I poteri del testatore nella composizione della legittima
I poteri del testatore nella composizione della legittima
di Federico Magliulo
Notaio in Roma
La complessità dell’istituto della legittima nel sistema successorio
L’istituto della legittima costituisce un limite all’autonomia negoziale del de cuius di notevole complessità(1).
Esso infatti implica una radicale rivisitazione degli atti di liberalità inter vivos e mortis causa posti in essere dal de cuius in prospettiva dell’attribuzione al legittimario di una quota minima del patrimonio del defunto.
L’eterogeneità degli atti di liberalità da sottoporre al vaglio, il loro dispiegarsi nel tempo, la varietà dei soggetti legati al de cuius da vincoli ritenuti meritevoli dell’attribuzione di diritti di legittima, rendono la successione necessaria senza dubbio l’istituto più complesso e sfuggente nell’ambito del diritto successorio.
Non desta pertanto meraviglia la circostanza che, nonostante l’istituto della legittima nel diritto positivo italiano costituisca il frutto di una elaborazione dottrinale plurisecolare, il processo interpretativo è ben lungi dall’essersi consolidato e dall’avere conseguito un assetto stabile ed idoneo a dirimere ogni dubbio.
Ne costituisce inequivocabile riprova la circostanza che, anche in tempi recenti, il dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulla materia in esame è rimasto straordinariamente acceso, a dispetto del trascorrere dei secoli.
Del resto che la successione necessaria costituisca una materia tormentata, è reso manifesto dagli innumerevoli interventi legislativi che nelle varie epoche storiche e nei vari ordinamenti positivi hanno tentato, spesso invano, di pervenire ad un assetto di interessi soddisfacente, al punto che è stato affermato che si tratta di «una materia insanabilmente mal riuscita»(2).
A mio avviso la ragione principale di tale circostanza gravita attorno al problema dell’individuazione del titolo giuridico che fornisce il sostrato causale alle attribuzioni patrimoniali ascrivibili alla legittima. In particolare il punto centrale della questione risiede nel problema di stabilire se l’attribuzione patrimoniale che il legittimario riceve in conto della legittima per volontà del de cuius o consegue a seguito dell’azione diretta a far valere i propri diritti contro tale volontà debba necessariamente essere qualificata dal punto di vista causale come quota di eredità.
L’evoluzione storico comparatistica della legittima
Orbene, in una prospettiva storica, la risposta a tale interrogativo non è sempre stata omogenea.
Il diritto romano classico, e probabilmente anche quello giustinaneo, invero, non giunsero mai a qualificare la legittima come quota di eredità, ma la considerarono esclusivamente come pars bonorum, vale a dire come frazione del patrimonio netto del de cuius da attribuire necessariamente al legittimario, che tuttavia poteva conseguirla con attribuzioni liberali della più svariata natura causale (donazioni in vita del de cuius, legati o istituzione di erede)(3).
La lesione della legittima dunque non comportava la diretta attribuzione della qualità di erede al legittimario, ma solo il diritto di proporre la querela inofficiosi testamenti, il cui esperimento vittorioso determinava l’invalidazione del testamento inofficioso.
In quest’ottica il legittimario conseguiva, è vero, una quota di eredità; ma ciò avveniva non già per effetto diretto dell’attribuzione della qualità di legittimario, bensì per la circostanza che la caducazione del testamento inofficioso dava luogo all’apertura della successione intestata.
Nel diritto giustinianeo, per limitare il ricorso alla querela inofficiosi testamenti ed impedire per quanto possibile la conseguente caducazione del testamento, si introdusse l’actio ad supplendam legittimam, in virtù della quale se il legittimario non fosse stato del tutto pretermesso, ma avesse ricevuto una qualunque attribuzione, anche se a titolo particolare, l’invalidazione del testamento veniva esclusa e sostituita dall’instaurarsi di un mero diritto di credito verso gli eredi istituiti al tantundem della quota di legittima, al netto di quanto conseguito dal legittimario.
Ma anche in tal caso l’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario, che fosse stato del tutto preterito o ingiustamente diseredato, e che dunque non poteva dare corso all’actio ad supplendam legittimam, ma solo alla querela inofficiosi testamenti, derivava pur sempre dall’apertura della successione per legge conseguente alla caducazione del testamento inofficioso.
Tale assetto normativo fu poi parzialmente rivisitato nell’ultimo diritto giustinianeo mediante l’attribuzione al legittimario, che fosse stato preterito o ingiustamente diseredato, del diritto ad ottenere la qualità di erede; era dunque fatto obbligo al testatore di istituire erede il legittimario, anche se in quota inferiore alla legittima, e salva l’azione suppletoria, laddove il supplemento non fosse stato accordato dallo stesso testatore con liberalità a titolo particolare.
Ma è evidente che anche in quest’ultima fase storica il diritto alla legittima ed il diritto alla qualità di erede rimanevano concettualmente distinti
L’evoluzione della nozione di successione necessaria che condusse all’elaborazione delle codificazioni dei principali paesi europei prese le mosse dal diritto giustinianeo, ma si sviluppò secondo due filoni normativi fra loro antitetici.
Ed invero la tradizione pandettistica tedesca, ripudiando le antiche consuetudini germaniche a seguito della recezione del diritto romano nei territori tedeschi, si sviluppò secondo il paradigma dell’actio ad supplendam legittimam e condusse alla concezione della legittima quale mero diritto di credito verso gli eredi al pagamento del tantundem necessario ad integrare la legittima.
Si tratta dell’istituto della Pflichtteil (§§ 2303 e ss. BGB), in forza del quale la legittima non attribuisce al legittimario una quota di eredità, bensì appunto un mero diritto di credito ad un valore, che pertanto ben può essere soddisfatto con beni non ereditari(4).
A tale riguardo il § 2303 del BGB prevede la riserva di una “quota obbligatoria” a favore del legittimario pretermesso, disponendo «Ist ein Abkömmling des Erblassers durch Verfügung von Todes wegen von der Erbfolge ausgeschlossen, so kann er von dem Erben den Pflichtteil verlangen. Der Pflichtteil besteht in der Hälfte des Wertes des gesetzlichen Erbteils».
Vale a dire «Se un discendente del testatore è escluso dalla successione da disposizioni a causa di morte, egli può richiedere la sua quota obbligatoria all’erede. La quota obbligatoria consiste nella metà del valore della quota di eredità per legge»(5).
Laddove il legittimario sia leso, ma non preterito il § 2305 del BGB prevede una “quota obbligatoria integrativa”, disponendo «Ist einem Pflichtteilsberechtigten ein Erbteil hinterlassen, der geringer ist als die Hälfte des gesetzlichen Erbteils, so kann der Pflichtteilsberechtigte von den Miterben als Pflichtteil den Wert des an der Hälfte fehlenden Teils verlangen».
Vale a dire «Se ad una persona avente titolo alla quota obbligatoria è lasciata una quota di eredità minore della metà della quota di eredità per legge, la persona avente titolo alla quota obbligatoria può chiedere ai coeredi come sua quota obbligatoria la somma mancante per integrare la quota della metà»(6).
Si tratta di una costruzione teorica frutto di una visione raffinata ed evoluta della legittima, che pone a fondamento dell’istituto non già la conservazione del patrimonio ereditario all’interno della famiglia nucleare, bensì quelle esigenze di solidarietà familiare che i romani individuavano nell’officium pietatis. Tale concezione, se da un lato comprime la posizione del legittimario a quella di un mero creditore, escludendo nel contempo qualsiasi diritto reale del legittimario pretermesso sul patrimonio ereditario, ha tuttavia l’indubbio pregio di semplificare notevolmente le problematiche relative alla disciplina della legittima e di evitare che l’istituto in esame costituisca un limite alla libera circolazione dei beni ereditari.
Su un piano diametralmente opposto si sviluppò la disciplina della legittima nella cultura giuridica francese, che invece cercò di mantenere l’antica tradizione consuetudinaria dei popoli germanici diretta a conservare la “comproprietà familiare” (Hausgemeinschaft) ad onta di qualsiasi atto di disposizione del de cuius, sulla base dell’antica regola solus Deus heredem facere potest, non homo.
Il testatore in quest’ottica può dunque solo disporre legati, che, anche quando hanno ad oggetto l’universum ius defuncti o una quota dello stesso (c.d. legato universale o a titolo universale), non attribuiscono la qualità di erede.
Tale tradizione condusse ad un processo di immedesimazione della legittima con il diritto al conseguimento di una quota di eredità, che nel diritto consuetudinario francese fu consacrato nella regola in Gallia non habet legitimam nisi qui heres est.
Si tratta di un processo che nell’ultimo diritto giustinianeo appariva allo stato meramente embrionale, senza che l’immedesimazione tra il diritto alla legittima ed il diritto alla qualità di erede giungesse a compimento nel sistema giuridico romano.
In quest’ottica il fondamento della legittima si basa non già sull’officium pietatis, ma sull’idea, quanto mai arcaica, secondo cui il patrimonio familiare non spetta al singolo, ma alla famiglia nucleare nel suo complesso(7).
Nel code civil la legittima è senza dubbio considerata in quanto tale come quota di eredità(8).
Abbastanza esplicito al riguardo è l’art. 912 di detto codice, laddove esso dispone che:
«La réserve héréditaire est la part des biens et droits successoraux dont la loi assure la dévolution libre de charges à certains héritiers dits réservataires, s’ils sont appelés à la succession et s’ils l’acceptent.
La quotité disponible est la part des biens et droits successoraux qui n’est pas réservée par la loi et dont le défunt a pu disposer librement par des libéralités».
Vale a dire:
«La riserva ereditaria è la parte dei beni e diritti successori di cui la legge assicura la devoluzione libera da pesi a certi eredi detti riservatari, se essi sono chiamati alla successione e se essi l’accettano.
La quota disponibile è la parte dei beni e diritti successori che non è riservata dalla legge e di cui il defunto può disporre liberamente a titolo di liberalità».
Ma ancora più chiaro è l’art. 1004 del code civil, secondo cui:
«Lorsqu’au décès du testateur il y a des héritiers auxquels une quotité de ses biens est réservée par la loi, ces héritiers sont saisis de plein droit, par sa mort, de tous les biens de la succession; et le légataire universel est tenu de leur demander la délivrance des biens compris dans le testament».
Vale a dire:
«Nei casi in cui alla morte del testatore ci sono eredi ai quali una quota dei suoi beni è riservata dalla legge, tali eredi sono investiti di pieno diritto, alla sua morte, del possesso di tutti i beni della successione; e il legatario universale è tenuto a domandare loro il rilascio dei beni compresi nel testamento».
Tale assetto normativo assicura al legittimario una posizione molto più forte, ma pone problemi di ordine sistematico di enorme complessità, mai compiutamente risolti dagli ordinamenti che ad esso fanno riferimento.
E ciò non solo in relazione alla tutela della libera circolazione della ricchezza, ma anche e soprattutto con riferimento alla ricostruzione concettuale della causa delle attribuzioni patrimoniali liberali imputabili alla legittima.
Il codice civile italiano del 1865 si collocò in posizione di piena continuità rispetto alla tradizione francese.
A fondamento di tale scelta del legislatore italiano può addursi il disposto dell’art. 808 del c.c. abrogato, secondo il quale la legittima è «quota di eredità» ed è dovuta «in piena proprietà»(9).
L’impostazione del codice civile vigente
Il legislatore del ’42, pur non disconoscendo al riguardo una certa continuità con la tradizione francese, procedette ad una rilevante rivisitazione concettuale dell’istituto, nel tentativo di eliminare le asimmetrie sistematiche che l’adesione alla tradizione francese inevitabilmente comportava.
Va peraltro subito precisato, come risulterà evidente nel prosieguo della presente trattazione, che, né il legislatore del ’42, né la successiva dottrina prevalente della legittima, sono stati mai in grado di liberarsi del tutto dal condizionamento psicologico della tradizione francese della legittima quale quota di eredità, come risulta evidente dalla disposizione, di dubbia coerenza sistematica, di cui all’art. 552 c.c. (v. infra § La rinuncia del legittimario pretermesso come erede che abbia ricevuto donazioni in vita o legati). Ciononostante il codice civile vigente ha omesso di riprodurre pedissequamente la norma dell’art. 808 del c.c. abrogato nel corrispondente nuovo art. 536, nel quale si definiscono invece i legittimari come persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità «o altri diritti nella successione».
A tale riguardo in senso alla Commissione parlamentare si era discusso «se fosse da configurare la riserva quale quota hereditatis … ovvero come quota bonorum. In verità si potrebbe pure pensare che, essendo estraneo al nostro diritto il principio “solus deus heredes facere potest”, nessun bisogno vi sia di attribuire la qualità di erede a chi il de cuius non volle che fosse proprio erede, e che lo scopo della legge, consistente nel riservare a talune persone una parte dei beni del defunto, potrebbe essere raggiunto anche col configurare i diritti successori attribuiti ai legittimari come appartenenti al tipo di quelli che solgono essere qualificati come legati ex lege. Il che porterebbe alla conseguenza di sottrarre alla responsabilità ultra vires chi ottiene quel minimo di entità patrimoniale che la legge gli riserva contrariamente alla volontà del de cuius. Ma prevalse nella commissione il concetto di riaffermare la qualità di erede dei legittimari, per mantenere il principio che competono loro non singoli beni, ma una quota dell’eredità, e che ad essi passi il possesso dei beni del defunto senza bisogno di apprensione materiale e senza bisogno che lo chiedano all’erede della disponibile»(10).
In conseguenza la Commissione Parlamentare aveva proposto «che si affermi senz’altro che la quota di legittima si considera quota di eredità, proponendo che si aggiunga un apposito capoverso alla fine del primo articolo del capo, il 79 (ora art. 536), dopo la enunciazione dei legittimari»(11).
Ma tale proposta non venne accolta dal legislatore, che precisò al riguardo: «non ho seguito il suggerimento, perché sarebbe incongruente e contrario ai principi considerare successore universale il titolare del diritto di usufrutto, qual è il coniuge superstite. Ho anzi ritenuto opportuno modificare l’intestazione della sezione, non parlando più, come faceva il progetto, di “quota dovuta ai legittimari”, espressione che serve a indicare propriamente il contenuto del diritto dell’erede, ma solo di “diritti riservati ai legittimari”»(12).
Si andava in tal modo affermando una presa di distanza del legislatore del ’42 da un pedissequo appiattimento sulla tradizione francese della legittima quale quota di eredità, in ossequio ad un atteggiamento più pragmatico, secondo cui il diritto alla legittima può essere soddisfatto con attribuzioni liberali recanti una diversa struttura causale e nondimeno tutte ascrivibili alla composizione della legittima stessa.
È vero che la ragione principale di tale posizione era rappresentata dall’individuazione dei diritti di legittima del coniuge superstite nella mera attribuzione di un usufrutto parziario, a fronte dell’adesione alla tesi, tuttora prevalente in dottrina(13) anche se contrastata nella più recente giurisprudenza(14), secondo cui l’attribuzione dell’usufrutto universale integra una disposizione a titolo particolare e non attribuisce in conseguenza la qualità di erede.
L’individuazione della legittima del coniuge superstite in un mero diritto di usufrutto è oggi scomparsa dall’ordinamento a seguito della riforma del diritto di famiglia, che ha invece attribuito a costui il diritto ad una quota in piena proprietà.
Nondimeno non per questo la presa di posizione del legislatore del ’42 sulla non necessaria individuazione nella legittima di una quota di eredità può dirsi superata.
Anche nel sistema successorio attuale infatti al coniuge superstite, in aggiunta alla quota di eredità, è attribuito un diritto reale limitato, vale a dire il diritto di abitazione e di uso di cui al secondo comma dell’art. 540 c.c.
Ma soprattutto il codice vigente continua a prevedere la figura del legato in sostituzione di legittima di cui all’art. 551 c.c., che fu introdotta per la prima volta nel sistema positivo proprio dal codice del ’42, non essendo essa contemplata dal codice del 1865.
Tale disposizione espressamente qualifica l’istituto ivi previsto quale legato e sancisce che se il legatario preferisce conseguire il legato «non acquista la qualità di erede» (art. 551, secondo comma, c.c.). Nondimeno l’ultimo comma dell’art. 551 c.c. dispone che il legato in sostituzione «grava sulla porzione indisponibile» e solo per la porzione del suo valore eccedente la legittima grava sulla disponibile. Dunque nel sistema positivo anche il legatario in sostituzione di legittima consegue la legittima con un’attribuzione liberale avente struttura causale diversa dalla chiamata ereditaria.
Ma non per questo egli perde la qualità di legittimario, altrimenti la menzionata disposizione dell’ultimo comma dell’art. 551 c.c. non avrebbe alcun senso.
In altre parole, come è stato autorevolmente affermato, «il legato sostitutivo è la stessa legittima in forma di attribuzione a titolo particolare»(15).
Di tale circostanza il legislatore del ’42 ebbe esatta percezione, se è vero che nei lavori preparatori si legge al riguardo che «Nella disciplina del legato in sostituzione di legittima … ho stabilito espressamente che l’accettazione del legato esclude l’assunzione della qualità di erede, in applicazione del principio che il successore in beni determinati deve essere considerato legatario»(16).
In altre parole il legislatore del ‘42 intese sancire il principio che la qualificazione causale della legittima non può essere a priori individuata in una quota di eredità, ma dipende dalle caratteristiche dell’attribuzione patrimoniale che in concreto è chiamata a comporre il lascito in favore del legittimario. Dunque ove a costui vengano assegnati diritti su determinati beni e non una quota dell’universum ius defuncti, la legittima non può costituire quota di eredità, in ossequio ai principi generali che regolano il nostro sistema successorio, salvo il disposto dell’art. 588, secondo comma, c.c.
