La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima
La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima
di Mauro Criscuolo
Consigliere della Corte di Cassazione

Premesse

La tutela dei creditori del legittimario nei confronti degli atti posti in essere dal loro debitore ed idonei a pregiudicare il diritto alla quota di legittima, e di riflesso l’aspettativa dei primi, costituisce un argomento che solo negli ultimi anni sembra aver suscitato l’interesse della dottrina e della giurisprudenza.
Non è un caso che all’interno dello stesso codice civile, tra le numerose norme espressamente dedicate a delineare il sistema di tutela del legittimario, vi sia un solo articolo, e precisamente l’articolo 557 c.c., che faccia espressa menzione dei creditori, e per di più non dei creditori del legittimario, bensì dei creditori del defunto.
Tale scelta appare d’altronde consequenziale all’approccio tradizionale del nostro ordinamento giuridico il quale per l’appunto ha inteso privilegiare la posizione del legittimario preoccupandosi precipuamente di valutare la contrapposta posizione dei beneficiari delle disposizioni lesive, dimenticando tuttavia che anche i creditori del legittimario, in ragione della possibilità di poter contare su di un patrimonio più capiente, in conseguenza del pieno riconoscimento della quota di riserva, nutrono un interesse, una volta apertasi la successione, non di mero fatto alla definitiva risoluzione delle vicende successorie che vedono coinvolto il loro debitore.
La centralità che nell’impianto del codice civile riveste la figura del legittimario risulta confermata anche dalle, ormai non più recenti novelle legislative, in particolare dalla riforma degli articoli 561 e 563 c.c., che, per giudizio pressoché unanime, è stata tacciata di eccessiva timidezza nel non aver affrontato di petto, come da molti auspicato, il profilo della tutela reale del legittimario, conservandone tale caratteristica, sebbene con l’attenuazione rappresentata dalla liberazione del bene, una volta decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione.
Tale vantaggio appare però controbilanciato da un diritto “compensativo” attribuito allo stesso legittimario, al quale è stato per l’appunto riconosciuto il diritto di opposizione, scalfendosi in tal modo il radicato principio secondo cui, prima dell’apertura della successione, il legittimario vantava al più un’aspettativa di fatto, trovandosi oggi invece ad essere titolare di un vero e proprio diritto di opposizione.
Le preoccupazioni manifestate da autorevole dottrina in merito alla natura non risolutiva dell’intervento del legislatore, bensì foriera di ben più gravi inconvenienti, appaiono oggi trovare riscontro in alcune recenti decisioni di merito, con le quali si è riconosciuta l’ammissibilità di un’azione di simulazione proposta dal legittimario, allorché è ancora in vita il de cuius, stante l’interesse del primo a che, sulla base di tale accertamento, possa poi proporsi l’atto di opposizione di cui all’articolo 563 c.c.

La posizione dei creditori nel codice

Come anticipato, il codice civile non si occupa specificamente dei creditori del legittimario, tant’è che parte della dottrina non ha esitato, a fronte del silenzio serbato sul punto dalle norme di diritto positivo, a ritenere che l’azione di riduzione sia formalmente preclusa ai creditori del legittimario(1). Effettivamente il primo comma dell’articolo 557 riconosce l’esercizio dell’azione di riduzione formalmente ai soli legittimari nonché ai loro eredi ed aventi causa così che da parte di alcuni interpreti, per superare il tenore letterale della norma, si è prospettata la possibilità di far rientrare nella categoria dei legittimati anche i creditori avvalendosi della previsione che riconosce la legittimazione all’esercizio dell’azione di riduzione in favore degli aventi causa (e ciò ancorché la preferibile opinione sia nel senso di limitare tale ultima categoria a coloro che si siano resi acquirenti con atto inter vivos ovvero mortis causa, purché si tratti di atto intervenuto dopo la morte dell’originario de cuius, del diritto alla quota di legittima), attribuendosi pertanto ai creditori anche una legittimazione autonoma all’esercizio dell’azione in esame(2).
Tuttavia l’opinione assolutamente prevalente in dottrina(3) ed in giurisprudenza(4) appare consolidata nel ritenere che, anche in assenza di un’espressa previsione da parte del legislatore, il riconoscimento dell’esercizio dell’azione di riduzione, peraltro in via surrogatoria, in favore dei creditori del legittimario scaturisca dal raffronto con la previsione del terzo comma dello stesso articolo 557 c.c., la quale prevede, mediante la lettura in negativo della disposizione, che, ove il legittimario non abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario, determinando in tal modo la confusione del patrimonio personale con il patrimonio ereditario, anche i creditori del defunto possono chiedere ed approfittare dell’azione di riduzione.
In sostanza, al ricorrere delle condizioni previste dal terzo comma ora richiamato, è possibile per il creditore del de cuius avvantaggiarsi dell’azione di riduzione in quanto l’assenza dell’accettazione beneficiata lo ha sostanzialmente parificato ai creditori del legittimario, cosicché qualsiasi interpretazione, per sottrarsi alla evidente censura di irrazionalità delle scelte del legislatore, non può che condurre alla conclusione per la quale di norma i creditori del legittimario, che non avrebbero strumento alcuno per opporsi alle scelte poste in essere in vita dal dante causa del loro debitore - a differenza invece di quanto consentito ai creditori del de cuius, i quali avrebbero potuto impugnare con l’azione revocatoria gli atti dispositivi del patrimonio del loro debitore - appaiono legittimati all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione.
