Inadempimento, esecuzione coattiva e rilascio
Inadempimento, esecuzione coattiva e rilascio
di Ernesto Fabiani
Ordinario di Diritto processuale civile, Universitą del Sannio
1. PREMESSA
Le relazioni che mi hanno preceduto hanno avuto ad oggetto (quanto meno prevalentemente) la fisiologia del nuovo istituto del rent to buy.
La mia relazione ha, invece, ad oggetto la patologia del relativo rapporto, ossia una tematica:
1) che risente, anzitutto ed evidentemente, del modo in cui detto istituto sia ricostruito a monte;
2) di indubbio rilievo (credo si tratti di uno dei casi in cui si coglie con maggiore evidenza l'importanza del diritto processuale civile rispetto al diritto privato, ossia della necessità di uno strumento che assicuri l'attuazione del diritto, in termini di effettività, nel momento di sua maggiore criticità, ossia quando manca la collaborazione del soggetto obbligato);
3) estremamente vasta.
A quest'ultimo proposito giova preliminarmente evidenziare come non mi occuperò dell'ipotesi del fallimento e di quella dell'esecuzione dell'obbligo di concludere il contratto di cui all'art. 2932 c.c. e mi concentrerò invece, previa una panoramica delle varie forme di tutela esperibili a fronte dell'inadempimento di una delle parti, su quella a mio avviso maggiormente significativa, quanto meno in termini di effettività della tutela giurisdizionale, e cioè sulla possibilità o meno di ritenere, e se del caso a quali condizioni, che il contratto di rent to buy redatto nella forma dell'atto pubblico costituisca titolo esecutivo non solo per il pagamento delle somme di danaro ivi indicate ma anche per il rilascio dell'immobile.
E' quest'ultima, infatti, l'ipotesi maggiormente delicata e problematica per la quale passa, probabilmente, il successo stesso del nuovo istituto. E' difficile immaginare, infatti, che qualsivoglia proprietario di un immobile si determini a stipulare un contratto di questo tipo se non ha fondato motivo di ritenere che, in ipotesi di inadempimento del concessionario, può percorrere una via giurisdizionale che gli consente di ottenere in tempi rapidi la restituzione dell'immobile.
E' chiaro che una panoramica delle varie forme di tutela giurisdizionale esperibili a fronte dell'inadempimento di una delle parti impone di prendere le mosse proprio dalle varie possibili tipologie di inadempimento.
Ma, prima di far ciò, una precisazione si impone.
Mi riferisco al fatto che, evidentemente, le parti, quale che sia la tipologia di inadempimento che viene in rilievo, hanno sempre e comunque a disposizione una forma di tutela. In forza, infatti, della atipicità del diritto di azione, l'attribuzione ad un soggetto di un diritto sostanziale fa si che quest'ultimo possa adire la via giurisdizionale indipendentemente dalla attribuzione allo stesso anche di una determinata azione e possa ricorrere, più specificamente, al processo a cognizione piena di cui al secondo libro del codice di rito civile. Ciascuna delle parti del contratto di rent to buy, dunque, a fronte dell'inadempimento dell'altra parte potrà azionare il relativo diritto ricorrendo a detta forma di tutela giurisdizionale.
Il problema è però, evidentemente, che detta forma di tutela giurisdizionale, anche in ragione delle lungaggini che la contraddistinguono nell'ambito del nostro ordinamento, non può certo dirsi che rappresenti una risposta soddisfacente in termini di effettività della tutela giurisdizionale.
Quali, dunque, le alternative astrattamente percorribili rispetto al processo a cognizione piena di cui al secondo libro del codice di rito civile?
2. POSSIBILI TIPOLOGIE DI INADEMPIMENTO E DIFFERENTI FORME DI TUTELA GIURISDIZIONALE
Come già preannunciato, l'individuazione delle varie possibili forme di tutela giurisdizionale astrattamente percorribili non può non prendere le mosse dalle varie possibili tipologie di inadempimento.
E qui, in estrema sintesi, possiamo dire che, se prendiamo in considerazione il contenuto "tipico" del contratto di rent to buy (prescindendo, dunque, da eventuali obblighi legati a peculiari situazioni concrete ed a contratti, più articolati, che mirino a disciplinarle compiutamente) vengono fondamentalmente in rilievo obblighi di pagare una somma di danaro e obblighi di consegna/rilascio. Anche se non può escludersi che, in ragione del peculiare atteggiarsi del contratto con riferimento al singolo caso di specie, vengano in rilievo anche obblighi di fare o di non fare.
Più in dettaglio, in stretta aderenza rispetto al testo della norma (art. 23 d.l. n. 133/2014) abbiamo che:
A) a fronte dell'inadempimento del conduttore, «il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto»; al contempo, si prevede che «il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo»;
B) a fronte dell'inadempimento del concedente, quest'ultimo «deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali»; al contempo, si prevede che «in caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile.
Il quadro si completa con la previsione relativa (non più all'inadempimento di una delle parti ma) all'ipotesi del mancato esercizio, da parte del conduttore, del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito, in relazione alla quale «le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire».
Per cui, in definitiva, lasciando da parte la peculiare ipotesi che fa capo alla previsione di cui all'art. 2932 c.c., vengono in rilievo:
1) obbligazioni al pagamento di una somma di danaro (eventuale cognizione volta ad accertare la sussistenza dell'obbligo + espropriazione forzata);
2) obbligazioni di rilascio dell'immobile (eventuale cognizione volta ad accertare la sussistenza dell'obbligo + esecuzione specifica per consegna o rilascio).
Qualora dovessero essere presenti nel contratto anche specifiche obbligazioni di fare, verrebbe evidentemente in rilievo anche l'esecuzione specifica per obblighi di fare o di non fare (eventualmente preceduta dalla cognizione volta ad accertare la sussistenza del relativo obbligo).
E già chiaro, da questo primo sommario esame, che ci troviamo di fronte ad un panorama estremamente ampio già sotto il profilo dell'esecuzione (espropriazione forzata ed esecuzione specifica nelle differenti forme dell'esecuzione per consegna o rilascio e dell'esecuzione per obblighi di fare o di non fare), che diviene ancor più ampio se indirizziamo lo sguardo, a monte, alle eventuali forme di cognizione che potrebbero precedere l'esecuzione.
Potrebbe trattarsi, infatti, sia di cognizione piena che di cognizione sommaria.
Cognizione piena, a sua volta, nelle forme del secondo libro del codice di rito o nelle altre forme di cognizione (piena ma) speciale previste dal medesimo codice.
Cognizione sommaria nelle differenti possibili forme previste dal codice di rito civile.