Alla stregua di tali considerazioni non desta sorpresa che il testo dell’art. 536 c.c., anche dopo la riforma del diritto di famiglia, continua a definire i legittimari come persone a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità «o altri diritti nella successione».
Ma se ciò è vero, occorre chiedersi se il possibile polimorfismo causale dell’attribuzione patrimoniale ascrivibile alla legittima abbia nel sistema positivo un respiro più ampio di quello che appare dalle specifiche ipotesi testè esaminate.
Per la verità la dottrina e la giurisprudenza prevalenti in materia di legittima(17) hanno già compiuto al riguardo un notevole sforzo interpretativo, laddove esse hanno ritenuto, sia pure a seguito di accese discussioni(18), che il legittimario preterito non diviene erede se non a seguito dell’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione.
Del resto appare difficile affermare che in ogni caso il legittimario non consegue la qualità di erede a fronte del disposto dell’art. 536 c.c., che, come si è visto, prevede che al legittimario sia riservata, sia pure in via non indefettibile, una “quota di eredità”.
Del pari nello stesso senso depone l’art. 551 c.c. laddove esso, escludendo che il legatario in sostituzione di legittima che preferisca conseguire il legato consegua anche la qualità di erede, presuppone a contrario che, nel caso opposto, in cui egli rinunci al legato e chieda ed ottenga la legittima, egli acquisisca tale qualità.
Ed ad ulteriore conferma della validità di tale assunto può addursi l’art. 735 primo comma c.c., che sancisce la nullità della divisione del testatore che abbia pretermesso taluno dei legittimari, il che presuppone che il legittimario possa in qualche modo acquisire la qualità di coerede divenendo come tale parte necessaria della divisione(19).
Deve peraltro sottolinearsi che l’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario contro la volontà del de cuius rappresenta una soluzione estrema e residuale, che è destinata a realizzarsi solo quando e nella misura in cui il legittimario non abbia conseguito ad altro titolo (donazioni, legati, istituzione come erede per volontà del de cuius) la legittima ed il medesimo eserciti vittoriosamente l’azione di riduzione(20).
Nondimeno in tale ambito non si è proceduto ad una approfondita analisi della struttura causale delle attribuzioni patrimoniali integranti la legittima, nei casi in cui il legittimario agisca in riduzione o altrimenti consegua quanto a tale titolo dovutogli.
La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Le disposizioni a titolo particolare imputabili alla legittima
Orbene a tale riguardo da un’attenta lettura dell’intero sistema normativo che governa la successione necessaria si evince che nel diritto positivo vigente la legittima costituisce un’attribuzione patrimoniale suscettibile di essere composta da una pluralità di negozi di liberalità, aventi struttura causale diversa, pur se rientranti nell’ampio genus delle liberalità, ma tutti caratterizzati dall’essere ascrivibili alla complessiva funzione di integrare e/o comporre la legittima.
Viene a tale riguardo in rilievo innanzitutto l’art. 564, secondo comma, c.c., secondo cui «In ogni caso il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato»(21).
Da tale meccanismo si evince chiaramente che le donazioni e/o i legati fatti in favore del legittimario vanno a comporre a tutti gli effetti la quota di legittima, pur rimanendo disposizioni a titolo particolare. Ciò comporta innegabilmente un polimorfismo nella composizione della quota di legittima.
È infatti possibile che il legittimario sia pretermesso come erede, essendo la relativa qualità attribuita ad altri per testamento, e che egli abbia tuttavia ricevuto dal de cuius donazioni in vita e/o legati in misura tale da soddisfare la quota di legittima.
In tal caso la quota di legittima sarà formata esclusivamente da tali donazioni e/o legati ed il legittimario non conseguirà mai la qualità di erede, salvo che, trattandosi di legati, egli non vi rinunzi e chieda la legittima.
Nondimeno egli tratterrà tali attribuzioni patrimoniali a titolo di legittima e dunque con una qualificazione diversa da quella che compete ai donatari o legatari che non rivestano la qualifica di legittimari.
Tale conclusione, che potrebbe apparire ovvia ad una lettura del codice vigente scevra da pregiudizi storico-ideologici legati alla tradizione francese, è invece posta in dubbio da autorevole dottrina(22), secondo la quale se il legittimario, pretermesso come erede, riceve una donazione sufficiente ad integrare la legittima, laddove vi siano altri legittimari chiamati all’eredità, egli, per imputare tale donazione alla propria quota di legittima, avrebbe l’onere di “procurarsi il titolo ereditario” e dunque di “reclamare la quota” di eredità derivante dalla successione necessaria.
Diversamente egli sarebbe costretto ad imputare la liberalità ricevuta sulla disponibile.
In questi casi, dunque, «l’azione di riduzione, promossa dal legittimario pretermesso contro l’erede istituito, non ha per oggetto beni del relictum, ma solo l’attribuzione del titolo di erede quale mezzo per conseguire la legittima sui beni donati»(23).
Ma a ben vedere tale impostazione tradisce un evidente pregiudizio ideologico derivante dalla tradizione francese, secondo cui la legittima è comunque quota di eredità.
Essa è smentita non solo dall’art. 536 c.c. - che prevede che la legittima sia costituita non solo da una quota di eredità, ma anche in alternativa da “altri diritti” - ma dall’intera disciplina dell’azione di riduzione.
Detta azione, infatti, costituisce un’impugnativa negoziale che ha come petitum la declaratoria di inefficacia totale o parziale del negozio di liberalità impugnato nei confronti del legittimario che agisce in riduzione.
Tale conclusione rappresenta infatti l’unica possibile conseguenza della circostanza che, laddove il legittimario non abbia ricevuto liberalità a vario titolo in misura tale da soddisfare la legittima, egli debba conseguire a titolo di quota ereditaria quanto necessario ad integrare i diritti a lui spettanti.
In quest’ottica l’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione può determinare la soddisfazione della legittima a titolo ereditario solo se esso dia luogo all’inefficacia in parte qua
- dell’istituzione di erede che leda la legittima, onde il legittimario possa acquisire la quota ereditaria resa vacante dalla caducazione della predetta istituzione ovvero
- delle disposizioni liberali a titolo particolare che ledano la legittima ed alla conseguente retrocessione dei beni che ne sono oggetto, onde il legittimario, che, se preterito, diviene erede a seguito dell’esito vittorioso dell’azione di riduzione, può far valere i propri diritti su beni che rientrano a far parte dell’asse ereditario.
Siffatta impostazione è del resto l’unica compatibile con un sistema, quale è il nostro, che consente la designazione testamentaria dell’erede anche in presenza di legittimari.
In tale contesto invero appare inevitabile:
- che l’acquisto della qualità di erede da parte del legittimario pretermesso non possa operare in dipendenza della sola apertura della successione;
- che, per conseguire la qualità di erede, il legittimario pretermesso debba rendere in parte inefficace la designazione testamentaria dell’erede, esercitando per l’appunto un’impugnativa negoziale e non una semplice petizione dell’eredità;
- che l’azione di riduzione costituisca pertanto un’impugnativa negoziale sia nei confronti delle donazioni sia nei confronti delle disposizioni testamentarie.
Al contrario nella tradizione consuetudinaria francese, nella quale, in presenza di eredi riservatari, la chiamata ereditaria può dipendere solo dalla legge, è evidente per converso che :
- l’acquisto della qualità di erede da parte del legittimario pretermesso operi in dipendenza della sola apertura della successione;
- il legittimario pretermesso possa reclamare la propria qualità di erede mediante una semplice azione petitoria;
- l’azione di riduzione dia luogo ad un’impugnativa negoziale esclusivamente ove essa sia esercitata nei confronti dei donatari.
È vero che, al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia in cui si sostanzia, nel vigente sistema italiano, l’azione di riduzione, occorre anche accertare la qualità del legittimario e la sussistenza della lesione della legittima.
Si ritiene infatti, nell’ambito dell’orientamento dominante secondo cui il legittimario pretermesso debba conseguire la legittima a titolo ereditario, che l’azione di riduzione sia un’azione personale di accertamento costitutivo: accertamento della lesione di legittima e conseguente modifica della situazione giuridica preesistente, consistente nel rendere inefficace in tutto o in parte la donazione o la disposizione testamentaria lesiva(24).
Ma si tratta con ogni evidenza di accertamenti meramente strumentali e pregiudiziali all’indefettibile finalità dell’azione, che è rappresentata appunto dalla “riduzione” delle disposizioni lesive. L‘ordinamento positivo dunque non conosce azioni di riduzione alle quali consegua solo l’accertamento della qualità di legittimario e della misura economica del suo diritto e non anche la riduzione stessa.
Dunque nel caso di specie il legittimario pretermesso come erede, che tuttavia abbia ricevuto donazioni o legati tali da soddisfare la legittima, risulterebbe soccombente nell’azione di riduzione eventualmente da lui proposta, atteso che le disposizioni del de cuius non risulterebbero lesive e non potrebbero essere ridotte.
Sarebbe invero paradossale che il legittimario per computare le donazioni ed i legati a lui fatti in conto della legittima debba esercitare un’azione nella quale egli debba risultare soccombente.
Ma se ciò è vero, ne consegue inevitabilmente che la legittima nel caso di specie possa essere, al pari di quanto avviene in materia di legato in sostituzione di legittima, conseguita mediante atti di liberalità a titolo particolare e non a titolo di erede, risultandone dunque riconfermato il polimorfismo causale della legittima.
Per altro verso la circostanza che le disposizioni a titolo particolare in questi casi sono chiamate a comporre in via esclusiva la quota di legittima, implica che il legittimario che consegue siffatte liberalità fa numero per il calcolo della quota di legittima.
Tali conclusioni sono invero autorevolmente affermate in dottrina in relazione al legato in sostituzione di legittima(25), ma, alla stregua delle esposte considerazioni, esse devono ritenersi valide anche in relazione alle donazioni ed ai legati in conto della legittima.
L’affermazione contenuta nell’art. 551 ultimo comma c.c. secondo cui «Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile» è in realtà valida ogni qual volta in base al diritto positivo un’attribuzione liberale a titolo particolare va, come nel caso di specie, a comporre la quota di legittima.
La differenza tra il legato in conto ed il legato in sostituzione di legittima dunque, sotto il profilo in esame, non risiede nella imputazione della disposizione a titolo particolare alla legittima nel senso sopra precisato, che è comune ad entrambe le ipotesi, ma nella circostanza che solo nel secondo tipo di disposizione il conseguimento del legato comporta la perdita il diritto di chiedere un supplemento, nel caso in cui il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, come previsto nell’art. 551, secondo comma, c.c.
Nel legato in conto di legittima, invece, il legatario può conseguire il legato e chiedere anche l’integrazione della legittima nel caso in cui il valore del legato sia inferiore a quello della quota riservata, stante la mancanza di alcuna norma limitativa al riguardo, a fronte del principio generale del diritto alla legittima(26).
Peraltro tale naturale vocazione delle attribuzioni a titolo particolare ad adempiere, oltre che ad una generica causa liberale, anche alla specifica funzione di integrare e/o comporre la legittima è suscettibile di essere rimossa per volontà del disponente.
Costui infatti può, con la espressa dispensa dall’imputazione (art. 564, secondo comma, c.c.), determinare lo spostamento dell’attribuzione liberale dalla legittima alla disponibile.
In tal modo l’attribuzione liberale viene ad assume una connotazione causale diversa da quella normalmente ascrivibile alle liberalità in favore dei legittimari e precisamente una connotazione causale analoga a quella delle liberalità in favore dei soggetti non muniti di tale qualifica.
Per altro verso sia le donazioni ed i legati in conto della legittima sia il legato in sostituzione della legittima normalmente integrano o costituiscono a tutti gli effetti la legittima medesima e dunque non possono sottrarsi alla regola generale dell’art. 549 c.c., secondo cui «Il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro»(27).
Né vale obiettare che siffatta norma non sarebbe applicabile al legato in sostituzione della legittima, in quanto questo non costituirebbe quota di riserva, potendo anche intaccare la quota disponibile(28). Ed invero nella misura in cui il legato in sostituzione integra la legittima senza eccederla, e dunque fino a concorrenza del valore della quota di legittima stessa, esso è quota di legittima e come tale non tollera pesi o condizioni.
In altre parole quella che il legato in sostituzione di legittima ecceda la legittima e gravi per l’eccedenza sulla disponibile è una mera possibilità che potrebbe verificarsi, come potrebbe non verificarsi.
Ma ove tale possibilità non si verifichi, il polimorfismo causale connaturato alla nozione di legittima è tale da rendere applicabile le regole caratteristiche dell’istituto della successione necessaria ad ogni attribuzione liberale atta a comporre la legittima, quale che ne sia in concreto la struttura causale.
I limiti al polimorfismo causale della legittima e la tacitazione della legittima con beni non ereditari
L’unico limite al polimorfismo causale della legittima deriva dal principio generale secondo cui, al legittimario cui venga assegnata in tutto o in parte la legittima mediante disposizioni mortis causa a titolo particolare, è sempre data facoltà di rinunziare a tali disposizioni e chiedere la legittima, o la sua integrazione, a titolo di erede, con il conseguente ingresso nella comunione ereditaria ed il concretizzarsi di un diritto reale sui beni ereditari, in conformità al principio generale secondo cui il legatario non è obbligato ad accettare il legato(29).
Il conseguimento di meri legati, al contrario, reca in sé la possibilità che, laddove si tratti di legati obbligatori, il legittimario non percepisca, in tutto o in parte, la legittima mediante l’attribuzione di diritti reali su beni ereditari.
Ma il nostro sistema, largamente in ciò influenzato dalla tradizione francese, esclude che questo sia possibile, se non con il concorso della volontà del legittimario diretta a conseguire siffatti legati in luogo della legittima in natura.
In ciò invero si manifesta la profonda diversità tra il nostro sistema positivo e quello di matrice romanistico-tedesca, che invece costringe il legittimario a percepire la riserva in via meramente obbligatoria.
Tant’è che è stato al riguardo affermato che nel nostro ordinamento la legittima è il «diritto ad una data quantità di beni dell’asse, non semplicemente ad un valore»(30).
Si tratta a mio avviso di un’affermazione che radicalizza eccessivamente le conseguenze dell’assetto normativo sopra delineato.
L’esasperazione del concetto della legittima quale quota di eredità in natura, sulla falsariga del codice abrogato, pone nella pratica notevoli problemi.
Nella prassi spesso il de cuius, pur volendo effettivamente soddisfare i diritti spettanti a ciascun legittimario, intende tuttavia fare in modo che il soddisfacimento di tali diritti avvenga senza pregiudicare l’assegnazione di determinati beni ad un singolo erede.
Si vuole in altre parole salvaguardare l’interesse a far sì che determinati beni non vadano suddivisi tra una moltitudine di eredi.
Ciò avviene tipicamente, ma non esclusivamente, per i beni produttivi o comunque ritenuti indivisibili, al fine di assicurare che la conduzione dell’azienda o il godimento del bene venga attribuita al congiunto dimostratosi più capace e meritevole al riguardo.
Di tale esigenza si è fatto carico persino il sistema giuridico francese, che pure considera la legittima una quota di eredità, atteso che, pur in mancanza di specifiche norme al riguardo, dopo la novella dell’art. 832 code civil ad opera del D.l. 17 giugno 1938, in detto sistema si tende a ritenere valida la disposizione testamentaria con la quale il de cuius attribuisca ad un solo beneficiario un’azienda, facendo obbligo a costui di soddisfare in denaro le ragioni dei legittimari(31).
Anche il codice civile spagnolo agli artt. 1056, comma 2, e 1062, ammette che il testatore, al fine di evitare il frazionamento mortis causa dell’azienda o di un bene indivisibile o non comodamente divisibile, possa attribuirli ad un solo erede con l’obbligo a carico di costui di soddisfare la legittima in danaro.
Invece nell’ordinamento italiano manca un istituto tipicamente diretto al soddisfacimento di tale interesse e pertanto è stato compito degli interpreti farsi carico di tentare risolvere il problema, adattando gli istituti posti a disposizione dal legislatore alla peculiarità degli interessi in gioco. Orbene, a mio avviso la non vincolatività per il legittimario delle disposizioni mortis causa a titolo particolare in suo favore non esclude che nel sistema positivo sia possibile, laddove il legittimario entri a far parte quale erede della comunione ereditaria, obbligarlo a effettuare la relativa divisione senza percepire beni ereditari.
In verità la prassi ha per lungo tempo tentato di battere la strada della divisione del testatore, affermando la possibilità del testatore di effettuare la divisio inter liberos anche mediante l’assegnazione ad un erede del bene ritenuto indivisibile e disponendo l’obbligo per quest’ultimo di pagare agli altri eredi istituiti, ivi inclusi i legittimari, l’equivalente in denaro della quota di diritto degli stessi.
In epoca remota, sotto il vigore dell’art. 1044 del codice del 1865, corrispondente all’attuale art. 734 c.c., la soluzione in parola fu avvallata dalla Cassazione, che con una storica sentenza(32) statuì la validità della disposizione testamentaria in esame.
Ma la dottrina(33) e la giurisprudenza successiva, sia sotto il vigore del codice del 1865(34), sia sotto il vigore del codice del ’42(35), hanno invece prevalentemente affermato la nullità di una siffatta divisione testamentaria, non senza qualche titubanza(36) e qualche voce contraria(37).
A sostegno di tale affermazione sotto il vigore del codice del 1865 veniva addotto il disposto dell’art. 808 secondo il quale, come si è visto, la legittima è «quota di eredità» ed è dovuta «in piena proprietà». Ma lo stesso argomento è stato riproposto dalla dottrina tradizionale, nel solco della tradizione francese, anche sotto il vigore del codice del ’42, che pure non ha riprodotto tali espressioni(38). Parimenti, una volta affermato tale principio, si è dedotto l’inammissibilità di una divisione che non attribuisse al coerede istituito, nonché legittimario, alcuna porzione della massa dividenda(39); in tal caso, si afferma, la divisione è nulla per effetto dell’art. 735 comma 1 c.c.(40)
In alternativa si è fatto leva sul «principio tipico di ogni divisione (quindi anche quella fatta dal testatore), secondo il quale non è certo consentito dividere beni estranei alla comunione»(41).