L’assolutezza di tale affermazione, ad avviso di chi scrive, non può però essere condivisa in pieno, occorrendo tener conto in particolare della peculiare strutturazione dei rimedi posti a tutela della posizione del legittimario, quali configurati ed ormai acquisiti nella consolidata esperienza giurisprudenziale.
Inoltre numerose sono le variabili che possono porsi nel concreto dipanarsi delle vicende successorie occorrendo partire dall’eventuale presenza nel testamento del de cuius di un legato in sostituzione di legittima, che pone il legittimario di fronte all’alternativa tra preferire il legato, ovvero rinunciare allo stesso, ed esercitare l’azione di riduzione, per poi verificare la sussistenza di una pretermissione assoluta del legittimario, riscontrando altresì quali siano gli strumenti di reazione a favore dei creditori a fronte dell’inerzia ovvero della manifestazione da parte del debitore di un intento abdicativo dei propri diritti sulla quota di riserva.

La problematicità dell’esercizio dell’azione di riduzione in surrogatoria

La finalità di questo scritto non consente infatti di potersi addentrare nella ricostruzione delle varie posizioni dottrinali che, successivamente all’entrata in vigore del vigente codice civile, hanno cercato di ricostruire la posizione del legittimario, potendosi al più ricordare come accanto alla tesi che riproponeva l’idea del legittimario erede ex lege (Cicu) si siano di volta in volta affiancate le opinioni di coloro che considerano il legittimario alla stregua di un legatario ex lege (Azzariti) ovvero come titolare di una pars bonorum (Ferri), risultando viceversa molto più proficuo prendere le mosse da quella che oggi rappresenta la costante configurazione, quantomeno in giurisprudenza, della posizione del legittimario, così come riconducibile alla ricostruzione di autorevole dottrina(5).
Corrisponde infatti ormai al diritto vivente l’affermazione, costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in ipotesi di legittimario totalmente pretermesso, l’acquisto della qualità di erede (ovvero quella di chiamato l’eredità, secondo parte minoritaria della giurisprudenza)(6) è subordinato all’esercizio vittorioso dell’azione di riduzione, la quale, attesa l’assenza di una chiamata all’eredità in favore del legittimario pretermesso, costituisce l’unico strumento a disposizione di quest’ultimo per adire l’eredità, che in tal modo viene acquistata mediante un meccanismo assolutamente peculiare che prescinde dalla dinamica consolidata che vede succedere l’accettazione dell’eredità alla previa vocazione e delazione della stessa.
È evidente pertanto che, quantomeno nell’ipotesi del legittimario totalmente trascurato da parte del de cuius, l’esercizio dell’azione di riduzione rappresenta l’unico strumento concessogli dall’ordinamento per acquisire la qualità di erede, con tutte le conseguenze, almeno secondo la preferibile opinione, anche per quanto attiene alla responsabilità per i debiti ereditari.
Inoltre, anche nella diversa ipotesi del legittimario semplicemente leso nella quota di legittima, ma non totalmente pretermesso, e per il quale quindi può individuarsi l’esistenza di una chiamata all’eredità, sebbene in una quota inferiore a quella prevista dalle norme in tema di successione necessaria, l’esercizio dell’azione di riduzione è comunemente ritenuta una fattispecie di accettazione tacita dell’eredità, essendo espressione di un comportamento logicamente incompatibile con la conservazione della qualità di semplice chiamato all’eredità.
Poste tali premesse fondamentali per un approccio consapevole alla problematica in esame, per lungo tempo la dottrina, anche quella specialistica, si è limitata a dedicare poche righe alla legittimazione all’azione di riduzione da parte dei creditori, affermando talvolta tralaticiamente la regola della legittimazione surrogatoria, senza tuttavia considerare le ulteriori conseguenze scaturenti dalla proposizione dell’azione di riduzione da parte dei creditori, e le evidenti ripercussioni non solo di natura patrimoniale, ma anche di carattere personale.
La natura indubbiamente patrimoniale del diritto del legittimario ha messo in ombra le ricadute di carattere personale che scaturiscono dall’acquisto della qualità di erede (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al caso in cui il figlio di un noto criminale, che tuttavia abbia intrapreso delle scelte di vita assolutamente antitetiche rispetto a quelle del genitore, non voglia aver nulla più a che fare con il padre, ritenendo che anche i beni da questi lasciati non possono essere in alcun modo goduti in quanto frutto dell’attività criminosa del congiunto, il quale, in caso di esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria da parte dei suoi creditori, si troverebbe egualmente a ricoprire la qualità di erede, in evidente contrasto con le sue scelte anche di carattere morale) rinnegandosi in sostanza, forse in maniera inconsapevole, la pacifica conclusione sia della dottrina che della giurisprudenza, secondo cui l’accettazione dell’eredità non è suscettibile di esercizio in via surrogatoria da parte dei creditori personali del chiamato all’eredità(7).