In estrema sintesi, le alternative astrattamente percorribili, rispetto al processo a cognizione piena di cui al secondo libro del codice di rito, sembrerebbero rappresentate da:
1) processo a cognizione piena ma speciale di cui al rito locatizio ex art. 447-bis c.p.c.: prospettiva poco interessante in quanto si tratta, comunque, di un processo poco funzionale sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale (le differenze rispetto al processo a cognizione piena del libro secondo non sono tali, infatti, da incidere in modo significativo sui tempi del processo);
2) processo a cognizione piena ma speciale di cui al procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c.: prospettiva poco interessante per i medesimi motivi di cui sopra, posto che secondo l'impostazione prevalente anche in questo caso ci troviamo in realtà di fronte (non ad un procedimento sommario ma) a cognizione piena con un iter solo in parte semplificato e comunque non tale da incidere in modo significativo sui tempi del processo, e dunque in termini di effettività della tutela giurisdizionale;
3) cognizione sommaria, sub specie, di ricorso al procedimento di convalida di sfratto di cui agli artt. 657 ss. c.p.c.: prospettiva indubbiamente più interessante in quanto, in tal caso, ci troviamo di fronte ad un processo a cognizione sommaria indubbiamente più funzionale sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale;
4) cognizione sommaria, sub specie, di ricorso al procedimento d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c.: siamo di fronte ad una ipotesi di tutela sommaria cautelare (atipica, residuale rispetto alle figure tipiche, di tipo conservativo o anticipatorio) che, come tutte le misure cautelari, richiede la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora; ciò significa, per quanto qui rileva, che ci troviamo di fronte ad una forma di tutela giurisdizionale che consentirà di sopperire alle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale in ipotesi specifiche (quali sono, per l'appunto, quelle sottese alla tutela cautelare) ma che, per sua natura, non può rappresentare la via maestra per assicurare una tutela piena ed esaustiva a fronte dell'inadempimento di uno degli obblighi da cui abbiamo preso le mosse;
5) titolo esecutivo: ipotesi più interessante di tutte sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale in quanto in tal caso, a differenza dei precedenti, si prescinde totalmente dai tempi della cognizione (piena o sommaria che sia) in quanto, evidentemente, se esiste già un titolo esecutivo è possibile attivare direttamente il processo di esecuzione forzata (nelle forme, a seconda del tipo di obbligazione che viene in rilievo, della espropriazione forzata o dell'esecuzione specifica).
Delle suddette ipotesi le più interessanti/rilevanti, quanto meno sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale sono, per i motivi in precedenza evidenziati, in ordine di crescente importanza:
1) quella della convalida di sfratto;
2) quella del titolo esecutivo.
Un accenno alla convalida di sfratto, prima di andare ad esaminare, più approfonditamente, l'ipotesi di maggior interesse che fa capo alla possibilità di riconoscere la qualità di titolo esecutivo, tanto per l'espropriazione forzata che per l'esecuzione per consegna o rilascio, al contratto di rent to buy redatto nella forma dell'atto pubblico.
3. POSSIBILITA' O MENO DI RICORRERE AL PROCEDIMENTO DI CONVALIDA DI SFRATTO
L'art. 657 c.p.c., rubricato "intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione", prevede che «il locatore o il concedente può intimare al conduttore, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida …».
Il riferimento testuale è, dunque, a solo talune tipologie contrattuali, quali, su tutti, la locazione.
Secondo l'impostazione prevalente, in dottrina e giurisprudenza, il procedimento, proprio per le forme che assume, ha natura eccezionale così che le relative norme non sono suscettibili di estensione in via analogica, ma al più di interpretazione estensiva.
Conseguentemente, il problema che si pone, con riferimento a talune ipotesi "di confine" (quale la nostra), diviene quello di stabilire, in concreto, se una determinata applicazione del procedimento di convalida di sfratto con riferimento ad una ipotesi testualmente non prevista dal codice di rito civile costituisca il frutto di una interpretazione estensiva (consentita) o di un estensione in via analogica (non consentita).
A titolo meramente esemplificativo, si è ritenuto inapplicabile il procedimento di convalida di sfratto, in quanto occorrerebbe altrimenti procedere ad una (inammissibile) estensione in via analogica, con riferimento alle seguenti ipotesi:
1) comodato;
2) precario immobiliare a titolo oneroso (caratterizzato dalla prevalente funzione di custodia temporanea del bene e non da quella di consentire il godimento a titolo oneroso);
3) contratto d'albergo, di pensione, di affittacamere e di residenze;
4) leasing (finanziario puro);
5) domande di restituzione del bene da parte del proprietario fondate sulla cessazione del diritto reale o personale di godimento (trattandosi di azione di rivendica ovvero di azione di occupazione senza titolo);
6) alloggio detenuto a titolo di ospitalità;
7) affitto d'azienda.
Si è ritenuto, invece, applicabile il ricorso al procedimento di convalida di sfratto, in quanto frutto di una (ammissibile) interpretazione estensiva, con riferimento alle ipotesi di:
1) sublocazione;
2) concessione in locazione di alloggio di edilizia pubblica da parte dell'ente concedente;
3) contratto di alloggio in camera d'albergo.
Tanto la dottrina che la giurisprudenza prevalente sono fondamentalmente ancorate alla posizione rigorosa appena più sopra sinteticamente delineata.
Più in dettaglio, la giurisprudenza è decisamente orientata nel senso di escludere l'ammissibilità dello speciale procedimento di convalida ex artt. 657 ss. in presenza di rapporti contrattuali diversi dalla locazione (e da quelli espressamente indicati nell'art. 657) anche laddove siano riscontrabili elementi, anche rilevanti, propri della locazione.
La dottrina tende, in particolare, ad evidenziare come, ai fini della soluzione della problematica in esame, si riveli decisiva la qualificazione, a monte, del rapporto/contratto.
È quanto accade, in particolare, con riferimento al leasing ove taluna dottrina, dopo avere evidenziato come il contratto di leasing finanziario immobiliare «di fatto, … si risolve, nella sua configurazione più diffusa in pratica, in un rapporto locativo parallelo ad un patto d'opzione, in virtù del quale il conduttore può, al termine del rapporto, pervenire ad acquisire la proprietà del bene» (…..), ha ritenuto che non sussistono ragioni ostative alla utilizzabilità del procedimento ex art. 657 ss. c.p.c. «in caso di mancato esercizio del diritto di opzione alla scadenza della locazione o in ipotesi di morosità nel pagamento del canone». Ciò, proprio in ragione del fatto che la soluzione del problema dipende, comunque, dalla configurazione del leasing come "sottotipo" di locazione, piuttosto che come autonoma figura di "contratto innominato".
Anche nel nostro caso decisiva si rivela la qualificazione che si da, a monte, al contratto di rent to buy:
- se "sottotipo" della locazione > applicabilità del procedimento per convalida di sfratto;
- se differente figura rispetto alla locazione (contratto atipico o contratto tipico differente) > inapplicabilità del procedimento di convalida di sfratto.