Ad ulteriore riprova di quanto sopra affermato si adduce(42) inoltre la circostanza che nei lavori preparatori del codice del ‘42 fu respinta la proposta diretta ad aggiungere all’art. 734 un inciso con cui si consentiva la facoltà di stabilire il pagamento con denaro proprio da parte di un coerede dell’equivalente in denaro spettante agli altri coeredi(43).
Ma a mio avviso, come ho avuto occasione di precisare in altra sede(44), è possibile ipotizzare che il testatore istituisca eredi i legittimari nella quota a loro riservata e ponga a loro carico, ed in favore dell’erede che si intenda privilegiare, un legato di contratto di vendita o di permuta della quota ereditaria, contro pagamento di prezzo in denaro nel primo caso o contro trasferimento di un bene dell’erede privilegiato nel secondo caso.
Orbene in tale ipotesi al legittimario viene effettivamente attribuita la sua quota di eredità sui beni facenti parte dell’asse ereditario, onde non si può eccepire la preterizione che sta alla base della nullità della divisione del testatore mediante assegnazione di beni non ereditari.
La quota di legittima viene tuttavia gravata da un legato di contratto che tuttavia, nella misura in cui il corrispettivo della vendita o della permuta sia adeguato al valore della quota di legittima(45), non lede quantitativamente la quota di riserva.
Orbene, dal punto di vista della equivalenza economica delle attribuzioni, il legittimario onerato del legato di contratto riceve una tutela non deteriore rispetto a quella di cui potrebbe godere in una divisione del testatore.
La vendita o la permuta oggetto del legato di contratto, infatti, hanno senza dubbio funzione divisionale poiché dirette a far cessare lo stato di indivisione. Ne deriva che contro tali atti sarà esperibile l’azione di rescissione per lesione oltre il quarto ex art. 764 comma 1 c.c.(46)
Ed invero, secondo ampia parte della dottrina, gli atti di vendita o di permuta che l’art. 764 c.c. indica come «atti diversi dalla divisione», ad onta della qualificazione formale adoperata dalle parti, allorchè siano caratterizzati dallo scopo e dagli effetti divisori, hanno in realtà natura di divisione in senso tecnico(47).
Ma, se ciò è vero, almeno ove si aderisca a tale teoria(48), le disposizioni testamentarie che impongono ai legittimari istituiti di cedere, a scopo divisorio, la propria quota ereditaria al coerede istituito nella disponibile, in corrispettivo di una somma di danaro ovvero di un altro bene, altro non sarebbero che «norme date dal testatore per la divisione» ai sensi dell’art. 733 c.c., poiché natura divisoria avrebbero le operazioni che gli eredi sono obbligati a fare per volontà del testatore.
Ne deriverebbe che l’ammissibilità di siffatte disposizioni sarebbe indiscutibile a prescindere dal divieto dell’art. 549 c.c.
Qualunque sia la natura di tale divieto infatti (divieto di pesi di natura qualitativa o quantitativa)(49) la fattispecie in esame sarebbe lecita perché l’art. 549 c.c. fa in ogni caso salve le norme in tema di divisione, quale è indubbiamente l’art. 733 c.c.(50)
Alla stregua delle esposte considerazione dovrebbe concludersi nel senso che il divieto per il testatore di soddisfare la legittima con beni non ereditari, e senza il consenso del legittimario interessato, varrebbe solo per le disposizioni testamentarie divisionali ad effetto reale di cui all’art. 734 c.c., vale a dire per le disposizioni che impediscano addirittura il sorgere della comunione ereditaria e ciò, non tanto per effetto di principi generali, quanto per le caratteristiche del mezzo tecnico adoperato. Non potrebbe infatti il testatore realizzare con la sola propria volontà tale effetto reale, poiché esso non può per sua natura realizzarsi relativamente a beni non facenti parte del patrimonio del testatore stesso.
Detto divieto invece non opererebbe per le disposizioni testamentarie divisionali ad effetto meramente obbligatorio, le quali non impediscono l’instaurarsi della comunione ereditaria, ma operano nel senso di obbligare gli eredi al compiere determinati atti diretti a sciogliere la comunione ereditaria già instauratasi.
Il legato in conto di legittima
Il polimorfismo causale della legittima si manifesta anche in altre fattispecie, che rendono, se possibile, ancora più singolare la posizione del legittimario.
Più precisamente può accadere che le donazioni e/o i legati non in sostituzione della legittima ricevuti dal legittimario non soddisfino del tutto la quota di riserva.
In tali casi si tratta di liberalità in conto di legittima.
Va peraltro preliminarmente osservato che la materia del legato in conto di legittima è caratterizzata da una notevole confusione interpretativa, che ne rende assai ostico lo studio.
La figura del legato in conto di legittima è, infatti, spesso identificata in via esclusiva con il legato disposto, senza ulteriore specificazione, in favore del legittimario che sia pretermesso come erede, onde egli potrebbe conseguire il legato ed agire in riduzione per chiedere l’integrazione, diversamente da quanto previsto per il legato in sostituzione di legittima(51), ovvero rinunciare al legato e chiedere la legittima, questa volta in analogia con quanto disposto per quest’ultima figura ed in conformità al principio generale secondo cui il legatario non è obbligato ad accettare il legato(52).
Ma a ben vedere siffatta definizione del legato in conto di legittima appare fuorviante, atteso che il diritto positivo non esclude che essa ricorra anche laddove il legato sia disposto a favore del legittimario che sia comunque chiamato come erede.
Ed anzi l’unica figura di legato qualificato espressamente dal codice come legato in conto della legittima è prevista dall’art. 552 c.c., proprio con riferimento all’ipotesi in cui il legittimario sia anche chiamato all’eredità.
Dunque può accadere innanzitutto, come si è detto, che il legato a favore del legittimario sia disposto laddove il de cuius abbia pretermesso il legittimario come erede, onde egli abbia l’onere di agire in riduzione per ottenere un completo soddisfacimento della legittima.
In questo caso, a seguito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, la legittima sarà composta in parte dalla disposizione patrimoniale a titolo particolare e per la residua parte dalla devoluzione ereditaria derivante dalla successione necessaria.
Si tratta dell’ennesima particolarità del fenomeno della legittima, poiché di regola la devoluzione ereditaria definisce la posizione del chiamato in via esaustiva, mentre eventuali legati in favore dell’erede sono destinati ad aggiungersi alla quota ereditaria, senza poterne integrare in parte la composizione.
Ma può anche accadere che il legittimario, pur beneficiario di siffatte donazioni e/o legati, sia chiamato comunque erede per successione legittima o testamentaria.
A tale riguardo deve sottolinearsi che la particolare qualifica del legittimario non esclude affatto l’applicazione della regola generale in materia di prelegato, secondo cui «Il legato a favore di uno dei coeredi e a carico di tutta l’eredità si considera come legato per l’intero ammontare» (art. 661 c.c.)(53). Dunque, nel silenzio del testatore, il legato posto a carico dell’eredità a favore di un legittimario si cumula con la quota ereditaria che sia devoluta per successione legittima o testamentaria al legittimario stesso.
Nondimeno non per questo il legato (rectius prelegato) non deve considerarsi in conto della legittima(54). Anche per esso deve, infatti, trovare applicazione il meccanismo dell’imputazione ex se di cui all’art. 564 c.c.
Né può dirsi che il cumulo del prelegato con la quota ereditaria devoluta per successione legittima o testamentaria escluda in radice la possibilità della lesione della legittima.
È infatti possibile che il de cuius abbia disposto in larga parte del proprio patrimonio con donazioni in vita, sicchè il cumulo del prelegato con la quota ereditaria potrebbe non bastare a integrare la legittima(55).
In questi casi la legittima è ancora una volta caratterizzata da un polimorfismo causale, poiché essa risulterà essere composta dal prelegato, dalla quota ereditaria originaria in aggiunta al legato e, in caso di vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, dall’ampliamento della chiamata ereditaria determinatasi per effetto di siffatta azione.
Può infine accadere che il legittimario sia beneficiato di un legato in conto di legittima in senso ulteriore e diverso da quelli sinora analizzati.
Più precisamente è possibile che il testatore nomini il legittimario erede nella quota di legittima e disponga in suo favore un legato, precisando che esso vada a comporre in parte la quota di legittima, onde la chiamata ereditaria abbia effetto economico per la differenza tra il valore della quota di legittima e quello del legato in conto(56).
Si tratta in definitiva del medesimo effetto che si produce naturaliter quando il legato sia disposto in favore di un legittimario pretermesso che esperisca vittoriosamente l’azione di riduzione, con l’unica differenza che nel nostro caso la devoluzione ereditaria nella quota di legittima è effettuata per testamento e non in dipendenza dell’azione di riduzione.
Nondimeno, affinchè si verifichi il caso di specie, occorre una specifica volontà del testatore idonea a evitare l’applicazione del principio generale di cui all’art. 661 c.c.(57)
Verificandosi tali presupposti, il legato non cessa di essere considerato tale anche laddove abbia efficacia reale; esso cioè non può considerarsi assorbito tout court dalla quota di eredità a titolo di legittima nella quale esso si trova ad essere incluso, quanto al computo del valore della quota di legittima medesima, quasi si trattasse di un’istitutio ex re certa parziale.
È stato al riguardo esattamente osservato che «in seguito all’imputazione, e fino a concorrenza del valore della quota, il bene è conservato all’assegnatario a titolo di apporzionamento ereditario. Ma questa vicenda si produce nei soli rapporti con i coeredi, ai fini del regolamento della divisione ereditaria, mentre non ne possono approfittare i creditori ereditari, i quali rimangono soggetti, nei confronti dell’erede legatario, alle norme degli artt. 490, 495, e 512 e ss.»(58).
Ancora una volta dunque ne risulta confermato quello che a mio avviso è l’aspetto più peculiare della quota di legittima: la sua attitudine ad essere composta da attribuzioni patrimoniali liberali aventi diversa struttura causale ed in particolare, e anche simultaneamente, da attribuzioni a titolo particolare e attribuzioni a titolo universale.
Il legato con diritto al supplemento
Tale prospettiva interpretativa consente anche di trovare una giusta collocazione sistematica a taluni istituti contemplati nella disciplina della legittima che altrimenti risulterebbero difficilmente inquadrabili nel sistema.
Si allude in particolare alla fattispecie del legato col diritto al supplemento di cui all’art. 551, secondo comma, secondo periodo, c.c.
Tale disposizione, dopo aver dettato con riferimento al legato in sostituzione di legittima la nota regola - secondo cui, qualora il legatario preferisca conseguire il legato, perde il diritto a chiedere un supplemento se il valore del legato fosse inferiore a quello della legittima e non acquista la qualità di erede - sancisce la disapplicazione di tale precetto «quando il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento».
La norma appare di difficile inquadramento sistematico per chi si muovesse nella prospettiva della legittima quale quota di eredità, sulla scorta della tradizione francese.
In conseguenza taluni interpreti hanno tentato di identificare la figura in esame con quella del legato in conto di legittima disposto in favore del legittimario preterito come erede.
In tale ottica dunque la facoltà di chiedere il supplemento coincide con l’esercizio dell’azione di riduzione, che a sua volta procura al legittimario l’acquisto della qualità di erede che per legge gli compete(59).
La dottrina più attenta non ha tuttavia mancato di replicare come appaia intrinsecamente contraddittorio identificare la facoltà di chiedere il supplemento, che è disposta dal medesimo testatore, con l’esercizio dell’azione di riduzione, che invece presuppone un atto di liberalità del de cuius in favore di altri soggetti contrario al conseguimento in capo al legittimario della sua quota di legittima, donde l’attribuzione a costui di un correlativo potere di impugnativa contro la volontà del de cuius(60).
Pertanto, per chi si muove nella prospettiva della legittima quale quota di eredità, non è rimasta altra alternativa che ravvisare nella volontà del testatore diretta a far conseguire in capo al legittimario la sua quota di legittima, insita nell’attribuzione espressa della facoltà di chiedere il supplemento, la volontà di istituisce il legittimario come erede nella quota di legittima(61).
Ma a questo punto rimaneva il problema di spiegare come potesse un soggetto chiamato a partecipare alla successione in qualità di erede nella sola quota di legittima vedersi anche assegnato in conto di tale quota e senza esaurirne il valore, il diritto oggetto del legato.
Orbene il pregiudizio ideologico insito nell’ossequio alla tradizione francese della legittima quale quota di eredità, agli occhi della dottrina in esame, faceva apparire contraddittorio che la legittima venisse attribuita al suo titolare in parte con un legato ed in parte con una chiamata ereditaria testamentaria. Occorreva pertanto in quest’ottica, per ripristinare la coerenza del sistema, riqualificare quello che a prima vista appariva come un legato, come una sorta di istitutio ex re certa parziale, che in quanto tale non risultasse inconciliabile con la chiamata ereditaria.
Ma a ben vedere tali problematiche non sussistono laddove si aderisca alla prospettiva della legittima quale attribuzione patrimoniale policausale.
È infatti ben possibile, come si è visto, che il testatore nomini il legittimario erede nella quota di legittima e disponga in suo favore un legato, precisando che esso vada a comporre in parte la quota di legittima, onde la chiamata ereditaria abbia effetto economico per la differenza tra il valore della quota di legittima e quello del legato in conto.
Si tratta invero di una particolare figura di legato in conto di legittima, che dà luogo ancora una volta ad un fenomeno di polimorfismo causale, onde la quota di legittima viene ad essere composta dal concorso di una disposizione a titolo particolare con una disposizione a titolo universale.
Dunque il legato con diritto al supplemento ben può inquadrarsi in quest’ultima fattispecie(62).
Ma non può escludersi che, per conseguire l’effetto di attribuire la legittima al suo titolare, il testatore si avvalga di un altro schema negoziale, rappresentato dalla disposizione di due legati in favore del legittimario, uno in conto della legittima ed uno, a carattere obbligatorio ed integrativo e con oggetto determinabile per relationem.
In quest’ottica il c.d. supplemento, in cui si sostanzia questa seconda disposizione, viene ad essere costituito non già da una chiamata ereditaria, ma da un legato obbligatorio, che attribuisce al legittimario il diritto a conseguire dall’erede il tantundem per integrare la legittima al netto del primo legato in conto(63).
Si ritiene infatti che «L’art. 1346 c.c. ancorché dettato in materia di contratti, deve ritenersi applicabile per la sua portata generale ad ogni tipo di negozio, “inter vivos” o “mortis causa” relativamente ai requisiti dell’oggetto. Pertanto è valido il legato di somme di danaro non direttamente determinate dal testatore, ma determinabili in base a criteri dettati nel testamento dal testatore medesimo»(64).
Peraltro anche siffatto legato non sfugge al principio generale secondo cui, al legittimario al quale venga assegnata la legittima mediante disposizioni mortis causa a titolo particolare, è sempre data facoltà di rinunziare a tali disposizioni e chiedere la legittima, con il conseguente ingresso nella comunione ereditaria ed il concretizzarsi di un diritto reale sui beni ereditari.
Nondimeno anche in questo caso la legittima assume una natura polimorfica, venendo ad essere costituita da due disposizioni a titolo particolare, riconfermando ancora una volta la validità dell’assunto teorico qui sostenuto.
Il polimorfismo causale della legittima e la rinunzia ai diritti del legittimario
Inesistenza di un atto di rinuncia alla legittima in quanto tale
Ma l’aspetto più complesso della problematica in esame è rappresentato dall’individuazione degli effetti sulla legittima che si determinano a seguito della rinuncia da parte del legittimario ai propri diritti successori(65).
Anche sotto tale profilo l’eterogeneità causale della legittima assume un rilevo determinante. L’ordinamento positivo infatti non prevede un atto di rinunzia alla legittima in quanto tale, proprio perché essa è suscettibile di essere soddisfatta da attribuzioni liberali aventi diversa struttura causale.
Il legittimario può infatti rinunziare all’eredità, al legato ovvero all’azione di riduzione.
Ma in questi casi, in tanto ciò determinerà la rinuncia alla legittima tout court e la conseguente perdita della qualità di legittimario in quanto, all’esito di tali rinunce, il legittimario non disponga più di alcun mezzo per conseguire un’attribuzione liberale imputabile, anche solo in parte, alla legittima.
La rinuncia alla legittima tout court è dunque un effetto che può anch’esso, al pari dell’acquisizione della legittima stessa, essere conseguito con atti di diversa natura.
A tale proposito occorre a mio avviso distinguere quattro ipotesi:
a) il caso in cui il legittimario sia chiamato come erede per legge o per testamento e non abbia anche ricevuto donazioni in vita o legati;
b) il caso in cui il legittimario non solo sia pretermesso come erede, ma non abbia nemmeno ricevuto donazioni in vita o legati;
c) il caso in cui il legittimario sia chiamato come erede per legge o per testamento e abbia anche ricevuto donazioni in vita o legati;
d) il caso in cui il legittimario sia pretermesso come erede, ma abbia ricevuto donazioni in vita o legati.
La rinunzia del legittimario chiamato come erede che non abbia ricevuto donazioni in vita o legati
Nell’ipotesi sub a), in cui il legittimario è chiamato come erede per legge o per testamento e non abbia anche ricevuto donazioni in vita o legati, egli potrebbe essere beneficiato per una quota sufficiente a soddisfare la legittima ovvero per una quota lesiva, anche tenuto conto delle altre liberalità inter vivos o mortis causa effettuate dal defunto in favore di altri soggetti.
