. Potrebbe convenirsi in contratto che le opere di completamento e finitura debbano essere realizzate proprio dal conduttore (derogando al disposto dell'art. 1005 c.c. richiamato dalla norma in commento), prevedendo, di conseguenza, un canone ridotto (sia per la parte riferita alla remunerazione del godimento che per la parte imputabile a corrispettivo di cessione), in relazione al fatto che il bene concesso in godimento non è ancora agibile e che le spese per renderlo utilizzabile vengono, per l'appunto, assunte dal conduttore.

1.6 Si ritiene possibile per il conduttore pagare i canoni convenuti (sicuramente per la parte imputabile al corrispettivo di acquisto, ma anche per la parte imputabile al godimento) mediante l'accollo di un eventuale mutuo stipulato dal concedente. Le parti, in relazione al suddetto accollo, dovranno disciplinare, in contratto, le modalità di imputazione ai canoni convenuti del mutuo così accollato: o prevedendo la "compensazione" con un certo numero di canoni di valore complessivo pari a quello del capitale mutuato, ovvero "spalmando" detto capitale su tutti i canoni previsti in contratto (in parte da ritenersi pagati mediante "compensazione" con il mutuo accollato ed in parte da pagarsi in denaro). Ovviamente il concedente rimane obbligato in solido con il conduttore per il pagamento delle rate del mutuo oggetto di accollo, se a tale accollo non abbia aderito il mutuante, dichiarando espressamente di liberare il concedente (il tutto così come disposto dall'art. 1273 c.c.).

2. La circolazione del contratto

2.1 Il contratto per persona da nominare

Si ritiene possibile la stipula del contratto de quo con lo schema del contratto per persona da nominare.  Non vi sono, infatti, ragioni per escludere l'applicabilità al contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di tale schema contrattuale. Si rammenta, infatti, che, in dottrina, si ritiene tale schema alla stregua di uno schema contrattuale di valenza "generale" e quindi applicabile, in linea di principio, a qualsiasi fattispecie contrattuale, con la sola esclusione:

- dei contratti caratterizzati dall'intuitus personae, ossia dall'infungibilità della persona dello stipulante (ovvero del soggetto, che, in base allo schema contrattuale considerato, dovrebbe riservarsi la facoltà di designare altro e diverso soggetto che subentri in suo luogo, assumendo tutti i diritti ed obblighi discendenti dal contratto);

- dei contrati incompatibili con l'istituto della rappresentanza (posto che, secondo l'orientamento tradizionale, il contratto per persona da nominare è fattispecie riconducibile nell'ambito dell'istituto della rappresentanza, rappresentanza, peraltro, "eventuale", posto che in mancanza di una valida ed efficacia dichiarazione di nomina, il contratto è destinato a produrre tutti i suoi effetti tra le parti originarie, non operando alcun meccanismo rappresentativo);

- dei contratti di secondo grado, che, in quanto destinati a modificare, integrare, sciogliere rapporti giuridici già in essere, non possono che essere stipulati tra le sole parti che a tali rapporti hanno dato vita.

Secondo l'opinione prevalente, lo schema del contratto per persona da nominare è parimenti utilizzabile sia nei contratti ad efficacia obbligatoria (com'è il contratto de quo nella sua prima fase, quella della concessione in godimento) che nei contratti a effetti traslativi (com'è il contratto de quo nella sua seconda fase, quando il conduttore esercita il suo diritto all'acquisto).

Ne consegue che allo schema del contratto per persona da nominare si potrà ricorrere:

I) in occasione della stipula del contratto iniziale, ossia in occasione della concessione del bene in godimento. In questo caso il conduttore potrà, con apposita clausola da inserire in contratto, riservarsi la facoltà di designare, entro un termine ben preciso da indicare in contratto (normalmente non superiore, a tre giorni per ragioni di carattere fiscale), una terza persona che subentri nell'intera sua posizione contrattuale, assumendo in tal modo tutti i diritti (in primis il diritto al godimento del bene ed il diritto al suo acquisto nei termini convenuti) e tutti gli obblighi (in primis l'obbligo di pagare il canone nella sua doppia componente di corrispettivo del godimento e anticipo del prezzo) che discendono dal contratto in questione. Fermo restando che, qualora la dichiarazione di nomina non venisse comunicata al concedente entro il termine convenuto, unitamente all'accettazione del terzo designato o ad una procura dallo stessa rilasciata anteriormente alla stipula del contratto, il contratto stesso non verrà meno, vincolando al rispetto delle pattuizioni in esso contenute i contraenti originari.

II) In occasione, sempre, della stipula del contratto iniziale, ma non con riguardo all'intero contenuto del contratto così stipulato, bensì con riguardo al solo diritto all'acquisto spettante al conduttore. In particolare si ritiene possibile, che il conduttore, con apposita clausola da inserire in contratto, possa riservarsi la facoltà di nominare, in occasione dell'esercizio del diritto all'acquisto, e comunque entro il termine ultimo convenuto per l'esercizio di detto diritto, altra persona per l'acquisto dell'immobile, che si assuma i soli diritti e obblighi che in relazione alla cessione dell'immobile discendono dal contratto. Il terzo validamente designato, in conseguenza della sua accettazione, dovrà, a sua volta, pagare il prezzo quale determinato in contratto al netto della "componente" dei canoni già imputata a corrispettivo (e quindi già pagata nel corso del rapporto dal conduttore/stipulante) e rimborsare al conduttore/stipulante medesimo la parte di prezzo dallo stesso "anticipata" col pagamento dei canoni (salvo che il conduttore non rinunci al rimborso, concretizzando in tal modo una liberalità indiretta).

III) In occasione della stipula del contratto finale  (ossia del contratto comportante il trasferimento dell'immobile a seguito dell'esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore). In questo caso il conduttore potrà riservarsi, con apposita clausola da inserire nel contratto traslativo, la facoltà di nominare, entro un termine preciso (non superiore, peraltro, a tre giorni per le note questioni di carattere fiscale) altra persona per l'acquisto definitivo dell'immobile. Il terzo validamente designato, in conseguenza della sua accettazione, acquisterà l'immobile, con effetto dal momento della stipula dell'atto traslativo, e sarà tenuto  a rimborsare al conduttore/stipulante il prezzo dallo stesso pagato (in parte col pagamento dei canoni), salvo che il conduttore/stipulante non rinunci al rimborso, concretizzando in tal modo una liberalità indiretta. Se, invece, la dichiarazione di nomina non venisse comunicata al cedente entro il termine convenuto, unitamente all'accettazione del terzo designato o ad una procura dallo stessa rilasciata anteriormente alla stipula del contratto, il contratto stesso non verrà meno, e l'effetto traslativo si produrrà a favore del conduttore/stipulante. Potrà essere opportuno già nel contratto iniziale inserire apposita clausola con la quale venga riconosciuta al conduttore la facoltà di riservarsi la facoltà di nomina in occasione della stipula del contratto traslativo finale.