Nel corso degli ultimi anni poi il fenomeno della crisi economica che tuttora attanaglia il nostro paese ha messo in evidenza l’esigenza, del tutto assimilabile a quella sottesa alla trasmissione familiare dell’azienda, alla quale il legislatore avrebbe inteso porre rimedio mediante l’introduzione dell’istituto del cosiddetto patto di famiglia, di assicurare l’integrità del patrimonio familiare, in vista dell’apertura della successione, a fronte del concreto pericolo di una aggressione da parte dei creditori di uno dei legittimari.
Risulta a tal fine assolutamente suggestiva ed effettivamente idonea a fornire un’adeguata rappresentazione del fenomeno l’espressione utilizzata da acuta dottrina(8) di “pretermissione amica” voluta cioè dal testatore e consapevolmente accettata dal legittimario, da contrapporre alla tradizionale “pretermissione nemica” nella quale invece l’esclusione del legittimario dalla successione, o comunque il suo deteriore trattamento, sono il frutto di una volontà lato sensu punitiva del de cuius, alla quale si contrappone, in caso di esercizio dell’azione di riduzione, la precisa volontà del legittimario di conseguire appieno il riconoscimento dei diritti inderogabili riservatigli dalla legge.

Il quadro giurisprudenziale

L’approccio a tali vicende da parte della giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni ha fedelmente ricalcato l’adesione alla suddetta tesi che riconosce l’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria in favore dei creditori, senza essersi peraltro posta l’interrogativo in ordine alla effettiva compatibilità di tale conclusione con la diversa regola della non surrogabilità del diritto di accettazione dell’eredità. Nella giurisprudenza di merito non sono peraltro mancate decisioni(9) che hanno ritenuto di dover privilegiare un diverso approdo interpretativo, per il quale lo strumento giuridico attraverso il quale assicurare la compatibilità del principio della tutela dei creditori con quello dell’autonomia decisionale del legittimario sia il ricorso all’applicazione analogica della previsione di cui all’articolo 524 c.c., norma che sebbene espressamente dettata per l’ipotesi di rinuncia del chiamato all’eredità, sarebbe comunque espressione di principi di carattere generale, intimamente connessi al sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale che, con precipuo riferimento alle vicende successorie, troverebbero un equo contemperamento proprio mediante l’applicazione della norma in esame.
Le differenze in realtà esistenti tra la rinuncia all’eredità e la rinuncia all’azione di riduzione sono state puntualmente ribadite dalla dottrina contraria all’applicazione in via analogica anche a quest’ultima fattispecie della previsione di cui all’articolo 524 c.c., essendosi rimarcato come solo la prima costituisca atto formale ex articolo 519 c.c., ben potendosi invece la rinuncia all’azione di riduzione ricavarsi anche da comportamenti concludenti tenuti da parte del legittimario. Inoltre solo la rinuncia all’eredità risulta revocabile, ancorché con i limiti posti dall’articolo 525 c.c., a differenza della rinunzia all’azione di riduzione, insuscettibile di ripensamenti da parte del legittimario.
Infine, anche a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite che hanno ribadito ed affermato il principio della immutabilità della quota di legittima, da intendersi come cristallizzata nella sua entità quantitativa in relazione alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione(10), mentre la rinuncia all’eredità consente l’accrescimento della quota degli altri coeredi, la rinuncia all’azione di riduzione non produce analogo effetto sulla quota spettante agli altri legittimari.
Tuttavia l’opinione favorevole all’estensione della portata dell’articolo 524 c.c. anche a favore dei creditori del legittimario ritiene tali differenze prive di concreta rilevanza ai fini del problema in oggetto, valorizzando, accanto all’identità di ratio che accomuna le due ipotesi, soprattutto l’elemento rappresentato dal fatto che la tutela dei creditori si realizza in maniera immediata, mediante la possibilità di aggredire direttamente i beni che sarebbero pervenuti al legittimario, ove questi non avesse rinunziato all’azione di riduzione e l’avesse viceversa esperita, senza tuttavia fargli acquisire contro la sua volontà la qualità di erede.
Prima di esaminare più in dettaglio gli argomenti che depongono a favore della soluzione di cui all’articolo 524 c.c. nonché delle sue declinazioni sul concreto piano applicativo, appare però opportuno dare conto del quadro giurisprudenziale così come delineatosi nel corso degli ultimi anni presso i giudici di legittimità.
La Corte di Cassazione in un precedente costantemente richiamato dalle successive pronunce, nonché dai contributi dottrinali intervenuti sull’argomento(11), ha affermato che l’azione ex art. 524 c.c., mediante la quale i creditori del rinunciante all’eredità chiedono di essere autorizzati all’accettazione con beneficio d’inventario, in nome e luogo del rinunciante stesso, non può essere esperita quando la rinuncia provenga dal legittimario pretermesso, non potendo quest’ultimo essere qualificato chiamato all’eredità, prima dell’accoglimento dell’azione di riduzione che abbia rimosso l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie.