In entrambi i casi, se egli rinunzia all’eredità, perde anche ogni diritto di legittima e dunque anche la propria qualità di legittimario.
Il legittimario che non abbia anche ricevuto donazioni in vita o legati, infatti, può conseguire la legittima solo a titolo di erede, risultando di fatto escluse tutte le altre strutture causali che nel vigente ordinamento sono idonee a comporre la legittima.
Ma se, con la rinuncia all’eredità, dismette la qualità di erede, egli non ha più nessun mezzo tecnico per comporre la legittima.
A seguito a siffatta rinuncia, dunque, salvo casi particolari(66), nessuna attribuzione ascrivibile alla legittima egli potrà più ricevere.
Ma può accadere che il legittimario consegua l’eredità per la quota lesiva e rinunci alla sola azione di riduzione. In tal caso egli rimarrebbe pur sempre erede per la quota lesiva.
Occorre chiedersi a questo punto a che titolo egli trattenga la quota lesiva.
Ma a mio avviso deve ritenersi che la quota lesiva sia trattenuta pur sempre dal rinunziante a titolo di legittima.
La rinuncia all’azione di riduzione infatti implica solo la rinunzia a chiedere l’integrazione della legittima per il caso in cui la quota ereditaria non sia idonea a soddisfare per intero la legittima, ma non implica anche la perdita della qualità di legittimario.
Tale conclusione è agevolmente desumibile dall’art. 551 c.c.
Se infatti il legatario in sostituzione di legittima, che trattiene il legato perdendo il diritto di chiedere il supplemento, lo trattiene sulla legittima e solo per l’eventuale eccedenza sulla disponibile, a fortiori ciò deve valere per colui che sia addirittura chiamato come erede.
La rinunzia del legittimario pretermesso come erede che non abbia ricevuto donazioni in vita o legati
Nel caso sub b), in cui il legittimario sia pretermesso come erede e non abbia nemmeno ricevuto donazioni in vita o legati, questi non può rinunciare ad altro che all’azione di riduzione, non configurandosi nei suoi confronti nessuna delazione attuale dell’eredità, che possa essere posta a base di una vera e propria rinuncia all’eredità stessa.
Ma nella fattispecie la rinunzia all’azione di riduzione implica in buona sostanza una rinunzia in toto alla posizione ereditaria, essendo in questo caso l’azione di riduzione l’unico strumento per conseguire sia la qualità di coerede (v. retro § L’impostazione del codice civile vigente) che quella di legittimario. In tal modo il rinunziante nulla consegue titolo di legittima e dunque perde non solo ogni diritto di legittima, ma anche la propria qualità di legittimario.
La rinuncia del legittimario chiamato come erede che abbia ricevuto donazioni in vita o legati
Nel caso sub c) in cui il legittimario sia chiamato come erede per legge o per testamento e abbia anche ricevuto donazioni in vita o legati, può accadere che egli rinunci all’eredità.
Il polimorfismo causale caratteristico della legittima nel vigente ordinamento avrebbe in astratto dovuto condurre a ritenere che la conservazione della qualità di erede non costituisse condizione per la conservazione anche della qualità di legittimario.
Potendo infatti la legittima essere conseguita in via esclusiva anche a mezzo di donazioni o legati, sarebbe stato ragionevole attendersi che anche in tal caso avrebbe dovuto trovare applicazione il principio sotteso all’art. 551, secondo comma, c.c. e dunque la possibilità di trattenere le donazioni ed i legati sulla legittima fino a concorrenza della stessa.
Nel codice del 1865, che aderiva come si è detto in toto alla tradizione francese, una tale conclusione non poteva ovviamente essere compatibile con il principio ivi accolto, secondo cui la legittima è quota di eredità.
Ed infatti l’art. 1003 del codice abrogato disponeva che il rinunziante può ritenere la donazione e domandare il legato fino a concorrenza della porzione disponibile, ma «non può ritenere o conseguire nulla a titolo di legittima».
Il codice vigente si occupa della questione all’art. 552 c.c. con una norma del tutto sorprendente dal punto di vista della coerenza del nuovo sistema, che sembra andare in direzione contraria al principio della non necessaria attribuzione della qualità di erede al legittimario, più volte riaffermato ad altro proposito dal nuovo codice.
Da un lato infatti non viene espressamente ripetuto il principio secondo cui chi rinunzia all’eredità non può ritenere o conseguire nulla a titolo di legittima(67).
Ma dall’altro viene espressamente affermato che il legittimario rinunziante all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può ritenere le donazioni e conseguire i legati a lui fatti solo “sulla disponibile”. Ciò implica inevitabilmente che le donazioni ed i legati effettuati in favore del legittimario rinunziante all’eredità non possono essere considerati come conseguiti a titolo di legittima.
Non può dunque condividersi il tentativo effettuato da autorevole dottrina di ripristinare la coerenza del sistema affermando che «il legittimario rinunziante non è espropriato del suo diritto alla legittima ma tacitato in tutto o in parte dalle donazioni e dai legati attribuitigli in conto di essa»(68).
Per la verità la possibilità di chiamare tali disposizioni a titolo particolare a comporre la legittima era stata considerata dal legislatore del ’42, che al riguardo affermò che «un sistema possibile sarebbe stato quello di far gravare le donazioni o i legati in conto di legittima sulla porzione indisponibile; ma tale sistema mi è sembrato incongruo, perchè avrebbe procurato al rinunziante una posizione eccessivamente vantaggiosa. Questi, infatti, avrebbe potuto trattenere la legittima e l’eccedenza sulla disponibile, mentre secondo al regola del codice del 1865 non può trattenere nulla a titolo di legittima»(69).
È evidente a mio avviso che in tale occasione il legislatore del ’42 non seppe liberarsi dal pesante condizionamento derivante dall’adesione del codice abrogato alla tradizione francese della legittima quale quota di eredità.
Il risultato di tale pregiudiziale storica è una norma avulsa dal sistema, che ha condotto uno dei più grandi studiosi italiani della legittima ad affermare giustamente che «non si può seriamente giustificare la disciplina dell’art. 552 in nome di un principio (la legittima è quota di eredità) che proprio nell’art.
551 il legislatore non ha esitato a travolgere»(70).
E ciò è tanto più grave se si considera che in entrambe le fattispecie di cui agli artt. 551 e 552 c.c. si tratta «di un legittimario, che ha ricevuto liberalità particolari a titolo di legittima e non viene, per volontà sua, all’eredità»(71).
Peraltro, come avremo modo si constatare (v. infra § Variabilità della quota individuale di legittima a seguito della rinuncia di taluno dei legittimari alla totalità dei propri diritti), al legittimario che rinuncia all’eredità non solo è imposto di imputare le donazioni ed i legati ricevuti alla disponibile, ma tale imputazione è assoggettata a speciali regoli punitive per il legittimario medesimo.
L’unica possibile spiegazione sistematica risiede nella considerazione che «nell’ipotesi dell’art. 551 il legittimario tacitato non viene all’eredità conformandosi alla volontà del testatore di privarlo della quota, mentre tale volontà non sussiste nell’ipotesi dell’art. 552»(72).
Se ne deve dedurre che, a torto o a ragione, e probabilmente per le speciali motivazioni testè esposte, la rinunzia all’eredità da parte del legittimario è reputata dall’ordinamento, con una sorta di presunzione juris et de jure, come rinunzia anche alla legittima ed alla qualità di legittimario(73).
Ma la peculiarità della norma e la sua notevole deviazione dalle regole generali del sistema, devono condurre a ritenerla a mio avviso una disposizione del tutto eccezionale, e come tale di stretta interpretazione.
La rinuncia del legittimario pretermesso come erede che abbia ricevuto donazioni in vita o legati
Nel caso sub d) in cui il legittimario sia pretermesso come erede, ma abbia ricevuto donazioni in vita o legati, questi può rinunciare innanzitutto all’azione di riduzione e trattenere le donazioni ed i legati ricevuti.
Ma ancora una volta, alla stregua delle esposte considerazioni, deve rilevarsi che egli trattiene le donazioni ed i legati fatti in suo favore sulla legittima, senza che occorra al riguardo alcuna azione diretta a reclamare la qualità di erede (v. retro § La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Le disposizioni a titolo particolare imputabili alla legittima).
Ciò fa sì che nella rinuncia all’azione di riduzione non possa ravvisarsi anche una rinuncia alla legittima tout court o alla qualità di legittimario, ma solo la rinunzia a chiedere il supplemento necessario a integrare la legittima.
Egli cioè rimane legittimario anche se non sarà mai erede.
Ma, dato il polimorfismo causale della legittima, ciò non pregiudica il mantenimento della sua qualità di legittimario.
Né può ritenersi, come è stato autorevolmente sostenuto, che anche a tale fattispecie debba essere applicata la disposizione dell’art. 552 c.c., che come si è visto impone al legittimario che rinunzia all’eredità di imputare le disposizioni a titolo particolare ricevute alla disponibile.
L’assunto è motivato sulla base della presunta natura eccezionale dell’art. 551, terzo comma c.c.(74)
Sorprende invero che tale tesi sia sostenuta proprio da chi critica aspramente la coerenza sistematica dell’art. 552 c.c. e cerca di trovarne una giustificazione logica nella circostanza che «nell’ipotesi dell’art. 551 il legittimario tacitato non viene all’eredità conformandosi alla volontà del testatore di privarlo della quota, mentre tale volontà non sussiste nell’ipotesi dell’art. 552».
Ed invero nel caso in cui il legittimario sia pretermesso come erede, ma abbia ricevuto donazioni in vita o legati, la rinunzia all’azione di riduzione, a differenza di quanto accade nella fattispecie di cui all’art. 552 c.c., ed analogamente a quanto si verifica nell’ipotesi di cui all’art. 551 c.c., si conforma alla volontà del testatore e non la disattende.
Del resto, alla stregua delle esposte considerazioni e di una valutazione complessiva del sistema, tra le due disposizioni - quella di cui all’art. 552 c.c. e quella di cui all’art. 551 terzo comma c.c. - proprio quest’ultima appare conforme alle regole generali, mentre la prima sembra costituire un’eccezione e non viceversa.
Può ancora accadere che il legittimario, avendo ricevuto solo legati e non anche donazioni, rinunci tanto all’azione di riduzione, quanto ai legati.
In tal caso, a differenza di quanto avviene nella mera rinuncia all’azione di riduzione, egli perde ogni diritto di legittima e dunque anche la propria qualità di legittimario.
Il legittimario pretermesso che non abbia anche ricevuto donazioni in vita, infatti, può conseguire la legittima solo a titolo di eredità, esercitando l’azione di riduzione, o mediante legato; rinunziando a questi ultimi, non residuano altre strutture causali idonee a comporre la legittima.
La rappresentazione nella successione necessaria
L’individuazione dell’esatta portata degli atti di rinunzia posti in essere dal legittimario non riveste un interesse meramente teorico.
Ed invero dalla circostanza che essi ineriscano o meno alla legittima nel suo complesso e dunque alla stessa qualità di legittimario derivano infatti conseguenze pratiche di non poco conto.
In primo luogo viene in rilievo l’istituto della rappresentazione, previsto anche per la successione necessaria ex art. 536, ultimo comma, c.c.
Nella successione necessaria il fenomeno della rappresentazione non pone particolari problemi laddove il c.d. rappresentato premuoia al de cuius.
Non v’è dubbio, infatti, che il discendente del rappresentato goda in tal caso di tutti i diritti di legittima che spetterebbero al suo ascendente ai sensi del citato art. 536, ultimo comma, c.c.
L’unica particolarità del fenomeno in esame risiede nella circostanza che, in forza dell’art. 564, terzo comma, c.c., il legittimario che succede per rappresentazione, ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione deve imputare anche le liberalità fatte al suo ascendente senza espressa dispensa.
Le ragioni di tale specifica previsione di imputazione risiedono nella considerazione che colui che succede per rappresentazione succede iure proprio sebbene in forza di una delazione per relationem, tant’è che egli può succedere al de cuius ancorché abbia rinunciato all’eredità della persona in luogo della quale subentra (art. 468, secondo comma, c.c.).
Ne deriva che, in mancanza della disposizione di cui all’art. 564, terzo comma, c.c., egli potrebbe reclamare la quota di legittima del proprio ascendente senza imputare quanto da quest’ultimo ricevuto a titolo di liberalità dal de cuius.
Ma, poiché la delazione del successore per rappresentazione ha, come si è detto, carattere derivato, è parso equo che egli subisca gli effetti dell’imputazione delle donazioni ricevute dal proprio ascendente, altrimenti ne risulterebbero alterate le basi economiche della successione.
Diversamente opinando si determinerebbe, infatti, una moltiplicazione delle attribuzioni patrimoniali a titolo di legittima, che potrebbe assottigliare in modo rilevante la consistenza patrimoniale della quota di legittima di ciascun avente diritto ed in conseguenza anche la consistenza della disponibile(75). La questione diviene più complessa laddove l’operatività della rappresentazione non derivi da premorienza, ma da rinuncia.
A mio avviso nella successione necessaria andrebbero distinte le ipotesi in cui il legittimario nei casi sopra esaminati, pur rinunciando a chiedere l’integrazione della legittima, consegua tuttavia attribuzioni patrimoniali di varia natura imputabili alla legittima medesima, da quelle in cui per effetto di atti rinunziativi egli perda del tutto ogni diritto di legittima e la stessa qualità di legittimario. In quest’ultimo caso non sembra esservi dubbio che, come per le ordinarie ipotesi di rappresentazione, il rappresentante possa esercitare tutti i diritti del rappresentato e dunque non solo il diritto di subentrare nelle disposizioni mortis causa effettuate in favore del rappresentato oggetto di rinunzia, ma anche il diritto di chiedere l’integrazione della legittima.
L’ipotesi è in qualche modo contemplata all’art. 552 c.c. laddove il legittimario chiamato all’eredità vi rinunci avendo conseguito donazioni o legati in conto della legittima.
Si è infatti già avuto modo di rilevare che il sistema vigente considera, sia pure inopportunamente, la rinuncia all’eredità come rinuncia alla legittima tout court.
A sua volta la rinuncia alla qualità di legittimario senza dubbio fa scattare il fenomeno della rappresentazione, il quale implica anche l’applicazione del citato art. 564, terzo comma, c.c., secondo cui il legittimario che succede per rappresentazione, ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione, deve imputare anche le liberalità fatte al suo ascendente senza espressa dispensa.
L’applicazione al caso di specie dell’art. 564, terzo comma, c.c. a sua volta implica che il legittimario che rinuncia all’eredità trattiene le liberalità ricevute a titolo particolare imputandole alla legittima, sia pure ad una legittima che verrà percepita non da lui, ma dal suo discendente a titolo di rappresentazione. Coerentemente l’art. 552 c.c., che prevede come principio generale l’opposta regola secondo cui il legittimario che rinuncia all’eredità trattiene le liberalità ricevute a titolo particolare imputandole alla disponibile e non alla legittima, sancisce appunto che ciò avvenga solo «quando non si ha rappresentazione».
Ciò posto, laddove si tratti di un legittimario preterito, questi, come si è visto, non può rinunciare ad altro che all’azione di riduzione, non configurandosi nei suoi confronti nessuna delazione attuale dell’eredità, che possa essere posta a base di una vera e propria rinuncia all’eredità stessa.
Ma nella fattispecie la rinunzia all’azione di riduzione implica in buona sostanza una rinunzia in toto alla posizione ereditaria, essendo in questo caso l’azione di riduzione l’unico strumento per conseguire la qualità di coerede.
Ma, se ciò è vero, ne dovrebbe derivare che il discendente del rinunciante possa far valere i diritti del proprio ascendente a titolo di rappresentazione, come egli avrebbe potuto fare se il proprio ascendente fosse stato chiamato all’eredità e avesse a questa rinunciato.
Laddove invece, il legittimario leso consegua donazioni o disposizioni mortis causa lesive e rinunci alla sola azione di riduzione, egli rimarrebbe pur sempre legittimario, avendo percepito liberalità imputabili alla sua legittima.
Anche questa volta il sistema positivo presenta elementi di criticità.
Infatti nel caso in cui il legittimario leso consegua l’eredità per una quota lesiva e rinunci alla sola azione di riduzione, egli rimarrebbe pur sempre erede per la quota lesiva.
Ne consegue che non pare possibile che i discendenti di quest’ultimo possano reclamare la sola integrazione della legittima in luogo del proprio ascendente rimasto erede nella quota lesiva, essendo senza dubbio unica la delazione ereditaria.
Ed invero, dovendo l’integrazione della legittima nel sistema positivo essere richiesta a titolo di erede, non è possibile che essa dia luogo ad una delazione ereditaria frazionata fra più soggetti (il rappresentante ed il rappresentato).
In altre parole la qualità di legittimario non può che competere alternativamente e non cumulativamente al rappresentante o al rappresentato.
Ma nell’ipotesi in cui il legittimario che rinuncia all’azione di riduzione abbia conseguito liberalità a titolo particolare imputabili alla legittima, si potrebbe a prima vista pensare che il discendente di costui ben potrebbe, con l’azione di riduzione, reclamare una qualità ereditaria che non sussisteva, nemmeno per minore estensione, in capo al suo ascendente.
Ed un indizio letterale in tal senso potrebbe essere ravvisato proprio nell’art. 564, terzo comma, c.c. che impone in termini generali al legittimario che succede per rappresentazione di imputare alla sua legittima, ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione, anche “le donazioni ed i legati” fatti al suo ascendente senza espressa dispensa.
Tale norma, infatti, sembrerebbe dare per scontato che la rappresentazione operi senz’altro anche quando il rappresentato abbia ricevuto liberalità a titolo particolare in conto della legittima.
Ma a ben vedere tale conclusione non può essere accolta.
La rappresentazione invero può operare solo quando il soggetto designato dalla legge non possa o non voglia acquisire la qualità di legittimario(76).