Trova, comunque, applicazione la disciplina generale in tema di contratto per persona da nominare, dettata dagli artt. 1401 e segg. c.c.; in particolare:

i) La dichiarazione di nomina deve essere comunicata all'altra parte (ossia al concedente) nel termine di tre giorni dalla stipulazione del contratto, se le parti non hanno stabilito un termine diverso (art. 1402, co.1, c.c.). Si rammenta che secondo l'orientamento prevalente la dichiarazione di nomina consiste in un atto unilaterale di natura negoziale, con funzione "integrativa" del negozio cui accede, in quanto funzionale all'individuazione del soggetto nei cui confronti si produrranno gli effetti del contratto. Si tratta, inoltre, di atto recettizio, in quanto, per produrre i suoi effetti, deve essere portato a conoscenza dell'altra parte entro la scadenza del termine convenuto. La dichiarazione di nomina, pertanto, produce i suoi effetti dal momento in cui viene comunicata al promittente (nel nostro caso il concedente /proprietario).

ii) La dichiarazione di nomina, secondo l'orientamento dottrinale prevalente, non ammette l'apposizione di condizioni o di termini, per cui deve essere pura e semplice, in modo da consentire il subentro del nominato nella stessa identica posizione dello stipulante. Tuttavia non manca in dottrina chi ritiene possibile l'apposizione alla dichiarazione di nomina di condizioni e termini purchè le prime siano destinate ad avverarsi ed i secondi a spirare prima della scadenza del termine previsto in contratto per la nomina.

iii) E' ammessa la nomina plurisoggettiva, ovvero la designazione di più persone che, con vincolo solidale tra di loro, assumano tutti i diritti ed obblighi discendenti dal contratto, subentrando nella posizione giuridica dello stipulante (nel nostro caso il conduttore/stipulante); è pure ammessa la nomina congiunta; in questa ipotesi, lo stipulante (nel nostro caso il conduttore/stipulante) non esce definitivamente dal contratto ma aggiunge a sé stesso un altro soggetto (o altro soggetti) per assumere insieme, in via solidale, tutti i diritti ed obblighi discendenti dal contratto.

iv) Il termine entro il quale deve essere eseguita e comunicata al promittente (nel nostro caso il concedente/proprietario) la nomina è, in linea di principio di tre giorni. Così stabilisce l'art. 1402, co. 1., c.c. con disposizione che peraltro non è imperativa e che ammette la deroga, in presenza di un diverso accordo delle parti. Peraltro il rispetto del termine prescritto di tre giorni si impone per ragioni di carattere fiscale, al fine di escludere doppie imposizioni (art. 32, DPR. 26 aprile 1986 n. 131 Testo Unico Imposta registro). In dottrina ed in giurisprudenza si ritiene, unanimamente, che detto termine sia posto a pena di decadenza, avendo la funzione di limitare nel tempo l'esercizio del potere di nomina che lo stipulante si sia eventualmente riservato, in relazione all'interesse del promittente di conoscere la controparte contrattuale. In quanto termine di decadenza, il suo compimento non può essere rilevato d'ufficio dal giudice (art. 2969 c.c.) ed allo stesso non si applicano le norme relative all'interruzione della prescrizione (art. 2964 c.c.).

v) La dichiarazione di nomina non ha effetto se non è accompagnata dall'accettazione della persona nominata o se non esiste una procura anteriore al contratto (art. 1402, co. 2, c.c.). La nomina di per sé non è sufficiente a coinvolgere il terzo designato nel contratto ed a fargli assumere tutti i diritti e obblighi che ne discendono; a tal fine è necessaria la sua accettazione (e l'accettazione può essere  manifestata anche in via "anticipata", prima della stipula del contratto de quo, mediante la sottoscrizione di  apposita procura). Secondo l'orientamento prevalente, anche l'accettazione del terzo nominato consiste in un atto unilaterale negoziale di natura recettizia. Parte della dottrina e della giurisprudenza riconduce l'accettazione alla figura della "ratifica" (art. 1395 c.c. in forza del quale il contratto concluso da procuratore privo dei poteri può essere ratificato dall'interessato con l'osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso).

vi)  La dichiarazione di nomina e la procura o l'accettazione della persona nominata non hanno effetto se non rivestono la stessa forma che le parti hanno usato per il contratto, anche se non prescritta dalla legge (art. 1403, co. 1 c.c.). La dichiarazione di nomina e la procura o l'accettazione della persona nominata debbono, pertanto, rivestire la stessa forma usato in concreto per il contratto; ad esempio se il contratto de quo fosse stato stipulato nella forma di atto pubblico, anche la dichiarazione di nomina, la procura  e l'accettazione debbono essere redatti per atto pubblico  (benché, per il contratto de quo, la legge non prescriva, a pena di nullità, la forma di atto pubblico). La mancata osservanza del requisito di forma rende la dichiarazione di nomina inefficace e quindi inidonea a far subentrare il terzo designato nel contratto in luogo dello stipulante. Parte della dottrina ritiene che la mancata osservanza del requisito di forma determini la nullità della dichiarazione di nomina o della procura o dell'accettazione, secondo quelli che sono i principi generali in tema di forma degli atti negoziali e tenuto conto delle conseguenze previste dalla legge proprio per il mancato rispetto del requisito formale.

vii) Se per il contratto è richiesta a determinati effetti una forma di pubblicità, deve agli stessi effetti essere resa pubblica anche la dichiarazione di nomina, con l'indicazione dell'atto di procura o dell'accettazione della persona nominata (art. 1403, co. 2, c.c.). Poichè nel caso di specie, se a ricevere il contratto de quo sia un Notaio, lo stesso deve procedere alla sua trascrizione (nel caso dell'"atto iniziale" di concessione in godimento del bene, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2645bis c.c. e 2643, co.1, n. 8 c.c. mentre nel caso dell'"atto finale" di cessione del bene, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2643, co. 1, nn. 1 o 2, c.c.) ne discende che, ogni qualvolta si ricorra allo schema del contratto per persona da nominare, anche la dichiarazione di nomina deve essere trascritta (con l'indicazione della procura e/o dell'accettazione), in ottemperanza alla prescrizione di cui all'art. 1403, c. 2, c.c. Sulla natura di tale trascrizione non vi è unanimità di vedute in dottrina. Prevale l'opinione di chi esclude la natura di pubblicità dichiarativa: non si tratterebbe nel caso di specie di risolvere il conflitto tra più aventi causa dal medesimo alienante (art. 2644 c.c.) (la dichiarazione di nomina, come sopra ricordato, consiste in un atto negoziale integrativo di altro contratto, che non determina, di per sé, ulteriori effetti traslativi). Si ritiene, pertanto, che trattasi di pubblicità notizia (autorevole Autore ritiene che detta trascrizione debba considerarsi alla stregua di un'annotazione a margine dell'atto trascritto). Si ritiene che la trascrizione della dichiarazione di nomina ex art. 1403 c.c. non sia prescritta nè per mantenere l'effetto prenotativo di cui all'art. 2645bis c.c. o l'effetto di cui all'art. 2643, co. 1, n. 8, c.c. (nel caso di atto iniziale) nè per l'opponibilità ai terzi dell'evento traslativo (nel caso dell'atto finale), ma per ragioni di trasparenza e completezza delle informazione ricavabili dai RR.II ed anche al fine di rendere conoscibile la avvenuta nomina ai terzi, in considerazione del suo effetto retroattivo.