Nella motivazione la Corte dopo avere evidenziato la funzione strumentale che ricopre l’art. 524 c.c. per il soddisfacimento del credito, in quanto mira a rendere inopponibile al creditore la rinuncia ed a consentirgli d’agire sul patrimonio ereditario(12), trattandosi di azione di natura recuperatoria, in quanto permette al creditore di soddisfarsi sui beni ereditari che, per il chiamato all’eredità, si sono ormai perduti in conseguenza della sua rinuncia, ritiene tuttavia che la rinuncia, precludendo l’acquisto dell’eredità in favore del chiamato, costituisce il necessario presupposto logico - giuridico per l’esperibilità dell’azione ex art. 524 c.c., occorrendo che, per effetto di essa, si verifichi un pregiudizio dei diritti del creditore del rinunciante.
Nell’ipotesi del legittimario totalmente pretermesso, che invero non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del “de cuius”, poiché acquista tale qualità solo all’esito della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie(13), in assenza del positivo esperimento dell’azione di riduzione, la rinuncia da parte del legittimario pretermesso è priva di effetto, non essendovi alcuna quota ereditaria che resti non acquisita a seguito della rinuncia stessa, atteso che nell’ipotesi di legittimario pretermesso non sussiste delazione dell’eredità in suo favore.
È dunque evidente, secondo la Corte, che non può applicarsi in tal caso analogicamente l’art. 524 c.c., come invece affermato dalla sentenza che era stata impugnata, posto che la rinuncia da parte dell’erede e la rinuncia da parte del legittimario pretermesso non sono fattispecie simili tra loro ma radicalmente diverse, non potendo quest’ultimo essere qualificato come chiamato all’eredità.
Le dirette implicazioni del principio affermato nel precedente ora esaminato appaiono evidenti nel caso in cui si tratti di reagire, ad opera dei creditori, nei confronti di un atto di rinunzia all’azione di riduzione posto in essere da parte del loro debitore, in quanto, una volta esclusa la possibilità di avvalersi della previsione di cui all’articolo 524 c.c., la loro tutela deve articolarsi in una duplicità di azioni, occorrendo dapprima rimuovere l’efficacia dell’atto di rinunzia all’azione di riduzione, e ciò evidentemente tramite l’esperimento dell’azione revocatoria, salvo poi, all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di cui all’articolo 2901 c.c., procedere all’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria, sebbene ciò implichi come necessaria ripercussione l’acquisto involontario della qualità di erede da parte del legittimario.
In dottrina in linea sostanzialmente adesiva a tale ricostruzione posizione si è posto un Autore(14) il quale, dopo aver sottolineato le differenze tra la rinuncia all’azione di riduzione e la rinunzia all’eredità, ribadisce la tesi secondo la quale il diritto alla legittima è un diritto a contenuto patrimoniale suscettibile di poter essere trasferito liberamente anche con atto inter vivos(15).
Altra dottrina(16), dopo avere ricordato come anche i creditori personali del legittimario possono ben risentire, sia in positivo che negativo, delle vicende riguardanti i diritti di legittima (infatti l’inerzia del legittimario potrebbe compromettere le ragioni dei creditori), richiamando la maggioritaria dottrina favorevole all’esercizio dell’azione surrogatoria da parte dei creditori(17), evidenzia come la soluzione alla quale è pervenuta nei fatti la Corte di Cassazione, non troverebbe soverchie difficoltà ad essere condivisa laddove si aderisca all’opinione di chi(18) ritiene di poter reagire alla rinunzia all’azione di riduzione mediante l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, ma sul presupposto teorico per il quale i legittimari sono titolari di un “diritto reale sui beni relitti” che compete loro sin dal momento dell’apertura della successione, e che può essere vantato mediante un’azione finalizzata a ottenere l’accertamento dell’esistenza di un diritto reale pro quota su tutti i beni caduti in successione. Ne consegue che la rinunzia implica un abbandono ad un diritto che è già entrato nel patrimonio dei legittimari(19). Ciò però implica la riproposizione di una tesi che, come sopra detto, sebbene autorevolmente argomentata, appare contraddetta dal pluriennale orientamento della giurisprudenza di legittimità, sicché rischia di restare un’interessante riflessione giuridica, confinata in ambito meramente dottrinale, senza però poter trovare riscontro alcuna nella prassi applicativa.
La disamina critica del precedente di legittimità, nell’Autore in esame, non può però esimere dal sollevare dubbi per il caso in cui il legittimario sia totalmente pretermesso, in quanto, come detto, l’esercizio dell’azione di riduzione è l’unico modo per adire l’eredità, sottolineandosi però che l’esclusione della azione surrogatoria in caso di pretermissione totale verrebbe a creare una disparità di trattamento tra i creditori dei legittimari, i quali potrebbero avvalersi della tutela di cui all’articolo 2900 c.c. se la lesione sia parziale, mentre non avrebbero alcun rimedio in caso di lesione totale(20).
La riflessione si pone poi nell’ottica della praticabilità del rimedio di cui all’art. 524 c.c., ma per giungere ad una soluzione negativa argomentata per il fatto che la norma in esame presuppone un’impugnativa dei creditori di colui che comunque sia stato chiamato a titolo universale all’eredità, e che vi abbia poi rinunziato, laddove invece, in caso di legittimario pretermesso, non vi sarebbe alcuna vocazione. Inoltre, pur dando atto che la previsione di cui all’articolo 524 c.c., sia pur sempre uno strumento di carattere speciale, ma inserito nell’ambito del sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, osserva che, se da un lato è del tutto improprio il riferimento compiuto dalla norma all’accettazione dell’eredità, essendo stata tale espressione comunemente intesa come finalizzata esclusivamente ad assicurare ai creditori la possibilità di recuperare alla garanzia del credito la quantità di beni occorrenti al soddisfacimento delle loro ragioni, dall’altro giunge a negare l’estensione dell’articolo 524 c.c. alla rinunzia all’azione di riduzione, in quanto non sarebbe possibile farsi autorizzare ad accettare una chiamata che è già stata rigettata dall’interessato o addirittura del tutto inesistente(21).