A ben vedere, in definitiva, la stessa delimitazione del confine fra interpretazione estensiva (consentita) e estensione in via analogica (non consentita) finisce per dipendere dal modo in cui qualifichiamo, a monte, il contratto di rent to buy (rispetto a quello di locazione). Più si valorizza, infatti, la componente "locazione" nell'ambito della nuova figura contrattuale del rent to buy e più si va nella direzione della interpretazione estensiva (consentita); più si tende, all'opposto, a sminuire la rilevanza della suddetta componente o si tende comunque a configurare il contratto di rent to buy come una differente ed autonoma figura contrattuale e più si va nella direzione della estensione in via analogica (non consentita).
Se così è, e se – come abbiamo ascoltato anche in talune delle relazioni che mi hanno preceduto - la direzione che ha intrapreso la prevalente dottrina è quella da ultimo indicata, ancor più importante si rivela l'ipotesi, in precedenza indicata, legata alla possibilità di ritenere che il contratto di rent to buy, redatto nella forma dell'atto pubblico, costituisca titolo esecutivo, oltre che per l'espropriazione forzata, anche per l'esecuzione specifica per consegna o rilascio. Per l'effetto, infatti, questa rimarrebbe, in definitiva, l'unica ipotesi attraverso la quale potrebbe pervenirsi ad una soluzione soddisfacente sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale.
4. RENT TO BUY, ATTO PUBBLICO E TITOLO ESECUTIVO
4.1 PREMESSA
Come già evidenziato, ci troviamo di fronte ad una prospettiva di estremo interesse per un duplice ordine di motivi:
1) anzitutto, si tratta della soluzione più funzionale sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale in quanto consente al titolare del diritto di attivare direttamente il processo di esecuzione forzata senza passare preventivamente per un processo di cognizione (quale che sia, a cognizione piena o sommaria);
2) in secondo luogo, in forza della riforma del 2005 (legge n. 80) l'atto pubblico costituisce titolo esecutivo non più solo per le obbligazioni al pagamento di una somma di danaro ma anche per quelle di consegna o rilascio; e dunque, per l'effetto, ci troviamo di fronte ad una prospettiva funzionale per l'eventuale inadempimento non solo delle obbligazioni al pagamento ad una somma di danaro, ma anche di quelle di consegna/rilascio contenute nel contratto di rent to buy.
L'importanza di questa prospettiva si accresce al contempo, come pure già evidenziato, se si esclude la utilizzabilità del procedimento di convalida di sfratto con riferimento al contratto di rent to buy e, segnatamente, per ottenere la restituzione dell'immobile in ipotesi di inadempimento del concessionario.
E' il caso di precisare, preliminarmente, come la suddetta problematica involge altresì l'ipotesi in cui il contratto di rent to buy rivesta la forma (non dell'atto pubblico ma) della scrittura privata autenticata, seppur nei più circoscritti confini dell'espropriazione forzata, dato che il solo atto pubblico costituisce titolo esecutivo anche per l'esecuzione per consegna o rilascio.
Più interessante si rivela dunque, nella prospettiva della effettività della tutela giurisdizionale, un discorso che guardi all'atto pubblico, stante la possibilità di coprire, in tal caso, anche l'ipotesi, probabilmente più delicata, del rilascio dell'immobile. Ferma restando, comunque, la possibilità di estendere, in larghissima parte, alla scrittura privata autenticata quanto diremo con riferimento all'atto pubblico, sia pur, evidentemente, nei più circoscritti confini delle obbligazioni al pagamento di una somma di danaro.
Ciò premesso, è evidentemente impossibile ripercorrere in questa sede il dibattito sul titolo esecutivo, che in epoca recente ha peraltro conosciuto anche importanti innovazioni legislative – si pensi per tutte, oltre alla già citata riforma dell'art. 474 c.p.c., alla introduzione (ad opera della l. n. 69 del 2009) dell'art. 614-bis c.p.c. -, per cui mi limiterò inevitabilmente a porre l'accento sulle questioni di maggiore interesse ai fini della individuazione della risposta più corretta da dare al quesito di fondo da cui abbiamo preso le mosse.
Dette questioni ruotano, fondamentalmente, attorno ai requisiti che il diritto consacrato nel titolo deve possedere perché questo costituisca titolo esecutivo, ossia la certezza, la liquidità e l'esigibilità (anche nei rapporti con il giudizio di opposizione all'esecuzione).
Ciò, anzitutto, in via generale e, poi, con specifico riferimento all'atto pubblico quale titolo esecutivo per l'esecuzione specifica per consegna o rilascio.
4.2 CERTEZZA, LIQUIDITA' ED ESIGIBILITA' DEL DIRITTO CONSACRATO NEL TITOLO ESECUTIVO (IN GENERE).
A) Premessa.
Com'è noto, la mera formale appartenenza di un atto o provvedimento alla tipologia di quelli cui l'art. 474 c.p.c. attribuisce la qualifica di titolo esecutivo (sentenza di condanna, atto ricevuto da un pubblico ufficiale, scrittura privata autenticata, etc.) non è di per sé sufficiente perché quell'atto o provvedimento costituisca effettivamente un titolo esecutivo, dovendo altresì ricorrere l'ulteriore fondamentale condizione che il diritto consacrato nel titolo risponda ai requisiti della "certezza", "liquidità" ed "esigibilità".
Il primo problema di fondo, ai nostri fini, è già risolto dalla lettera dell'art. 474 c.p.c., in forza del quale l'atto pubblico costituisce titolo esecutivo sia per l'espropriazione forzata che per l'esecuzione specifica per consegna o rilascio.
Il secondo problema si pone, invece, in termini assai più complessi in quanto non sussiste uniformità di vedute, in dottrina e giurisprudenza, in ordine:
1) al modo in cui vadano intesi detti requisiti, nonché ai "rapporti" intercorrenti fra taluni di essi (e segnatamente fra certezza e liquidità);
2) al modo in cui si atteggino i "rapporti" fra detti requisiti, da un lato, ed il giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. dall'altro.
Al contempo detti requisiti pongono talune problematiche specifiche con riferimento ai titoli esecutivi stragiudiziali e segnatamente, per quanto qui maggiormente interessa, con riferimento all'atto pubblico quale titolo per l'esecuzione specifica per consegna o rilascio.
B) Nozioni di certezza, liquidità ed esigibilità del diritto consacrato nel titolo esecutivo e "rapporti" intercorrenti fra le stesse.
Quanto ai rapporti fra certezza e liquidità, si tende per lo più a ritenere che la liquidità si riferisca al processo di espropriazione forzata (somma di danaro) e la certezza all'esecuzione specifica (dare o fare).
