Cointestazione di conti correnti bancari e comunione legale dei beni: le ricadute nel trattamento successorio
Cointestazione di conti correnti bancari e comunione legale dei beni: le ricadute nel trattamento successorio
di Pietro Sirena
Ordinario di Diritto Privato, Università Bocconi
Morte di uno dei cointestatari del conto corrente bancario e apertura della successione ereditaria
Il tema della successione ereditaria nei conti correnti bancari può offrire un’occasione significativa per esaminare in concreto il problema dei limiti che, principalmente al fine di tutelare i componenti della famiglia dell’ereditando, caratterizzano l’autonomia privata in àmbito successorio. La manifestazione più appariscente di tale fenomeno giuridico è indubbiamente costituita dalla tutela dei legittimari (art. 536 e ss. c.c.), ma deve essere presa in considerazione anche l’interferenza del diritto successorio con i regimi patrimoniali della famiglia, segnatamente quello della comunione legale (art. 177 e ss. c.c.). In tale contesto, l’autonomia testamentaria si dimostra ormai insufficiente a soddisfare adeguatamente alcune istanze crescenti nella realtà sociale e anche giuridica, cosicché si rende indispensabile che il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) sia finalmente allentato o addirittura abrogato. Più in generale, si tratta di prendere atto della tendenza dei privati a sottrarre il passaggio intergenerazionale di ricchezza alle regole del diritto successorio, programmandolo invece mediante negozi giuridici tra vivi(1). In questo senso, oltre ovviamente alla disciplina del patto di famiglia (art. 768-bis e ss. c.c.), è significativa quella dell’atto di destinazione (art. 2645-ter c.c.), perché consente al suo autore di soddisfare al di fuori del diritto successorio interessi che possono inerire alla sistemazione del suo
patrimonio post mortem.
Com’è noto, la cointestazione di un conto corrente bancario (ma anche di un libretto di risparmio o di un deposito di titoli in amministrazione) può appunto costituire uno strumento semplice ed economico per programmare una modesta vicenda di passaggio intergenerazionale di ricchezza al di fuori del diritto successorio(2). Questo risultato pratico è ottenuto dal depositante cointestando a firma disgiunta il rapporto bancario(3), cosicché alla sua morte il saldo disponibile possa essere ritirato iure proprio dall’altro cointestatario: ai sensi dell’art. 1854 c.c., si viene infatti a configurare un’ipotesi di solidarietà attiva nel rapporto obbligatorio, di modo che ciascuno dei contitolari può esigere il pagamento dell’intero anche senza il consenso dell’altro contitolare (e perciò, a maggior ragione, senza il consenso dei suoi eredi, laddove egli sia nel frattempo deceduto). Dal punto di vista letterale, l’art. 1854 c.c. si riferisce ai soli conti correnti bancari, ma la disposizione si ritiene applicabile anche ai libretti di risparmio e al deposito di titoli in amministrazione(4), nonostante qualche dissenso dottrinale.
È indubbio che, in se stessa considerata, la cointestazione di tali rapporti bancari, per quanto fatta valere dopo la morte di uno dei cointestatari, non violi il divieto dei patti successori, perché, pretendendo il pagamento del saldo disponibile, il contitolare superstite esercita un proprio diritto contrattuale(5): in altri termini, egli non agisce allora come erede del contitolare premorto, ma come controparte contrattuale della banca.
La giurisprudenza si è più volte pronunciata al riguardo, affermando appunto che il contitolare superstite può separatamente pretendere l’intero saldo del conto corrente o del libretto di risparmio(6), secondo quanto ha ritenuto anche la dottrina(7). Resta peraltro fermo che, ai sensi dell’art. 1298 c.c., nei suoi confronti gli eredi del contitolare premorto potranno poi agire in via di regresso per la restituzione delle loro quote della parte che spettava al de cuius(8), parte che è presuntivamente pari alla metà del saldo, se non risulti diversamente(9).