La tesi per quanto argomentata però non convince appieno in quanto non sembra a chi scrive del tutto coerente con l’affermazione secondo cui, ad onta del tenore elettorale della norma, la norma di cui all’art. 524 c.c. in realtà non contempla alcuna ipotesi di accettazione da parte dei creditori, limitandosi semplicemente ad attribuire ai creditori stessi il diritto soddisfarsi sui beni che sarebbero pervenuti al loro debitore in caso di accettazione dell’eredità, con la conclusione secondo cui la norma non potrebbe essere estesa al legittimario pretermesso in quanto non vi sarebbe una chiamata da accettare, posto che anche nel caso di cui si discute, l’applicazione in via estensiva o analogica dell’articolo 524 c.c. tenderebbe unicamente ad assicurare ai creditori del legittimario il diritto di soddisfarsi sui beni che avrebbero composto la quota di legittima, in caso di esercizio positivo dell’azione di riduzione.
Si potrebbe però obiettare che in ogni caso, anche nel caso di rinunzia all’eredità, per effetto della previsione di cui all’art. 525 c.c., così come interpretata dalla Cassazione(22), vi sarebbe la coesistenza di due chiamate, di cui una è quella rinunziata, l’altra è quella a favore del chiamato in subordine che quindi diviene anche delato, così che l’art. 524 c.c. si presterebbe ad essere applicato alla sola ipotesi della rinunzia all’eredità atteso che nel caso del legittimario pretermesso non vi è alcuna chiamata nemmeno originaria. Ma a tale argomento appare però possibile replicare evidenziando che la previsione di cui all’articolo 524 c.c. opera pacificamente anche nel caso in cui il chiamato in subordine abbia accettato, facendo pertanto venir meno anche la chiamata coesistente del rinunciante, cosicché in queste ipotesi le fattispecie nelle quali si intende fare applicazione della norma, riguarderebbero entrambe delle situazioni in cui il debitore è ormai privo di qualsivoglia chiamata, non potendosi quindi invocare la giustificazione dell’inapplicabilità della norma al legittimario, attesa la differenza della situazione sostanziale.
A distanza di qualche anno, sempre con attinenza al tema in esame, deve segnalarsi un altro intervento del giudice di legittimità(23) che ha affermato il principio per il quale in tema di successione necessaria, il curatore fallimentare del legittimario può esercitare l’azione di riduzione, in virtù della legittimazione a stare in giudizio per i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento attribuitagli dall’art. 43 L.fall., oltre che per effetto dello spossessamento fallimentare che priva il fallito della disponibilità dei suoi beni (tra i quali sono da ricomprendere i diritti patrimoniali spettanti al fallito quale legittimario). La decisione fa essenzialmente leva sulla natura patrimoniale del diritto alla quota di legittima del fallito e risolve il problema con il richiamo a norme tipiche del diritto fallimentare, senza però in alcun modo porsi il problema della situazione del debitore fallito una volta tornato in bonis, che si troverebbe ad essere erede, anche in tal caso, per effetto di un’azione di riduzione esperita autonomamente da parte del curatore(24).
Inoltre, la soluzione proposta appare chiaramente ritagliata per l’ipotesi in cui la successione si apra dopo la dichiarazione di fallimento, ma risulta meno predicabile per la diversa ipotesi in cui prima del fallimento, il fallito abbia già rinunziato all’azione di riduzione, in quanto si porrebbe egualmente la necessità di dover prima rimuovere l’atto di rinuncia, per poi esercitare l’azione di riduzione, confermandosi quindi la necessità dell’esperimento di un duplice rimedio giurisdizionale.
Il quadro complessivo era stato però pochi mesi prima profondamente innovato da altra pronuncia della Corte(25) che ha ritenuto inammissibile l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. - la cui funzione è di conservazione della garanzia del patrimonio del debitore, attraverso l’inefficacia dell’atto di disposizione rispetto al creditore, e la conseguente possibilità di questi di soddisfarsi sul patrimonio del debitore - rispetto ad atti che si sostanziano nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta modificato, né attivamente né passivamente, il compendio patrimoniale quo ante del debitore, e che, pertanto, anche se dichiarati inefficaci nei confronti del creditore, in esito all’accoglimento dell’azione revocatoria, non consentirebbero il soddisfacimento del creditore e, quindi, il conseguimento dello scopo cui è preordinata l’azione revocatoria, secondo la ratio assegnatale dal legislatore. Nella specie, è stata quindi reputata inammissibile l’azione revocatoria rispetto all’atto di adesione al legato in sostituzione di legittima e di rinuncia all’esercizio dell’azione di riduzione per lesione di legittima, atteso che, sostanziandosi l’atto di disposizione nella rinuncia ad una facoltà, l’eventuale accoglimento dell’azione, con la dichiarazione di inefficacia dello stesso, non consentirebbe al creditore di soddisfare le proprie ragioni, restando i beni nella proprietà dei soggetti individuati dal “de cuius”, sino al positivo esperimento dell’azione di riduzione, che presuppone la rinuncia al legato.