Circa le modalità  di esecuzione della trascrizione si osserva quanto segue:

- sia nel caso dell'"atto iniziale" di concessione in godimento del bene (da trascrivere  ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2645bis c.c. e 2643, co.1, n. 8 c.c.) che nel caso dell'"atto finale" di cessione del bene (da trascrivere ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2643, co. 1, nn. 1 o 2, c.c.) il contratto andrà sicuramente trascritto a favore del conduttore/stipulante (il contratto, infatti, produce da subito i suoi effetti tra i contraenti originari e solo con la valida dichiarazione di nomina si avrà il subentro del terzo nominato in luogo dello stipulante). Si ritiene necessario (benché non sia prescritto dalla norma in commento), ogni qualvolta venga inserita nel contratto de quo la riserva di nomina, nella diverse declinazioni sopra illustrate, menzionare tale riserva nella nota di trascrizione del contratto, e ciò, confermando quanto osservato per la dichiarazione di nomina, non tanto per mantenere l'effetto prenotativo di cui all'art. 2645bis c.c. o l'effetto di cui all'art. 2643, co. 1, n. 8, c.c. (nel caso di atto iniziale) o per l'opponibilità ai terzi dell'evento traslativo (nel caso dell'atto finale), ma per ragioni di trasparenza e completezza delle informazione ricavabili dai RR.II ed anche al fine di rendere conoscibile la riserva ai terzi, in considerazione dell'effetto retroattivo della successiva dichiarazione di nomina;

- maggiori dubbi sono stati manifestati dai Commentatori con riguardo alle modalità con cui procedere alla  trascrizione della dichiarazione di nomina (con indicazione della accettazione o della procura) così come prescritto dall'art. 1403, co. 2, c.c.; c'è chi ritiene che si debba procedere ad un'annotazione a margine del contratto trascritto, ai sensi dell'art. 2655 c.c.; c'è chi, invece, propende per una trascrizione a carico dello stipulante ed a favore del terzo nominato (trascrizione volta a risolvere i conflitti tra il terzo nominato e gli altri aventi causa dallo stipulante); appare preferibile l'opinione di chi ritiene doversi procedere a trascrizione a carico del promittente (nel nostro caso il concedente/proprietario dell'immobile) ed a favore del terzo nominato (considerata l'efficacia retroattiva della dichiarazione di nomina che fa si che lo stipulante esca definitivamente dal contratto senza acquisire diritto alcuno sull'immobile).

viii) Quando la dichiarazione di nomina è stata validamente fatta, la persona nominata acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu stipulato (art. 1404 c.c.). In virtù dell'efficacia retroattiva della (valida) dichiarazione di nomina, il terzo designato si considera parte del contratto sin dalla data della sua stipula, mentre lo stipulante si considera come se mai fosse stato parte del contratto. Ne consegue che per effetto della dichiarazione di nomina vengono meno eventuali diritti acquisiti dai terzi tra la data di stipula del contratto e quella della dichiarazione di nomina. Così si è ritenuto che il diritto del terzo nominato prevalga sugli atti esecutivi eventualmente posti in essere dai creditori dello stipulante; per effetto dell'efficacia retroattiva della dichiarazione di nomina:

- il rischio di insolvenza del terzo nominato graverà esclusivamente sul concedente /promittente (che non potrà rivalersi sullo stipulante uscito definitivamente dal contratto); In questo caso il concedente/promittente potrà avvalersi della disciplina dettata dall'art. 23, co. 5, D.L. 133/2014, a norma del quale "in caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto."

- spetteranno esclusivamente al terzo nominato le azioni per risoluzione del contratto o riduzione del corrispettivo per vizi dell'immobile o mancanza delle qualità promesse;

- l'eventuale scioglimento del contratto per mutuo dissenso potrà essere deciso solo su accordo del concedente/promittente e del terzo designato.

ix) Se la dichiarazione di nomina non è fatta validamente nel termine stabilito dalla legge o dalle parti, il contratto produce i suoi effetti fra i contraenti originari (art. 1405 c.c.). Pertanto, in mancanza di una valida dichiarazione di nomina (a qualsiasi causa tale invalidità sia attribuibile: per mancato rispetto del termine, per mancata osservanza del requisito di forma, ecc.):

- l'"atto iniziale" di concessione in godimento continuerà tra le parti originarie (con diritto del conduttore originario al godimento dell'immobile e corrispondentemente con suo obbligo di pagare il canone convenuto, nella sua duplice "componente");

- il diritto all'acquisto dell'immobile, alla scadenza convenuta, spetterà al conduttore originario;

- la proprietà (o altro diritto reale) sull'immobile (nel caso sia già stato stipulato l'"atto finale" di cessione) spetterà al conduttore originario, con suo obbligo a pagare il saldo prezzo.

2.2 La cessione del contratto

Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, prima della sua scadenza e, comunque, prima che venga perfezionato il contratto finale di cessione del bene, in quanto contratto a prestazioni corrispettive, non ancora interamente eseguite, potrà essere ceduto dal conduttore a terzi, sempreché la facoltà di cessione non sia stata espressamente esclusa in contratto.

La cessione del contratto sarà, pertanto, possibile solo nella prima fase e quindi con riguardo al solo contratto iniziale, ossia del contratto per la concessione in godimento del bene, trattandosi di contratto a prestazione continuata. Da segnalare al riguardo che la dottrina prevalente ritiene possibile la cessione non solo del contratto, a prestazioni corrispettive non ancora integralmente eseguite (così come prescritto dall'art. 1406 c.c.) ma anche del contratto a prestazioni corrispettive solo parzialmente eseguite, se ed in quanto sia ancora possibile individuare una posizione contrattuale e non singoli rapporti di debito o di credito (si rammenta, al riguardo, che in dottrina si è giunti ad ammettere la cessione di contratto anche con riferimento a contratti unilaterali o a contratti con prestazioni già eseguite da una sola delle parti, sempreché ciò che costituisce oggetto di cessione sia configurabile come parte di un contratto, intesa come sintesi di diritti, obblighi, azioni e ragioni; nel caso invece si sia in presenza di singoli debiti o crediti non si sarebbe più in presenza di una cessione di contratto, bensì di un accollo di debito o di una cessione di credito). Pertanto la cessione, nel caso in esame, sarà possibile sino che il contratto iniziale non sia giunto a scadenza (o per decorrenze del suo termine finale ovvero per l'avvenuto esercizio del diritto all'acquisto dell'immobile). Sino a tale momento, infatti, vi sono ancora contrapposte "posizioni contrattuali", nel senso sopra specificato, e, corrispondentemente, prestazioni ancora da eseguire, sia da una parte (concessione in godimento del bene) che dall'altra (pagamento del canone nella sua duplice "componente"), che rendono possibile e giustificano, sia sotto il profilo giuridico che economico, una cessione del contratto.

Non sarà, invece, possibile la cessione del contratto nella seconda fase, ossia una volta stipulato il contratto finale di cessione dell'immobile (a seguito dell'esercizio, da parte del conduttore, del suo diritto all'acquisto). Sempre in dottrina si è escluso che possano cedersi i contratti traslativi che abbiano già esaurito i propri effetti. In questo caso, infatti, non sarebbe neppure configurabile la cessione di una "posizione contrattuale" (intesa come sintesi di obblighi e diritti discendenti dal contratto) ma, tutt'al più la cessione di un singolo credito o di un singolo debito.

Da segnalare che in dottrina è stata ammessa anche la cessione parziale del contratto, ossia la cessione di una parte soltanto dell'insieme di diritti ed obblighi, azioni e ragioni discendenti dal contratto a favore/carico di una delle parti. Tale opportunità può rivelarsi assai interessante con riguardo proprio al contratto de quo, in quanto si potrebbe ritenere ammissibile anche la cessione da parte del conduttore della sola posizione contrattuale consistente nel diritto all'acquisto dell'immobile alla scadenza convenuta e nel corrispondente obbligo a pagare il saldo prezzo (ossia il prezzo convenuto al netto della componente dei canoni già imputata a corrispettivo).