Quanto alla nozione di liquidità, si tende per lo più a ritenere che detto requisito esprima l'esigenza che il credito rappresentato nell'atto o provvedimento sia determinato nel suo pecuniario ammontare, ovvero almeno sia determinabile secondo parametri univoci; e la determinabilità non sarebbe preclusa dal fatto che detti parametri non siano numericamente esplicitati nell'atto o nel provvedimento, purché si tratti di parametri notori (es. saggio legale nelle condanne al pagamento degl'interessi di mora), ovvero di parametri individuabili per relationem in atti o provvedimenti della stessa natura di quello considerato (es. precedente sentenza o diverso atto pubblico), ovvero ancora in documenti specificamente indicati nel titolo.
Per inciso, dette considerazioni si rivelano importanti anche per il contratto di rent to buy quale titolo esecutivo per il pagamento di una determinata somma di danaro (in qualche modo legata ai canoni) in quanto in tal caso detta somma, pur non essendo esplicitata nel suo preciso ammontare, potrebbe comunque essere ritenuta determinabile attraverso una operazione di calcolo/eterointegrazione del titolo del tipo di quelle appena più sopra indicate.
Quanto alla nozione di certezza, è pacifico che il requisito della certezza (quale requisito formale del titolo e non condizione sostanziale dell'esecuzione forzata) non può essere inteso, in negativo, come diritto assolutamente incontestabile, posto che, peraltro, il titolo non dà mai certezza in ordine all'attualità del comando contenuto nel titolo (nel nostro ordinamento, infatti, non v'è un organo/sede procedimentale deputati all'effettuazione di un accertamento di questo tipo). Mentre, in positivo, si tende per lo più a ritenere che, in forza del requisito della certezza, l'atto o il provvedimento deve concretamente ritrarre un diritto soggettivo in modo sufficientemente chiaro e determinato; il diritto deve emergere esattamente e compiutamente, nel suo contenuto e nei suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale o atto negoziale. Anche se non è mancato chi ha ritenuto, invece, che la certezza non sarebbe riferibile agli estremi obiettivi del diritto ma bensì soltanto a quelli soggettivi, con conseguente differente atteggiarsi, anche in questa prospettiva, dei "rapporti" fra certezza e liquidità del diritto consacrato nel titolo.
Quanto al requisito della esigibilità, si tende per lo più a ritenere che, suo tramite, il legislatore intende negare temporaneamente efficacia esecutiva agli atti e provvedimenti che, pur riconducibili ai tipi dell'art. 474 c.p.c., rechino un diritto di credito sottoposto a termine, a condizione sospensiva o a controprestazione.
Dico temporaneamente in quanto, secondo impostazione prevalente, i requisiti di cui all'art. 474 devono sussistere fin dall'inizio del processo esecutivo, ma non è necessario che esistano già al momento della formazione del titolo. Per cui, per l'effetto, si ritiene che non è inesigibile un diritto sottoposto a condizione o a termine nel titolo se al momento dell'esecuzione la condizione si è avverata o il termine è scaduto.
Il problema che si pone, in tali ipotesi, è quello della prova della scadenza del temine o del verificarsi della condizione. In che misura, in altri termini, il decorso del termine o l'avveramento della condizione, cui si ritiene consegua l'acquisto della piena efficacia esecutiva dell'atto o del provvedimento, si può far constare all'organo esecutivo in via extratestuale?
A tal proposito si tende per lo più a ritenere che la scadenza del termine ed il verificarsi della condizione sospensiva devono essere provati dal creditore, mentre il verificarsi della condizione risolutiva va dimostrato dal debitore in sede di opposizione. E, circa la prova di tali requisiti, che qualora essi non risultino dal titolo esecutivo e non sia possibile verificarli prima facie (ad es. scadenza nella cambiale o liquidazione degli interessi secondo un tasso previsto), possono essere provati con altro documento, il quale però, quanto meno stando all'impostazione prevalente, dovrebbe rivestire la medesima forma del documento costituente titolo esecutivo.
In questa, ed altre ipotesi, viene in rilevo la non agevole problematica del titolo complesso (che non si compone, cioè, unicamente del documento originario ma anche di altro documento in qualche modo "connesso" al primo).
C) Modo in cui si atteggiano i "rapporti" fra titolo esecutivo (requisiti della "certezza", "liquidità" ed "esigibilità") e giudizio di opposizione all'esecuzione (quale specie del più ampio problema legato al principio di letteralità del titolo ed alla sua possibile eterointegrazione)
Si ritiene che nel nostro ordinamento non viga, o quanto meno non può essere inteso in termini rigorosi, il principio di stretta letteralità del titolo (così già Chiovenda). Altrimenti ritenendo, infatti, non sarebbe addirittura concepibile la possibilità, da parte degli organi esecutivi, di una indagine che vada oltre l'accertamento dei requisiti formali del titolo; una indagine che si ritiene, invece, non potrebbe non estendersi anche alle modalità di realizzazione del diritto (purché si tratti di accertamento non complesso).
Non a caso, del resto, come già evidenziato, si ritiene ormai pacificamente da tempo che sussiste il requisito della liquidità anche qualora nel titolo non sia esattamente indicata la somma di danaro ma questa possa comunque ricavarsi per effetto di una mera operazione aritmetica.
D'altro canto, però, sono tutt'affatto certi e pacifici i confini di una possibile eterointegrazione del titolo esecutivo.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato fino ad epoca recente sarebbe ammissibile l'integrazione "extratestuale" del titolo in tema di espropriazione forzata. Sarebbero ammissibili, più in dettaglio, tanto l'eterointegrazione (ossia l'integrazione con altri atti del processo) che l'autointegrazione (ossia l'integrazione del dispositivo con il contenuto della motivazione). Ma il ricorso ad elementi esterni rispetto al titolo sarebbe consentito solo al fine di procedere alla «determinazione del credito … attraverso un mero calcolo matematico».
Ben oltre sono andate, invece, in epoca più recente le S.U. (sentenza n. 11067 del 2012) nel ritenere che «il giudice dell'opposizione all'esecuzione, qualora il titolo esecutivo risulti generico e indeterminato non contenendo gli elementi sufficienti a rendere liquido il credito con un calcolo puramente matematico (e, più in generale, qualora vi siano incertezze nella formulazione), può fare riferimento a elementi esterni ed extratestuali, non desumibili dal titolo, ma risultanti dagli atti delle parti, dai documenti da esse prodotti, dalle relazioni degli ausiliari del giudice, se ne siano stati introdotti nel processo in cui la sentenza (o altro titolo esecutivo) che ha definito quel giudizio è stata pronunziata».
