Estinzione della società e sopravvenienze
Estinzione della società e sopravvenienze
di Rocco Guglielmo
Notaio in Catanzaro
Indice: 1. Introduzione 2. Concetto di sopravvivenze e sopravvenienze 3. Cancellazione volontaria e cancellazione d'ufficio 4. Sorte delle sopravvenienze passive: portata dell'art. 2495, 2° comma, c.c. e varie tesi 4.1. Segue: Tesi della Cassazione: le sentenze a Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013 (successione) 4.2. Segue: critica e soluzione 5. Sorte delle sopravvenienze attive e varie tesi: a) Eredità giacente b) Cancellazione della cancellazione c) Applicazione analogica dei principi in materia di scissione d) Trasformazione eterogenea e) Acquisto traslativo-derivativo inter vivos f) Tesi della successione mortis causa g) Tesi della successione universale inter vivos e riflessi applicativi 6. Conclusioni
1. Introduzione
Il tema oggetto del presente intervento è quello dell'estinzione o, sarebbe più corretto dire, della cancellazione della società e sopravvenienze.
Occorre premettere che una riflessione sull'argomento non può prescindere dall'analisi, sia pur breve, dell'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in materia di cancellazione e, precisamente, degli effetti da essa prodotti.
Come noto, prima della Riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003), la dottrina prevalente riteneva che la cancellazione avesse un vera e propria efficacia costitutiva dell'estinzione della società mentre la giurisprudenza maggioritaria, al contrario, attribuiva allo strumento pubblicitario della cancellazione una funzione dichiarativa riconducendo l'effetto estintivo solo alla completa definizione dei rapporti giuridici pendenti. E ciò, si affermava, al fine di offrire una maggiore tutela ai creditori sociali esposti ai rischi di possibili liquidazioni fraudolente.
La modifica apportata nel 2003 all'art. 2495, 2° comma, c.c. il cui inciso "ferma restando l'estinzione della società.." rivela l'intenzione del legislatore di collegare l'effetto estintivo all'iscrizione della cancellazione nel Registro delle Imprese, induce a ritenere che proprio tale iscrizione costituisca il presupposto non solo necessario ma anche sufficiente per sancirne l'estinzione, fatto salvo quanto contenuto:
a) nell'art. 10 della L.F. (R.D. n. 267/1942) che consente la declaratoria di fallimento entro un anno dalla cancellazione della società;
b) nell'art. 28, 4° comma, del D.Lgs. n. 175/2014 che prevede espressamente che "ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle Imprese".
Ma si tratta di due ipotesi nelle quali il legislatore operando una fictio iuris considera la società come ancora esistente al solo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio a garanzia dei creditori concorsuali e del fisco.
Sul tema della natura dell'iscrizione della cancellazione è, altresì, intervenuta più volte la Suprema Corte.
Basti pensare alle tre sentenze gemelle del 2010 (le nn. 4060, 4061 e 4062) con cui si è affermato il principio dell'efficacia estintiva della cancellazione per le società di capitali (in seguito esteso anche alle società di persone con la sentenza n. 8170 del 2012) o a quelle immediatamente successive (le nn. 8426 e 8427 ancora del 2010) le quali, seppur riguardanti casi particolari, hanno ammesso la possibilità della cancellazione della cancellazione con conseguente reviviscenza della società (ma su tale impostazione si tornerà a breve), fino ad arrivare alle tre sentenze del 2013 (le nn. 6070, 6071 e 6072) che, sebbene non chiariscano se la cancellazione della società possa essere cancellata nel caso in cui l'ente continui ad operare, tuttavia concludono nel senso dell'effetto "tombale" della cancellazione.
2. Concetto di sopravvivenze e sopravvenienze
Ciò premesso, è opportuno precisare che si parlerà genericamente di sopravvenienze volendo con tale termine riferirsi tanto alle "sopravvenienze in senso tecnico", cioè a quegli elementi del passivo e dell'attivo non presenti nel bilancio finale di liquidazione e venuti ad esistenza dopo la cancellazione della società, quanto alle "sopravvivenze", ovvero a quegli elementi del passivo e dell'attivo non contemplati nel bilancio finale di liquidazione ma già presenti – alla data di cancellazione della società – nel patrimonio sociale.
La problematica relativa alla sorte di tali sopravvenienze una volta cancellata la società non è di facile soluzione. Essa, infatti, ha costituito e continua a costituire, nonostante i recenti interventi della Suprema Corte, un vero rompicapo dati i riflessi applicativi che ne derivano.