Ma poiché nel sistema positivo tale qualità può essere conseguita con attribuzioni liberali di diversa struttura causale, anche l’acquisto di meri legati e/o donazioni in conto della legittima determina l’assunzione della qualità di legittimario medesima.
Se ne deve dedurre che l’art. 564, terzo comma, faccia riferimento alle sole ipotesi sopra esaminate (premorienza e rinuncia all’eredità del legittimario) in cui si determini in capo al rappresentato la perdita della qualità di legittimario.
Le conseguenze della rinuncia ai diritti del legittimario sul calcolo della legittima
Variabilità della quota individuale di legittima a seguito della rinuncia di taluno dei legittimari alla totalità dei propri diritti
Nondimeno il problema più dibattuto al riguardo è quello relativo alle conseguenze che la rinunzia ai diritti successori effettuati dal legittimario dispiega sul calcolo della legittima, laddove non operi la rappresentazione.
La giurisprudenza ha, infatti, assunto al riguardo nel tempo orientamenti alquanto difformi e tutti a mio avviso discutibili sul piano della coerenza sistematica.
In un primo tempo infatti la Cassazione aveva sostenuto che «Ai fini della Determinazione della quota di riserva spettante al discendente legittimo (o naturale), in relazione alle varie ipotesi di concorso con altri legittimari, non va fatto riferimento alla situazione teorica, al momento dell’apertura della successione, che è suscettibile di mutare in conseguenza di eventuali rinunzie con effetto retroattivo, sibbene alla situazione concreta degli eredi legittimi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario. Pertanto, la misura di detta quota non va desunta dall’art. 542 c.c., in tema di concorso tra coniuge e figli, sibbene dall’art. 537, relativo al concorso tra soli figli, nell’ipotesi in cui il coniuge superstite, per aver accettato un legato in sostituzione della legittima, abbia abdicato alla qualità di erede, ex art. 551 c.c.»(77).
Secondo tale orientamento la rinuncia di un legittimario determina un ampliamento della quota degli altri legittimari che avrebbero concorso con il rinunziante e ciò non tanto per un fenomeno di accrescimento in senso tecnico, come sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza meno recenti(78), quanto per effetto di un ricalcolo della quota di legittima senza tenere conto della persona del rinunziante(79).
Poiché, infatti, il rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato nella sua posizione successoria (arg. ex art. 521 c.c.), stante l’effetto retroattivo della rinuncia, occorrerebbe rideterminare le quote di legittima come se egli non fosse esistito dal punto di vista dei diritti successori e fatto naturalmente salvo l’istituto della rappresentazione.
Successivamente con due note pronunce a Sezioni Unite la Suprema Corte ha al contrario affermato l’opposto principio secondo cui «Ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari»(80).
A sostegno del nuovo corso giurisprudenziale si è addotto che «Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante. La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria.
Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno dei legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest’ultimo.
Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall’altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al legittimario che non eserciti l’azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest’ultimo avrebbe potuto disporre.
La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per l’adesione alla tesi finora sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza.
Dalla formulazione degli artt. 537 c.c., comma 1 (“se il genitore lascia”), 538 c.c., comma 1 (“se chi muore non lascia”), 542 c.c., comma 1 (“se chi muore lascia”), 542 c.c., comma 2 (“quando chi muore lascia”), risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine, l’esperimento dell’azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari.
Mancano, pertanto, le condizioni essenziali (esistenza di una lacuna da colmare e possibilità di applicare il principio ubi eadem ratio ibi eadem legis dispositio) per una estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima.
La tesi criticata, poi, sembra in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest’ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio può disporre in favore di terzi. È evidente che l’esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all’apertura della successione, in funzione del numero di legittimari che dovessero esperire l’azione di riduzione.
Non possono, poi, essere taciuti gli inconvenienti pratici connessi alla adesione della c.d. espansione della quota di riserva.
Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l’esercizio dell’azione di riduzione è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al contrario di quanto avviene con riferimento all’accettazione dell’eredità (art. 481 c.c.). Ne consegue che all’apertura della successione ogni legittimario può esperire l’azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare di quest’ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all’esercizio dell’azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi».
A mio avviso nessuno di tali orientamenti giurisprudenziali ha colto pienamente nel segno.
Ed invero ogni qual volta il legittimario nei casi sopra esaminati, rinunciando ai propri diritti, perde la legittima in toto e la stessa qualità di legittimario, alla stregua del diritto positivo deve ritenersi che ciò determini un ampliamento dei diritti degli altri legittimari(81).
Ciò è reso evidente proprio dall’art. 552 c.c., secondo il quale, come si è visto, il legittimario che rinunzia all’eredità, quando non si ha rappresentazione, può ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti solo sulla disponibile e non in conto della legittima.
A tale riguardo detto articolo non solo impedisce al legittimario di trattenere le donazioni ed i legati sulla legittima, imponendogli di imputarli alla disponibile, ma assoggetta anche tale imputazione a speciali regole, penalizzanti rispetto a quelle valevoli per gli altri beneficiari di disposizioni a titolo particolare anche se estranei.
E infatti disposto che «quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l’eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest’ultimo».
L’unica logica possibile sottesa a tale norma risiede nella considerazione che gli altri beneficiari subiscono un danno ingiusto dall’imputazione alla disponibile, improvvidamente disposta del legislatore del ’42 sulla base di un pregiudizio storico (v. retro § La rinuncia del legittimario chiamato come erede che abbia ricevuto donazioni in vita o legati), di un legato che il de cuius aveva previsto come imputabile alla legittima.
Tant’è che la norma non si applica quando il legato o la donazione in favore del legittimario sono effettuati con dispensa dall’imputazione e dunque sono dal de cuius stesso concepiti come disposizioni che debbano andare a gravare sulla disponibile.
Il danno ingiusto subito dagli altri beneficiari di disposizioni a titolo particolare dunque deve consistere nella circostanza che la disponibile venga ad essere gravata da una ulteriore attribuzione liberale, in tal modo riducendo la capienza nella disponibile delle altre disposizioni a titolo particolare effettuate dal de cuius.
Ciò determina invero che tali disposizioni, che avrebbero trovato capienza nella disponibile e dunque non avrebbero leso la legittima se il legittimario non avesse perso, con la rinuncia, la sua qualifica di avente diritto a riserva, possano, a seguito della menzionata rinunzia, divenire lesive ed essere assoggettate a riduzione.
Di qui la sanzione a carico del legittimario rinunziante, che viene ad essere esposto in via prioritaria alla riduzione rispetto alle altre disposizioni a titolo particolare effettuate dal de cuius.
Ma, affinchè tale ingiusto pregiudizio si verifichi, occorre necessariamente che la quota di legittima del rinunziante non si accresca alla disponibile, altrimenti la rinunzia sarebbe sostanzialmente inoffensiva nei confronti dei beneficiari delle altre disposizioni a titolo particolare effettuate dal de cuius.
Orbene, il mancato accrescimento della quota di legittima del rinunziante alla disponibile è possibile solo se la perdita della qualità di legittimario del rinunziante determini un ampliamento della legittima degli altri legittimari.
Ne consegue che l’art. 552 c.c. necessariamente presuppone una variabilità delle quote individuali di legittima a seguito della rinunzia alla quota di riserva di taluno degli aventi diritto, contrariamente a quanto ritenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Sorprende peraltro che tale recente orientamento giurisprudenziale, nell’esaminare la questione, non abbia minimamente preso in considerazione nella materia in esame la sfortunata disposizione dell’art. 552 c.c.
Essa dunque, già malamente riuscita ed avulsa dal sistema anche prima dell’intervento delle Sezioni Unite, dopo tale intervento diverrebbe in sostanza addirittura inspiegabile(82), al punto da doversene prospettare un’interpretazione sostanzialmente abrogante.
Ma a mio avviso una tale operazione non è consentita all’interprete.
Del resto che il legislatore del ’42 nel redigere l’art. 552 c.c. presupponeva che la rinuncia all’eredità determinasse un ampliamento della quota degli altri legittimari, appare chiaro anche dalla lettura dei lavori preparatori, ove si legge:
«Le conseguenze pratiche cui si perviene nell’applicazione della norma dell’articolo 1003 del Codice del 1865 sono spesso contrarie alla previdenza ed alla volontà del padre di famiglia che abbia fatto delle assegnazioni in anticipazione di eredità. Infatti, la rinunzia alla successione da parte di un figlio che sia stato beneficiato con una donazione in conto di legittima, fa aumentare la quota di legittima degli altri figli e quindi può importare la riduzione di liberalità fatte dal de cuius a titolo di disponibile, che non sarebbero state soggette a riduzione se il legittimario avesse accettato. Ho riconosciuto pienamente fondati questi rilevi e quindi ho ritenuto necessario ricercare una diversa soluzione, che contemperasse i seguenti fondamentali principi:
a) il rispetto della volontà del de cuius, che, facendo la donazione in conto di legittima, non intendeva né precludersi la possibilità di attribuire a suo piacimento la disponibile, né alterare la situazione degli altri legittimari;
b) il principio che il rinunziante non deve ritenere nulla a titolo di legittima;
c) il principio per il quale, poichè il rinunciante è considerato estraneo all’eredità, gli altri legittimari devono assorbire l’intera legittima;
d) l’esigenza che gli eventuali beneficiari della disponibile non siano alla mercè del rinunciante»(83). Dall’art. 552 c.c. dunque deve necessariamente desumersi che, ogni qual volta un atto rinunziativo determini la perdita della qualità di legittimario, ciò produca un ampliamento della quota di riserva degli altri legittimari.
Ciò può essere con sicurezza affermato per la rinuncia all’eredità che, come si è visto, è considerata, sia pure in modo del tutto inopportuno, dal legislatore un atto che comporta necessariamente la perdita della qualità di legittimario.
Non può dunque condividersi l’assunto delle Sezioni Unite secondo cui l’unica funzione della retroattività della rinuncia all’eredità è quella di ricollocare le quote ereditarie del rinunziante nella successione intestata.
L’art. 552 c.c., infatti, presuppone come si è visto che a seguito della rinuncia all’eredità si debba procedere anche alla ricollocazione delle quote di legittima.
Ma a ben vedere tale fenomeno di rideterminazione delle quote di legittima non deriva tanto dalla rinuncia all’eredità in sé considerata, bensì dalla sua attitudine, nell’ottica del legislatore, a determinare anche una rinunzia alla legittima tout court.
Ma se ciò vero, il medesimo effetto di rideterminazione delle quote di legittima va ascritto ad ogni altro atto che determini la perdita della qualità di legittimario.
Peraltro la mutevolezza della quota di legittima in ragione della rinuncia di taluni degli aventi diritto è ammessa - sia pure nel solo caso di patto successorio rinunziativo alla quota di eredità intestata - anche nell’ordinamento tedesco, ove peraltro, come detto, la legittima non è conseguita mediante azioni dirette a conseguire la qualità di erede, ma con rimedi meramente obbligatori(84).
Piuttosto ancora una volta può dubitarsi dell’opportunità della scelta del legislatore del ’42, poiché sarebbe bastato prevedere come regola generale che la rinuncia alla legittima non determinasse modificazioni alle quote di riserva degli altri legittimari, per fare in modo che tale rinuncia andasse ad accrescere la disponibile, così evitando gli inconvenienti sopra esposti, cui la maldestra norma dell’art. 552 c.c. ha inteso porre rimedio.
Del resto l’esperienza dimostra che tale soluzione, ripudiata dal legislatore italiano, non è estranea alla tradizione giuridica di altri ordinamenti(85).
Ma evidentemente il legislatore del ’42, condizionato dal pregiudizio storico della legittima quale quota di eredità, non seppe sottrarsi all’adozione della medesima regola vigente per il caso di rinuncia all’eredità.
In ogni caso non vale obiettare che un sistema siffatto non consentirebbe al de cuius di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi.
Ed invero il sistema successorio vigente è tale da rendere sempre incerti sia la consistenza del patrimonio successorio sia l’individuazione degli aventi diritto alla successione.
Basti pensare che
- il valore dei beni del defunto su cui calcolare la quota di legittima è quello esistente al momento dell’apertura della successione, onde l’eventuale incremento di valore successivo all’atto di disposizione liberale altera irrimediabilmente eventuali calcoli effettuati dal disponente (artt. 747 - 750 c.c. richiamati dall’art. 556 c.c.);
- anche il novero dei soggetti aventi titolo alla legittima può mutare nel tempo, come nel caso di premorienza o di nascita di nuovi aventi titolo, ipotesi quest’ultima particolarmente controproducente per eventuali calcoli preventivi della quota di legittima, specie nel caso di nascituri concepiti al tempo della apertura della successione.
In tale contesto normativo l’esigenza di consentire al disponente la certezza sul proprio futuro assetto successorio appare più che mai un’utopia.
Per le stesse ragioni non appare di gran peso l’argomento secondo cui non essendo prevista per l’esercizio dell’azione di riduzione l‘actio interrogatoria, si produrrebbe un’inammissibile «incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi».
E ciò a prescindere dall’effettiva impossibilità di esperire nel caso di specie l‘actio interrogatoria(86).
In verità l’ordinamento positivo si preoccupa più della tutela degli aventi diritto a legittima che di quella dello stato soggettivo del de cuius o degli altri beneficiari di attribuzioni liberali.
L’eccezionale intensità con la quale il legislatore del ’42 tutela la posizione soggettiva dei legittimari può forse apparire eccessiva nell’attuale contesto socio economico, specie se rapportata alle soluzioni adottate al riguardo da altri ordinamenti(87).
Ma in una prospettiva de jure condito tale circostanza non appare superabile dall’interprete.
Peraltro, una volta chiarito che il sistema positivo impone di ricollocare la quota di legittima del rinunziante a seguito di atti comportanti rinunzia alla legittima, appare del tutto plausibile che si possano applicare analogicamente al riguardo, ove ricorra l’eadem ratio, i principi vigenti in materia di rinunzia all’eredità.
Il codice infatti non contiene una specifica disciplina degli effetti della rinunzia alla legittima(88).
In particolare sembra possibile applicare il principio secondo cui il rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato a rivestire la sua posizione successoria (arg. ex art. 521 c.c.)(89).
Ne consegue la necessità di rideterminare le quote di legittima come se egli non fosse esistito dal punto di vista dei diritti successori e fatto naturalmente salvo l’istituto della rappresentazione.
In tal modo la rinuncia alla legittima determina un ampliamento della quota degli altri legittimari che avrebbero concorso con il rinunziante, non tanto per un fenomeno di accrescimento in senso tecnico, quanto per effetto di un ricalcolo della quota di legittima che prescinda dalla persona del rinunziante. Né pare che tale soluzione si ponga in contraddizione con il principio secondo cui nel nostro sistema la legittima non è in quanto tale quota di eredità, atteso che analoga soluzione, come si è già avuto modo di rilevare (v. retro), è accolta, sia pure nel solo caso di patto successorio rinunziativo alla quota di eredità intestata, anche dal § 2310 del BGB nell’ambito di un ordinamento, quale quello tedesco, in cui è pacifico che la legittima non è quota di eredità.
La rinunzia parziale ai propri diritti da parte di taluno dei legittimari
Peraltro ogni qual volta il legittimario nei casi sopra esaminati, pur rinunciando a chiedere l’integrazione della legittima, consegua tuttavia attribuzioni patrimoniali di varia natura imputabili alla legittima medesima, egli, come si è già avuto modo di precisare, fa numero per il calcolo della quota di legittima. Si tratta ancora una volta di un corollario del polimorfismo causale della legittima.
Ciò ha importanza in primo luogo per la formale determinazione della quota di legittima, atteso che, in virtù del sistema della quota mobile adottato dal legislatore del ’42, siffatta determinazione dipende dal numero e dalla qualità dei soggetti concorrenti nella legittima.
Ma tale questione ha incidenza anche per la determinazione del contenuto sostanziale della quota di legittima o di disponibile, nel caso in cui il legittimario in favore del quale vengano effettuate attribuzioni patrimoniali di varia natura imputabili alla legittima, non consegua in tal modo l’intero valore della quota di riserva a lui spettante, per essere siffatte attribuzioni di importo inferiore a tale valore.
Occorre, infatti, chiedersi ove debba essere collocato il valore patrimoniale corrispondente alla differenza tra l’ammontare della quota di riserva e quello delle attribuzioni ricevute in conto della legittima.
Orbene la circostanza che il legittimario che rinunci a chiedere l’integrazione della legittima conservi nei casi sopra esaminati quanto ricevuto, imputandolo alla legittima, fa sì che la differenza tra l’ammontare della quota di riserva e quello delle attribuzioni ricevute in conto della legittima:
- si accresca alla legittima degli altri legittimari chiamati a concorrere nella medesima quota di legittima(90) ovvero
- si accresca alla disponibile se il legittimario rinunziante non ha concorrenti nella medesima quota(91). Nel primo caso (concorso di più legittimari nella medesima quota) l’unitarietà della quota riservata alla medesima categoria di legittimari fa sì che il valore residuo della legittima del rinunziante si accresca alla legittima degli altri soggetti complessivamente chiamati nella medesima quota.
Ad esempio se de cuius lascia solo tre figli, di cui uno consegua attribuzioni lesive della legittima, la quota di legittima dei figli nel loro complesso è di 2/3.
Se il figlio leso rinunzia a chiedere l’integrazione della legittima, la quota di legittima di complessivi 2/3 andrà ai suoi fratelli, al netto di quanto conseguito dal rinunziante.
Se infatti la regola dell’accrescimento, sia pure in senso atecnico, è stata come si è detto accolta in sede di rinunzia all’eredità da parte del legatario in conto della legittima, sarebbe invero paradossale che tale regola non debba trovare applicazione in una fattispecie rinunziativa di minore intensità quale è quella della mera rinunzia all’integrazione della legittima.
