La revoca dello stato di liquidazione delle societą di capitali
La revoca dello stato di liquidazione delle societą di capitali
di Marco Silva
Notaio in Rubano

I tratti essenziali dell'istituto della revoca dello stato di liquidazione delle società di capitali

L'art. 2487 ter C.C., fattispecie introdotta dalla Riforma di cui al D.Lgs. 6/2003, in esecuzione dei principi contenuti nell'art. 8 della Legge Delega n. 366/2001, è espressione del favor per la continuazione dell'impresa anche se già in fase liquidatoria.

Dalla lettura dello stesso articolo 2487 ter C.C. cogliamo i tratti essenziali dell'istituto al fine di esaminare le problematiche connesse:

- profilo temporale di applicazione: "La società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione";

- presupposti di applicazione della disciplina: "occorrendo previa eliminazione della causa di scioglimento"

- profilo formale con i requisiti di forma e pubblicità della relativa decisione: "con deliberazione dell'assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto" e aggiunge "Si applica l'art. 2436.";

- profilo di efficacia: "La revoca ha effetto solo dopo sessanta giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della relativa deliberazione, salvo che consti il consenso dei creditori della società o il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso …".

Il Legislatore ha tentato di dare una risposta ai numerosi interrogativi sorti in materia sotto l'impero della disciplina codicistica originaria (assente sul punto). Un tentativo, peraltro, non perfettamente riuscito, che rimette – come spesso accade essendo ormai evidentemente questa la tendenza del Legislatore moderno – all'interprete la definizione di molti aspetti applicativi.

Profilo temporale di applicazione

La previsione normativa - apparentemente chiara e univoca nel sancire perentoriamente che "la società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione" – impone invece di individuare in concreto i limiti temporali di applicazione della relativa disciplina e in particolare:

a) il momento a partire dal quale trova applicazione la disciplina espressa dagli artt. 2487 ter e 2437/2473 C.C..

La questione è strettamente connessa a quella degli "effetti dello scioglimento" e più precisamente del momento dal quale la società può dirsi in "stato di liquidazione".

A riguardo non posso che rimandare alle considerazioni già svolte dai precedenti Relatori e pertanto prendere atto che la dottrina più diffusa, allo stato, ritiene che la causa di scioglimento non opera (più) di diritto bensì prende effetto in ogni caso con l'iscrizione nel Registro delle Imprese della dichiarazione dell'Organo Amministrativo che l'accerta ovvero con l'iscrizione della deliberazione assembleare che dispone lo scioglimento.

In altre parole la Riforma del diritto societario - innovando profondamente rispetto al passato - ha inteso individuare nell'adempimento pubblicitario ex art. 2484 comma 3 C.C. una sorta di linea di confine tra il verificarsi della causa di scioglimento ed il prendere effetto della stessa, giungendo per tal via ad annettere alla pubblicazione dell'evento dissolutivo efficacia costitutiva.

Tale pubblicità costitutiva ha senza dubbio valenza extra-societaria (rende cioè opponibile lo stato di scioglimento/liquidazione nei confronti dei terzi). Discusso invece se si producano degli effetti endo-societari anche anteriormente alla pubblicità costitutiva. Sicuramente la normativa stessa, come osservato da autorevole dottrina, prevede degli effetti endo-societari al mero verificarsi della causa di scioglimento (ad esempio imponendo agli amministratori di accertare e procedere agli adempimenti pubblicitari nonché di conformare l'azione gestoria ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale).

Pur non negando che il Legislatore abbia operato una differenziazione tra il piano endosocietario e quello metacorporativo, nel senso che il verificarsi della causa di scioglimento determina immediatamente una serie di effetti all'interno della società (v. artt. 2485 e 2486 C.C.), un altro orientamento notarile ritiene invece che anche gli effetti endo-societari, più precisamente organizzativi, discendano dalla pubblicità costitutiva dell'evento dissolutivo.