Così facendo, infatti, la S.C. ha inteso espressamente abbandonare la soluzione che «postula una identificazione del titolo esecutivo col documento in cui è consacrato l'obbligo da eseguire», per abbracciare, invece, l'impostazione che intende «la precisa individuazione dell'obbligo dichiarato dal giudice non come un requisito formale del provvedimento giudiziario, ma come ciò che il giudice di merito deve essere stato messo in grado di accertare ed è dimostrabile abbia accertato, quando si integri ciò che nel provvedimento è dichiarato, con ciò che gli è chiesto e vi appare discusso». E nel far ciò, la S.C. ha fatto leva soprattutto:
1) su una nozione di titolo esecutivo tendente ad identificare quest'ultimo non con il documento (nella specie, la sentenza) ma con il giudizio di cui questo costituisce espressione, cui è strettamente legata la conseguente possibilità di ricorrere agli atti (del relativo procedimento) su cui si fonda detto giudizio al fine di colmare, in via integrativa, l'eventuale incertezza da cui sia affetto il (diritto consacrato nel) titolo;
2) sull'attribuzione al precetto (che si atteggerebbe in termini di provocatio ad opponendum del debitore esecutato) di una funzione integrativa rispetto al titolo esecutivo;
3) sulla possibilità per l'esecutato di provocare un controllo, attraverso le opposizioni, sia sulla certezza del (diritto consacrato nel) titolo che sulla specificazione della relativa prestazione operata dal creditore in sede di precetto, nonché di ottenere, in detta sede, la sospensione dell'inizio dell'esecuzione;
4) sull'attribuzione, in via più generale, di una funzione "surrogatoria" rispetto alla incertezza del (diritto consacrato nel) titolo al sindacato esercitabile sul punto da parte del giudice sia prima dell'inizio dell'esecuzione (attraverso il rimedio delle opposizioni) che durante lo svolgimento del processo esecutivo (attraverso la sollecitazione del potere di controllo della esistenza del titolo esecutivo spettante al giudice dell'esecuzione).
E' di tutta evidenza che l'accoglimento di una prospettiva di questo tipo sminuisce al massimo i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, ampliando conseguentemente il novero dei titoli esecutivi, ma lo fa, a mio avviso, in forza di uno stravolgimento, assolutamente non condivisibile, sia della tradizionale concezione del titolo esecutivo che dei rapporti fra quest'ultimo ed il giudizio di opposizione.
Si va, in altri termini, ben oltre la prospettiva, pur entro certi limiti ammissibile, della eterointegrazione del titolo esecutivo fatta, invece, propria dal pregresso indirizzo giurisprudenziale in precedenza richiamato.
4.3 CERTEZZA, LIQUIDITÀ ED ESIGIBILITÀ DEL DIRITTO CONSACRATO NEL TITOLO ESECUTIVO NELLA SPECIFICA IPOTESI DELL'ATTO PUBBLICO QUALE TITOLO ESECUTIVO PER L'ESECUZIONE PER CONSEGNA O RILASCIO
Come già preannunciato, vi sono poi talune problematiche più specifiche, di estremo interesse ai nostri fini, legate all'atto pubblico quale titolo per il rilascio. E fra queste, in primo piano, vi sono, per l'appunto, quelle legate al peculiare atteggiarsi, in questa sede, dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del titolo esecutivo, tanto sotto il profilo dell'obbligo di consegna che di quello di rilascio.
A tal proposito, il primo dato che va preliminarmente evidenziato, in via generale, è come il pubblico ufficiale rogante debba prestare la massima attenzione in sede di predisposizione dell'atto pubblico, che dovrà essere il più possibile puntuale, evidenziando espressamente gli obblighi di consegna, riconsegna, restituzione, al fine di poter fondare l'azione esecutiva sul titolo negoziale.
Ciò, fondamentalmente, in ragione del fatto che, secondo impostazione dottrinale e giurisprudenziale prevalente, non è sufficiente che l'obbligazione di consegna/rilascio sia prevista da una disposizione di legge (ancorché pianamente applicabile al rapporto come fonte integrativa del regolamento contrattuale ex art. 1374 c.c.) ma è necessario che sia contenuta nello stesso titolo negoziale (come si esprime l'art. 474 c.p.c. con riguardo alle obbligazioni pecuniarie), cioè risulti in modo non equivoco dal tenore dell'atto. In altri termini, non è sufficiente che il contratto, eventualmente integrato dalle norme di legge, inderogabili o dispositive (in specie art. 1476, n. 1 c.c.) ponga la premessa logica e giuridica dell'obbligo di consegna/rilascio, ma è necessario che tale premessa sia sviluppata e portata alle sue conseguenze nel titolo stesso con l'esplicita previsione dell'obbligo di rilascio (Astuni).
Più in dettaglio, avuto riguardo alle specificazioni di ordine oggettivo e soggettivo dell'obbligo che dovrà essere espressamente previsto nell'atto pubblico, occorrerà che quest'ultimo preveda:
1) il termine della consegna o del rilascio;
2) la descrizione della "cosa determinata" da consegnare o rilasciare;
3) l'indicazione del creditore e del debitore dell'obbligo di consegna; anche se, secondo la giurisprudenza prevalente, l'ordine di rilascio dell'immobile spiega efficacia nei confronti non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi nella detenzione del bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita; per cui, se si accoglie questo indirizzo giurisprudenziale, la maggiore attenzione andrà riservata (non al profilo soggettivo ma) al profilo oggettivo.
Con riferimento a quest'ultimo profilo giova, peraltro, anche evidenziare come si ritiene che, affinché possa scattare la previsione dell'art. 474, comma 2, è necessario che l'obbligazione di consegna o rilascio abbia ad oggetto una cosa già esistente. Nella misura in cui si tratti di un oggetto non ancora esistente in rerum natura, perché lo stesso dovrà venire ad esistenza in futuro, l'esecuzione in forma specifica non sarà possibile fin quando il bene non sia venuto ad esistenza. Ciò anche nell'ipotesi in cui la cosa debba essere realizzata dal soggetto obbligato (es. compravendita di edificio da costruire, in cui vi è un'obbligazione di fare in capo al venditore, preliminare e prodromica rispetto all'obbligazione di consegna dell'opus perfectum). In tal caso l'atto notarile non potrà fondare, quale titolo esecutivo, l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di fare, ma solo – una volta venuto ad esistenza il bene – l'obbligo di consegnare (Petrelli).
Ciò premesso, in via generale, prima di concentrarci sull'obbligo di rilascio, ossia l'ipotesi per noi evidentemente di maggiore interesse, un accenno all'obbligo di consegna.
La problematica del trapasso della materiale disponibilità dell'immobile è rimasta infatti, fino alla su menzionata riforma del 2005, ai margini dell'attività adeguatrice del notaio in quanto, nei rari casi in cui la consegna ancora non avveniva al momento del rogito, a fronte del rifiuto del venditore o del terzo possessore di consegnare la cosa, il compratore non aveva altro strumento che l'azione giudiziale di condanna all'adempimento del contratto o un'azione petitoria di rivendicazione.