Tali soluzioni della giurisprudenza di legittimità sono certamente condivisibili in sé, ma, per lo meno dal punto di vista pratico, esse ignorano l’incidenza del diritto tributario su quello civile.
L’art. 48, comma 4, del T.U. in materia di imposta sulle successioni e donazioni statuisce infatti che alla morte dell’intestatario di un conto corrente, un libretto di risparmio e un deposito titoli in amministrazione, la banca debba bloccare qualsiasi ulteriore operazione, anzitutto di pagamento, fino a quando non sia stata a essa esibita una dichiarazione di successione che sia comprensiva appunto di tali rapporti(10). Ove non si attenga a tale disposizione di legge, la banca deve pagare una sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta ovvero della maggior imposta dovuta(11). Ne consegue che, deceduto uno dei contitolari di tali rapporti, il pagamento della sua quota del saldo è oggettivamente inesigibile fino a quando non sia stata esibita alla banca la dichiarazione di successione di cui si è detto. Nel frattempo, la banca si trova pertanto nell’impossibilità giuridica di adempiere, la quale può essere certamente eccepita nei confronti degli eredi del cointestatario premorto, ma anche nei confronti del cointestatario superstite(12).
Ferma restando la legittimazione disgiuntiva di quest’ultimo, la quale discende appunto dalle regole della solidarietà attiva di cui all’art. 1854 c.c., si deve infatti rilevare che l’inesigibilità della quota del saldo che è caduta in successione ereditaria, ai sensi della suddetta disposizione tributaria, dà luogo a una eccezione della banca che non è personale rispetto agli eredi del contitolare premorto, ai sensi dell’art. 1297 c.c., ma che colpisce nella sua oggettività la prestazione debitoria pro quota, tanto da poter essere equiparata a una sua impossibilità giuridica sopravvenuta. Si tratta infatti di un vincolo di indisponibilità pro quota di tale prestazione, il quale è automaticamente imposto da una norma imperativa.
La distinzione tra le eccezioni che, ai sensi dell’art. 1297 c.c., sono personali e quelle che non lo sono costituisce indubbiamente uno dei capitoli più intricati della teoria delle obbligazioni solidali. Ma anche al di là degli approfondimenti dogmatici e sistematici che pure sarebbero necessari, si può quanto meno rilevare che, laddove si ritenesse che l’eccezione di cui si tratta sia (personale ai sensi dell’art. 1297 c.c., e pertanto) opponibile soltanto agli eredi del cointestatario premorto e non al cointestatario superstite, si consentirebbe a quest’ultimo di eludere agevolmente l’applicazione della norma tributaria, tenuto conto che egli è generalmente uno degli eredi legittimi del cointestatario premorto, per quanto non si “presenti” alla banca in tale sua qualità giuridica, ma in quella appunto di controparte contrattuale.
In realtà, si deve ritenere che, per quanto riguarda la quota del cointestatario premorto, la banca possa pagare a quello superstite il saldo del conto corrente di cui si tratta soltanto se, ai sensi dell’art. 48, comma 4, del testo unico in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni, sia stata a essa presentata la dichiarazione di successione. Il che poi implica anche che la banca possa liquidare la parte che spettava al cointestatario premorto soltanto con il consenso di tutti i coeredi e secondo le loro rispettive quote, seguendo le regole della divisione ereditaria che sul piano processuale impongono il litisconsorzio necessario(13).
Morte del coniuge intestatario del conto corrente bancario e comunione legale di residuo
Nel caso in cui invece un conto corrente bancario o un libretto di risparmio sia intestato esclusivamente a uno dei coniugi, si possono porre problemi di difficile soluzione per quanto riguarda l’interferenza del diritto successorio con il regime della comunione legale dei beni. A tale proposito, è indispensabile distinguere nettamente due ipotesi(14).
Laddove deceda il coniuge che è titolare di tali rapporti bancari, è ormai certo che essi cadano in comunione di residuo, qualora si tratti di proventi non consumati dell’attività separata di tale coniuge: si rientra allora nell’ipotesi che è disciplinata dall’art. 177, comma 1, lett. b, c.c.