Nel secondo caso (legittimario cui la legge attribuisca una quota di legittima ad singolam personam) non potendosi determinare l’accrescimento del valore residuo della legittima del rinunziante ad altri soggetti, poiché il rinunziante è unico destinatario della quota riservata, tale valore non potrà che andare ad ampliare la quota disponibile.
Ad esempio se il de cuius lascia tre figli ed il coniuge, il quale ultimo consegua attribuzioni lesive della legittima, la quota di legittima del coniuge è di ¼ e quella dei figli è 2/4.
Se il coniuge leso rinunzia a chiedere l’integrazione della legittima, la disponibile diventa di 2/4, al netto di quanto conseguito dal rinunziante.
Tale conclusione s’impone poichè se il coniuge conserva la qualità di legittimario, la quota di legittima dei figli rimane di 2/4 e tutto il resto, al netto di quanto ricevuto dal coniuge sulla legittima, diventa liberamente disponibile dal de cuius.
Tuttavia siffatta ricostruzione è stata, a mio avviso ingiustamente disattesa, non solo dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione, ma anche dalla giurisprudenza precedente, che, pur condividendo la tesi della mutevolezza della quota di legittima in ragione della rinunzia degli aventi diritto, nondimeno affermava che «nell’ipotesi in cui il coniuge superstite, per aver accettato un legato in sostituzione della legittima, abbia abdicato alla qualità di erede, ex art. 551 c.c.» la quota di legittima non dovesse essere «desunta dall’art. 542 c.c., in tema di concorso tra coniuge e figli, sibbene dall’art. 537, relativo al concorso tra soli figli»(92).
Una tale presa di posizione, invero, può trovare la propria giustificazione solo in una pregiudiziale ostilità, frutto del condizionamento ideologico della dottrina della legittima quale quota di eredità, alla possibilità che legittima e qualità di legittimario possano essere conseguite con mezzi diversi dalle attribuzioni patrimoniali a titolo di eredità.
Ma lo stesso diritto positivo smentisce un tale pregiudizio, laddove afferma che il legato in sostituzione di legittima grava innanzitutto sulla legittima e dunque è chiamato a comporla, attribuendo al beneficiario di tale legato la qualità di legittimario.
Le prospettive de jure condendo
Il quadro normativo sopra delineato presenta a mio avviso luci ed ombre.
Il legislatore del ’42 infatti intese indubbiamente introdurre nell’ordinamento una disciplina della legittima più moderna di quella che era stata recepita nel codice del 1865 ed in quest’ottica tentò a più riprese di affrancarsi dall’ossequio alla tradizione francese della legittima quale quota di eredità. Cionondimeno egli non riuscì a liberarsi del tutto dal peso di tale tradizione, che assegnava al legittimario una posizione soggettiva munita di una tutela legale estremamente forte.
Ciò posto, nell’attuale contesto socio economico la straordinaria intensità con la quale la posizione del legittimario è tutelata dall’ordinamento è parsa a molti operatori del diritto eccessiva.
Essa in altre parole costituisce non di rado un pesante ostacolo alla circolazione della ricchezza, come risulta dalla disposizione di cui all’art. 563 - anche dopo la riforma operata dall’art. 2, comma 4-novies, del D.l. 14 marzo 2005, n. 35 (cd. decreto competitività), convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80 - ovvero un rilevante intralcio al ricambio generazionale nella gestione delle aziende.
In una prospettiva de jure condendo si pone dunque il problema di individuare le linee evolutive dell’istituto in esame che siano in grado di operare un equo contemperamento tra le giuste esigenze di solidarietà familiare, che sono alla base della successione necessaria, e la necessità, fortemente avvertita nella società moderna, di non frapporre eccessivi ostacoli alla circolazione della ricchezza ed all’efficiente gestione del patrimonio ereditario.
Orbene in quest’ottica mi sembra più che mai necessario portare a compimento quel processo di affrancamento della disciplina della successione necessaria dalla tradizionale concezione francese della legittima quale quota di eredità.
In altre a parole occorre innanzitutto recuperare il concetto, proprio del diritto romano classico, secondo cui la legittima è pars bonorum e non, in quanto tale, quota ereditaria.
Si tratta di una concezione che, oltre ad essere conforme alle nostre più antiche tradizioni giuridiche, è maggiormente funzionale alle moderne economie di mercato ed all’idea, coerente con il comune sentire, che la legittima è diretta esclusivamente a soddisfare esigenze di solidarietà familiare.
La visione della legittima quale quota di eredità è all’opposto funzionale ad una concezione arcaica della società, estranea alle economie più evolute, secondo cui il patrimonio va conservato all’interno della famiglia nucleare.
Se si accetta di compiere questo passaggio logico, si aprono prospettive de jure condendo di grande interesse.
La possibilità di qualificare la legittima come attribuzione patrimoniale policausale, che a mio parere è insita nell’attuale diritto positivo, consentirebbe, infatti, non solo, come già oggi avviene, di comporre la quota di legittima con disposizioni di liberalità di diversa struttura causale, ma anche e soprattutto di configurare il diritto all’integrazione della legittima, che spetta al legittimario leso o preterito, non più come una particolare forma di delazione ereditaria a titolo universale.
In altre parole sarebbe possibile introdurre una modifica normativa diretta a configurare il diritto del legittimario leso o preterito come un legato obbligatorio ex lege, vale a dire come un diritto ad ottenere dai beneficiari delle disposizioni testamentarie lesive il pagamento del tantundem necessario ad integrare la legittima.
Parimenti laddove il legittimario dovesse far valere il proprio diritto verso i beneficiari di liberalità fra vivi lesive della legittima, sarebbe possibile qualificare tale diritto come un modus ex lege della donazione lesiva(93), avente ad oggetto anche in tal caso il diritto ad ottenere dai beneficiari delle donazioni lesive il pagamento del tantundem necessario ad integrare la legittima.
In tale ottica l’azione di riduzione non potrebbe più essere qualificata come un’impugnativa negoziale, non essendo più diretta a consentire l’acquisizione al legittimario, a titolo di quota ereditaria, di quanto a lui manchi per integrare la legittima.
Essa andrebbe invece qualificata come azione di accertamento e di liquidazione del credito del legittimario al tantundem necessario ad integrare la legittima, credito che sorgerebbe ipso jure con l’apertura della successione.
Tali innovazioni invero non stravolgerebbero affatto il concetto di successione necessaria accolto dal codice del ’42, proprio a causa dell’attitudine della legittima ad essere composta da attribuzioni liberali della più diversa natura.
Tuttavia il degradamento del diritto del legittimario, da diritto reale sui beni ereditari a diritto di credito verso i beneficiari delle liberalità operate dal de cuius, consentirebbe di evitare molti degli inconvenienti oggi insiti nella disciplina della legittima.
Né varrebbe obiettare che tale degradamento comporterebbe un’inammissibile affievolimento della tutela dei legittimari, che rimarrebbero esposti alla possibilità di non riuscire a riscuotere dal soggetto obbligato il proprio credito, specie laddove vengano posti in essere da costui atti diretti a diminuire la garanzia patrimoniale.
Ai legittimari, infatti, in quanto creditori competerebbe pur sempre la possibilità di esperire i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui agli artt. 2900 e ss. c.c.
Del resto nell’attuale contesto socio – economico appare inspiegabile che i legittimari siano assistiti da mezzi di tutela poziori di quelli spettanti al creditore, considerato che tutti i moderni sistemi economici si basano sul credito.
In ogni caso, ove si ritenga la posizione del legittimario meritevole di particolare tutela, sarebbe sempre possibile introdurre per il credito da questi vantato un privilegio legale, purchè a mio avviso sia stabilito che tale privilegio non possa esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi in buona fede anteriormente al sorgere di esso.
(1) Il principio della intangibilità della legittima non è condiviso da tutti i paesi maggiormente sviluppati, poiché esso risulta essere pressochè ignorato dai paesi dell’area giuridica anglosassone, i cui ordinamenti sono maggiormente propensi a tutelare l’opposto principio dell’assoluta libertà di ciascuno di disporre delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Solo in epoca relativamente recente nel Regno Unito sono stati introdotti temperamenti alla libertà testamentaria con l’Intheritance Provision for Family ad Dependants Act del 1975, in base al quale il giudice può discrezionalmente disporre provvedimenti patrimoniali a favore dei congiunti del defunto in ragione delle necessità di mantenimento. Ma in tal caso è evidente che non si tratta di una vera è propria quota di riserva poichè essa non è predeterminata, ma dipende dalla valutazione discrezionale del giudice (F. MARUFFI, «La composizione qualitativa della quota di riserva», in Riv. dir. civ., 1995, II, p. 157; A. IANNACCONE, «Legittimari ed eredi legittimi nel diritto comparato», in Notariato, 1997, p. 469).
(2) F. SCHULZ, Principi di diritto romano, trad. it., Firenze, 1946, p. 61.
(3) In argomento v. diffusamente L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, XLIII, 2, Milano, 1992, p. 1 e ss.; L. DI LELLA, voce Successione necessaria (diritto romano), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1338 e ss.
(4) In argomento v. F. MARUFFI, op. cit., p. 162; A. IANNACCONE, op. cit., p. 465. Tale sistema è seguito dagli altri paesi che si ispirano alla tradizione giuridica germanica, quali l’Austria, la Finlandia e l’Ungheria (V. per l’Austria i §§ 786 e ss. ABGB (Allgemeines Burgerliches Gesetzbuch); per la Finlandia il Codice delle successioni di cui alla L. 4 febbraio 1965, n. 40 e successive modificazioni art. 7-5; per l’Ungheria v. A. IANNACCONE, op. cit., p. 466). Non dissimile dal precedente, per quanto interessa in questa sede, è il sistema, adottato in altri ordinamenti, secondo cui determinati congiunti del de cuius, hanno diritto ad un mero credito alimentare solo in relazione alla effettiva sussistenza di uno stato di bisogno; il riferimento va oltre che all’istituto dell’Intheritance del diritto inglese (v. retro nota 1 nonché, per il Canada francofono, l’art. 684 Code civil du Québec del 1994).
(5) Dunque nel diritto tedesco, nel solco della tradizione romanistica, la quota di legittima è determinata come frazione della quota intestata (portio portionis).
(6) Laddove per ripristinare il valore della legittima occorra attingere alle donazioni fatte in vita dal de cuius il § 2329 del BGB prevede che la persona avente titolo alla quota obbligatoria può domandare dal beneficiario di una donazione che egli restituisca quanto ricevuto allo scopo di ripristinare il relativo ammanco al patrimonio ereditario, in conformità alle disposizioni concernenti la restituzione dell’ingiusto arricchimento. Nondimeno è previsto che il donatario può evitare la restituzione della donazione pagando la somma corrispondente all’ammanco.
(7) Basti al riguardo considerare che nell’antico diritto consuetudinario germanico la quota disponibile era ottenuta dividendo il patrimonio per capi includendo, oltre che i figli, anche il de cuius, come se il patrimonio fosse virtualmente oggetto di comproprietà tra costoro (cfr. L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 160).
(8) L. FERRI, Dei Legittimari, artt. 536-564, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, Bologna, 1981, p. 15 e ss.; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 34 e ss.
(9) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 96.
(10) Relazione al progetto preliminare.
(11) Relazione sui lavori della Commissione parlamentare, n. 37.
(12) Relazione alla Maestà del Re Imperatore, n. 261.
(13) V. per tutti G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2009, p. 74 e ss.
(14) A favore della tesi secondo cui l’usufrutto generale attribuisce la qualità di erede v. infatti Cass. 12 settembre 2002, n. 13310, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 1, p. 644, con nota di F. MONCALVO, «Usufrutto generale sui beni ereditari e sostituzione fedecommissaria», in Giur. it., 2003, p. 644, con nota di P. GUIDA, in Riv. not., 2003, 2, p. 234, con nota di G. UNGARI TRASATTI, in Notariato, 2003, p. 580, con nota di G. CAPILLI, «Usufrutto generale e qualità di erede»; ma contra v. da ultima Cass. 26 gennaio 2010, n. 1557.
(15) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 126.
(16) Relazione al progetto definitivo, n. 86.
(17) Per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 394. In giurisprudenza Cass. 15 marzo 1958, n. 867, in Giust. civ., 1958, I, p. 1952; Cass. 1 febbraio 1960, n. 155, in Foro pad., 1961, I, p. 124; Cass. 24 maggio 1962, n. 1206, in Giust civ. Mass., 1962; Cass. 6 ottobre 1972, n. 2870, in Giur. it., 1974, I, 1, p. 826; Cass. 28 marzo 1981, n. 1787, in Foro it., 1981, 2, c. 2472; Cass. 21 luglio 1984, n. 4270, in Giust. civ. Mass., 1984; Cass. 7 apri1e 1990, n. 2923, in Giust. civ., 1991, 1, p. 707; Cass. 6 agosto 1990, n. 7899, in Giust. civ. Mass., 1990; Cass., 1 aprile 1992, n. 3950, in Foro it., 1993, 1, c. 194; Cass. 1 dicembre 1993, n. 11873, in Giust. civ. Mass., 1993; Cass. 9 dicembre 1995, n. 12632, in Giust. civ. Mass., 1995; Cass. 12 maggio 2000, n. 6085; Cass. 15 giugno 2006, n. 13804; Cass. 29 maggio 2007, n. 12496; Cass. 13 gennaio 2010, n. 368.
(18) Non è possibile in questa sede analizzare diffusamente tutte le tesi che al riguardo si sono contrapposte a quella dominante. Basti al riguardo rilevare che secondo alcuni autori il legittimario non è in quanto tale erede, ma solo successore a titolo particolare, al quale la legge riserva una pars honorum e non una quota di eredità. Fra i sostenitori di tale teoria, alcuni ritengono che il legittimario preterito sarebbe beneficiario di un vero e proprio legato reale ex lege che gli consentirebbe di acquistare ipso jure con l’apertura della successione la proprietà su una parte dei beni ereditari, onde egli eserciterebbe l’azione di riduzione allo scopo di accertare l’esistenza di tale diritto su i beni relitti o donati e di trasformarlo in virtù della sentenza che accoglie la domanda di riduzione «da diritto che cade su tutti i beni relitti (o donati) per una quota del loro valore, in diritto esclusivo su beni determinati o porzioni concrete di questi, se divisibili» (L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 129). In quest’ottica la legge parlerebbe di «quota di eredità» in senso atecnico per indicare una «quota di utile netto» (L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 7), mentre il legato in sostituzione di legittima non sarebbe altro che un «legato in sostituzione di altro legato» (L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 95). Altri ritengono che il legittimario preterito acquisti il menzionato legato ex lege solo a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione (F.S. AZZARITI - G. MARTINEZ - G.AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, p. 193 e ss.; G. AZZARITI, Successioni e donazioni, Napoli, 1990 231; G. AZZARITI - A. IANNACONE, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, Torino, 1997, p. 24). Isolata è rimasta la tesi di A. CICU (Le successioni, Milano, 1947, p. 246 e ss.), secondo cui occorrerebbe distinguere tra quota di eredità, che deve essere calcolata sul solo relictum, e quota di legittima, che si calcola sulla somma tra relictum e donatum. La prima si devolverebbe al legittimario ipso jure e costituirebbe una vera e propria vocazione ereditaria ex lege nel solco della tradizione francese. La seconda si devolverebbe solo in seguito all’esercizio dell’azione di riduzione, ma «con un mezzo tecnico nettamente distinto dalla vocazione ereditaria», vale a dire con un’azione obbligatoria simile all’antica actio ad supplendam legittimam, onde il nostro sistema sarebbe «il risultato della fusione dei sistemi romano e germanico- francese».
(19) V. per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 75 secondo cui, in coerenza con la tesi secondo cui il legittimario pretermesso è erede solo seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, la divisione testamentaria è nulla solo se ed in quanto il legittimario reclami la sua quota di eredità riservata.
(20) Per altro verso deve rilevarsi che l’intangibilità della legittima, intesa come diritto del legittimario a conseguire, tramite l’acquisto della qualità di erede, la proprietà di beni ereditari, è concepita nel nostro sistema come intangibilità quantitativa e non qualitativa. La dottrina (A. PINO, La tutela del legittimario, Padova, 1954, 112; L.D. CERQUA, «L’intangibilità della quota di legittima», in Foro pad., 1969, p. 100; P. FORCHIELLI, Della divisione, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, art. 713-768, Bologna-Roma, 1970, p. 204; L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 81; A.C. JEMOLO, «In tema di legittima», in Riv. dir. civ., 1971, II, p. 109; V. BOMBARDA, «Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione di conguagli», in Giust. civ., 1975, IV, p. 109; A. BURDESE, La divisione ereditaria, in Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, XII, 5, Torino, 1980, p. 263; G. CAPOZZI, op. cit., p. 474; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 95 e ss.; G. AMADIO, La divisione del Testatore, in Successioni e donazioni a cura di P. Rescigno, II, Padova 1994, p. 81; F. MARUFFI, op. cit., p. 154; Contra A. CICU, La divisione ereditaria, Milano, 1948, p. 75; ID., Successioni per causa di morte, in Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu e Messineo, XLII, Milano, 1961, p. 466; V. CASULLI, voce Divisione ereditaria, (dir. civ.), in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, p. 436; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 1962, p. 593) e la giurisprudenza (Cass. 6 luglio 1963, n. 1828, in Giust. civ., 1963, I, p. 2369, in Foro it., 1963, I, p. 2139; Cass. 28 giugno 1968, n. 2202, in Foro pad., 1969, I, p. 1000, con nota di L.D. CERQUA, op. cit.; Cass. 12 settembre 1970, n. 140, in Foro it., 1970, I, c. 2399; Cass. 8 agosto 1990, n. 8049; Cass. 9 febbraio 2005, n. 2617) dominanti, sono concordi nel ritenere che, come si desume dal combinato disposto degli artt. 5882, 549 ult. disp., 733, 734, 7352 c.c. il vigente ordinamento accoglie il principio della intangibilità meramente quantitativa e non qualitativa della legittima, nel senso che sarebbe consentito al de cuius di attribuire liberamente i beni ai vari eredi, ivi compresi i legittimari, senz’obbligo di formazione delle porzioni qualitativamente omogenee di cui all’art. 727 c.c., sempreché il valore di tali porzioni non leda la quota di legittima. Ed addirittura si ritiene valida la clausola testamentaria, disposta ai sensi dell’art. 733 comma 1, c.c., che attribuisca ad uno degli eredi la facoltà di scegliere i beni che andranno a formare la propria quota di fatto. Ciò in quanto tale disposizione non viola il principio della personalità della volontà testamentaria, perché la clausola che attribuisca la facoltà di scelta non è un negozio per relationem, ma un negozio già completo ed autonomo, si tratterebbe pur sempre di una norma stabilita dal testatore per la formazione delle porzioni ex art. 7331 c.c. La fattispecie inoltre si differenzia da quella prevista dall’art. 7332 c.c., che vieta che la divisione si effettui secondo la stima di un coerede, perché nell’ipotesi in esame è rimessa al coerede solo la scelta del bene che va a comporre la quota di fatto e non la stima di esso (L. FERRI, Dei Legittimari …, cit.; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 102; Cass. 6 luglio 1963, n. 1828, cit.; Cass. 12 settembre 1970, n. 1403; Cass. 8 agosto 1990, n. 8049).