Trova, comunque, applicazione la disciplina generale in tema di cessione del contratto, dettata dagli artt. 1406 e segg. c.c.; in particolare:

i) Se una parte ha consentito preventivamente che l'altra sostituisca a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, la sostituzione è efficace nei suoi confronti dal momento in cui le è stata notificata o in cui essa l'ha accettata (art. 1407 c.c.). Se la cessione è stata consentita preventivamente, con apposita clausola inserita nel contratto de quo, la stessa sarà efficace nei confronti del concedente/proprietario dal momento in cui gli verrà notificata ovvero dal momento in cui verrà dallo stesso accettata (art. 1407 c.c.). Se la possibilità di cessione non è stata contemplata in contratto (ma neppure esclusa), la cessione sarà possibile ed efficace nei confronti del concedente/proprietario solo se consta suo espresso consenso (art. 1406 c.c.). La tesi prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, riconosce alla cessione del contratto struttura necessariamente trilaterale. Il consenso è pertanto elemento costitutivo essenziale della fattispecie in commento, con la conseguenza che la mancanza di detto consenso impedirebbe alla cessione del contratto di perfezionarsi e di produrre qualsiasi effetto. Nel caso in esame, pertanto, la cessione del contratto de quo non può prescindere dal consenso del concedente/proprietario. La norma (art. 1407 c.c.) ammette il consenso preventivo; la giurisprudenza ha ammesso anche il consenso successivo. La norma non impone che il consenso del contraente ceduto debba essere prestato prima o contestualmente al perfezionamento della cessione tra cedente e cessionario. Tale consenso ben può intervenire anche in un momento successivo purchè in tale momento non via venuto meno il contratto ceduto e permangano tutte le condizioni richieste per la cessione (in particolare le prestazioni non siano state nel frattempo tutte integralmente eseguite); in giurisprudenza si è addirittura ammesso che tale consenso successivo possa manifestarsi per "facta concludentia".

ii) Nulla dispone l'art. 1407 c.c. in tema di forma (nonostante la sua rubrica, che farebbe pensare esattamente al contrario). Alcuni autori, proprio in considerazione del fatto che sul punto nulla abbia stabilito il legislatore, ritengono che per la cessione del contratto valga il principio della libertà delle forme. Prevale, peraltro, in dottrina l'opinione che ritiene applicabile anche alla cessione del contratto il principio della simmetria delle forme, considerato che trattasi, pur sempre, di negozio di secondo grado, la cui funzione è quella di modificare, sotto il profilo soggettivo, altro contratto già esistente. Pertanto, nel caso di specie, dovendo il contratto de quo rivestire la forma scritta, anche la sua eventuale cessione dovrà risultare da atto scritto. Se poi si dovesse ritenere la cessione trascrivibile (vedi sotto sub iii) la cessione dovrà risultare da scrittura privata autenticata o atto pubblico.

iii) Non vi è unanimità di vedute in dottrina circa la trascrivibilità o meno della cessione del contratto. Alcuni Autori escludono la trascrivibilità della cessione del contratto, mancando una norma, simile a quella dettata dall'art. 1403 c.c. per la dichiarazione di nomina, che consenta di procedere ad una simile trascrizione. E' preferibile l'opinione (peraltro prevalente in dottrina) di chi ammette la trascrivibilità della cessione del contratto, ritenendo non tassativa l'elencazione degli atti trascrivibili contenuta negli articoli 2643 e segg. c.c. e considerando, con riguardo specifico alla cessione del contratto, che trattasi pur sempre di negozio destinato a modificare un contratto trascritto, variandone il profilo soggettivo, e che pertanto deve essere portato a conoscenza dei terzi con gli stessi strumenti utilizzati per il contratto modificato.

Anche sugli effetti della trascrizione non vi è unanimità di vedute. C'è chi ritiene tale trascrizione strumentale alla risoluzione del conflitto tra più cessionari. E' preferibile la tesi della natura di pubblicità notizia di questa trascrizione. Non si tratta di fattispecie riconducibile alla disposizione dell'art. 2644 c.c., in quanto la cessione di contratto consiste in un atto negoziale modificativo di altro contratto (del quale viene modificato il profilo soggettivo), che non determina, di per sé, ulteriori effetti traslativi. Anche in questo caso (come nel caso, sopra esaminato, della riserva di nomina) la trascrizione non è richiesta per mantenere l'effetto prenotativo di cui all'art. 2645bis c.c. o l'effetto di cui all'art. 2643, co. 1, n. 8, c.c., riconosciuti alla trascrizione del contratto de quo nella sua prima fase, ma per ragioni di trasparenza e completezza delle informazione ricavabili dai RR.II ed al fine di rendere conoscibile ai terzi la cessione di contratto e la conseguente modifica che ha coinvolto (sotto il profilo soggettivo) il contratto originario (debitamente trascritto).

Disparità di vedute si registrano anche con riguardo alle modalità con cui procedere alla  trascrizione della cessione del contratto; c'è chi ritiene che si debba procedere ad un'annotazione a margine del contratto trascritto, ai sensi dell'art. 2655 c.c.; c'è chi, invece, propende per una trascrizione a carico del cedente ed a favore del cessionario; appare preferibile l'opinione di chi ritiene doversi procedere alla trascrizione a carico del ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario dell'immobile), che comunque deve aver espresso il proprio consenso alla cessione, come sopra precisato, ed a favore del terzo/cessionario (con la cessione del contratto il cedente esce definitivamente dal contratto senza acquisire diritto alcuno sull'immobile; la trascrizione va fatta nei confronti di chi risulta essere il proprietario dell'immobile cui la trascrizione si riferisce ossia, nel caso di specie, nei confronti del concedente/proprietario).

iv) Il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario dell'immobile) dal momento in cui la sostituzione diviene efficace nei confronti di quest'ultimo. Tuttavia il contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario dell'immobile), se ha dichiarato di non liberare il cedente, può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. Il questo caso il contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario dell'immobile) deve dare notizia al cedente dell'inadempimento del cessionario, entro quindici giorni da quello in cui l'inadempimento si è verificato; in mancanza è tenuto al risarcimento del danno (art. 1408 c.c.). Una volta divenuta efficace la cessione del contratto de quo (con il consenso manifestato dal concedente/proprietario contestualmente all'accordo tra cedente e cessionario, ovvero preventivamente o successivamente a detto accordo) il conduttore originario (cedente) viene liberato dalle sue obbligazioni (in primis dall'obbligo di pagare i canoni, nella loro duplice "componente"). L'efficacia liberatoria del cedente è l'effetto naturale connesso alla cessione del contratto, peraltro non inderogabile. Al concedente/proprietario (contraente ceduto) è consentito, nell'esprimere il proprio consenso all'accordo di cessione, di non liberare il cedente, con la conseguenza che potrà agire contro il cedente nel caso di inadempimento da parte del cessionario. Si ritiene, in dottrina, che la responsabilità del cedente, in questo caso, sia una responsabilità sussidiaria, dal momento che il ceduto potrà agire nei suoi confronti solo in caso di inadempimento del cessionario.

v) Il contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario) può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti col cedente, salvo che ne abbia fatto espressa riserva al momento in  cui ha consentito alla sostituzione (art. 1409 c.c.). In dottrina si ritiene che detta riserva debba essere esplicita e circostanziata nel senso che il contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario) debba precisare qual'è l'eccezione che intende opporre al cessionario.

vi) Il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto ceduto. Se il cedente assume la garanzia dell'adempimento  del  contratto, egli risponde come un fideiussore per le obbligazioni del  contraente ceduto (art. 1410 c.c.). La garanzia di validità del contratto ceduto è un effetto naturale connesso alla cessione del contratto; essa opera a prescindere da una specifica pattuizione convenuta tra le parti. Tuttavia non si tratta di effetto necessario. Si ritiene, infatti, che le parti possano prevedere l'esclusione di detta garanzia, con conseguente liberazione del cedente da qualsiasi responsabilità al riguardo, ed assunzione di ogni rischio connesso alla validità del contratto da parte del cessionario. Non è invece un effetto naturale della cessione del contratto la garanzia dell'adempimento da parte del contraente ceduto (nel nostro caso il concedente/proprietario). Il cedente sarà tenuto a garantire l'adempimento del contratto solo se assume espressamente tale garanzia. In caso contrario il cessionario potrà agire solo nei confronti del concedente/proprietario (troverà applicazione l'art. 23, co. 5, D.L. 133/2014, a norma del quale "in caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali"). Se assume invece la garanzia, risponderà come fideiussore (ovviamente tale garanzia sussidiaria del cedente potrà riguardare solo obbligazioni di carattere pecuniario: ad esempio gli obblighi discendenti dagli artt. 1005 e segg. c.c., richiamati per il contratto de quo dall'art. 23, co. 5, D.L. 133/2014; un eventuale obbligo di risarcimento del danno per mancato godimento dell'immobile per causa imputabile al concedente, ecc.).