La morte del coniuge intestatario determina infatti lo scioglimento del matrimonio (art. 149, comma 1, c.c.) e, a sua volta, lo scioglimento del matrimonio fa sciogliere la comunione legale dei beni (art. 191, comma 1, c.c.): il saldo del conto corrente di cui si tratta spetta allora per la metà al coniuge superstite iure proprio, laddove l’altra metà cade nella successione ereditaria di quello premorto, alla quale anche il primo potrà ovviamente essere chiamato. La giurisprudenza formatasi a tale proposito, tra l’altro, non riguarda propriamente l’àmbito del diritto civile, ma, ancora una volta, quello del diritto tributario, in quanto essa è servita ad affermare il principio secondo cui l’imposta sulla successione è dovuta soltanto sulla metà del saldo, non già sull’intero, dato che l’altra metà spetta iure proprio al coniuge superstite a titolo di comunione di residuo(15).
Si vengono così a formare due complessi patrimoniali almeno parzialmente distinti, i quali dovranno essere assoggettati ad altrettanti procedimenti divisionali, per lo meno qualora il coniuge superstite non sia anche l’unico erede di quello premorto. Rispetto all’intero patrimonio del coniuge premorto, si deve infatti distinguere quella massa che con la morte di tale coniuge è caduta in comunione legale dei beni, la quale peraltro si è nel frattempo sciolta ed è quindi divenuta una comunione ordinaria o ereditaria a seconda dei punti di vista(16).
Morte dell’altro coniuge e comunione legale di residuo
Più problematica, si presenta l’altra ipotesi cui è stato sopra accennato, ossia quella in cui si verifichi la morte (non del coniuge che è titolare del conto corrente bancario, ma) dell’altro coniuge.
A prima vista, potrebbero non rinvenirsi ragioni particolari per distinguere tale ipotesi da quella della morte del titolare, considerato che anche in questo caso si scioglie ovviamente il matrimonio e deve quindi sciogliersi anche la comunione legale dei beni, cosicché dovrebbe essere applicabile al conto corrente di quello superstite quanto disposto dall’art. 177, comma 1, lett. b, c.c.
Si giungerebbe così alla conclusione secondo cui, alla morte di uno dei coniugi in comunione legale, quello superstite dovrebbe versare la metà del saldo dei suoi conti correnti bancari agli eredi del coniuge premorto(17). Pur essendo stata seguita dalla giurisprudenza di merito(18), tale soluzione è tuttavia difficilmente giustificabile dal punto di vista teorico e comunque irragionevole da quello pratico.
Si deve viceversa ritenere che, laddove i beni cadano in comunione di residuo perché è deceduto uno dei coniugi, tale comunione, trattandosi pur sempre di un regime patrimoniale della famiglia, possa operare esclusivamente a vantaggio del coniuge superstite, e non già di quello premorto (ossia, in realtà, dei suoi eredi)(19).
L’equiparazione delle due ipotesi si porrebbe infatti palesemente in contrasto con la ragione che giustifica l’istituto della comunione legale.
Tale ragione è costituita dalla solidarietà tra i coniugi, la quale può essere intesa come una specificazione della loro eguaglianza morale e giuridica (art. 29, comma 2, Cost). In particolare, la disciplina della comunione legale dei beni è finalizzata a far sì che ciascuno dei coniugi tragga beneficio dagli acquisti e dagli incrementi patrimoniali che l’altro ha conseguito durante il matrimonio, sul presupposto che vi abbia almeno indirettamente contribuito mediante il proprio lavoro all’esterno o all’interno della famiglia.
Movendo da tali assunti, è agevole intendere che la comunione legale operi a favore del coniuge superstite, consentendogli di beneficiare di quanto sia medio tempore affluito nel patrimonio di quello deceduto. Non è altrettanto agevole intendere perché, alla morte dell’altro coniuge, quello superstite dovrebbe dividere tali suoi beni con gli eredi del coniuge premorto, considerato che nei loro confronti non si può per definizione porre quell’esigenza di solidarietà coniugale che, secondo quanto si è già detto, costituisce la ragione giustificativa della comunione legale dei beni.