In questo senso appare conforme l'Orientamento del Comitato Triveneto J.A.11 il quale afferma che prima della pubblicità al Registro delle Imprese sarà sempre possibile rimuovere la causa di scioglimento senza passare attraverso la disciplina della revoca di cui all'art. 2487 ter C.C.. Ciò non costituirà "revoca dello stato di liquidazione" in senso tecnico bensì "impedimento al suo sorgere". Sarà quindi consentito ai soci di revocare una delibera di scioglimento anticipato ex art. 2484 n.6 finchè non si sia proceduto al relativo deposito per l'iscrizione; di modificare l'oggetto sociale, di prorogare la durata della società, di ricapitalizzare la stessa prima che venga data pubblicità alla dichiarazione dell'organo amministrativo con cui si accerti la causa di scioglimento.

Di conseguenza non sembra doversi riconoscere – neppure in via analogica – il diritto di recesso in capo al socio non consenziente (quantomeno non il diritto di recesso per non aver concorso all'assunzione della decisione di revoca) né tanto meno il differimento degli effetti a tutela dei terzi e il diritto di opposizione dei creditori sociali.

Naturalmente, restano invece fermi gli obblighi che il Legislatore pone in capo agli amministratori ex art. 2485 e la relativa responsabilità.

Questa interpretazione appare coerente con il favor per la continuità della società che si è voluto affermare con l'art. 2487-ter C.C. e dà certezza all'operatore.

b) Il momento fino al quale trova applicazione la medesima disciplina.

La locuzione utilizzata dal Legislatore della Riforma ("in ogni momento") sembra lasciare spazio alla massima libertà in materia, al punto di consentire alle società di capitali in liquidazione di riportarsi in integro statu (nei modi, alle condizioni e con le forme previste dall'art. 2487 ter) fino all'estremo limite della cancellazione della società dal Registro delle Imprese (facendo così piazza pulita delle molteplici opinioni affermatesi prima della Riforma nel silenzio del codice).

Tuttavia la Relazione illustrativa al D.lgs. 6/2003 (§ 12) afferma testualmente che "la revoca è stata consentita (…) alla condizione che non sia stata iniziata la distribuzione dell'attivo, distribuzione inconcepibile, come atto liquidatorio, con la continuazione dell'impresa", così legittimando il dubbio che tale presunta massima libertà debba essere riveduta e contenuta entro più stringenti confini.

Pur consapevoli della valenza che assume nell'interpretazione del dato normativo una proposizione contenuta nella Relazione ministeriale, appare quantomeno plausibile tenerne conto nella ricostruzione ermeneutica della norma e, in questa direzione, auspicabile una soluzione "sistematica" capace di spiegare alla luce dell'intero impianto normativo l'apparente discrasia.

Il riferimento alla "distribuzione dell'attivo" contenuto nella Relazione ministeriale richiama alla mente un altro riferimento espresso di questo tipo: quello presente negli articoli 2501 comma 2 e 2506 comma 5 C.C. che inibiscono la partecipazione alla fusione/alla scissione alle società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell'attivo.

Nel ricostruire in via interpretativa questa locuzione in materia di fusione e scissione, si tende diffusamente a individuare la linea di confine nell'ambito temporale che va dal deposito del bilancio finale di liquidazione all'avvio materiale della distribuzione ai soci sulla scorta del detto bilancio.

In questa prospettiva dunque le soluzioni possibili al quesito che ci interessa si riducono sensibilmente. Sembra ci siano però validi argomenti per affermare che il momento oltre il quale resta precluso alla società di capitali di revocare lo stato di liquidazione ex art. 2487 ter C.C. è rappresentato dall'approvazione del bilancio finale di liquidazione (facendo propria la tesi del Prof. Niccolini). Infatti:

- con l'approvazione del bilancio finale di liquidazione la liquidazione della società può intendersi "oramai conclusa" (arg. in tal senso dalla lettera degli artt. 2492 e 2496 C.C.) restando soltanto da provvedere ad adempimenti che sono ormai estranei ad un'attività comune;

- appare ultroneo ipotizzare l'applicazione della disciplina della revoca – posta evidentemente a tutela anche del ceto creditorio – quando i creditori sociali non ci sono più (o quantomeno non dovrebbero esserci più);

- deve ritenersi ormai maturato in capo ai soci il diritto di credito alla quota di liquidazione (diritto che certamente non può essere intaccato da una deliberazione assembleare adottata a maggioranza – ancorchè temperata dal diritto di exit – bensì necessitando del consenso unanime).