Lo stesso Legislatore delegante all'art. 8 della Legge n. 366/2001 aveva individuato i principi ed i criteri direttivi ai quali l'Organo delegato avrebbe dovuto attenersi in tema di "Scioglimento e liquidazione" fissando espressamente il compito di "a)…disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, il regime di responsabilità per debiti non soddisfatti, e delle sopravvenienze attive e passive".
Tuttavia la risposta del Legislatore delegato si è rivelata inadeguata in quanto non solo ha ignorato il regime delle sopravvenienze attive ma ha, altresì, ritenuto sufficiente riproporre di fatto la precedente normativa in tema di responsabilità per debiti non soddisfatti senza disciplinare, in modo espresso, gli effetti della cancellazione della società dal Registro Imprese.
3. Cancellazione volontaria e cancellazione d'ufficio
Le norme di riferimento della cancellazione volontaria sono rappresentate dagli artt. 2312 e 2324 c.c. rispettivamente per le s.n.c. e per le s.a.s. e dall'art. 2495 c.c., sostitutivo dell'art. 2456 c.c. ante riforma, per le società di capitali e le società cooperative (in virtù del rinvio disposto per quest'ultime dall'art. 2519, 1° comma, c.c.).
Accanto alla cancellazione volontaria il legislatore prevede, inoltre, alcuni casi in cui la cancellazione della società è disposta d'ufficio e, precisamente, agli articoli:
1) 3 del D.P.R. n. 247/2004 per le società personali;
2) 2490, 6° comma, c.c., per le società di capitali già in liquidazione;
3) 2545-octiesdecies, 2° e 3° comma, c.c. con riguardo alle società cooperative;
4) 94 del D.Lgs. n. 385/1993 relativo alle Banche cui sia stata revocata l'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria;
5) 18 del D.Lgs. n. 220/2002 per le società di mutuo soccorso in caso di violazione delle disposizioni di vigilanza;
6) 330, 2° comma, del D.Lgs. n. 209/2005 per le società di assicurazione, in presenza di sanzioni disciplinari applicate alle persone fisiche.
L'analisi in genere della disciplina delle cancellazioni d'ufficio ed in particolare dell'art. 2490, 6° comma, c.c. conferma l'irrilevanza dello svolgimento della fase di liquidazione al fine della cancellazione della società dal Registro delle Imprese.
La norma in esame, infatti, stabilisce che "Qualora per oltre tre anni consecutivi non venga depositato il bilancio di cui al presente articolo, la società è cancellata d'ufficio dal registro delle imprese con gli effetti previsti dall'art. 2495".
4. Sorte delle sopravvenienze passive: portata dell'art. 2495, 2° comma, c.c. e varie tesi. 4.1. Segue: Tesi della Cassazione: le sentenze a Sezioni Unite nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013 (successione). 4.2. Segue: critica e soluzione
Passando ora all'analisi della sorte delle sopravvenienze e, specificatamente, di quelle passive occorre soffermarsi sul disposto dell'art. 2495, 2° comma, c.c., che testualmente prevede che "Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei, confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società".
La norma fa riferimento alle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione per cui si pone il problema dell'estensione della responsabilità dei soci anche ai conferimenti non eseguiti. La soluzione deve essere senz'altro positiva altrimenti vi sarebbe un'indebita sottrazione di risorse che in base al contratto di società sono destinate allo svolgimento dell'attività sociale e che come tali costituiscono garanzia specifica per i creditori della stessa.
Nell'espressione "somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione", dunque, rientrano anche quelle somme che avrebbero dovuto essere versate dai soci a titolo di conferimento in esecuzione di un obbligo assunto con il contratto di società.
Ma qual è il titolo in base al quale i soci sono chiamati a rispondere nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti?
La Cassazione, a Sezioni Unite, con il trittico di sentenze del 2013 (nn. 6070, 6071 e 6072) aderendo alla tesi del fenomeno successorio, statuisce appunto che a seguito della cancellazione "…si determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali…".
Viene, però, da chiedersi se, in questo caso, possa davvero parlarsi di un fenomeno successorio.
Se i soci fossero "eredi" o comunque successori della società si verificherebbero, infatti, una serie di conseguenze:
1) il debito della società diventerebbe un debito proprio del socio;
2) si dovrebbero applicare gli artt. 752 e 754 c.c. che fissano un principio di suddivisione dei debiti in proporzione alla quota ereditaria;
3) si tratterebbe di un sorta di successione beneficiata ex lege.