Nella fattispecie il de cuius aveva assegnato al legittimario un legato, in sostituzione di legittima, avente ad oggetto il diritto di abitazione degli stessi immobili caduti in successione e lasciati in nuda proprietà agli altri eredi.
I creditori del legatario, sul presupposto che il debitore avesse rinunziato all’azione di riduzione, manifestando la preferenza per il legato avevano agito quindi per far dichiarare l’inefficacia dell’atto di accettazione del legato.
La Corte dopo avere evidenziato che con il suo comportamento il legittimario aveva posto in essere un atto composito (adesione al legato/rinuncia azione di riduzione), abdicativo sia della verifica della legittima che, contestualmente, della possibilità di rinunciare al legato, precludendo in tal modo la possibilità che il patrimonio del disponente eventualmente si incrementasse in esito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, ha ritenuto di escludere la possibilità che fosse sottoposto ad azione revocatoria.
Infatti, essendo soggetti all’azione pauliana soltanto quegli atti che importino una modificazione giuridico-economica della situazione patrimoniale del debitore, per quanto concerne gli atti abdicativi è necessario accertare se essi si ricolleghino ad una posizione giuridica già potenzialmente acquisita, nei suoi elementi costitutivi, al patrimonio del rinunziante o se, invece, si sostanzino nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta, comunque, modificato, né attivamente né passivamente il compendio patrimoniale quo ante del debitore (c.d. omissio adquirendi). Nel primo caso (come sarebbe, rispetto alla materia successoria, per la rinunzia al legato), l’azione revocatoria è senza dubbio ammissibile. Nel secondo caso, l’atto di rinunzia del debitore non consente l’esercizio dell’azione revocatoria, perché il futuro incremento del suo patrimonio non si pone come conseguenza immediata della mancanza di rinunzia, ma dipende da altro, e precisamente dal successivo esercizio dell’azione di riduzione.
Nella vicenda esaminata si è osservato che «se manca l’atto di rinunzia all’azione di riduzione di legittima, non si incrementa il patrimonio del debitore; resta il legato del diritto di abitazione, la facoltà di rinunciare al legato e la possibilità di esercitare l’azione di riduzione di legittima, previa rinuncia al legato; mentre, l’incremento possibile, in esito all’azione di riduzione, è subordinato al positivo esercizio di tale facoltà da parte del debitore. In definitiva, per conseguire il risultato voluto, corrispondente alla funzione dell’azione revocatoria di garanzia patrimoniale a favore del creditore, e cioè che nel patrimonio del debitore entri la quota di proprietà dei beni ereditari corrispondente alla legittima, è necessaria la rinuncia espressa al legato in sostituzione di legittima e il positivo esito dell’azione di riduzione rispetto alle disposizioni testamentarie».
In sostanza il presupposto per l’accoglimento dell’azione revocatoria è che, una volta intervenuta la dichiarazione di inefficacia dell’atto dispositivo nei confronti dei creditori, questi possano soddisfare il proprio credito con un’immediata aggressione esecutiva sui beni interessati dall’atto dichiarato inefficace.
La peculiarità del meccanismo successorio, ed in particolare l’esigenza per il legittimario pretermesso di dover esercitare altresì l’azione di riduzione, secondo i giudici di legittimità esclude che con il vittorioso esperimento dell’actio pauliana si ottenga altresì il soddisfacimento del credito, non potendo tale obiezione essere superata nemmeno con l’argomento secondo cui l’inefficacia, rispetto al creditore, dell’atto di adesione al legato tacitativo, consentirebbe al creditore di surrogarsi nell’azione di riduzione di legittima, in quanto sarebbe previamente necessaria l’espressa rinunzia al legato da parte dello stesso, restando sempre in piedi l’incompatibilità con la funzione assegnata dal legislatore ad un’azione revocatoria che abbia come risultato solo l’inefficacia dell’atto revocando e non anche la possibilità di soddisfare il credito.
Le conclusioni alle quali perviene la sentenza ora esaminata pongono evidentemente in crisi la ricostruzione che del sistema era stata offerta all’esito della pronuncia del 2008, che come detto, aveva altresì ritenuto inapplicabile l’articolo 524 c.c., sull’implicito presupposto della impugnabilità dell’atto di rinuncia all’azione di riduzione con l’ordinaria azione revocatoria, e ciò sul presupposto che fosse poi possibile agire in riduzione in surrogatoria.
Trattasi peraltro di conclusioni che, a prescindere dalla piena condivisibilità delle argomentazioni sviluppate in motivazione, risentono evidentemente della farraginosità del sistema di tutela che viene ad essere offerto ai creditori a fronte del compimento di atti lato sensu dispositivi posti in essere da parte del legittimario debitore.