L'art. 474, comma 3, c.p.c., così come riformato nel 2005, esige, invece, un mutamento di prospettiva: spetta al notaio indagare gli accordi tra le parti in merito ai tempi e modi di consegna e, nel caso in cui la consegna non sia contestuale al perfezionamento della vendita, di introdurre nell'atto una pattuizione che ribadisce l'obbligo ex art. 1476, n. 1 c.c. al fine di dare all'acquirente lo strumento dell'azione esecutiva per rilascio (Astuni).
4.4 L'ATTO PUBBLICO CONTENENTE UNA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA QUALE TITOLO ESECUTIVO (PER IL RILASCIO E PER L'ESPROPRIAZIONE FORZATA)
A) Il dibattito, post riforma del 2005, avente ad oggetto l'atto pubblico (contenente una clausola risolutiva espressa) quale titolo esecutivo per l'esecuzione specifica per (consegna o) rilascio.
Quanto all'obbligo di rilascio dell'immobile, non sono certo mancate le problematiche dibattute in dottrina a fronte della riferita riforma, nel 2005, dell'art. 474 c.p.c. nel senso di attribuire all'atto pubblico anche la valenza di titolo esecutivo per la consegna/rilascio (problematiche per lo più connesse al peculiare contesto in cui andava ad inserirsi detta disposizione, ossia quello delle locazioni immobiliari, contraddistinto nel nostro ordinamento, com'è noto, da una disciplina "vincolistica").
In questo contesto (ossia post riforma del 2005) si è posto anche il problema dell'atto pubblico contenente una clausola risolutiva espressa quale possibile titolo esecutivo per il rilascio. Un problema centrale nel nostro caso, giova rimarcarlo, in quanto se si ritiene che in forza di una clausola di questo tipo il contratto di rent to buy costituisce titolo esecutivo per il rilascio si hanno evidentemente ricadute particolarmente significative, per i motivi in precedenza evidenziati, sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale.
La dottrina si è divisa sul punto, non giungendo a conclusioni uniformi, mentre la giurisprudenza, a quanto consta, non ha ancora avuto modo di esprimersi.
L'impostazione che tende a prevalere, in dottrina, è nel senso che l'atto pubblico contenente una clausola risolutiva espressa costituisca titolo esecutivo, ciò in quanto si ritiene (in modo per lo più apodittico o comunque non particolarmente argomentato) che sussisterebbero comunque nel caso di specie i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del relativo diritto (Oriani, Saletti, Petrelli).
Secondo altra dottrina, invece, nel caso di specie «l'obbligo di rilascio non è previsto in sé, ma è subordinato al verificarsi di alcune circostanze, costituite dal mancato pagamento dei canoni. Ed il mancato controllo del verificarsi di tali circostanze» farebbe «venir meno il carattere di esigibilità del credito» (Napoleoni). Anche se, come opportunamente evidenziato da altra dottrina (Astuni), detta opinione tralascia di considerare che non spetta al creditore provare il mancato adempimento della prestazione pecuniaria da cui dipende l'obbligo di rilascio.
Non è neanche mancato chi, pur ammettendo in via di principio che l'atto pubblico contenente una clausola risolutiva espressa costituisca titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile, è giunto all'opposta conclusione con specifico riferimento alla peculiare ipotesi della locazione ad uso abitativo/per finalità non transitorie in ragione delle finalità di protezione sottese alla relativa disciplina (Astuni).
Secondo questa dottrina, più in dettaglio, con riferimento all'ipotesi in cui il locatore si riservi nel contratto, mediante clausola risolutiva espressa, la possibilità di risolvere stragiudizialmente il contratto e di agire per la riconsegna, «benché … sussistano verosimilmente i requisiti della certezza e dell'esigibilità della prestazione documentata nel titolo … sembrano ostare a tali conclusioni le finalità di protezione sottese alla disciplina delle locazioni di immobili urbani, in particolare ad uso abitativo e per finalità non transitorie». La giurisprudenza, infatti, ha in più occasioni ritenuto che «la sanatoria della morosità prevista dall'art. 55 della l. 392/78 è ammessa anche se le parti abbiano pattuito la clausola risolutiva espressa, contenendo tale norma disposizioni di ordine pubblico che non possono essere derogate dalle private pattuizioni» e che pertanto «l'efficacia della clausola risolutiva espressa, che sia stata pattuita, rimane sospesa – ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere – fino alla prima udienza del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione della locazione (o alla scadenza del termine di grazie ex art. 55 della legge n. 392 del 1978, eventualmente concesso dal giudice) con la conseguenza della definitiva inefficacia di detta clausola ove il conduttore in tale udienza sani la morosità».
B) Il dibattito, ante riforma del 2005, avente ad oggetto l'atto pubblico (contenente una clausola risolutiva espressa) quale titolo esecutivo per l'espropriazione forzata.
La problematica che ci occupa non è, però, priva di significativi riferimenti dottrinali e (in tal caso anche) giurisprudenziali ante riforma 2005 seppur sotto il differente profilo dell'atto pubblico quale titolo esecutivo per l'espropriazione forzata.
Più in dettaglio, detta problematica si è posta, in epoca ormai risalente nel tempo, con riferimento al mutuo. Ci si è chiesti, infatti, se l'atto notarile di mutuo, in cui sia previsto che, in caso di mancato pagamento degli interessi, il contratto si risolva ed il mutuante possa agire per il recupero del capitale, previa notifica della copia esecutiva dell'atto e senza bisogno di alcun giudizio di cognizione, abbia o meno efficacia di titolo esecutivo.
E' il caso di evidenziare preliminarmente come mancano sul punto precedenti dottrinali e giurisprudenziali recenti e come ci troviamo, piuttosto, di fronte ad un dibattito risalente per lo più alla fine degli anni '50/primi anni '60, che non è approdato, peraltro, ad una soluzione/indirizzo univoco e consolidato. Mentre, infatti, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza nel suddetto caso di specie l'atto pubblico costituirebbe titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza non sarebbe così.
Secondo quest'ultima impostazione dottrinale e giurisprudenziale difetterebbero nel caso di specie i requisiti della certezza/liquidità e soprattutto difetterebbe la esigibilità in quanto l'avveramento della condizione non potrebbe risultare dal titolo e l'organo esecutivo dovrebbe ricavare la sussistenza del requisito della esigibilità da elementi estrinseci al titolo stesso. Il che non sarebbe consentito.
Si tratta di una impostazione tendente ad interpretare l'art. 474 n. 3 c.p.c. nel senso che possono acquistare valore di titolo esecutivo solo quegli atti che sono stati creati per porre un obbligo immediato e non già pure quelli che contengono particolari clausole e complesse pattuizioni per la interpretazione delle quali è necessaria una valutazione non puramente esteriore ma del loro contenuto intrinseco (da inquadrare nella volontà contrattuale con riferimento alle norme di legge che le integrano per dedurne la conseguenza giuridica).