In effetti la norma più che preoccuparsi di stabilire il titolo in base al quale è chiamato a rispondere il socio, si limita a fissare una responsabilità dello stesso nei confronti dei creditori insoddisfatti nei limiti di quanto ricevuto.
Questo consentirebbe di escludere, secondo anche l'opinione prevalente, l'applicabilità dei suddetti articoli 752 e 754 c.c. per cui i soci risponderanno in via solidale, anziché pro quota, al fine di garantire la migliore tutela dei creditori sociali i quali, pertanto, non saranno costretti ad agire nei confronti di ciascun socio e a sopportare il rischio di una possibile insolvenza di uno di essi.
La configurazione di detta responsabilità in chiave solidale piuttosto che proporzionale potrebbe trovare conferma anche nella disciplina in materia di scissione che agli artt. 2506-bis, 3° comma, e 2506-quater, 3° comma, c.c. stabilisce un principio di responsabilità solidale, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto attribuito, relativamente agli elementi del passivo la cui destinazione non è desumibile dal progetto nonché dei debiti rimasti insoddisfatti.
Si consideri, inoltre, che l'obbligazione degli ex soci ha un oggetto diverso rispetto a quella precedentemente gravante sulla società, essendo limitata nel quantum a ciò che gli stessi hanno ricevuto in sede di liquidazione.
E la prospettiva non muta in caso di responsabilità illimitata per i soci di s.n.c. ex art. 2312 c.c. o per gli accomandatari di s.a.s. ex art. 2324 c.c.. Anche in tali ipotesi la responsabilità illimitata non è collegata all'adempimento di un debito proprio, così come d'altra parte succede quando la società è operativa, ma al normale funzionamento del contratto sociale.
Con l'unica differenza che cancellata la società e venuto meno il patrimonio sociale cessa l'obbligo di preventiva escussione.
Né la possibilità riconosciuta al creditore nell'ultima parte del 2° comma dell'art. 2495 c.c., di notificare la domanda presso l'ultima sede della società entro un anno dalla cancellazione può considerarsi una conferma dell'applicazione della regola di cui all'art. 303, 2° comma, c.p.c. dettata in tema di riassunzione del processo a seguito della morte della parte, perché sembra pacifico che nell'ipotesi di cui all'art. 2495 c.c. la notifica non possa essere fatta collettivamente ed impersonalmente ai soci, per come invece possibile ai sensi appunto dell'art. 303 c.p.c. agli eredi della parte defunta.
E' indubbio che il legislatore ha inteso agevolare, relativamente alla notifica, i creditori insoddisfatti, consentendo loro di effettuarla presso l'ultima sede sociale ma, è pur vero che nella prassi tale possibilità si rivela un'apparente semplificazione, in quanto difficilmente la società cancellata avrà ancora una sede operativa.
Altra questione, semmai, è quella della natura della responsabilità. Argomento, questo, su cui la dottrina è apparsa alquanto divisa: alcuni, infatti, hanno identificato l'azione dei creditori nei confronti dei soci quale azione di arricchimento senza causa; altri, invece, l'hanno costruita come ripetizione di indebito ex art. 2280 c.c. per aver i soci ricevuto una prestazione non dovuta (e cioè una quota di liquidazione in presenza di passività ancora da liquidare).
Una riprova, poi, del fatto che il legislatore si sia preoccupato esclusivamente di fissare una responsabilità dei soci senza che da ciò possa dedursi di essere in presenza di un fenomeno successorio, troverebbe conferma nella previsione di una responsabilità anche a carico dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da colpa di questi.
E che i liquidatori non possano considerarsi successori è indiscutibile.
La responsabilità di questi ultimi è da qualificare, secondo l'opinione preferibile, come responsabilità aquiliana che scatta a seguito di violazione dei doveri agli stessi imposti ex art. 2491 c.c..
Tale norma va coordinata con l'art. 2394 c.c. che regola la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali.
Durante la liquidazione, dunque, i liquidatori rispondono del loro operato verso la società, verso i terzi e verso i creditori sociali negli stessi termini in cui rispondono gli amministratori, ma entro i confini sostanziali di cui all'art. 2491 c.c.
Collegare quest'ultima norma all'art. 2394 c.c. consente, infine, di ritenere anche applicabile ai soci la particolare responsabilità prevista dall'art. 2476, 7° comma, c.c. nel caso in cui gli stessi abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi, estendendo tale responsabilità, prevista espressamente per gli atti gestori, agli atti posti in essere in fase di liquidazione, laddove ne ricorrano i presupposti.