Ed infatti sebbene sia dato dubitare dell’assoluta condivisibilità dell’affermazione secondo cui la rinunzia all’azione di riduzione, così come l’accettazione del legato ex articolo 551 c.c., dalla quale di riflesso deriva la rinuncia all’azione di riduzione, siano espressioni negative di una mera facoltà attribuita al legittimario (ben potendosi di converso sostenere che, anche per il legittimario pretermesso, esista un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere la quota di legittima) è indubbio che la prospettiva di dover combinare fra di loro due diversi strumenti di conservazione della garanzia patrimoniale, ed in via consequenziale e diacronica, possa far legittimamente dubitare della loro utilità, manifestandosi in ogni caso evidente l’enorme dispendio di attività processuale imposta ai creditori per il conseguimento delle proprie ragioni, e ciò con il sacrificio altresì del diritto del legittimario ad autonomamente determinarsi in ordine alle proprie scelte successorie, venendo per l’effetto ad acquisire la qualità di erede in maniera del tutto involontaria.
Tali effetti viceversa non appaiono riconducibili all’esercizio, sebbene in via analogica, dell’azione di cui all’articolo 524 c.c., in quanto attesa la configurazione tradizionalmente assegnata all’istituto nell’ambito della sua collocazione naturale, e cioè quale strumento di reazione alla rinuncia all’eredità da parte del chiamato, a fronte di una rinuncia all’azione di riduzione, con un unico rimedio i creditori avrebbero la possibilità di poter soddisfarsi sui beni che sarebbero pervenuti al loro debitore, ove avesse esperito l’azione di riduzione, ma nei limiti di quanto necessario al soddisfacimento delle loro ragioni. Il bilanciamento equilibrato tra le contrapposte esigenze appare evidente in quanto i creditori ottengono la possibilità di poter direttamente aggredire i beni oggetto delle disposizioni lesive, senza dover sottoporsi all’esperimento di una duplice azione giudiziale, al debitore è garantita la valutazione, anche di carattere personale, di non acquisire la qualità di erede, senza per questo sottrarsi alla propria responsabilità nei confronti dei debitori, ed infine ai beneficiari delle disposizioni lesive si assicura che il loro sacrificio è limitato a quanto necessario per assicurare il soddisfacimento dei creditori del legittimario, potendo quindi ritenere ciò che eccede rispetto ai debiti del legittimario, laddove invece, ove si riconoscesse anche in tal caso l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, ciò che residua, una volta soddisfatti i creditori, dovrebbe intendersi ormai definitivamente attribuito al legittimario nei cui diritti i creditori si sono surrogati.
Inoltre, e proprio in relazione al paventato pericolo di cosiddette pretermissioni amiche, frutto cioè di intese concordate tra l’ereditando ed il futuro legittimario, al fine precipuo di impedire ai creditori di quest’ultimo di potersi soddisfare sui beni destinati a comporre la quota di riserva del loro debitore, risulta evidente come il limite all’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti dell’atto di accettazione del legato sostitutivo di legittima, renda quest’ultimo di fatto immune da qualsivoglia forma di aggressione da parte dei creditori, i quali, anche a fronte di un legato di valore volutamente irrisorio, dovrebbero subire senza possibilità di reazione la scelta del de cuius alla quale ha mostrato adesione o acquiescenza il legittimario(26). Né appare trascurabile la circostanza che l’integrale lettura delle motivazioni della sentenza in esame porta ad affermare che il limite all’esercizio dell’azione revocatoria debba operare non solo nella specifica ipotesi esaminata dalla pronuncia, relativa alla previsione di un legato in sostituzione di legittima, ma in ogni altro caso in cui l’atto che si assume essere pregiudizievole sia rappresentato dalla rinuncia all’azione di riduzione, rendendo in tal modo franca da qualsivoglia forma di tutela la manifestazione di volontà del legittimario che ponga nel nulla le attese dei creditori all’incremento della garanzia patrimoniale generica, in ragione dei diritti successori vantati dal loro debitore.
A completare il quadro della giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni si segnala una recentissima pronunzia(27) che ha avuto l’arduo compito di cercare una soluzione compromissoria tra i principi affermati nel 2008 e quelli invece sostenuti nel 2013.
Anche in tal caso i creditori del legittimario si erano imbattuti in un legato in sostituzione di legittima, ed avevano chiesto di surrogarsi nell’esercizio della facoltà di rinuncia al legato stesso, ovvero in subordine, ove non fosse stata ritenuta ammissibile la surrogazione, che, ai sensi dell’art. 2901 c.c., venissero dichiarati inefficaci quei comportamenti concretatisi nella mancata rinuncia al legato ovvero quegli atti dispositivi del legato, da ritenersi deliberatamente pregiudizievoli degli interessi del creditore. La Corte, nel valutare la condotta del legittimario che aveva confermato il legato, circostanza questa preclusiva della proponibilità dell’azione di riduzione (costituendo la rinunzia una condizione per l’esercizio dell’azione in esame), pur ribadendo il principio secondo cui i creditori possono esercitare ex art. 2900 c.c. l’azione di riduzione spettante al debitore, esclude che sia possibile ravvisare la situazione di inerzia presupposta dalla norma codicistica.