(21) Si tratta di un meccanismo che non è estraneo nemmeno al sistema germanico della Pflichtteil. Dispone al riguardo il § 2315 del BGB che «Der Pflichtteilsberechtigte hat sich auf den Pflichtteil anrechnen zu lassen, was ihm von dem Erblasser durch Rechtsgeschäft unter Lebenden mit der Bestimmung zugewendet worden ist, dass es auf den Pflichtteil angerechnet werden soll», ossia «La persona avente titolo alla quota obbligatoria deve consentire che venga dedotta dalla quota di riserva qualunque donazione fatta dal testatore a suo favore in base a un atto fra vivi con la previsione che essa debba essere dedotta dalla quota di riserva».
(22) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 137. Ovviamente la possibilità di soddisfare la legittima con donazioni o legati, senza acquisire necessariamente la qualità di erede, è al contrario affermata dalla dottrina secondo cui la legittima è un legato reale ex lege (L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 7).
(23) Un analogo ragionamento viene effettuato anche in relazione ai legati ricevuti dal legittimario pretermesso come erede per i quali v. infra nota 54.
(24) Per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 229 e 233.
(25) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 124 e ss.; C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima. Il nuovo corso della Cassazione e i suoi riflessi in tema di donazioni e legati in conto di legittima», in Riv. dir. civ., 2008, p. 214.
(26) Per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 136.
(27) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 126; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, p. 150; Cass. 2 settembre 1953, n. 2936, in Foro it., 1954, I, c. 465.
(28) Come invece sostenuto da G. TAMBURRINO, voce Successione necessaria, in Enc. dir., Milano, 1990; V.E. CANTELMO, I legittimari, Padova, 1991, p. 85; G. CAPOZZI, op. cit., p. 503.
(29) Per tutti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 107, il quale inoltre sottolinea che «solo all’assegno divisionale è attribuito dalla legge carattere vincolante per tutti gli eredi, compreso l’assegnatario». Per una particolare interpretazione diretta, per quanto possibile, alla riproduzione del sistema di scelta valevole per il legato in sostituzione di legittima nel caso di liberalità inter vivos v. di recente A. RENTA, «Donazione e diritti dei legittimari: la donazione alternativa alla legittima», in Federnotizie, Settembre 2009.
(30) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 97.
(31) Cass. civ., 18 dicembre 1950, Bull. civ., 1950, I, n. 260, p. 262; Montpellier, 121 maggio 1952, Gaz. pal., 1952.2.158; Grenoble 10 novembre 1958, Gaz. pal., 1959.1.86.
(32) Cass. Roma 1 luglio 1898, in Foro it., 1898, I, c. 1257, con nota adesiva di G. BONELLI, «La composizione dei lotti nella divisione di eredità fatta dall’ascendente». Oltre a Bonelli si schierarono a favore di tale orientamento anche A. BUTERA, «La divisione degli ascendenti in rapporto ai beni che non possono comodamente dividersi», in Giur. it., 1923, I, 1, p. 432; A. VERGA, «Ancora sulla composizione dei lotti nella divisione d’ascendente», in Foro it., 1924, c. 169.
(33) P. D’ONOFRIO, Della divisione, in Comm. cod. civ. diretto da D’Amelio e Finzi, Libro delle successioni e donazioni, Firenze, 1941, p. 683; A. PINO, op. cit., p. 60 e 112; G. GAZZARA, voce Divisione ereditaria, in Enc dir., XIII, Milano 1964, p. 435; P. FORCHIELLI, op. cit., 204; L. CARIOTA-FERRARA, Le successioni per causa di morte, Napoli, s.d. ma 1977, p. 86; A. BURDESE, op. cit., p. 264; G. CAPOZZI, op. cit., p. 474; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 97 e 101; G. AMADIO, op. cit., p. 82; F. MARUFFI, op. cit., p. 155.
(34) Cass. Palermo 29 dicembre 1922, in Giur. it., 1923, I, 1, p. 432; Cass. 4 febbraio 1928, in Foro it., 1929, I, c. 782, con nota adesiva di CASTELLETT, «Ancora sulla interpretazione dell’art. 808 c.c. e sulla composizione irregolare delle quote nella divisione». Oltre a Castellett si schierò a favore di tale orientamento anche LOSANA, «La divisio inter liberos e i beni non comodamente divisibili», in Foro it., 1923, I, c. 233.
(35) Cass. 6 aprile 1963 n. 886, in Foro pad., 1963, I, p. 1066, in Giust. civ., 1963, I, p. 1601, in Foro it., 1963, I, c. 1748; Cass. 22 luglio 1963, n. 2023, in Riv. not., 1964, II, p. 239, in Foro pad., 1963, I, p. 1340; Cass. 28 giugno 1968, n. 2202, in Foro pad., 1969, I, p. 1000, con nota di L.D. CERQUA, op. cit.; Cass. 2 ottobre 1974, n. 2560, in Giust. civ., 1975, I, p. 67, in Foro it., 1975, I, c. 82, con nota di BARBARA, in Giur. it., 1975, I, 1, p. 1092, in Riv. not., 1975, II, p. 522; Cass. 23 marzo 1992, n. 3599, in Rass. dir. civ., 1994, 4, p. 819, con nota di V. TAVASSI, «Divisione testamentaria e preterizione divisoria del legittimario»; Cass. 12 marzo 2003, n. 3694, in Vita not., 2003, 1, p. 878, in Notariato, 2003, p. 471, con nota di S. TARDIO, «Un caso di nullità della divisione testamentaria», Riv. not., 2003, 2, p. 1629, in Giust. civ., 2004, 1, p. 471.
(36) Quale esempio di giurisprudenza schierata nel senso opposto della ammissibilità della divisione ereditaria mediante attribuzione di denaro non esistente nell’asse si suole talvolta citare Cass. 23 giugno 1972, n. 2107, in Riv. not., 1973, II, p. 63, in Giur. it., 1973, I, 1, p. 569, in Giust. civ., 1972, I, p. 1503 (v. F. MARUFFI, op. cit., p. 156). Nondimeno la citazione appare fuorviante, poiché tale sentenza sembra riferirsi al diverso problema di stabilire se, posto che la divisione avvenga in natura e che dunque a ciascun condividente siano assegnati beni facenti parte dell’asse ereditario, sia tuttavia consentito colmare eventuali disuguaglianze tra le quote di fatto e le quote di diritto mediante conguaglio in denaro (Cfr. le giuste critiche di G. AMADIO, op. cit., p. 57). Su tale ultimo e diverso problema v. infra nota 43. Singolare è inoltre la decisione (Trib.Napoli 26 giugno 1997, in Arch. civ., 1998, p. 953, con nota di SANTARSIERE) secondo cui, posto che è nulla la divisione fatta dal testatore che imponga ad un erede, destinatario anche della disponibile, l’obbligazione di liquidare con proprio denaro la legittima spettante ad un coerede, «la nullità della divisione del testatore non determina l’apertura della successione legittima, essendo travolto solo il concreto apporzionamento dei beni, non la disposizione, che ha istituito per quote i soggetti dichiarati, di modo che si ha il ripristino della comunione ereditaria e la nuova ripartizione dei beni va predisposta in conformità alle indicazioni dettate dal de cuius, da valere quali criteri per la divisione, nella misura in cui non importino lesione di diritti dei condividenti».
(37) In controtendenza all’orientamento dominante in dottrina, ammettono la possibilità di effettuare la divisione del testatore attribuendo ai legittimari solo semplici crediti verso i coeredi F.S. AZZARITI - G. MARTINEZ - G.AZZARITI, op. cit., p. 207; V. BOMBARDA, op. cit., p. 130. Azzariti si basa in particolare sulla considerazione che al testatore dovrebbero riconoscersi le stesse facoltà che spettano ai condividenti nella divisione amichevole.
(38) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 96.
(39) In contrario è stato sostenuto che, nell’ipotesi di cui all’attuale art. 734 c.c., la divisio inter liberos impedisce il sorgere della comunione ereditaria e quindi farebbe sì che il legittimario non possa vantare un diritto reale sull’asse ereditario (P. GUIDI, «Facoltà dell’ascendente in merito alla composizione dei lotti nella divisione inter liberos», in Foro it., 1928, c. 462).
(40) Cass. 2 ottobre 1974, n. 2560, cit.; Cass. 23 marzo 1992, n. 3599, cit.
(41) G. CAPOZZI, op. cit., p. 476; Trib. Napoli 26 giugno 1997, cit.
(42) F. MARUFFI, op. cit., p. 155.
(43) Osservazioni e proposte sul libro delle successioni, II, p. 310. Ulteriore e diverso problema è quello di stabilire se nella divisione del testatore, nell’attribuire a ciascun coerede una porzione in natura di beni esistenti nell’asse, il de cuius possa, al fine di compensare le disuguaglianza delle quote di fatto rispetto alle quote di diritto, imporre l’obbligo del pagamento di conguagli mediante denaro personale del coerede gravato dell’obbligo relativo. Ed al riguardo si tende ad ammettere in dottrina tale disposizione nell’ipotesi in cui non sia possibile dividere altrimenti i beni ereditari (L. MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 148 e ss.; G. GAZZARA, op. cit., p. 345; P. FORCHIELLI, op. cit., 205; A. BURDESE, op. cit., p. 264; G. CAPOZZI, op. cit., p. 1435; V. BOMBARDA, op. cit., p. 115 e 124; G. AMADIO, op. cit., p. 77; F. MARUFFI, op. cit., p. 155.). Anche la giurisprudenza ammette il conguaglio in denaro «sia per correggere le ineguaglianze in natura nelle quote ereditarie che già si presentino all’atto della formazione del piano concreto di ripartizione, sia per assicurare ai lotti il loro valore originario sino all’apertura della successione rispetto agli eventuali squilibri dovuti alla fluttuazione dei prezzi di mercato o ad altri non prevedibili eventi. Tali conguagli non possono essere considerati come assegnazioni dato che non si tratta di beni ereditari, ma neppure possono ritenersi assegni divisionali in senso tecnico, aventi la natura di legati obbligatori divisionis causa; infatti mentre l’assegno divisionale e una norma per la futura divisione, il conguaglio disposto dal testatore in sede di divisione presuppone una divisione già fatta e non può essere concepito altrimenti che come legato con funzione divisoria» (Cass. 23 giugno 1972, n. 2107, cit.; nello stesso senso Cass. 24 ottobre 1981, n. 5568, in Riv. not., 1982,1, II, p. 135, Cass. 22 novembre 1996, n. 10306). Ma anche in tali ipotesi rimarrebbe fermo in ogni caso il principio che la divisione debba avvenire mediante attribuzione a ciascun condividente di una porzione di beni ereditari.
(44) F. MAGLIULO, «La tacitazione della legittima con beni non ereditari», in Notariato, 2001, p. 412 e ss.
(45) Per evitare eccezioni al riguardo potrebbe ipotizzarsi che la vendita o la permuta divisate prevedano la nomina di un terzo arbitratore che determini in base a prudente apprezzamento il prezzo o l’ammontare dell’eventuale conguaglio permutativo.
(46) Esplicito al riguardo era l’art 1039 del codice del 1865 secondo cui «l’azione di rescissione si ammette contro qualunque atto, che abbia per oggetto di far cessare tra i coeredi la comunione degli effetti ereditari, ancorchè fosse qualificato con titoli di vendita, di permuta, di transazione, od in qualunque altra maniera». Nel senso della applicabilità dell’art. 764 c.c. alla vendita o alla permuta effettuate fra coeredi allo scopo di sciogliere la comunione ed aventi l’effetto di attribuire valori corrispondenti alla quota V.R. CASULLI, voce Divisione ereditaria (diritto civile), in Novis. dig. it., VI, Torino, 1957, p. 55; G. MIRABELLI, voce Divisione (diritto civile), in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, p. 33 e ss.; A. CICU, Successioni per causa di morte, cit., p. 403 e ss. e 494 e ss.; F.D. BUSNELLI, voce Comunione ereditaria, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 282, nota 24; L. FERRI, Trascrizione immobiliare, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, art. 2643-2696, Bologna-Roma, 1962, p. 190 e ss.; L.V. MOSCARINI, «Gli atti equiparati alla divisione», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1963, p. 540; P. FORCHIELLI, op. cit., p. 12 e ss.; G. BRANCA, Comunione e condominio negli edifici, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, art. 1100-1139, Bologna- Roma, 1972, p. 269 e ss.; V. BOMBARDA, op. cit., p. 110 e 117; A. BURDESE, op. cit., p. 86; G. CAPOZZI, op. cit., p. 1327; V. DE CESARE-GAETA, La divisione ereditaria, in Successioni e donazioni a cura di P. Rescigno, II, Padova, 1994, p. 32.
(47) Per tutti G. MIRABELLI, op. cit.; A. CICU, op. ult. cit.; P. FORCHIELLI, op. cit.; A. BURDESE, op. cit., i quali ritengono che «rientrano nel concetto di divisione, accanto alla divisione “pura” o “naturale” - quella cioè in cui ciascuno dei condividenti riceve beni o diritti facenti parte dell’asse ereditario - anche la cosiddetta divisione “civile” e tutti quegli altri atti che, in un modo o nell’altro, assolvano non occasionalmente la funzione distributiva, propria della divisione» (P. FORCHIELLI, op. cit., p. 14). Altra parte della dottrina qualifica la fattispecie come negozio indiretto, laddove la vendita o la permuta è il negozio mezzo e la divisione è il negozio fine (G. CAPOZZI, op. cit., p. 1328; V. DE CESARE-GAETA, op. e loc. cit.).
(48) Ma forse le conclusioni non mutano anche aderendo alla tesi del negozio indiretto, poiché si tende a ritenere applicabili al negozio indiretto le norma di carattere sostanziale relative al negozio fine.
(49) L’effettiva portata di tale divieto è invero discussa in dottrina. Esso viene interpretato dall’orientamento prevalente in modo assai ampio, come riferito ad «ogni disposizione che diminuisca vel in quantitate vel in tempore, i diritti riservati ai legittimari o comunque modifichi la loro posizione giuridica rispetto ai beni appartenenti alla riserva» (L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 90). In tale ottica la possibilità per il testatore di assegnare, a fronte della quota di legittima, un bene piuttosto che un altro, di cui agli artt. 733 e 734 c.c., costituisce una deroga al principio generale della inammissibilità di qualunque peso a carico della legittima, atteso che la divisione testamentaria conduce pur sempre ad alterare la posizione giuridica dei legittimari rispetto alla quota di legittima loro spettante. Ne deriverebbe che l’inciso «salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro» contenuto nell’art. 549 c.c. e riferito appunto, tra l’altro, alle norme in tema di divisione del testatore, avrebbe natura di eccezione in senso tecnico (A. CICU, Le successioni, cit., p. 229; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 100). Quest’ultima affermazione tuttavia non pare del tutto condivisibile. Ed invero la possibilità per de cuius di influenzare validamente la composizione qualitativa della quota di riserva nel vigente ordinamento va ben oltre le sole norme in tema di divisione del testatore, cui fa rinvio l’art. 549 c.c. Lo stesso effetto può essere infatti ottenuto effettuando delle donazioni in vita per i beni ritenuti dal de cuius indivisibili, in modo da lasciare cadere in eredità solo i residui beni che si intenda attribuire ai legittimari. Contro tali donazioni nulla potrebbero eccepire i legittimari, se i valori dei cespiti non siano tali da ledere dal punto di vista esclusivamente quantitativo la legittima. Ed anzi nulla vieta al testatore di vendere in vita il bene ritenuto indivisibile ad uno degli eredi, con pagamento del prezzo differito, e lasciare che cada in successione il credito relativo al pagamento del prezzo. In tal caso i legittimari dovrebbero accontentarsi di soddisfare i propri diritti con mere ragioni di credito nei confronti dell’acquirente-coerede e nulla potrebbero essi eccepire se non che il prezzo non sia adeguato al valore reale del bene, onde l’eventuale eccedenza sia considerata attribuita a titolo di donazione indiretta. Tutto ciò dimostra che il principio della intangibilità quantitativa della legittima in relazione agli artt. 733 e 734 c.c. non costituisce eccezione alla regola generale dell’art. 549 c.c., come farebbe pensare l’impropria formulazione della norma, sibbene un principio generale desumibile dall’insieme delle norme che regolano la successione a causa di morte. Dunque il divieto di pesi e condizioni sulla legittima va correttamente riferito, come affermato dalla più recente dottrina, ai soli pesi e condizioni che abbiano l’effetto di diminuire o ledere quantitativamente la legittima (V.E. CANTELMO, I legittimari, I limiti alla libertà di disporre, in Successioni e donazioni a cura di P. Rescigno, I, Padova 1994, p. 516; C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia - Le successioni, Milano, 1985, p. 527 e sembra L. FERRI, Trascrizione immobiliare, cit., p. 84).