5. Sorte delle sopravvenienze attive e varie tesi: a) Eredità giacente b) Cancellazione della cancellazione c) Applicazione analogica dei principi in materia di scissione d) Trasformazione eterogenea e) Acquisto traslativo-derivativo inter vivos f) Tesi della successione mortis causa g) Tesi della successione universale inter vivos e riflessi applicativi
Più complessa risulta essere, invece, la ricostruzione relativamente alle sopravvenienze attive.
Specie in presenza di beni immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri.
E' necessario sottolineare che qualunque soluzione si decida di accogliere nessuna sarà in grado di dissipare tutti i dubbi che l'argomento pone. Forse il legislatore avrebbe dovuto contemplare la possibilità, già presente in altri ordinamenti, di un'istanza volta a consentire la riapertura della liquidazione al fine di regolare le sopravvenienze.
Mancando, però, un'espressa indicazione in tal senso risulta molto difficile individuare una ricostruzione totalmente scevra da qualsiasi "ombra".
Anche in ordine alle sopravvenienze attive la Suprema Corte, nelle già richiamate sentenze del 2013, ritiene si determini un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale " …b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa i diritti e i beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione della società estinta ma non anche le mere pretese ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato".
Sull'ultima parte relativa alla rinuncia alle pretese non azionate non è il caso di soffermarsi se non per segnalare che la conclusione cui è giunta la Cassazione potrebbe risultare pregiudizievole per i creditori sociali, ai quali forse avrebbe potuto ritenersi consentita, a tutela dei propri diritti, un'azione surrogatoria.
Sulle sopravvenienze attive, invece, i giudici di legittimità ribadiscono che il titolo in base al quale si determina la situazione di contitolarità o comunione indivisa tra gli ex soci sia da qualificare in termini successori.
A parte la conclusione della Corte sull'argomento, in dottrina sono state e continuano ad essere proposte diverse soluzioni ricostruttive.
a) Eredità giacente
La prima di queste, forse più preoccupata a tutelare tanto i creditori sociali insoddisfatti quanto i soci, configura la vicenda in termini di patrimonio autonomo senza soggetto.
La cancellazione determina l'estinzione della società come soggetto di diritto per dare, però, ingresso ad un diverso congegno tecnico che conserva l'insieme delle attività non liquidate come patrimonio autonomo in cui dovranno continuare a trovare capienza le passività non integralmente soddisfatte nonché le eventuali passività sopravvenute.
Una situazione simile a quella dell'eredità giacente, che consentirebbe la nomina da parte del Tribunale di un curatore speciale con funzioni liquidatorie.
La tesi, tuttavia, non sembra potersi accogliere sia per la mancanza di un qualsiasi indice normativo sia perché, come già rilevato, la disposizione di cui all'art. 2495, 2° comma, c.c. e quella di cui all'art. 2490, 6° comma, c.c. in tema di cancellazione d'ufficio, confermano l'irrilevanza del completamento delle operazioni di liquidazione ai fini dell'estinzione della società. Introdurre un meccanismo analogo a quello dell'eredità giacente significherebbe consentire una forma di supplemento di liquidazione non espressamente prevista.
Inoltre la tesi non spiega come si verificherebbe il passaggio finale dalla società ai soci limitatamente ai beni residuati dopo il soddisfacimento dei creditori sociali.
b) Cancellazione della cancellazione
Un'altra tesi, autorevolmente sostenuta in dottrina e avvalorata da diverse pronunce giurisprudenziali anche recenti, sebbene dettate dall'esigenza di dare risposta a casi specifici e molto particolari, ritiene che laddove vi siano sopravvenienze attive sarebbe possibile applicare l'art. 2191 c.c. e procedere alla cancellazione dell'iscrizione della cancellazione con conseguente "reviviscenza" della società.
La tesi muove dalla convinzione che la cancellazione determini l'estinzione della società a meno che vi siano sopravvenienze attive. In tal caso, infatti, l'estinzione non sarebbe irreversibile e la società cancellata potrebbe essere riportata in vita se indebitamente cancellata. Vale a dire che la cancellazione effettuata in presenza di attivo non liquidato (anche se sopravvenuto alla cancellazione) sarebbe da ritenersi illegittima per mancanza delle condizioni previste dalla legge legittimando il ricorso all'art. 2191 c.c. con effetto retroattivo per la società, che tornerebbe a "vivere" come se non fosse stata mai cancellata.