vii) Con la cessione del contratto non possono essere modificati gli elementi essenziali del contratto ceduto. Eventuali modifiche rilevanti finirebbero, infatti, con il modificare il contratto originario escludendo quindi che si sia in presenza di una cessione dello stesso. Si sarà, al contrario, in presenza di un accordo complesso, di carattere novativo, volto a modificare non solo il profilo soggettivo ma anche altri aspetti rilevanti, caratterizzanti l'originario contratto, con conseguenza che alla fine non si sarà in presenza dello stesso contratto con diversi soggetti ma di un contratto completamente diverso da quello originario.

3. Gli immobili da costruire

3.1 L'art. 23, co. 4, D.L. 133/2014, stabilisce che se il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n.122, opera fin dalla concessione del godimento.

Questa disposizione può legittimare due distinte interpretazioni:

i) si potrebbe ritenere che il richiamo all'art. 8 Dlgs 122/2005 debba interpretarsi come estensione dell'impedimento alla stipula contenuto in detta norma a tutti indistintamente i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione che abbiano per oggetto un'abitazione gravata da ipoteca o pignoramento (a prescindere dal fatto che sussistano o meno i presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione del Dlgs 122/2005)

ii) si potrebbe, invece, ritenere che la norma si limiti a stabilire che ogni qualvolta torni applicabile la disciplina di cui all'art. 8 Dlgs 122/2005 (e quindi al ricorrere dei presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione di detta disposizione), e sempreché il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione abbia per oggetto un'abitazione gravata da ipoteca o pignoramento, l'impedimento posto a carico del Notaio trova applicazione sin dal momento della stipula del contratto di godimento e non solo al momento di stipula del successivo atto traslativo (in funzione del quale l'immobile viene concesso in godimento).

Riteniamo preferibile la tesi di cui sub ii). Se il legislatore avesse voluto porre un divieto di stipula al Notaio per tutti i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione aventi per oggetto immobili gravati da ipoteca o pignoramento, non si capisce perché lo abbia fatto richiamando un'altra disposizione di legge, dettata in un altro contesto e la cui applicazione risulta subordinata al ricorrere di specifici requisiti oggettivi e soggettivi. Sarebbe stato più logico e lineare dire più semplicemente che se uno dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione ha per oggetto un'abitazione gravata da ipoteca o pignoramento, il Notaio non può procedere alla stipula di detto contratto se anteriormente o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca a garanzia o del pignoramento gravante sull'immobile. Se, invece, si è preferita la tecnica del rinvio ad altra disposizione, deve ritenersi che il legislatore abbia voluto fare riferimento all'intera fattispecie disciplinata dalla disposizione richiamata (e quindi anche ai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione e non solo ai suoi effetti).

In pratica il legislatore ha voluto, con la disposizione in commento, derogare alla disciplina ordinaria dettata dall'art. 8 Dlgs 122/2005 nel caso vengano posti in essere dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione aventi per oggetto un'abitazione gravata da ipoteca o pignoramento: l'impedimento alla stipula posto a carico del Notaio non opera in occasione della sottoscrizione del contratto di alienazione, come previsto dalla disciplina ordinaria, ma viene anticipato al momento di sottoscrizione del contratto di concessione in godimento (con il quale, ancora, non si trasferisce nulla, in quanto meramente funzionale alla successiva alienazione).

Normalmente, nella maggior parte dei casi, l'immobile oggetto del contratto de quo sarà un edificio già completato nella costruzione e dichiarato agibile, per cui la disposizione in commento (art. 23, co. 4, D.L. 133/2014) troverà applicazione (accogliendo la tesi sopra esposta sub ii) nei soli casi in cui il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione sia stato preceduto da un preliminare, intervenuto tra le medesime parti, avente per oggetto l'immobile quando era ancora in corso di costruzione; si pensi all'ipotesi in cui le parti si accordino di dare attuazione agli impegni reciprocamente assunti con il suddetto preliminare stipulando, in luogo del previsto atto traslativo definitivo, un contratto di godimento  in funzione della successiva alienazione.

La disposizione in commento troverà applicazione anche nei seguenti casi:

- nel caso di un preliminare (perfezionato quanto l'immobile era ancora in corso di costruzione) con il quale le parti si siano impegnate proprio alla stipula  di un contratto di godimento  in funzione della successiva alienazione;

- nel caso di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione avente per oggetto un edificio ancora in corso di costruzione, e non ancora dichiarato agibile (vedi supra sub § 1), e come tale rientrante a pieno titolo nell'ambito di applicazione del Dlgs 122/2005.

Si tratta, comunque, di ipotesi "marginali": è facile prevedere che nella stragrande maggioranza dei casi in cui a stipulare il contratto de quo siano un imprenditore/costruttore ed una persona fisica, oggetto del contratto sia un immobile già ultimato ed agibile, senza che vi siano state tra gli stessi preventive trattative aventi per oggetto detto immobile quando ancora era in corso di costruzione, con la conseguenza che, per i motivi sopra esposti, non troverà applicazione la disciplina dell'art. 8 Dlgs 122/2005. D'altra parte il contratto de quo è stato pensato proprio per incentivare la vendita del patrimonio edilizio delle imprese costruttrici rimasto invenduto, causa la sfavorevole congiuntura di mercato registrata in questi ultimi anni. Ma se così è, appare alquanto limitato l'impatto che avrà la disciplina del richiamato art. 8 Dlgs 122/2005 sull'istituto in commento. L'art. 23, co. 4, DL. 133/2014 troverà, infatti, applicazione solo nei rari casi in cui si verifichino tutte le condizioni sopra illustrate. La norma in questione, peraltro, non è "inutiliter data", in quanto chiarisce che nei casi in cui ricorrono tutte le condizioni per l'applicabilità dell'art. 8 Dlgs 122/2005 (sia pur, come è facile prevedere, non ricorrenti) la disciplina dettata da detta norma si applica sin dal momento della stipula dell'atto iniziale, e non solo al momento della stipula dell'atto finale di cessione.