(50) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 101 sottolinea che nessun dubbio può esservi sul fatto che l’art. 549 c.c., nel consentire la deroga al divieto di pesi sulla legittima in materia di divisione, faccia riferimento anche all’art. 733 c.c., ancorchè in detta norma non è ripetuto l’inciso «comprendendo nella divisione anche la parte non disponibile» di cui al comma 1 dell’art. 734 c.c. Tale lacuna dipende da un difetto di coordinamento poichè nel progetto preliminare al c.c. gli artt. 733 e 734 c.c. erano contenuti in un unico articolo (il 330); quando esso fu sdoppiato si dimenticò di riprodurre l’inciso anche nell’art. 733 c.c.
(51) G. CAPOZZI, op. cit., p. 509.
(52) F. SANTORO-PASSARELLI, Legato privativo di legittima, in Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, p. 659; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 107; G. CAPOZZI, op. cit., p. 509. Un principio analogo è sancito dal § 2307 del BGB ove si dispone «Ist ein Pflichtteilsberechtigter mit einem Vermächtnis bedacht, so kann er den Pflichtteil verlangen, wenn er das Vermächtnis ausschlägt. Schlägt er nicht aus, so steht ihm ein Recht auf den Pflichtteil nicht zu, soweit der Wert des Vermächtnisses reicht». Vale a dire «se è disposto un legato in favore di una persona avente titolo alla quota obbligatoria, ella può chiedere la sua quota obbligatoria se rinuncia al legato. Se non rinuncia ad esso, ella non ha titolo alla quota obbligatoria fino al valore del legato».
(53) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 138; G. IUDICA, Il legato in conto di legittima, in Tratt. dir. succ e don., diretto da G. Bonilini, III, La successione legittima, Milano, 2009, p. 348 e ss.
(54) Invece secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 138, in tal caso l’imputazione ex se del prelegato non «non porta i beni che ne sono oggetto a far parte della legittima. Essa è pura operazione di calcolo con la quale si stabilisce che il valore della quota devoluta al legittimario in base al testamento o ab intestato è pari o superiore al valore residuo della sua porzione legittima dopo la sottrazione della liberalità imputabile. La liberalità è in conto nel senso che deve essere computata per stabilire la riducibilità delle altre liberalità, ma non è destinata a concretare la legittima perché non vi è luogo in ipotesi a devoluzione della quota di riserva come tale». Contra G. IUDICA, op. cit., p. 361. Ma a mio avviso tale affermazione è ancora una volta frutto di un pregiudizio storico legato alla tradizione della legittima quale quota di eredità, secondo la quale le attribuzioni liberali entrano a far parte della legittima solo nella misura in cui l’avente il legittimario si procuri il titolo ereditario, reclamando la quota di eredità derivante dalla successione necessaria. Ed invero, come si è cercato di dimostrare in relazione alle donazioni ricevute in vita del disponente (v. retro § “La legittima quale attribuzione patrimoniale policausale. Le disposizioni a titolo particolare imputabili alla legittima”), il legittimario donatario trattiene sempre le liberalità a titolo particolare dal medesimo ricevute senza dispensa dall’imputazione a valere sulla sua quota di legittima, in quanto l’ordinamento non prevede l’esperimento dell’azione di riduzione se non per ottenere appunto la riduzione di disposizioni lesive. Ne consegue che il legittimario soddisfatto nella legittima con attribuzioni liberali a titolo particolare non può esperire alcuna azione per reclamare la qualità di legittimario, ma sarebbe assurdo che in tal caso egli non possa essere qualificato a tutti gli effetti come legittimario (v. infatti in tal senso G. IUDICA, op. cit., p. 362).
(55) G. IUDICA, op. cit., p. 350.
(56) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 139; G. IUDICA, op. cit., p. 352 e ss., il quale sottolinea la differenza del legato in esame con l’assegno divisionale ex art. 733 c.c.: con il legato il beneficiario acquista immediatamente all’apertura della successione la proprietà del bene che ne è oggetto senza bisogno di accettazione e potrà anche rinunciare all’eredità trattenendo il bene legato.
(57) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 139; G. IUDICA, op. cit., p. 363.
(58) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 110.
(59) Per tutti A. CICU, «Legato in conto o sostituzione di legittima», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 282; L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 126 e 140; CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, 5, I, Torino, 1997, 408; L. GARDANI CONTURSI LISI, voce Successione necessaria, in Dig., disc. priv., XIX, Torino, 2001, p. 115.
(60) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 128; G. IUDICA, op. cit., p. 356.
(61) W. D’AVANZO, Delle successioni, Firenze, 1949-41, p. 438 e ss.; G. AZZARITI, Successioni e le donazioni, cit., p. 274; A. ZACCARIA, Commentario essenziale al libro II, Padova, 1998, p. 40; G. CAPOZZI, op. cit., p. 507.
(62) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 128; G. IUDICA, op. cit., p. 357.
(63) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 128; G. IUDICA, op. cit., p. 357.
(64) Cass. 6 marzo 1992, n. 2708, in Vita not., 1992, 1, p. 1216.
(65) Sulla natura e gli effetti degli atti di disposizione della legittima v. diffusamente A. BULGARELLI, «Gli atti “dispositivi” della legittima», in Notariato, 2000, p. 481 e ss.
(66) Come quello del diritto di abitazione e di uso in favore del coniuge superstite di cui al secondo comma dell’art. 540 c.c.
(67) Nei lavori preparatori l’omissione è giustificata con la considerazione, frutto del condizionamento della tradizione francese della legittima quale quota di eredità, che la disposizione omessa doveva ritenersi superflua in quanto «solo l‘erede ... ha diritto alla legittima» (Relazione alla Maestà del Re Imperatore, n. 270).
(68) C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima …», cit., p. 221.
(69) Relazione alla Maestà del Re Imperatore, n. 270.
(70) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 153.
(71) F. SANTORO-PASSARELLI, Dei legittimari, in Comm. cod. civ., diretto da D’Amelio e Finzi, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Firenze, 1941, p. 305.
(72) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 152.
(73) L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 129, secondo il quale in questo caso il legislatore si sarebbe fatto condizionare dal pregiudizio teorico secondo cui la legittima sarebbe quota di eredità; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 163; G. IUDICA, op. cit., p. 368 che parla di una fictio iuris.
(74) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 152, nt. 105.
(75) Cfr. L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 221 e Relazione alla Maestà del Re Imperatore, n. 271 ove si legge che l’imputazione delle liberalità fatte all’ascendente «intende tenere immutate, a salvaguardia dei terzi, le aspettative già consolidate».
(76) V. infatti L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 122 nt. 35, il quale confutando l’opposta tesi di G. TRABUCCHI in Giur. it., 1954, I, 1, p. 915, sostiene che la scelta del legatario in sostituzione di legittima che preferisca chiedere la legittima in luogo del legato dia luogo ad una vera e propria rinuncia al legato sostitutivo. Tale rinuncia non può, secondo l’autore citato, dar luogo alla rappresentazione perché «il legatario rinunziante conserva la qualità di legittimario», mentre la rappresentazione potrebbe operare nella successione necessaria solo ove il legittimario perda tale qualità, come avviene quanto «dopo avere rinunziato al legato, il legittimario rinunziasse anche all’azione di riduzione».
(77) Cass. 9 marzo 1987, n. 2434, in Riv. not., 1987, 2, p. 578, in Giust. civ., 1987, 1, con nota di G. AZZARITI, «Criteri per il calcolo della riserva nel caso di rinunzia da parte di alcuni degli aventi diritto»; Cass. 11 febbraio 1995 n. 1529, in Giust. civ., 1995, 1, p. 2117, con nota di N. DI MAURO, «Effetti della rinunzia alla legittima da parte di uno degli eredi necessari: rideterminazione delle quote di riserva o accrescimento?», in Riv. not., 1996, 2, p. 639, in Giur. it., 1996, 1, 1, p. 1139, con nota di SCARLATELLI, «Sugli effetti della rinunzia alla quota legittima nella successione necessaria».
(78) D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino 1965, II, p. 1038 e ss.; S. PIRAS, Successioni per causa di morte, Parte generale, Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. a cura di Grosso e Santoro Passarelli, II, 3, Milano 1965, 204 e ss.; L. CARIOTA FERRARA, op. cit., p. 237 e ss. In giurisprudenza Cass. 27 gennaio 1943, in Riv. dir. priv., 1944, II, p. 1; Cass., 24 gennaio 1957 n. 221, in Rep. Giust. civ., 1957, v. Successioni, 64; Cass., 26 ottobre 1976, n. 3888, Mass. Giust. civ., 1976.
(79) Per la verità anche nella successione intestata è discusso se, a seguito della rinunzia all’eredità, si verifichi un vero e proprio fenomeno di accrescimento, come lascerebbe supporre la lettera dell’art. 522 c.c., ovvero, come pare a mio avviso preferibile, una mera rideterminazione delle quote ereditarie senza tenere conto del rinunziante in dipendenza della retroattività della rinunzia. In argomento v. diffusamente E. SIPIONE, «Considerazioni sull’accrescimento nella successione legittima», in Riv. not., 1996, p. 827 e ss.
(80) Cass., S.U., 9 giugno 2006, n. 13429, in Foro it., 2006, 1, c. 2727, in Corr. giur., 2006, p. 1711, con nota di U. STEFINI, «Determinazione della quota di riserva in presenza di legittimari rinunzianti all’azione di riduzione», in Notariato, 2006, p. 671, con nota di F. LOFFREDO, «La determinazione della quota di riserva spettante ai legittimari nel caso in cui uno di essi rinunci all’eredità ovvero perda, per rinuncia o prescrizione, il diritto di esperire l’azione di riduzione»; Cass., S.U., 12 giugno 2006, n. 13524; Cass. 13 febbraio 2008, n. 3471. Nello stesso senso C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima …», cit., p. 212.
(81) F. SANTORO-PASSARELLI, Dei legittimari, cit., p. 275; L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 146 e ss.; L. FERRI, Dei Legittimari …, cit., p. 27; G. IUDICA, op. cit., p. 366 e ss.
(82) Per tentare di dare un senso alla norma di cui all’art. 552 c.c. la dottrina che aderisce alla soluzione interpretativa proposta dalle Sezioni Unite ha affermato che «Il pregiudizio che può derivare agli assegnatari sulla disponibile dalla rinunzia all’eredità da parte del legittimario, è riscontrabile nell’ipotesi di legittimario tenuto a conferire in collazione le donazioni ricevute. Nel caso in cui la collazione valesse a soddisfare la legittima degli altri eredi, l’accettazione dell’eredità renderebbe inattaccabili le assegnazioni fatte sulla disponibile. La rinunzia all’eredità, esimendo il legittimario dall’obbligo della collazione, esporrebbe invece gli assegnatari all’azione di riduzione dei legittimari rimasti insoddisfatti» (C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima …», cit., p. 219). Ma nell’art. 552 c.c., come si è già avuto modo di rilevare, il danno ingiusto subìto dai beneficiari di liberalità sulla disponibile per effetto della rinuncia all’eredità da parte del beneficiario di liberalità in conto di legittima è determinato dallo spostamento dell’imputazione di tale liberalità dalla legittima alla disponibile e non dal mancato assoggettamento della stessa a collazione. Ciò risulta evidente dalla circostanza che l’assoggettamento preferenziale a riduzione del legittimario disposto dalla norma in esame, quale pena per la rinunzia all’eredità, non trova applicazione quando vi è stata espressa dispensa dall’imputazione. In tale ultimo caso infatti la liberalità a favore del legittimario gravava sin dall’origine sulla disponibile e dunque non si sposta dalla legittima alla disponibile per effetto della rinunzia all’eredità. Se invece fosse fondata la tesi qui criticata, la norma avrebbe dovuto escludere la sua applicazione nel caso in cui vi fosse stata dispensa dalla collazione e non dall’imputazione. In ogni caso, poi, è tutt’altro che pacifico che la collazione possa valere a soddisfare la legittima degli altri eredi, in quanto è stato autorevolmente sostenuto al riguardo che il legittimario che ha ricevuto una donazione «è tenuto a imputare la donazione fino a concorrenza della sua porzione legittima, mentre l’eccedenza è imputata sulla disponibile. In questa misura il bene donato, in virtù della collazione, rientra nella massa dividenda come parte della disponibile, mentre la riserva, ove occorra, sarà reintegrata mediante riduzione delle altre liberalità» (L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 142). Del resto, se non si condividesse tale ultima impostazione, si verificherebbe, ai danni del legittimario - donatario, un’ingiustificata disapplicazione delle norme che disciplinano l’ordine delle riduzioni (artt. 555, secondo comma, e 559 c.c.). Invece deve ritenersi che, anche laddove operi la collazione, rimanga fermo il principio generale che la legittima del legittimario pretermesso o leso debba essere composta in via prioritaria con le liberalità, effettuate in favore di altri soggetti, aventi data più recente e, solo se necessario, con quelle più remote.
(83) Relazione alla Maestà del Re ed Imperatore, n. 270.
(84) Cfr. il § 2310 del BGB ove in materia di determinazione della quota di eredità ai fini del calcolo della quota obbligatoria spettante al legittimario si prevede che «Wer durch Erbverzicht von der gesetzlichen Erbfolge ausgeschlossen ist, wird nicht mitgezählt», ossia «Colui che sia escluso dalla successione intestata a seguito di patto successorio rinunziativo all’eredità non è incluso nel calcolo».
(85) Sempre il § 2310 dispone come regola generale che, ai fini della determinazione della quota di eredità rilevante ai fini del calcolo del valore della quota obbligatoria, si computano le persone che sono escluse dalla successione da disposizioni testamentarie o hanno rifiutato l’eredità o sono state dichiarate indegne ad ereditare («Bei der Feststellung des für die Berechnung des Pflichtteils maßgebenden Erbteils werden diejenigen mitgezählt, welche durch letztwillige Verfügung von der Erbfolge ausgeschlossen sind oder die Erbschaft ausgeschlagen haben oder für erbunwürdig erklärt sind»). Si tratta di una soluzione che risale al diritto romano. Cfr. sul punto L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 162, nt. 12.
(86) V. infatti per la possibilità di esperire tale rimedio in applicazione analogica dell’art. 481 c.c. L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 243, ovvero ex art. 650 c.c., nella prospettiva di chi ritiene il legittimario un legatario ex lege, A. BULGARELLI, op. cit., p. 481 e ss. Contra G. AZZARITI, op. ult. cit., p. 318, secondo cui, essendo l’efficacia della devoluzione dei beni al legittimario differita al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, dovrebbe escludersi nella specie l’applicabilità analogica dell’actio interrogatoria, trattandosi di norma eccezionale applicabile solo nei confronti di colui a favore del quale sia già operativa un’attribuzione mortis causa.
(87) Basti pensare ad esempio che nel BGB al § 2325 è previsto che laddove il testatore abbia effettuato una donazione in favore di un terzo, il legittimario può chiedere, in aumento della sua quota obbligatoria, l’importo del quale la quota obbligatoria risulta aumentata aggiungendo l’oggetto della donazione all’asse ereditario. Ma a tale riguardo è previsto che «Eine verbrauchbare Sache kommt mit dem Wert in Ansatz, den sie zur Zeit der Schenkung hatte. Ein anderer Gegenstand kommt mit dem Wert in Ansatz, den er zur Zeit des Erbfalls hat; hatte er zur Zeit der Schenkung einen geringeren Wert, so wird nur dieser in Ansatz gebracht», vale a dire: «Un bene consumabile è computato al valore che esso aveva all’epoca della donazione. Ogni altro oggetto è computato al valore che esso aveva all’epoca della devoluzione dell’eredità; ma se il suo valore era minore al tempo della donazione, solo tale valore è considerato nel calcolo».
(88) A. BULGARELLI, op. cit., p. 481 e ss.
(89) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 163, secondo il quale l’argomento letterale, che fa riferimento ai soggetti “lasciati” dal defunto, giudicato «un ostacolo insormontabile» dalle Sezioni Unite alla tesi della variabilità della quota di legittima, è in realtà “inconsistente”. Invece secondo A. BULGARELLI, op. cit., p. 481 e ss. «I legittimari preteriti e rinunzianti alla riduzione non saranno … calcolati ai fini della determinazione della quota indisponibile non in virtù dell’applicazione dell’art. 521 c.c., posto che lo stesso è applicabile alle sole quote di eredità, ma in quanto non potranno essere considerati come soggetti che hanno conservato il proprio diritto alla quota di riserva, per la quantificazione del quale si dovrà dunque far ricorso alle norme del libro I titolo I capo X del codice civile».
(90) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 125 in reazione al legato in sostituzione di legittima; contra C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima …», cit., p. 214.
(91) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, parte speciale, successione necessaria, cit., p. 127 in reazione al legato in sostituzione di legittima; contra C.M. BIANCA, «Invariabilità delle quote di legittima …», cit., p. 215.
(92) Cass. 9 marzo 1987, n. 2434, cit.; Cass. 11 febbraio 1995, n. 1529, cit.
(93) Si ritiene infatti che l’onere donativo a favore di soggetti determinati concreti una particolare forma di attribuzione liberale in favore del beneficiario del modus (v. per tutti G. CAPOZZI, op. cit., p. 1586).
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