Anche dal punto di vista più strettamente effettuale, si deve rilevare che la comunione legale dei beni costituisce un meccanismo di riequilibrio patrimoniale tra i coniugi, il quale non può non operare che a vantaggio di uno di essi. Qualora operasse anche nell’ipotesi di cui si tratta, tale meccanismo non andrebbe a vantaggio di uno dei coniugi, bensì immediatamente ed esclusivamente degli eredi di quello premorto, senza che quest’ultimo sia mai stato titolare o contitolare di quelle posizioni giuridiche soggettive nelle quali si dovrebbe verificare la successione a causa della sua morte.
La dottrina che ha invece sostenuto tale tesi è stata costretta ad ammettere che, prima della propria morte, ciascun coniuge sia titolare di un’aspettativa sui conti correnti dell’altro e che, morendo, tale sua aspettativa si trasformi in un vero e proprio diritto di credito, il quale sarebbe direttamente acquistato dai suoi eredi(20). Anche senza voler indugiare sulla intrinseca fragilità di tale soluzione, si pensi all’ipotesi, peraltro ricorrente, in cui tra gli eredi vi sia proprio il coniuge superstite, ossia il titolare del conto corrente. Si dovrebbe allora ritenere che, alla morte dell’altro coniuge, la metà del saldo sia perduta dal suo titolare per effetto della comunione di residuo, andando così in capo non all’altro coniuge (che è morto), ma ai suoi eredi, e proprio per questo che il coniuge superstite contestualmente riacquisti il proprio denaro, ma secondo la quota che gli spetta dell’eredità.
E contrario, si può rilevare che un diritto degli eredi dei coniugi al «prelevamento dei beni mobili» è espressamente riconosciuto dal legislatore solo riguardo a «beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione» (art. 195 c.c.): si tratta pertanto di beni che, ai sensi dell’art. 179, comma 1, lett. a - b, c.c., «non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali dei coniugi».
La medesima regola non è viceversa preveduta dal legislatore e non sembra comunque applicabile ai beni (e ai crediti) che costituiscono oggetto della comunione, ancorché di residuo.
Si deve dunque ritenere che, per le ragioni che sono state sopra esposte, la comunione di residuo operi soltanto alla morte del titolare dei beni che vi rientrino, e non già alla morte dell’altro coniuge(21).
(1) Sul tema, v. D. ACHILLE, Il divieto dei patti successori. Contributo allo studio dell’autonomia privata nella successione futura, Napoli, 2012, passim; V. BARBA, I patti successori e il divieto di disposizione della delazione. Tra storia e funzioni, Napoli, 2013, passim.
(2) Di recente, v. soprattutto M. MARTINO, «Contratto di conto corrente bancario, pluralizzazione successoria della parte contrattuale e attuazione del credito», in Contr. impr., 2014, p. 740 e ss.
(3) È stato precisato dalla giurisprudenza che la facoltà di compiere operazioni anche separatamente non può essere presunta in base alla cointestazione del conto corrente, ma deve inequivocabilmente risultare dal contratto (Cass. civ., sez. I, 1° ottobre 2012; Cass. civ., sez. I, 5 luglio 2000, n. 8961).
(4) Cass. civ., sez. I, 1° ottobre 2012, n. 16671, in Foro it., 2013, 2, I, c. 566 e ss.; in Giust. civ., 2013, I, p. 668 e ss.