3.2 La norma in commento, peraltro, suscita più di una perplessità:

i) in primo luogo non è ben chiaro perché il legislatore abbia voluto limitare la particolare deroga alla disciplina dell'art. 8 Dlgs. 122/2005 (con anticipazione dell'operare dell'impedimento alla stipula posto a carico del Notaio) solo agli atti aventi per oggetto un'abitazione, quando è fuor di dubbio che, sia il  contratto di godimento in funzione della successiva alienazione disciplinato dall'art. 23 D.L. 133/2014 che la particolare disciplina dettata dal Dlgs. 122/2005, riguardano ogni tipologia di fabbricato (ad uso residenziale, produttivo, commerciale, direzionale ecc. ecc.)

ii) in secondo luogo l'aver anticipato al momento della concessione dell'immobile in godimento (in funzione della futura alienazione) l'obbligo di ottenere la liberazione dell'immobile da ipoteche e pignoramenti, costituirà un ostacolo non indifferente all'utilizzo di questa nuova figura contrattuale, rendendola impraticabile nel caso di vendita di fabbricato nuovo a persona fisica da parte di costruttore, qualora preceduta da un preliminare stipulato quanto l'immobile era in corso di costruzione. In pratica se il costruttore ha stipulato un mutuo per finanziare la costruzione, mutuo garantito da ipoteca, per procedere alla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione avente per oggetto unità facenti parte del fabbricato così costruito, lo stesso dovrà preventivamente:

- procedere al frazionamento del mutuo e della relativa ipoteca

- procedere all'estinzione della quota di mutuo relativa alle unità da vendere ed ottenere, conseguentemente, un titolo idoneo alla cancellazione dell'ipoteca (il costruttore dovrà, in questo caso, disporre di risorse proprie da destinare all'estinzione  del mutuo, visto che il prezzo della cessione lo incasserà differito nel tempo);  

- in alternativa, convenire con il conduttore, l'accollo della quota del mutuo derivata dal frazionamento (sulla possibilità di prevedere nel contratto di godimento in funzione della successiva alienazione l'accollo del mutuo vedi supra sub § 1). Si rammenta che, per superare il divieto alla stipula posto dall'art. 8 dlgs. 122/2005, si è ritenuto non sia sufficiente il solo frazionamento del mutuo e della relativa ipoteca, ma che sia anche necessario o ottenere un titolo idoneo per la cancellazione dell'ipoteca ovvero prevedere l'accollo della quota del mutuo da parte dell'acquirente (in questo senso lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005: "Il Dlgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e le altre novità legislative" (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1009 e segg.)

Né sembra possibile ritenere superata questa ricostruzione, alla luce di un nuovo criterio interpretativo ricavabile proprio dalla disposizione dell'art. 23, co. 4, D.L. 133/2014, e sostenere, di conseguenza, che per il rispetto del disposto dell'art. 8 Dlgs. 122/2005, sia sufficiente il solo frazionamento del mutuo (e della relativa ipoteca),  ricostruzione questa che certamente consentirebbe un più agevole e diffuso accesso al contratto di godimento in funzione della successiva alienazione posto in essere tra costruttore/imprenditore e persona fisica. Affermare ciò, peraltro, significherebbe contraddire la premessa stessa da cui è partito il nostro ragionamento in ordine alla effettiva portata del richiamo all'art. 8 Dlgs 122/2005: il legislatore col richiamo al suddetto art. 8 ha voluto fare riferimento all'intera fattispecie disciplinata dalla disposizione richiamata (e quindi anche a tutti i suoi presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione), senza eccezioni o deroghe di sorta per la specifica fattispecie del contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, limitandosi, semplicemente, a prevederne l'applicabilità anticipata al momento della stipula dell'atto iniziale.

4. La garanzia per vizi

L'art. 1490 c.c. stabilisce che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore"; a sua volta l'art. 1492 c.c. stabilisce che "nei casi indicati dall' articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione".

E' lecito chiedersi, con riguardo al contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, quando debba essere prestata detta garanzia e quindi da quale momento la stessa diventi operativa (circostanza, quest'ultima, particolarmente importante al fine di determinare anche la decorrenza dei termini di decadenza e prescrizione fissati al riguardo dalle norme di legge). Dal momento della stipula del contratto iniziale (ossia dalla concessione del godimento del bene) ovvero dal momento della stipula del contratto finale  (ossia del contratto di cessione del bene)?

Si può fondatamente ritenere che la garanzia per vizi debba essere prestata sin dal momento della concessione del godimento ossia con la stipula del contratto iniziale. E' vero che la norma in commento (art. 1490 c.c.) fa espresso riferimento alla vendita, ma è altrettanto vero che il contratto de quo presenta caratteristiche del tutto peculiari. La concessione in godimento del bene disposta con il contratto de quo non è fine a sé stessa (come nel caso della locazione o del comodato) ma è esplicitamente finalizzata al successivo trasferimento del bene medesimo (subordinatamente ad una espressa volontà in tal senso espressa dal conduttore). Si può parlare, al riguardo, di una sorta di fattispecie traslativa a formazione progressiva, che inizia con la concessione del godimento del bene e destinata a concludersi, normalmente, con il suo trasferimento (semprechè il conduttore dichiari di voler esercitare il proprio diritto all'acquisto). L'anticipata prestazione della garanzia per vizi ex art. 1490 c.c., appare, pertanto, del tutto compatibile con la struttura del contratto de quo. Comunque da una garanzia per vizi non si può prescindere sin dal momento della concessione del bene in godimento, come si può evincere:

- dalla disciplina in materia di locazione: art. 1578 c.c. (" se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili; il locatore è tenuto a risarcire i danni derivati dai vizi della cosa, se non prova di avere senza colpa ignorato i vizi stessi al momento della consegna;   

- dalla disciplina in materia di comodato: art. 1812 c.c. ("se la cosa comodata ha vizi tali che rechino danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento qualora, conoscendo i vizi della cosa, non ne abbia avvertito il comodatario").

Peraltro, proprio in relazione alla funzione riconosciuta dalla legge al contratto de quo (ossia alla funzione della successiva alienazione), appare più calzante il richiamo alla disciplina in tema di vizi dettata proprio per la vendita (artt. 1490 e segg. c.c.) piuttosto che attenersi ad un'applicazione analogica della disciplina in tema di locazione (che peraltro, nella sostanza, poco si discosta dalla disciplina dettata per la vendita, sia per quanto riguarda la rilevanza dei vizi, che debbono essere tali da diminuire in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, che per quanto riguarda i rimedi concessi, la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del corrispettivo).

Inoltre l'anticipazione al momento della concessione del godimento della disciplina dettata per la vendita non è affatto estranea alla struttura del contratto de quo: l'art. art. 23, co. 4, D.L. 133/2014 prevede, infatti, che se il contratto di cui trattasi ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'art. 8 del dlgs. 122/2005 (previsto, espressamente, per il casi di "vendita") opera sin dalla concessione del godimento.

Non è neppure estranea al sistema normativo la previsione di ipotesi di dissociazione tra proprietà del bene ed assunzione del rischio per vizi e per perimento del bene da parte di chi del bene stesso ha la materiale disponibilità (ma non la proprietà); si pensi alla disciplina dettata dall'art. 1523 c.c. in tema di vendita con riserva della proprietà.

Per quanto riguarda la disciplina specifica della garanzia per vizi, si osserva quanto segue:

i) La responsabilità del concedente/proprietario discendente dalla garanzia di cui trattasi sussiste a prescindere da colpa ma per il solo fatto che il bene presenti dei vizi. Pertanto anche se il vizio non sia dovuto a causa imputabile alla volontà e/o alla condotta del condente/proprietario, comunque, il conduttore può avvalersi della garanzia de quo. Si tratta, secondo l'opinione prevalente, di responsabilità contrattuale conseguente al mancato corretto adempimento delle proprie obbligazioni ad opera di una delle parti del contratto. L'art. 1476 c.c., infatti, stabilisce che tra le obbligazioni principali del venditore vi è anche quella di garantire l'acquirente dai vizi della cosa. La garanzia per vizi, pertanto, sorge per il fatto stesso di porre in essere un contratto di compravendita (o, nel nostro caso, per il solo fatto di porre in essere un contratto di concessione in godimento finalizzato alla successiva alienazione), quale effetto "naturale" del contratto, senza che vi sia necessità di un'apposita regolamentazione e/o disciplina contrattuale, in quanto discendente da espressa previsione di legge. Non si tratta, peraltro, di un obbligo essenziale, in relazione al tipo contrattuale posto in essere, del quale, cioè, non si possa fare a meno e come tale inderogabile. La legge stessa, infatti, prevede ipotesi in cui tale obbligo può essere limitato se non addirittura escluso; in particolare la legge:

- ammette patti volti ad escludere ovvero a limitare la garanzia per vizi, rispetto alla quale l'autonomia privata ha, pertanto, ampi spazi di manovra, nel rispetto, peraltro, della seguente condizione (da ritenersi tassativa): il patto "in deroga" deve rispondere ai criteri di correttezza contrattuale e buona fede; conseguentemente non ha effetto il patto con cui si esclude o si limita la garanzia se il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario) ha in mala fede taciuto al conduttore i vizi della cosa (art. 1490, co.  2, c.c.)