Per altri Autori invece il momento rilevante è quello del deposito del bilancio finale di liquidazione sulla base di una diversa lettura dell'art. 2492 C.C. e del meccanismo automatico di approvazione (per silenzio assenso) del bilancio stesso.

Per altri ancora invece, proprio in funzione del favor per la continuazione della società il momento ultimo è quello della cancellazione della società dal Registro delle Imprese (forse intendendo il deposito della istanza di cancellazione, essendo poi l'iscrizione un procedimento amministrativo che conduce a una cancellazione con effetti costitutivi non reversibili).

In ogni caso non è escluso all'autonomia privata arrestare il procedimento teso alla dissoluzione della società anche successivamente all'approvazione del bilancio finale di liquidazione (o al deposito dello stesso), dato che sino alla cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese la società permane certamente quale soggetto giuridico: semplicemente ciò sarà possibile soltanto con il consenso unanime dei soci, tutti e ciascuno rinunciando alla propria quota di liquidazione. Discusso è se tale decisione unanime dei soci legittimi il diritto di opposizione di eventuali creditori sociali e, quindi, presupponga il differimento dell'efficacia della decisione ovvero, non trattandosi più della fattispecie di cui all'art. 2487 ter C.C. ma di modifica dell'atto costitutivo che intervenga una volta "compiuta la liquidazione", non legittimi alcun diritto di opposizione dei creditori sociali e quindi sia immediatamente efficace.

Probabilmente al Notaio cui si presenti tale fattispecie converrà, tuzioristicamente, seguire la procedura ex art. 2487 ter C.C. con la dimostrazione da parte dell'organo di liquidazione che non sussistono creditori sociali e, quindi, attribuendo efficacia immediata alla delibera che ripristina lo stato fisiologico della società.

Altre questioni su tale tema.

A) Fermo il limite temporale massimo (l'approvazione/il deposito del bilancio finale di liquidazione), la società può revocare lo stato di liquidazione anche ove non vi sia più traccia della "impresa" (per avere, ad esempio, proceduto alla cessione dell'unica azienda sociale) ?

Probabilmente si, alla luce della volontà manifesta del Legislatore della Riforma di agevolare la continuazione dell'impresa e pertanto la conservazione del valore di essa anche in pendenza della fase di liquidazione e, quindi, di un principio generale di continuità o ripristino dell'impresa (anche durante la fase di liquidazione) sotteso alla rinnovata disciplina tutta del Capo VIII del Titolo V del Libro V del Codice Civile. Non appare, infatti, coerente affermare che una volta dissolta l'organizzazione imprenditoriale non sussisterebbe più alcun plusvalore da conservare attraverso la revoca dello stato di liquidazione.

B) Può l'autonomia statutaria disattivare la disciplina legale della revoca dello stato di liquidazione ex art. 2487 ter C.C., ossia escludere la possibilità di revocare la liquidazione (magari anche soltanto per alcune delle cause di scioglimento) ? Può la stessa autonomia statutaria individuare espressamente il momento fino al quale la revoca è possibile (magari anticipandolo ad esempio fino al punto di farlo coincidere con la nomina dei liquidatori)?

La questione è strettamente legata alla natura imperativa o disponibile della disciplina di cui all'art. 2487 ter C.C. e ancor più ampiamente della disciplina dello scioglimento e della liquidazione delle società di capitali.

Indipendentemente dalla soluzione al quesito che precede la risposta al problema è differente a seconda che si versi in materia di S.P.A. o di S.R.L..

Nella S.R.L. ove si ritiene ammissibile l'unanimità almeno per alcune deliberazioni, il risultato appare legittimamente raggiungibile attraverso la previsione statutaria del consenso unanime per questo tipo di decisione, eventualmente condizionato a un determinato momento della vita sociale (ad esempio dopo la nomina dei liquidatori).