(5) Affinché non sia violato il divieto dei patti successori istitutivi, è necessario che il diritto alla restituzione possa essere esercitato (congiuntamente o disgiuntamente) dal depositante e dal terzo beneficiato. Qualora invece il depositante conservi l’esclusivo diritto alla restituzione, mentre il terzo potrà esercitarlo solo alla morte del depositante stesso, si tratta di un patto successorio istitutivo, il quale è vietato dall’art. 458 c.c. e pertanto nullo (da ultimo, v. Cass., 17 agosto 1990, n. 8335, in Giust. civ., 1991, I, p. 953 e ss., con nota di M. COSTANZA, «Negozio mortis causa o post mortem?» e p. 1791 e ss., con nota di N. DI MAURO, «Patti successori, donazioni mortis causa e contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante»). La tesi favorevole alla validità di tale negozio è stata abbandonata nell’ultima edizione di C.M. BIANCA, Diritto civile, 2.2, Le successioni, Milano, 2015, p. 41 e ss., dopo essere stata sostenuta in quelle precedenti. Per un esame approfondito della questione, v. D. ACHILLE, op. cit., p. 124 ss.
(6) Cass. civ., sez. I, 3 giugno 2014, n. 12385; Cass. civ., sez. I, 29 ottobre 2012, n. 15231; Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2004, n. 13663.
(7) Per i riferimenti bibliografici, v. M. MARTINO, op. cit., p. 763 e ss.
(8) Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2013, n. 26991; Cass. civ., sez. I, 26 novembre 2013, n. 26424; Cass. civ., sez. I, 5 febbraio 2010, n. 2686, in Banca borsa tit cred., 2011, II, p. 461 e ss., con nota di M.R. DE RITIS, «La cointestazione del conto corrente nell’interesse di uno solo dei contitolari»; Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28839; Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2009, n. 4066; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1994, n. 8718, in Banca borsa tit cred., 1995, II, p. 554 e ss. L’azione di regresso non sussiste, laddove il depositante abbia disposto una donazione indiretta nei confronti dell’altro contitolare: a tale fine, è necessario provare specificamente l’esistenza dell’animus donandi, ossia che «il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità» (Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2012, n. 6784). Viceversa, tale animus donandi non può essere presunto in base al mero fatto della cointestazione del conto (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2014, n. 809).
(9) Cass., sez. lav., 23 settembre 2015, n. 18777.
(10) Più precisamente, l’art. 48 (Divieti e obblighi a carico di terzi), comma 4, del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) così statuisce: «Le aziende e gli istituti di credito, le società e gli enti che emettono azioni, obbligazioni, cartelle, certificati ed altri titoli di qualsiasi specie, anche provvisori, non possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture né ad alcuna operazione concernente i titoli trasferiti per causa di morte, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’art. 27, comma 4, della dichiarazione di successione o integrativa con l’indicazione dei suddetti titoli, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo di presentare la dichiarazione».
(11) Art. 53 (Altre violazioni), comma 2, D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
(12) Arbitro bancario finanziario, Collegio di coordinamento (Pres. Marziale, Rel. Bartolomucci), 18 ottobre 2013, n. 5305.
(13) Sul tema, v. ampiamente M. MARTINO, op. cit., p. 763 e ss.
(14) Sul punto, v. P. DE BIASE, «La comunione de residuo nascente da morte: forme “sommerse” di variazione del patrimonio ereditario», in Notariato, 2011, p. 209 e ss.
(15) Cass., sez. trib., 16 luglio 2008, n. 19567; Cass., sez. trib., 6 maggio 2009, n. 10386 e più di recente Cass., sez. trib., 23 febbraio 2011, n. 4393. In senso opposto, cfr. Cass., sez. trib., 23 febbraio 2003, n. 4959.
(16) A. BURDESE, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia. Discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, p. 349 e ss.
(17) In tal senso, v. P. DE BIASE, op. cit., p. 209 e ss.
(18) Trib. Verona, giudice unico, 4 febbraio 2011, n. 240.
(19) Arbitro bancario finanziario, Collegio di Roma (Pres. Massera, Rel. Sirena), 7 aprile 2016, n. 3143.
(20) A. BURDESE, op. cit., p. 352.
(21) Arbitro bancario finanziario, Collegio di Roma (Pres. Massera, Rel. Sirena), 7 aprile 2016, n. 3143.
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