- esclude addirittura la garanzia nel caso in cui al momento del contratto l'acquirente (nel nostro caso il conduttore) conosceva i vizi del bene, ovvero se i vizi erano facilmente riconoscibili, a meno che, in quest'ultimo caso, il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario) abbia dichiarato essere il bene esente da vizi (fornendo in tal modo una garanzia "rafforzata", ulteriore rispetto a quella discendente dalla legge, altrimenti esclusa per la facile conoscibilità dei vizi) (art. 1491 c.c.).

Pertanto anche in un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione può essere inserito il patto di esclusione e/o limitazione della garanzia ex art. 1490, co. 2, c.c., ovvero può essere previsto l'ampliamento della garanzia (per includervi anche i vizi facilmente riconoscibili) mediante apposita dichiarazione del  concedente/proprietario che il bene è esente da vizi.

ii) Secondo la dottrina prevalente i vizi presi in considerazione dall'art. 1490 c.c. sono i vizi materiali del bene, dovendosi invece escludere i vizi attinenti alla condizione giuridica del bene, per i quali ci si può invece avvalere dei rimedi previsti dagli artt. 1482 e 1489 c.c., ed i vizi attinenti ai beni immateriali e ai crediti, per i quali si applica la specifica disciplina relativa a detti beni e diritti. Non è sufficiente qualsiasi vizio della cosa per attivare la garanzia de quo, ma deve trattarsi di vizi rilevanti ossia:

- di vizi che rendano il bene inidoneo all'uso a cui è destinato; 

- di vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore del bene

Per la giurisprudenza deve trattarsi di vizi che rendono il bene inidoneo all'uso (anche se non totalmente inutilizzabile) ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (in questo caso a prescindere dalla loro utilizzabilità in toto o in parte)  avuto riguardo alla sua funzione economico sociale o alla particolare funzione prevista in contratto; l'inidoneità deve consistere nell'impossibilità all'uso "normale" del bene secondo quelle che sono le sue caratteristiche e funzioni; l'apprezzabile diminuzione del valore sussiste nel caso in cui il valore del bene, causa la presenza dei vizi, subisca una perdita di valore superiore al limite di normale tolleranza.

Pertanto anche in un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione la presenza di vizi nel bene concesso in godimento che lo rendano in tutto o in parte inutilizzabile ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore legittimano il conduttore ad avvalersi della garanzia ex art. 1490 c.c.

iii) in presenza di vizi ex art. 1490 c.c. l'acquirente (o, nel nostro caso, il conduttore), giusta quanto disposto dall'art. 1492 c.c.,  potrà domandare a sua scelta:

- o la risoluzione del contratto (cd. azione redibitoria) (parte della dottrina ritiene che questa azione non costituisca un rimedio di carattere e natura diversi rispetto alla ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., dalla quale si differenzierebbe solo per i termini abbreviati di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. e per il fatto che il suo esercizio non presuppone la colpa dell'inadempiente; troverebbe, pertanto, applicazione anche in questo caso la disposizione dell'art. 1455 c.c. che subordina l'esperimento dell'azione di risoluzione alla "non scarsa importanza" dell'inadempimento; per altra parte della dottrina, tutto il sistema di protezione dell'acquirente discendente dagli artt. 1490 e segg. c.c., compresa l'azione di risoluzione ex art. 1492 c.c., godrebbe, invece, di una propria autonomia, per cui anche l'importanza dell'inadempimento va valutata alla stregua dei soli criteri posti dall'art. 1490 c.c., in ordine all'inidoneità all'uso del bene o alla diminuzione del suo valore. Parte della dottrina ammette anche la risoluzione parziale, se i vizi riguardano solo parte dei beni dedotti in contratto e sempreché detti beni non siano stati considerati in maniera unitaria); nel  caso di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, la risoluzione del contratto rende applicabile la specifica disposizione dell'art. 23, co. 5, D.L. 133/2014, a norma della quale "in caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali". A sensi dell'art. 1493 c.c. il concedente dovrà, inoltre, rimborsare, al conduttore le spese ed i pagamenti legittimamente fatti per la stipula del contratto (tra le spese si ritengono ricomprese anche le imposte pagate in relazione al contratto stipulato). A sua volta il conduttore dovrà restituire il bene (sempreché lo stesso non sia perito in conseguenza dei vizi);

- o la riduzione del prezzo (cd. azione estimatoria o "quanti minoris"); in questo caso si rende necessario un accertamento della misura percentuale di incidenza del difetto rispetto al valore del bene, con la conseguenza che il prezzo verrà ridotto sulla base alla percentuale così accertata; nel  caso di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, la riduzione del corrispettivo riguarderà il canone convenuto nella sua duplice componente, sia quella relativa alla concessione in godimento (come anche previsto, in caso di presenza di vizi, per la locazione dall'art. 1578 c.c. sopra richiamato) che quella relativa al prezzo di cessione, il tutto in proporzione all'incidenza del difetto, rispettivamente, sul godimento e sul valore del bene.

La scelta tra l'una o l'altra azione spetta all'acquirente (nel nostro caso al conduttore); una volta fatta detta scelta con domanda giudiziale la stessa è irrevocabile (art. 1492, co. 2, c.c.).

In ogni caso all'acquirente (nel nostro caso al conduttore) spetta il risarcimento del danno, a meno che il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario) non dimostri di aver ignorato, senza colpa, i vizi del bene (art. 1494, co. 1, c.c.). L'azione di risarcimento è cumulabile sia con l'azione di risoluzione che con l'azione di riduzione del prezzo. E' peraltro un'azione autonoma e come tale può essere esercitata anche da sola, in quanto all'acquirente (nel nostro caso al conduttore) compete il diritto al risarcimento del danno a prescindere dalla circostanza che si sia avvalso o dell'azione redibitoria o dell'azione estimatoria. il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario) deve altresì risarcire i danni derivanti dai vizi del bene (art. 1494, co. 2, c.c.) (in dottrina si tende a distinguere il risarcimento ex primo comma dal risarcimento ex secondo comma dell'art. 1494 c.c. ritenendo che il primo comma si riferisce ai danni diretti, quali minor valore del bene, spese di riparazione, lucro cessante, ecc., mentre il secondo comma si riferisce ai danni indiretti, quali i danni causati alla persona del compratore, ai terzi nei cui confronti sia chiamato a rispondere, ad altri beni di sua proprietà, ecc.).

iv) le azioni di cui al precedente punto iii), sono soggette al rispetto dei brevi termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.:

a) i vizi debbono essere denunciati entro otto giorni dalla loro scoperta (art. 1495 co. 1, c.c.). Il termine non è suscettibile né di interruzione né di sospensione trattandosi di termine di decadenza. Le parti possono convenire un termine diverso (purchè rispettoso della prescrizione di cui all'art. 2965 c.c., a norma del quale "è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una della parti l'esercizio del diritto").