Ove, invece, tale diritto si volesse attribuire ad un solo socio sarà utilizzabile lo strumento del "diritto particolare" di cui all'art. 2468 comma 3 C.C. esercitato tramite il diritto di voto non proporzionale.

Nella S.P.A. - ove l'unanimità è ammessa soltanto da alcuni autori - il raggiungimento di tale risultato potrebbe avvenire prevedendo dei quorum particolari per tale deliberazione assembleare attribuendo, eventualmente solo limitatamente a tale argomento, il voto plurimo a determinate categorie di azioni (art. 2351, comma 4, C.C.).

I presupposti della deliberazione di revoca dello stato di liquidazione

Altra grande novità della Riforma in tema di revoca dello stato di liquidazione è certamente l'espressa previsione che la relativa decisione vada assunta a maggioranza, superando la tesi assolutamente dominante ante-Riforma della necessità del consenso unanime dei soci (tanto di chi riteneva trattarsi di un atto negoziale dei soci, non della società, teso e idoneo a dar vita a un nuovo contratto sociale; quanto di chi riteneva trattarsi di una decisione dell'assemblea dei soci ma capace di incidere sul diritto individuale di ciascuno di essi alla quota di liquidazione).

Oggi la norma tratta testualmente di una "deliberazione dell'assemblea presa con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto", aggiungendo poi che "si applica l'art. 2436" il che evidenzia la necessità dell'intervento del Notaio a verbalizzare e ad esplicare il suo naturale potere-dovere di controllo di legalità in vista dell'iscrizione della relativa delibera/decisione presso il Registro delle Imprese.

Una dottrina, rimasta isolata, aveva ritenuto che nella S.R.L. la verbalizzazione notarile fosse necessaria solo nel caso la revoca dello stato di liquidazione comportasse anche modifiche statutarie (non ad esempio nell'ipotesi in cui la causa di scioglimento fosse quella della impossibilità di funzionamento dell'assemblea di cui all'art. 2484 n. 3 C.C.). A tal proposito si segnala il parere del Ministero della Giustizia 3 aprile 2015 (Nota MISE del 16 aprile 2015 in CNN Notizie del 21 aprile 2015 con nota di Ruotolo/Boggiali) per cui la "deliberazione di revoca dello stato di liquidazione è obbligatoriamente soggetta a verbalizzazione notarile, anche quando la decisione non chiede (…) un intervento sullo statuto" in quanto "il richiamo all'art. 2436 comporta una piena equiparazione della deliberazione di revoca (…) a quella di modifica dei patti sociali", che ha chiarito quindi la necessità dell'intervento notarile nella s.r.l. anche quando la delibera di revoca non comporta contestualmente alcuna modifica statutaria.

Sempre in tema di forma appare utile uno sguardo alla disciplina "speciale" del tipo S.P.A. e a quella del tipo S.R.L..

Nella S.P.A. il riferimento contenuto nell'art. 2487 ter C.C. alle modificazioni dell'atto costitutivo o dello statuto e il richiamo dell'art. 2436 C.C. unitamente al fatto che l'art. 2369 comma 5 C.C. enuncia la revoca dello stato di liquidazione fra quelle deliberazioni che le s.p.a. chiuse devono assumere anche nelle convocazioni successive alla prima con un quorum rafforzato e, da ultimo, la circostanza che tutte quelle deliberazioni elencate dall'art. 2369 C.C. rientrano nella competenza dell'assemblea straordinaria - come sancita dall'art. 2365 C.C. – inducono ad affermare pacificamente che la competenza sia della assemblea straordinaria .

Più complicato il discorso appare nella S.R.L., ove le decisioni dei soci possono essere assunte oltrechè con metodo assembleare anche ricorrendo ai cc.dd. "procedimenti extra-assembleari" (art. 2479 comma 3 C.C.). Nonostante le difficoltà di coordinamento fra la disciplina propria del tipo S.R.L. e quella dello scioglimento delle società di capitali, pare potersi affermare che la revoca dello stato di liquidazione nella S.R.L. esiga sempre e comunque una deliberazione assembleare dei soci, restando cioè precluso il ricorso ai procedimenti extra-assembleari (se e in quanto previsti dallo statuto).