La teoria seppur suggestiva ed idonea a risolvere il problema del come giustificare il subingresso dei soci alla società nei beni sopravvenuti, non pare possa essere accolta sulla base delle seguenti considerazioni:
1) Innanzitutto si creerebbe una diversa disciplina tra le sopravvenienze passive e quelle attive: solo per le prime, infatti, resterebbe ferma l'estinzione della società anche in presenza di debiti non considerati nel bilancio finale di liquidazione.
2) Inoltre si dovrebbe ritenere che tra le condizioni richieste dalla legge per procedere alla cancellazione della società dal Registro Imprese vi sia anche l'esaurimento del procedimento di liquidazione in relazione all'attivo sociale.
Ma ciò contrasta con la disciplina della cancellazione d'ufficio che prescinde da qualsiasi attività liquidatoria.
3) Ancora la ricostruzione in esame contrasterebbe con la normativa fallimentare che al già citato art. 10 fissa il principio per cui la cancellazione della società rappresenta il dies a quo per il conteggio dell'anno entro cui poter procedere alla declaratoria di fallimento.
E' evidente che sostenere che in presenza di attivo non liquidato si possa operare una "resurrezione" o "reviviscenza" della società porterebbe a tradire le esigenze di certezza sposate dal Legislatore della Riforma.
Occorre prendere atto, infatti, delle scelte del legislatore, che tra istanze contrapposte ha discrezionalmente ritenuto di privilegiare quella della certezza dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa ove si ammettesse la permanenza in vita della società a tempo indefinito, nonostante la cancellazione dal Registro delle Imprese.
c) Applicazione analogica dei principi in materia di scissione
Una recente ricostruzione, ancora, ritiene applicabile all'ipotesi di sopravvenienze attive quanto sancito in tema di scissione totale dall'art. 2506-bis, 2° comma, c.c. secondo cui "se la destinazione di un elemento dell'attivo non è desumibile dal progetto, esso, nell'ipotesi di assegnazione dell'intero patrimonio della società scissa, è ripartito tra le società beneficiarie in proporzione della quota del patrimonio netto assegnato a ciascuna di esse, così come valutato ai fini della determinazione del rapporto di cambio…"
Tale disciplina, si osserva, consentirebbe di enucleare un principio generale del nostro ordinamento giuridico che giustifica l'assegnazione pro quota ai soci delle sopravvenienze attive omesse in sede di liquidazione del patrimonio sociale. Si tratterebbe di un'applicazione analogica della disciplina: una analogia iuris e non legis in quanto esisterebbe un principio generale che sottende un fenomeno successorio ex lege tipico degli enti dotati di personalità o di soggettività giuridica.
Ma la scissione totale, pur evidenziando un profilo "estintivo" rispetto alla società preesistente (è, infatti, alla scissione totale che si riferisce l'art. 2506, 3° comma, c.c. quando stabilisce che "la società scissa può, con la scissione, attuare il proprio scioglimento senza liquidazione") comunque va considerata, al pari di trasformazione e fusione, come una mera modificazione dell'atto costitutivo.
d) Trasformazione eterogenea
Secondo un'altra opinione la comunione che si instaura tra gli ex soci sui beni residuati sarebbe la conseguenza di un fenomeno di riorganizzazione dell'ente, che perde la sua sovrastruttura e si trasforma in una comunione ordinaria. Si potrebbe in altri termini applicare analogicamente la disciplina della trasformazione eterogenea da società a comunione d'azienda.
Anche tale ricostruzione non convince in quanto la disciplina della trasformazione eterogenea, anche a non volerla considerare come tassativa, costituisce un'alternativa alla liquidazione ed è retta dal principio di continuità sancito espressamente dall'art. 2498 c.c., che trova giustificazione, nel caso di trasformazione in comunione d'azienda, nell'interesse del legislatore di tutelare l'azienda come complesso di beni tendenzialmente destinato all'esercizio di un'attività d'impresa. Nell'ipotesi di cancellazione della società, i beni residui potrebbero non essere più destinati ad attività imprenditoriale o, comunque, potrebbero non avere le caratteristiche per essere qualificati come azienda.
E' innegabile, invece, che la fattispecie determini una vicenda acquisitiva "nuova" in capo agli ex soci, che non può considerarsi "neutrale" rispetto al precedente assetto proprietario.
e) Acquisto traslativo-derivativo inter vivos
Si tratta allora di valutare la qualificazione giuridica dell'acquisto della titolarità del bene in capo agli ex soci.