Nel caso di specie, più in dettaglio, la necessità di agire non sorgerebbe per effetto della mera scadenza del contratto di mutuo e, quindi, maturato il diritto del mutuante a ripetere le somme concesse in prestito (nel qual caso l'atto pubblico ben potrebbe spiegare i suoi effetti di titolo esecutivo), bensì per la inadempienza del mutuatario ad una clausola contrattuale che non potrebbe dar vita ad una esecuzione immediata, senza l'accertamento del verificarsi delle condizioni di legge. Tale accertamento, la cui mancanza renderebbe il credito inesigibile, sarebbe sottratto al potere delle parti, abbisognando piuttosto di un regolare processo di cognizione. Non è dal contratto, in altri termini, che scaturirebbe l'obbligo delle ripetizioni delle somme mutuate, ma dalla inadempienza e si tratterebbe di due ipotesi ben diverse in quanto: nel primo caso sarebbe l'atto pubblico a costituire il titolo idoneo per l'esecuzione forzata; nel secondo caso, invece, lo sarebbe una sentenza che riconosce e dichiara la risoluzione del contratto come conseguenza di quella inadempienza contrattuale.
Nel medesimo senso, sempre secondo questa impostazione dottrinale e giurisprudenziale, deporrebbe anche il fatto che, in forza della clausola risolutiva espressa la risoluzione non avviene ex re, per il fatto di un semplice inadempimento di un contraente, ma in seguito ad una dichiarazione in questo senso da parte dell'altro contraente. Per cui, in simili casi l'atto pubblico non potrebbe proiettare effetti esecutivi in quanto abbisognerebbe del completamento di altre attività che sfociano in un giudizio di cognizione. Il giudice dovrebbe accertare, in particolare, se l'inadempimento è imputabile al debitore, quanto meno a titolo di colpa, e tale accertamento non potrebbe essere effettuato dall'organo esecutivo ma dal giudice della cognizione, il quale pronuncerebbe la risoluzione dopo aver altresì verificato se sussiste la dichiarazione della parte di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
Nello stesso senso deporrebbe, infine, anche la previsione di cui all'art. 633 c.p.c. nella parte in cui, con riferimento al procedimento d'ingiunzione, rimette al giudice l'accertamento dell'avveramento della condizione.
4.5 IL CONTRATTO DI RENT TO BUY REDATTO NELLA FORMA DELL'ATTO PUBBLICO, CONTENENTE UNA CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA, QUALE TITOLO ESECUTIVO PER IL RILASCIO DELL'IMMOBILE
L'impostazione dottrinale e giurisprudenziale appena più sopra riferita non convince.
Ben più convincenti sembrano essere, invece, le argomentazioni invocate dal contrapposto indirizzo dottrinale e giurisprudenziale e, in più generale, pare corretto ritenere che il contratto di rent to buy redatto nelle forma dell'atto pubblico e contenente una clausola risolutiva espressa costituisca titolo esecutivo per il rilascio. E ciò, si badi, sulla base della concezione tradizionale del titolo esecutivo, ossia senza necessità di ricorrere ad uno stravolgimento di quest'ultima e dei rapporti fra il titolo esecutivo e il giudizio di opposizione all'esecuzione, come hanno fatto invece di recente le S.U. della Corte di cassazione (la cui nuova prospettiva di fondo condurrebbe senza ombra di dubbio, ed a maggior ragione, alla medesima conclusione).
Questi, fondamentalmente, i motivi che inducono a concludere in tal senso:
a) peculiare atteggiarsi della clausola risolutiva espressa (sul piano strettamente civilistico e dell'onere della prova);
b) (conseguente) sussistenza nel caso di specie dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità.
A) Peculiare atteggiarsi della clausola risolutiva espressa.
La clausola risolutiva espressa di cui all'art. 1456 c.c. viene considerata una forma di "autotutela privata" e si ritiene che, nel caso di specie, verrebbe in rilievo una sentenza di mero accertamento, a differenza della risoluzione per inadempimento dove verrebbe, invece, in rilievo una sentenza costitutiva. La risoluzione si determina, infatti, in forza della mera dichiarazione di parte (atto negoziale, unilaterale e recettizio). E' sufficiente che la parte dichiari di volersene avvalere (a fronte dell'inadempimento della controparte) senza dover provare l'importanza dell'inadempimento (preventivamente valutata dalle parti), mentre è, invece, necessaria la colpa (inadempimento colpevole) che però, ex art. 1218 c.c., si presume.
Al contempo, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. 4 maggio 2005, n. 9275) la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell'effetto risolutivo di diritto di cui all'art. 1456 c.c. non dovrebbe essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, potendo, per converso, manifestarsi, del tutto legittimamente, con lo stesso atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato.
Se così è, nel nostro caso di specie ben può ritenersi che:
1) la dichiarazione del concedente di volersi avvalere dell'effetto risolutivo riconducibile alla clausola risolutiva espressa può essere contenuta nel precetto;
2) spetta al concessionario provare, instaurando eventualmente il giudizio di opposizione all'esecuzione, che l'inadempimento non è colpevole.
B) Sussistenza (conseguentemente) della certezza, liquidità ed esigibilità del diritto consacrato nel titolo esecutivo.
Quanto alla certezza, liquidità ed esigibilità del diritto consacrato nel titolo esecutivo, in ipotesi di atto pubblico contenente una clausola risolutiva espressa, occorre anzitutto richiamare l'attenzione sul fatto che, come già in precedenza evidenziato, secondo l'indirizzo prevalente:
1) nel nostro ordinamento non vige il principio di stretta letteralità del titolo;
2) certezza, liquidità ed esigibilità non devono sussistere al momento della formazione del titolo ma al momento dell'inizio dell'esecuzione, tanto è vero che si ritiene che un titolo sottoposto a termine o condizione non è ineseguibile quando al momento dell'esecuzione la condizione si è verificata o il termine è scaduto; salvo, poi, a verificare come ciò debba essere dimostrato dal creditore.
Nel nostro caso, in considerazione di quanto in precedenza evidenziato in ordine al modo di operare della clausola risolutiva espressa, il creditore deve limitarsi a porre in essere la dichiarazione di volersi avvalere di quest'ultima (mentre è il debitore a dover dimostrare l'assenza di colpa) e, conformemente al riferito indirizzo della S.C., ben potrebbe farlo in sede di atto di precetto.
Ciò significa che, a ben vedere, ci troviamo di fronte ad un ipotesi differente, e di più agevole soluzione, rispetto a quelle del termine e della condizione sospensiva; queste ultime ipotesi infatti, come già evidenziato a suo tempo, pongono un problema di prova della scadenza del termine o dell'avveramento della condizione, se del caso sub specie di ricorso al cd. titolo esecutivo complesso, che in tal caso invece, per i motivi in precedenza evidenziati, non sussiste.