Il che appare pacifico ogniqualvolta la revoca dello stato di liquidazione si traduca, in concreto, in una modificazione dell'atto costitutivo/statuto (ad esempio: proroga del termine di durata della società o modifica della clausola relativa all'oggetto sociale); non altrettanto nelle ipotesi in cui manchi una modificazione statutaria in senso tecnico (si pensi allo scioglimento per impossibilità di funzionamento dell'assemblea ex art. 2484 n. 3 C.C.).

Anche a voler affermare la piena e perfetta compatibilità ontologica e pratica fra "decisioni assunte con metodi non assembleari" e "verbalizzazione notarile" (richiesta in questa fattispecie dall'art. 2487 ter C.C. che richiama l'art. 2436 C.C.), e pur in presenza di autorevoli voci favorevoli alla soluzione più liberale, sembrano assumere rilevanza decisiva in contrario:

- il richiamo espresso contenuto nell'art. 2487 ter C.C. alla "deliberazione dell'assemblea";

- la volontà del Legislatore di dettare una disciplina dello scioglimento e della liquidazione comune alle società di capitali;

- la forte valenza organizzativa di una decisione di revoca della liquidazione, capace nel contempo di incidere sulla posizione dei soci (se non altro sostituendo il diritto alla quota di liquidazione con un diritto di exit), e che, pertanto, si traduce sempre e comunque in una rilevante modificazione dei diritti dei soci che per espressa previsione dell'art. 2479 comma 2 n. 5 C.C. impone il ricorso al metodo assembleare.

Il correttivo del diritto di recesso

Allo scopo di temperare il principio maggioritario il Legislatore – nella rinnovata prospettiva di favore propria dell'intera Riforma – ha accordato ai soci che non concorrono alla assunzione della decisione di revoca dello stato di liquidazione il diritto di recedere (e pertanto di monetizzare il valore della propria partecipazione).

E' pur vero che si tratta di un correttivo usualmente impiegato dal Legislatore della Riforma allo scopo di mitigare il principio maggioritario. Tuttavia, rispetto alla situazione in cui la società versa al momento dell'assunzione di una decisione di revoca dello stato di liquidazione, si tratta di un correttivo a dir poco curioso (come già osservato da autorevole dottrina), non fosse altro perché potenzialmente idoneo a rendere nuovamente attuale l'effetto dissolutivo al quale i soci intendono sottrarre la società, così compromettendo l'intera progettata operazione di revoca della liquidazione. Inoltre, dal punto di vista pratico, si traduce normalmente nella spinta a ricercare preventivamente, in seno alla compagine sociale, la massima condivisione della intera operazione intesa a riportare in integro statu la società.

Si consideri poi che l'applicazione pratica all'ipotesi di revoca dello stato di liquidazione della disciplina generale del recesso presenta alcuni inconvenienti tecnici. Basti pensare all'applicazione in tale circostanza di quei criteri di calcolo del valore della partecipazione del socio recedente (a lui favorevoli o quantomeno non penalizzanti) che la disciplina generale del recesso ha approntato per rendere appetibile lo strumento: l'adattamento di questi criteri alla situazione di liquidazione in cui versa la società non pare del tutto agevole.

L'art. 2437 ter C.C. per la SPA chiusa prevede che il valore delle azioni del socio receduto debba essere determinato tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali e, quindi, di un criterio incompatibile con lo stato di liquidazione della società.

I presupposti sostanziali.

La deliberazione di revoca dello stato di liquidazione è subordinata alla rimozione della causa di scioglimento (così, sia pure ambiguamente, l'art. 2487 ter C.C. che prevede "occorrendo previa rimozione…"). A questo proposito occorre sgombrare il campo da ogni possibile equivoco.

La rimozione di qualunque causa di scioglimento, quindi, e non solo di quella che ha determinato nel caso di specie lo stato di liquidazione della società, è sempre essenziale alla revoca ex art. 2487 ter C.C..