E' da escludere la ricostruzione in termini di acquisto a titolo originario considerata la tipicità sancita dall'art. 922 c.c..
Pertanto l'acquisto non potrà che essere a titolo derivativo.
Si potrebbe ritenere che la mancata ricomprensione del bene nel bilancio di liquidazione non sia ostativa all'effetto traslativo: la liquidazione consisterebbe nella generica "assegnazione" ai soci dell'attivo residuo ancorché non espressamente enunciato.
La cancellazione della società con il conseguente venir meno degli organi sociali e dell'intera sovrastruttura societaria individua nei soci gli unici soggetti legittimati a disporre del bene o assegnando lo stesso ad alcuni di loro o mantenendo sul bene una situazione di comunione.
Se, come si afferma, è l'approvazione del bilancio di liquidazione a costituire il titolo presupposto per l'assegnazione dell'intero compendio, in astratto idonea a ricomprendervi anche i beni omessi, non sembrano esservi ostacoli a che gli stessi soci, di comune accordo, integrino il titolo con un atto di carattere sostanzialmente ricognitivo dell'omessa indicazione dei cespiti; e, quindi, contestualmente o successivamente, procedano all'assegnazione, completando, quanto all'oggetto, la divisione dei beni residui che potrà consistere nell'assegnazione ad uno di essi ovvero a tutti i soci in comunione ordinaria.
Quest'atto integrativo/ricognitivo andrà poi trascritto ex art. 2643, 1° comma, n. 1, c.c. e dovrà rispettare tutte le prescrizioni in materia urbanistica, di conformità catastale nonché di natura fiscale.
Ma se per un verso va attribuito a tale ricostruzione il merito di ricondurre ad un'unica qualificazione giuridica le ipotesi di beni compresi e non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione per altro verso, poi, le va riconosciuto il grande limite di non riuscire a spiegare quale possa essere il titolo del trasferimento nel caso in cui il predetto bilancio manchi. Ed il riferimento è, chiaramente, alle ipotesi di cancellazione d'ufficio che prescindono completamente dall'approvazione del bilancio finale di liquidazione.
A meno di non voler individuare il titolo idoneo alla trascrizione ex art. 2645 c.c. proprio nel provvedimento di cancellazione emesso dai funzionari amministrativi dell'ufficio del registro delle imprese.
Ma il principio della tipicità degli atti trascrivibili impedisce tale soluzione non potendosi applicare analogicamente l'art. 88, 2° comma, della L.F. che ammette, ad esempio, la trascrizione per estratto delle sentenze dichiarative di fallimento.
Inoltre, l'atto integrativo/ricognitivo posto in essere dai soci per consentire un'assegnazione agli stessi anche in comproprietà avverrebbe in un momento temporale in cui l'originario proprietario del bene, cioè la società, non esiste più, per cui si avrebbe una trascrizione ex art. 2643 c.c. da effettuare contro un soggetto non più esistente.
Con l'ulteriore precisazione che ai fini della continuità della trascrizione gli effetti sarebbero quelli di cui all'art. 2650 c.c. non già quelli ex art. 2644 c.c., posto che non vi sarebbe alcun conflitto tra più aventi causa dallo stesso dante causa da regolare.
f) Tesi della successione mortis causa
Resta, infine, da esaminare l'ipotesi ricostruttiva della vicenda in termini successori.
Si potrebbe, quindi, pensare ad una sorta di successione mortis causa dei soci alla società estinta, con conseguente applicazione del relativo regime di pubblicità.
L'eventuale atto di trasferimento del bene "sopravvenuto" posto in essere dagli ex soci a favore di un terzo andrebbe, poi, "saldato" ai fini della continuità applicando in via analogica l'art. 2648 c.c..
Ma in effetti oltre alla difficoltà di equiparare la cancellazione della società alla morte di una persona fisica, tale ricostruzione si scontrerebbe con il principio della tassatività della trascrizione che non ammette l'estensione per analogia a fattispecie non contemplate.
Per di più, il bene residuo non sarebbe del tutto qualificabile come bene ereditario né potrebbe propriamente parlarsi di accettazione espressa o tacita dell'eredità o, addirittura, di acquisto automatico del legato, magari assimilando la fattispecie alla successione particolare mortis causa, dato che nel caso di specie mancherebbe quel diritto di rinuncia che la legge attribuisce al legatario (art. 649, 1° comma, c.c.).
g) Tesi della successione universale inter vivos
Allora non resta, seppur con qualche dubbio, che qualificare la fattispecie in termini di successione universale inter vivos.