Al contempo giova evidenziare, in via più generale, come i fatti impeditivi o estintivi della certezza del diritto consacrato nel titolo devono essere provati dal debitore in sede di opposizione. Il che significa, con riferimento alla clausola risolutiva espressa, che il mancato verificarsi della "condizione" (sub specie di mancata dichiarazione della controparte di avvalersene o di insussistenza della colpevolezza dell'inadempimento) dovrà essere provato dal debitore (nel nostro caso concessionario) in sede di opposizione all'esecuzione.
Come efficacemente evidenziato da Andrioli, questo è un principio importantissimo proprio con riferimento ai titoli contrattuali, altrimenti dovremmo muoverci nella differente logica della actio iudicati romana (che, com'è noto, si concretava nella necessità per l'attore già vittorioso in primo grado di promuovere un nuovo giudizio di cognizione, a fronte dell'inadempimento del convenuto rispetto all'obbligo di pagamento contenuto nella sentenza, prima di poter aggredire in via esecutiva il debitore; la sentenza di condanna diveniva, cioè, titolo esecutivo solo in forza di un nuovo giudizio volto ad accertare la sussistenza dell'inadempimento del convenuto rispetto alla condanna al pagamento di una somma di danaro di cui alla sentenza di primo grado).
Nel nostro ordinamento, invece, - giova ricordarlo – manca un controllo giurisdizionale preventivo sulla idoneità del titolo esecutivo a dare luogo ad una legittima esecuzione forzata, essendo previsto solo un controllo tutto formale del cancelliere ai sensi degli artt. 475, 153 disp. att. (e 477) c.p.c. E la mancanza di un simile controllo preventivo rende, pertanto, possibile che il diritto di procedere ad esecuzione forzata sia venuto meno, in caso di titoli esecutivi di formazione stragiudiziale, a causa dell'esistenza di fatti impeditivi o estintivi del diritto i cui fatti costitutivi sono rappresentati dal titolo ovvero dalla inesistenza degli stessi fatti costitutivi (si pensi alla cambiale di cui debitore disconosca la firma, o alla falsità dell'atto pubblico).
Nel nostro caso, infine, non sussistono le finalità di protezione sottese alla disciplina delle locazioni di immobili urbani (in particolare ad uso abitativo/finalità non transitorie) che hanno portato la giurisprudenza a ritenere, in più occasioni, che «la sanatoria della morosità prevista dall'art. 55 della l. 392/78 è ammessa anche se le parti abbiano pattuito la clausola risolutiva espressa, contenendo tale norma disposizioni di ordine pubblico che possono essere derogate dalle private pattuizioni» e che pertanto «l'efficacia della clausola risolutiva espressa, che sia stata pattuita, rimane sospesa – ancorché il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere – fino alla prima udienza del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione della locazione (o alla scadenza del termine di grazie ex art. 55 della legge n. 392 del 1978, eventualmente concesso dal giudice) con la conseguenza della definitiva inefficacia di detta clausola ove il conduttore in tale udienza sani la morosità».
In definitiva, dunque, possiamo concludere nel senso che il contratto di rent to buy redatto nelle forme dell'atto pubblico e contenente una clausola risolutiva espressa costituisce titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile.
Da ciò l'importanza che detto contratto sia stipulato nella forma dell'atto pubblico (non essendo sufficiente la forma della scrittura privata autenticata, se si vuole ricomprendere anche l'obbligo di rilascio) e che sia redatto in modo tale da costituire titolo esecutivo per le obbligazioni in esso contenute.
5. ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI DI RILASCIO
Un accenno, prima di concludere, all'esecuzione del provvedimento di rilascio.
Com'è noto, infatti, sussistono delle criticità, sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale, anche con riferimento alla esecuzione degli sfratti (cd. graduazione).
Ogni locatore, munito di titolo esecutivo, può chiedere l'esecuzione e l'ufficiale giudiziario deve procedere esecutivamente per ottenere il rilascio dell'immobile, notificando il preavviso di rilascio. Ma, in caso di rifiuto del conduttore di consegnare l'immobile, lo stesso ufficiale giudiziario si trova nella concreta impossibilità di portare a compimento l'esecuzione, a meno di non ottenere l'assistenza della forza pubblica.
Detto profilo, con riferimento agli immobili ad uso abitativo, era già fatto oggetto di specifica disciplina nell'ambito della legge sull'equo canone (art. 56) ed è stato poi fatto oggetto di intervento, in più occasioni nel corso del tempo, da parte del legislatore (d.l. 551/1988, l. 431/98, etc.) con finalità evidentemente connesse alla peculiare situazione degli immobili ad uso abitativo (e del connesso mercato) esistente nel nostro Paese.
Senza entrare più di tanto nel dettaglio di questa disciplina, possiamo sinteticamente evidenziare, in questa sede, anzitutto come ci troviamo di fronte ad un ulteriore profilo "processuale" rispetto al quale non è indifferente la ricostruzione, a monte, dell'istituto del rent to buy.
Più si accosta, infatti, il nuovo istituto a quello della locazione, più si accrescono, quanto meno in via di principio, le possibilità che la suddetta disciplina possa trovare un qualche spazio di applicazione anche con riferimento al rent to buy; più si ricostruisce, all'opposto, il contratto di rent to buy come figura del tutto autonoma e distinta rispetto alla locazione, più si restringono i possibili spazi di applicazione anche con riferimento a questo nuovo istituto della suddetta disciplina.
Ciò premesso, credo vada però evidenziato, al contempo, come esistono, in linea di principio, valide argomentazioni per escludere l'applicabilità con riferimento al rent to buy della specifica disciplina vigente in tema di esecuzione di titoli di rilascio di immobili ad uso abitativo (cd. graduazione degli sfratti/assegnazione della forza pubblica), stante, se non altro, la riferita ratio di fondo sottesa a questa disciplina, lo specifico oggetto della stessa (locazione di immobili ad uso abitativo), la tipologia di intervento normativo (che si atteggia fondamentalmente in termini di "legislazione d'urgenza", poco compatibile, in quanto tale, con operazioni di interpretazione estensiva o di estensione in via analogica).
Comunque sia, giova altresì evidenziare come nel caso di maggiore criticità, sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale (ossia quello dell'inadempimento del concessionario che non paga i canoni e non restituisce l'immobile), verrebbe comunque in rilievo una ipotesi (ossia quella della morosità) privilegiata, dalla suddetta disciplina, in sede di graduazione degli sfratti.
In definitiva, dunque, e per concludere, anche sotto il profilo da ultimo preso in esame non si ravvisano particolari ostacoli ad una valorizzazione del nuovo istituto del rent to buy (anche) ove si guardi allo stesso sotto il profilo processuale e, più specificamente, sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale.
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