Talvolta tale rimozione passa necessariamente attraverso una modifica statutaria in senso tecnico (cambiamento dell'oggetto sociale perchè conseguito o divenuto impossibile da conseguire, una qualunque altra opportuna modifica statutaria, la proroga della durata della società il cui termine sia decorso); talaltra, invece, tale rimozione non comporta una modifica statutaria (per esempio: nel caso in cui la società si fosse sciolta per impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell'assemblea).

La rimozione della causa di scioglimento appare sempre e comunque logicamente e cronologicamente anteriore alla decisione di revoca dello stato di liquidazione, anche cioè quando avvenga "contestualmente" alla revoca (modifica statutaria che proroga il termine di durata della società o la clausola relativa all'oggetto sociale o assunzione di altra opportuna modifica quale la trasformazione), dando luogo ad una unica deliberazione, ancorchè articolata in due passaggi, il primo a servizio del secondo, e pertanto funzionalmente collegati l'uno all'altro.

Dall'esigenza che la revoca dello stato di liquidazione passi sempre e comunque attraverso la rimozione della causa di scioglimento e, nel contempo, la verifica della sussistenza di tutti gli ulteriori elementi perché la società torni in integro statu, si trae argomento per affermare la necessaria predisposizione da parte dell'organo di liquidazione in carica di una situazione patrimoniale aggiornata/bilancio straordinario, documento contabile che soddisfa nel contempo due categorie di interessi: uno interno alla compagine sociale, che consente cioè ai soci una valutazione consapevole della opportunità o meno di riprendere la normale attività sociale (ciò anche in vista del diritto di exit riconosciuto dal sistema a ciascuno dei soci); l'altro più ampio e generale, che consente di verificare che non sussista altra causa di scioglimento (in particolare un capitale almeno pari al minimo legale previsto per il tipo sociale de quo), prevenendo il rischio che permangano situazioni patologiche cui la legge riconnette lo scioglimento della società e ciò nell'interesse generale ad avere sul mercato società pienamente efficienti .

Dunque appare pienamente giustificata la necessità del controllo notarile ex art. 2436 C.C., anche nella S.R.L. ed indipendentemente da contestuali modificazioni statutarie, come sopra precisato.

Quanto detto appare ancor più vero nell'ipotesi di revoca dello stato di liquidazione determinato da perdite rilevanti e ricapitalizzazione della società. Anche se, forse, potrebbe costituire eccezione alla regola l'ipotesi in cui non sussista la necessità di garantire l'effettività del capitale sociale (esempio il caso di trasformazione in società di persone ex artt. 2447 C.C. e 2482 ter C.C., in relazione al disposto dell'art. 2303, secondo comma, C.C.).

Il ripristino degli organi sociali.

Alla revoca dello stato di liquidazione non consegue la restaurazione automatica nell'ufficio amministrativo di coloro che già erano amministratori prima della nomina dei liquidatori né l'automatica conversione dell'ufficio dei liquidatori in quello di amministratori.

Salvo il caso della deliberazione di revoca immediatamente efficace ex art. 2487 ter comma 2 C.C. (nel qual caso la nomina dell'Organo Amministrativo diviene necessaria e imprescindibile già da parte di quella assemblea), si pone la questione se la deliberazione di revoca debba contenere anche la nomina del nuovo organo amministrativo ovvero se tale nomina possa essere effettuata successivamente, sia pure in tempo utile per l'assunzione dell'efficacia della deliberazione di revoca.

Sicuramente la deliberazione di revoca dello stato di liquidazione è fattispecie diversa dalla costituzione della società, ove invece è necessaria la nomina contestuale degli amministratori (per le S.P.A. l'art. 2328 comma 2 C.C. e per la S.R.L. l'art. 2463 comma 2 n. 8 C.C.).