La dottrina si è posta il problema dell'ammissibilità di una successione universale inter vivos con riferimento alle ipotesi di morte presunta, di estinzione delle persone giuridiche e di fusione e scissione di società salvo concludere comunque in senso negativo trattandosi o di istituti, come la morte presunta, che integrano una successione universale ma pur sempre a causa di morte poiché gli effetti e la funzione sono identici a quelli della morte naturale. O di fenomeni, quali quelli dell'estinzione delle persone giuridiche, rispetto ai quali non è proprio configurabile una successione di tipo universale, per come sembra desumersi dagli artt. 30 e 31 c.c., secondo cui non si devolvono tutti i beni, ma solo quelli residuati dopo la liquidazione e con le particolari modalità testualmente previste dall'art. 31 c.c.. O, ancora, di fattispecie quali la fusione e la scissione di società che – soprattutto a seguito della Riforma del 2003 – si risolvono, per come già evidenziato, in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, ma comunque senza la produzione di alcun effetto successorio ed estintivo.
Allo stato attuale, quindi, quello in esame finirebbe con l'essere l'unico caso di successione universale inter vivos.
Il venir meno del soggetto cui era imputato il bene implicherebbe l'eliminazione della sovrastruttura (società) che impedisce altrimenti di qualificare l'assetto proprietario su quel bene in termini di comunione o contitolarità ordinaria da parte dei soci e l'effetto della instaurazione della comunione sarebbe automatico e conseguente a tale estinzione.
Il fenomeno, dunque, potrebbe essere ricostruito in chiave successoria, ma con un'assoluta peculiarità: chi succede, il socio, succede in quanto socio.
Si è contitolari in quanto si è stati soci e l'individuazione dei contitolari "ora" richiederà l'accertamento di quelli che risultavano essere soci "prima", utilizzando come momento temporale di riferimento quello della cancellazione della società.
L'automatismo nell'instaurarsi del regime di contitolarità e l'esistenza di un sistema di pubblicità delle vicende relative alle partecipazioni sociali sembrerebbe, infatti, consentire il superamento del problema della continuità della trascrizione: risolvendosi in un effetto, per così dire, legale, susseguente all'estinzione della società, esso non sarebbe oggetto di trascrizione, essendo possibile riferirsi, per ciò che attiene alla titolarità, alle risultanze storiche del Registro delle Imprese.
Inoltre non dovrebbe nemmeno porsi un problema di allineamento catastale in quanto l'attuale previsione di cui all'art. 1, comma 276, L. n. 244/2007 (attuato con provvedimento del Direttore Agenzia del Territorio del giorno 8 agosto 2012) impone l'obbligo della voltura catastale per tutti gli atti soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese che comportino qualsiasi mutamento nell'intestazione catastale dei beni immobili di cui siano titolari persone giuridiche, anche se non direttamente conseguenti a modifica, costituzione o trasferimento di diritti reali. Nel caso in esame la contitolarità, che si viene a creare come effetto automatico dell'estinzione, prescinde dalla presenza di un atto per cui ogni eventuale successivo atto di trasferimento o di disposizione non necessita di un preventivo allineamento catastale non impedendo, così, la ricevibilità dell'atto stesso.
Pertanto, un possibile atto dispositivo del bene residuato da parte degli ex soci potrebbe essere strutturato in due distinte parti. Una prima parte storico-ricognitiva in cui viene dato conto dei fatti che hanno portato alla cancellazione della società con il conseguente subentro dei soci nella contitolarità del bene ed una seconda parte prettamente dispositiva.
Si potrebbe, poi, tentare di trascrivere l'atto in questione relativamente alla sua premessa utilizzando il residuale codice 100, di cui alle istruzioni ministeriali per la compilazione delle relative note, per altri tipi di atti tra vivi, pur nella consapevolezza della discrezionalità delle Conservatorie di scegliere se trascrivere o meno un atto così congegnato. Nel caso di mancata trascrizione, che avrebbe solo meri effetti di continuità soggettiva, nulla osterebbe, per come sopra precisato, al ricevimento e alla successiva trascrizione e voltura catastale dell'atto dispositivo.