La denuncia non è necessaria nei seguenti casi (art. 1495, co.2, c.c.):

- se il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario) ne ha riconosciuto l'esistenza; a tal fine si è ritenuto sufficiente che il venditore riconosca che il vizio denunciato effettivamente esiste, anche se non ne viene indicata la causa o lo si attribuisca a causa diversa da quella poi effettivamente accertata. Opinioni contrastanti sono state, invece, manifestate in ordine all'efficacia del riconoscimento intervenuto dopo la scadenza del termine. All'opinione di chi esclude che sia possibile il riconoscimento dopo la scadenza del termine, necessitando in questo caso formale atto di rinuncia alla decadenza, si oppone chi sostiene invece l'efficacia di un riconoscimento espresso dopo la scadenza del termine, che, come tale, farebbe venir meno l'intervenuta decadenza (anche se, per taluni, tale riconoscimento tardivo non varrebbe comunque ad interrompere il termine  annuale di prescrizione);

- se il venditore (nel nostro caso il concedente/proprietario)  ha occultato il vizio (si ritiene non sufficiente il semplice silenzio mantenuto al riguardo dal venditore, ma che sia invece necessario un suo comportamento "attivo", funzionale e preordinato a rendere più difficile e problematica la scoperta del vizio).

b) l'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna. La prescrizione si verifica a prescindere dalla scoperta del vizio. Il termine annuale di prescrizione decorre dalla consegna del bene. Nel caso di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione il termine decorrerà dal momento dell'immissione nel godimento (e quindi dal momento di stipula dell'atto iniziale), in quanto è questo il momento della consegna del bene. Peraltro, pur verificandosi la prescrizione dell'azione, se il vizio è stato denunciato al concedente/proprietario entro gli otto giorni dalla sua scoperta ed entro un anno dalla sua consegna, il conduttore non rimane del tutto privo di tutela: infatti egli potrà, in ogni tempo, far valere la garanzia di cui trattasi in qualità di convenuto per la esecuzione del contratto (e quindi in via di eccezione) (art. 1495, co. 3 . c.c.)

v) la fattispecie di cui all'art. 1490 c.c. (vizi del bene) va tenuta distinta da quella dell'art. 1497 (mancanza delle qualità promesse o essenziali per l'uso cui è destinato il bene, purchè il difetto ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi); infatti:

- nell'ipotesi dell'art. 1490 c.c. la responsabilità del venditore (nel nostro caso del concedente/proprietario) sussiste a prescindere da una sua colpa (come sopra già ricordato), mentre nell'ipotesi di cui all'art. 1497 c.c. vengono espressamente richiamate "le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento" che, al contrario, si fondano sul principio della colpa dell'inadempiente;

- nell'ipotesi dell'art. 1490 c.c. sono concessi come rimedi o la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.) mentre nell'ipotesi di cui all'art. 1497 c.c. è previsto come rimedio la sola risoluzione del contratto (peraltro parte della dottrina e della giurisprudenza hanno ritenuto esperibile, anche nella fattispecie di cui all'art. 1497 c.c., l'azione di riduzione del prezzo, considerata rimedio di carattere generale, applicabile a fronte di qualsiasi inadempimento, e stante l'equiparazione, sotto il profilo procedimentale, delle due fattispecie per effetto del richiamo contenuto nell'art. 1497 c.c. al precedente art. 1495 c.c.; o quanto meno considerando che una riduzione del prezzo possa sempre ottenersi attraverso la richiesta del risarcimento del danno).

La disciplina tra le due fattispecie, invece, coincide per quanto riguarda i termini di decadenza (per la denuncia dei vizi o della mancanza delle qualità) e i termini di prescrizione (per l'esperimento delle azioni relative), posto che l'art. 1497 c.c., al suo ultimo comma, dispone che "il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'art. 1495 c.c."

La distinzione tra vizi (ex art. 1490 c.c.) e mancanza qualità (ex art. 1497 c.c.) non sempre è agevole nella pratica, tant'è vero che in giurisprudenza si registrano pronunce che alternativamente riconducono le medesime situazioni nell'ambito dell'una o dell'altra delle fattispecie considerate.

In dottrina e giurisprudenza si è ritenuto che:

- i vizi consistono in imperfezioni materiali del bene, tali da incidere sulla sua utilizzabilità o sul suo valore, normalmente riconducibili al procedimento di fabbricazione, formazione e conservazione del bene stesso;

- le qualità del bene consistono in quegli attributi che ne esprimono la funzionalità, l'utilità o il pregio, che influiscono sulla classificazione del bene in una specie piuttosto che in un'altra.

Diversa, ancora, rispetto alle fattispecie disciplinate dagli artt. 1490 c.c. e 1497 c.c., è quella della consegna di "aliud pro alio"; in questo caso non si è più in presenza di un'ipotesi di non conformità della prestazione contrattuale agli obblighi assunti, per la presenza di vizi o la mancanza di qualità nel bene trasferito (o nel nostro caso, concesso in godimento), ma si è in presenza di una prestazione radicalmente diversa da quello dovuta (per appartenenza del bene dedotto in contratto non a tipo o specie ma addirittura a genere diverso). Non si può più parlare di prestazione "difettosa", non rispettosa dei termini contrattuali, bensì di mancanza stessa della prestazione, con la conseguenza che non potranno trovare applicazione i brevi termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.; in questo caso l'acquirente (o, nel nostro caso, il conduttore) potrà avvalersi dei rimedi ordinari (azione di adempimento del contratto o richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento, salva in ogni caso l'azione di risarcimento del danno) il tutto entro il termine ordinario decennale di prescrizione.

vi) Secondo l'opinione prevalenze i vizi di cui all'art. 1490 c.c. debbono essere preesistenti alla stipulazione del contratto di vendita (nel nostro caso debbono essere anteriori alla stipula del un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione); preesistenza che non è esclusa dal fatto che i vizi emergano e quindi si scoprano dopo la stipula contratto, se la loro causa era preesistente.

Per quanto invece riguarda i vizi successivi alla stipula del contratto, dovuti a fatti, circostanze, comportamenti o omissioni successivi a detta stipula, gli stessi rimangono fuori dall'ambito operativo dell'art. 1490 c.c., con la conseguenza che:

- se tali vizi sono comunque imputabili al concedente/proprietario (ad esempio per la mancata effettuazione delle opere di manutenzione straordinaria cui lo stesso è tenuto ai sensi dell'art. 1005 c.c. richiamato dall'art. 23, co. 3, D.L. 133/2014) si è in presenza di un inadempimento contrattuale "non di scarsa importanza", tale da legittimare il conduttore a richiedere la risoluzione del contratto (a meno che non preferisca chiedere l'adempimento ovvero l'esecuzione delle opere e l'eliminazione dei vizi) e salvo in ogni caso il risarcimento del danno, il tutto ai sensi degli artt. 1453 e segg. c.c. (e quindi senza che si rendano applicabili i termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1495 c.c.)

- se tali vizi non sono, invece, imputabili al concedente/proprietario, gli stessi rimarranno a carico del conduttore, in quanto soggetto investito, sin dalla stipula del contratto de quo, della piena disponibilità del bene, e ciò sia nel caso in cui tali vizi siano imputabili direttamente a comportamento del conduttore che nel caso in cui tali vizi siano dovuti al caso fortuito; appare corretto, infatti, imputare i rischi inerenti la conservazione del bene a chi, il conduttore, ne avuto il controllo e la piena disponibilità, piuttosto che a chi, il concedente/proprietario, ha perso qualsiasi legame materiale con il bene medesimo, dovendosi ritenere applicabile anche nel caso di specie, per analogia di situazione, il principio desumibile dall'art. 1523 c.c., norma che disciplina, per l'appunto, un'ipotesi di dissociazione tra proprietà e assunzione del rischio del bene.

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