A tal proposito sicuramente la nomina contestuale alla revoca dello stato di liquidazione con efficacia differita non può essere messa in dubbio: (i) per il fatto che la competenza spetta all'assemblea dei soci in sede ordinaria (per la S.P.A. v. artt. 2383 comma 1 C.C. e 2364 C.C.) perché, in tal caso, o saremmo in presenza di una deroga espressa all'art. 2383 comma 1 C.C. giustificata con la specificità dell'operazione, oppure si potrebbe anche ritenere che la nomina dell'organo amministrativo, pur nell'ambito dell'assemblea di revoca dello stato di liquidazione, rimane di competenza dell'assemblea ordinaria, intesa come assemblea con maggioranze diverse da quelle per le modificazioni dell'atto costitutivo, fatta eccezione per l'ipotesi della S.A.P.A. in cui ai sensi dell'art. 2455 C.C. i soci accomandatari indicati nell'atto costitutivo sono di diritto amministratori e quindi una modifica statutaria circa la persona dell'accomandatario coincide con la designazione dell'organo amministrativo; ii) per il fatto che gli amministratori hanno 30 giorni per chiedere l'iscrizione della loro nomina presso il Registro delle Imprese (comma 4 dell'art. 2383 C.C.): in ogni caso il termine di 30 giorni non potrà che decorrere dal momento in cui acquista efficacia la delibera e gli amministratori, pur designati, non entreranno in carica fino a quel momento (o addirittura non entreranno mai in carica persistendo lo stato di liquidazione); iii) né, infine, per il fatto che la deliberazione di nomina dell'Organo Amministrativo sia preclusa dalla condizione liquidativa nella quale versa la società che, certamente, potrebbe permanere nonostante la decisione di revoca.

Del resto l'assemblea appare legittimata ad assumere ogni decisione coerente e necessaria a dare attuazione al deliberato programma di ripresa dell'attività sociale e, quindi, a procedere altresì, sia pure per il futuro, anche alla nomina del nuovo Organo Amministrativo.

Semplicemente, la delibera di nomina degli amministratori (validamente e legittimamente assunta) s'intenderà sospensivamente condizionata all'efficacia della delibera di revoca dello stato di liquidazione, sì da divenire efficace con essa.

Semmai, come rilevato da autorevole dottrina, a suggerire la sempre necessaria contestualità della designazione del nuovo organo amministrativo con la delibera di revoca dello stato di liquidazione vi è l'argomento che la conoscibilità dell'identità dei nuovi amministratori potrebbe essere elemento di valutazione da parte dei creditori per decidere se opporsi o meno alla deliberazione.

Comunque in assenza di un dato normativo univoco pare doversi ammettere anche il differimento della nomina del nuovo organo amministrativo ad una assemblea successiva a quella che ha assunto la deliberazione di revoca dello stato di liquidazione, purchè in tempo utile per l'assunzione di efficacia della delibera di revoca ed altresì che la mancata nomina contestuale alla revoca non costituisca motivo di invalidità della deliberazione di revoca dello stato di liquidazione.

Conseguenza della mancata nomina dell'Organo Amministrativo sarà, peraltro, la mancata pubblicità dell'efficacia della deliberazione di revoca dello stato di liquidazione, che fa carico al nuovo organo amministrativo. Ove l'assemblea non fosse in grado di esprimere un nuovo Organo Amministrativo, a mio avviso, troverebbe applicazione la causa di scioglimento di cui all'art. 2484 n. 3 C.C. (impossibilità di funzionamento da parte dell'assemblea).

Quanto al passaggio di consegne tra liquidatori e amministratori si ritiene comunemente applicabile analogicamente, nel silenzio dell'atto costitutivo e dell'assemblea, la disciplina dell'art. 2487 bis C.C. (che regolamenta il passaggio in direzione inversa).

L'organo di controllo.

Quali siano gli effetti dell'instaurarsi dello stato di liquidazione e così pure della revoca dello stesso sugli organi di controllo delle società di capitali non è cosa agevole né univoca a dirsi, soprattutto in presenza dei regimi alternativi di governance approntati per la S.P.A. (monistico e dualistico) e dinanzi alla dubbia compatibilità degli stessi con la disciplina della liquidazione.