Nondimeno è doveroso segnalare che la soluzione prospettata presenta comunque degli inconvenienti da un punto di vista applicativo. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla difficoltà di individuare il soggetto o i soggetti legittimati ad intervenire in un possibile atto di cancellazione di un'ipoteca iscritta a garanzia di un credito sociale soddisfatto o in un atto di rettifica. Vista l'impossibilità di ipotizzare in capo ai soci una comunione della titolarità del dovere di prestare il consenso qualcuno ha ritenuto che in questo caso tale dovere dovrebbe essere attribuito all'ultimo liquidatore, dato che la società non potrebbe essere facilmente identificata in atto, in quanto cancellata dal Registro delle Imprese.
Ma tale soluzione contrasta con la ricostruzione della cancellazione come fenomeno estintivo della società che comporta anche il venir meno della struttura societaria e dei suoi organi. Pertanto si potrebbe ipotizzare che l'unica strada perseguibile sia quella del ricorso all'Autorità Giudiziaria.
6. Conclusioni
La ricostruzione in termini successori sollecita una riflessione anche sotto il profilo fiscale.
Innanzitutto, occorre rilevare che lo spostamento patrimoniale a favore degli ex soci non risulta riconducibile ad un trasferimento "a causa di morte" e che detto trasferimento si realizza in assenza di uno specifico atto societario costituendo infatti un effetto legale dell'estinzione della società.
Il ché, per un verso, comporta l'impossibilità di applicare l'imposta sulle successioni e, per altro verso, la necessità di valutare l'assoggettabilità dell'operazione ad una determinata tassazione distinguendo a seconda dell'imposta.
E, così, si può ritenere che il trasferimento dei beni dalla società estinta agli ex soci, quale effetto della successione, generi della materia imponibile sia ai fini dell'imposta sui redditi che dell'Iva, suscettibile di rientrare nella fattispecie generica di destinazione a finalità estranee di cui agli artt. 85, 2° comma ed 86, 1° comma, lett. c) del T.U.I.R. e dell'art. 2, 1° comma, n. 5 del D.P.R. n. 633/72. Tale fattispecie impositiva si osserva, infatti, avendo una funzione di "chiusura" del regime fiscale d'impresa riesce a comprendere anche ipotesi che prescindono da uno specifico atto volontario di destinazione.
Resta inteso che i riflessi impositivi derivanti da tale vicenda si estenderebbero ai soci nei limiti di quanto ricevuto ex art. 2495, 2° comma, c.c..
Sul piano operativo, l'ipotesi di destinazione a finalità estranee, comporta che la base imponibile sarà determinabile utilizzando il criterio del valore normale dei beni oggetto del trasferimento, ai fini delle imposte sui redditi (artt. 85, 2° comma e 86, 3° comma, del T.U.I.R.) e quello del "prezzo di acquisto" o "di costo" dei beni o di beni simili a norma dell'art. 13, 2° comma, lett. c) del D.P.R. n. 633/72, ai fini dell'I.V.A.
Per quanto riguarda, poi, le altre imposte indirette (registro, ipotecaria e catastale) si ritiene che difetti proprio il presupposto per l'applicazione ovvero l'esistenza di un atto a cui imputare gli effetti giuridici del passaggio di ricchezza da un soggetto (società estinta) ad un altro (ex socio).
Se si considerano, invece, gli eventuali atti ricognitivi o dichiarativi posti in essere successivamente dagli ex soci occorre distinguere. L'atto ricognitivo, infatti, sembra dover scontare le sole imposte fisse, considerata l'assenza di effetti modificativi della realtà giuridica. Al contrario, l'eventuale atto dichiarativo, quello cioè che non incide sul contenuto dei diritti coinvolti ma produce un effetto di specificazione della situazione giuridica perché ad esempio allo stato di comunione subentra quello di proprietà esclusiva su singoli beni, determinerà un'imposizione proporzionale connessa alla natura dichiarativa (nella specie, si tratterà di una divisione regolata dall'art. 3 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86).
Ciò detto, al di là della responsabilità in ipotesi addebitabile ai liquidatori per il comportamento doloso o colposo che ha portato alla mancata liquidazione del bene, è da chiedersi se comunque la fattispecie in esame non presenti dei profili di elusività.
In alcuni casi infatti il trasferimento dei beni agli ex soci, quale effetto legale dell'estinzione della società, realizza un carico impositivo meno gravoso rispetto a quello che si sarebbe determinato qualora i beni omessi fossero stati oggetto di assegnazione.
E nulla vieta, quindi, che l'Amministrazione finanziaria sulla base del principio antielusivo generale del divieto di abuso del diritto e soprattutto in presenza di successivi atti ricognitivi, possa contestare l'inopponibilità fiscale dell'operazione.
Il ché suggerisce a Noi operatori di agire con particolare cautela.
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