Ove si ritenga - con buona parte della dottrina e della prassi notarile (Orientamento Comitato Triveneto J.A.19) - che il sistema monistico ceda necessariamente il passo al sistema tradizionale di governance perché incompatibile con la fase di liquidazione (e conseguente necessaria nomina del Collegio Sindacale cui affidare il controllo sulla gestione), la revoca dello stato di liquidazione ex art. 2487 ter C.C. una volta efficace – ove comporti il ripristino del sistema monistico statutariamente previsto – determinerà la decadenza (non revoca) del Collegio Sindacale per incompatibilità naturale del sistema con conseguente necessità di provvedere alla nomina dei preposti all'unitario ufficio gestorio e di controllo, contestualmente alla delibera di revoca o al più tardi per l'assunzione della sua efficacia.

Minori le difficoltà per il sistema dualistico in quanto considerato dai più (cfr. Orientamento Comitato Triveneto J.A.19) compatibile con la fase di liquidazione, pur nella convinzione che il Consiglio di sorveglianza resti in carica con funzioni "attenuate" alla stregua di un Collegio Sindacale proprio del sistema tradizionale (essendo alcune delle sue importanti attribuzioni – nomina e revoca dei gestori nonché approvazione del bilancio d'esercizio - rimesse all'assemblea dei soci): in questo caso la revoca non incide sull'organo di controllo in carica, se non nel senso di ripristinarne in pieno le tipiche funzioni.

L'efficacia della revoca.

La decisione di revoca ha – naturalmente – efficacia differita allo spirare del termine di 60 giorni dalla iscrizione della relativa deliberazione nel Registro delle Imprese, ciò a tutela del ceto creditorio al quale è consentito di fare opposizione (con conseguente applicazione della disciplina prevista per il caso di opposizione alla riduzione effettiva del capitale sociale ex art. 2445 C.C.).

Si tratta della tutela dei soli creditori anteriori alla iscrizione e pertanto anche di quelli che sono divenuti tali nel tempo compreso tra l'assunzione della delibera assembleare di revoca e la sua iscrizione nel Registro delle Imprese.

E' inoltre tutela di qualsiasi posizione creditoria indipendentemente dal contenuto.

Non importa se il credito è sottoposto a termine o a condizione, se contestato (giudiziariamente o meno), garantito o non, se ha ad oggetto un facere o un dare (e non solo denaro), derivi da contratto o da fatto illecito.

Riguarda anche la posizione creditoria degli obbligazionisti: a tal proposito sembra potersi trarre dal sistema (arg. art. 2503 bis comma 1 C.C.) la regola secondo cui se sulla revoca dello stato di liquidazione si è già pronunciata favorevolmente l'assemblea degli obbligazionisti (ex art. 2415 n. 5 "oggetto di interesse comune degli obbligazionisti") il singolo obbligazionista non avrà alcun diritto di opposizione.

Qualora consti il consenso dei creditori o il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso la deliberazione avrà efficacia immediata.

Il consenso dovrà essere espresso e, pur la norma non richiedendo una forma specifica, è da ritenere che evidenti ragioni di certezza suggeriscano la forma scritta.

Si tratterà di mero consenso alla revoca dello stato di liquidazione, limitato pertanto sul piano effettuale alla rinunzia ex ante al diritto di opposizione non certo al diritto di credito o al diritto processuale a farlo valere.

Detto consenso dovrà essere preventivo (o al più tardi contestuale) alla deliberazione di revoca: sarà il Presidente in sede assembleare a far constare tale circostanza in quanto il controllo omologatorio del notaio verbalizzante avviene necessariamente su quanto verbalizzato in assemblea. In questo senso l'Orientamento del Comitato Triveneto J.A.14 per cui l'individuazione, la quantificazione, il consenso e/o il pagamento vengono fatti constare da una attestazione con elencazione analitica resa dai liquidatori.

Rimane peraltro una incongruenza tra la categoria dei creditori che può fare opposizione - che comprende anche coloro che sono divenuti tali nelle more tra la deliberazione di revoca e la sua iscrizione nel Registro delle Imprese - e la dichiarazione, necessariamente resa in assemblea dai liquidatori, circa il pagamento e/o il consenso dei creditori, che necessariamente saranno quelli già esistenti al momento dell'assemblea. Si evidenzia pertanto l'esigenza pratica di un tempestivo adempimento della delibera di revoca dello stato di liquidazione in funzione della sua efficacia immediata.


Nota bibliografica.

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