Infatti si è affermato che, l’esperibilità dell’azione surrogatoria postula, invero, l’inerzia del debitore, cioè un comportamento omissivo o quanto meno insufficientemente attivo, al quale non può parificarsi un comportamento positivo, ancorché pregiudizievole per le ragioni del creditore, giacché tale comportamento positivo, quale atto di amministrazione del proprio patrimonio spettante al debitore, non è un indice di trascuratezza nell’esercizio del proprio diritto e non consente, perciò, interferenze da parte del creditore, salvo a costituire oggetto di revocatoria, ove ne ricorrano gli estremi, ai sensi dell’art. 2901 c.c. Non può quindi mai pensarsi all’azione ex art. 2900 c.c. qualora il debitore abbia posto in essere condotte sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, in quanto il creditore non può chiedere di sostituirsi al debitore per sindacare le modalità con cui questi abbia ritenuto di esercitare la propria situazione giuridica, o per contestarne le scelte e manifestazioni di volontà(28).
Peraltro poiché nei precedenti gradi di merito la domanda revocatoria rivolta nei confronti dell’atto di adesione al legato era stata dichiarata inammissibile, la Corte Suprema ha avuto gioco agevole nel ritenere improponibile l’azione surrogatoria, in presenza di un valido atto dispositivo, sebbene pregiudizievole posto in essere dal debitore, senza quindi dover rimettere in discussione la portata del precedente del 2013.
La vicenda, seppure semplificata dal punto di vista processuale dalla intervenuta declaratoria di inammissibilità della domanda revocatoria, conferma però che l’esercizio della surrogatoria deve transitare per la previa impugnazione con l’actio pauliana dell’atto di rinunzia all’azione di riduzione ovvero dell’atto di accettazione del legato ex art. 551 c.c. (che di riflesso produce i medesimi effetti del primo), ma restando in piedi il concreto rischio di una situazione di “impasse” ove si tenga fermo il principio della inammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti di tali atti.

L’applicazione analogica dell’art. 524 c.c.

Le segnalate differenze tra la rinunzia all’eredità e la rinunzia all’azione di riduzione (alle quali qualcuno aggiunge quella secondo cui solo nella prima si rinunzierebbe ad un diritto, laddove nella seconda vi sarebbe solo un’omissio adquirendi)(29), non appaiono però in grado, a parere di chi scrive, di elidere il tratto fondamentale che accomuna le due ipotesi, soprattutto nel caso del legittimario pretermesso, una volta che con la rinunzia all’azione di riduzione si abdichi all’unica possibilità di adizione dell’eredità ed alla possibilità quindi di poter acquisire la qualità di erede, con un effetto del tutto assimilabile a quello che discende dalla rinunzia all’eredità.
In tale ottica la particolare cautela adottata dal legislatore nel delineare lo strumento a tutela delle ragioni dei creditori, con il giusto contemperamento dell’interesse del debitore a non vedersi attribuita la qualità di erede contro la sua volontà, induce a propendere per l’applicazione, quanto meno in via analogica dell’art. 524 c.c. anche al caso in esame.
In tal senso depongono le considerazioni della più attenta dottrina.
Già Mengoni nella sua monografia dedicata alla successione necessaria ritiene doveroso distinguere tra legittimario leso e legittimario pretermesso, chiarendo quindi il preciso senso della sua affermazione in merito al riconoscimento dell’esercizio dell’azione di riduzione in via surrogatoria da parte dei creditori, come limitato alla sola ipotesi in cui il legittimario sia stato solo leso, e pur avendo accettato l’eredità, conservi un atteggiamento inerte a fronte della possibilità di integrare la quota di riserva con l’esercizio dell’azione di riduzione, atteso che in questa ipotesi l’intervenuto acquisto della qualità di erede, mette al riparo dal pericolo di interferenze dei creditori in scelte riservate unicamente al debitore. Tantomeno appare trascurabile l’argomento secondo cui la previsione dell’azione revocatoria ordinaria aggrava la posizione dei creditori rispetto al rimedio di cui all’articolo 524 c.c., atteso che sarebbe necessario l’ulteriore elemento della frode del debitore, che invece è del tutto assente nella norma in tema di rinunzia all’eredità.
In senso analogo si è mossa anche altra dottrina(30) la quale reputa sostanzialmente che abbia carattere personale l’azione di riduzione nel caso in cui rappresenti lo strumento riservato al legittimario per l’acquisto della qualità di erede.
La conseguenza che viene tratta da tale affermazione è pertanto quella della applicazione analogica delle norme dettate con riferimento al chiamato all’eredità, con la possibilità di poter ovviare all’inerzia del legittimario mediante il ricorso, sempre in via analogica alla previsione di cui all’articolo 481 cc, ed in caso di rinunzia ovvero di infruttuosa scadenza del termine assegnato, alla previsione di cui all’articolo 524 c.c., la cui applicazione, senza passare attraverso la preventiva fissazione del termine da parte del giudice, potrebbe avvenire nei casi di rinunzia all’azione di riduzione.
L’ostacolo fondamentale da superare appare però, come già segnalato in precedenza, quello rappresentato dalla natura eccezionale o meno del rimedio di cui all’articolo 524 c.c., ostacolo che viene ritenuto superabile in ragione del fatto che la norma in oggetto non può ragionevolmente annoverarsi tra quelle cosiddette “a fattispecie esclusiva”. Tale definizione si attaglia, secondo i principi generali dell’ordinamento, alle sole norme che non appaiono riconducibili ad alcun principio, in quanto espressive di un ius singulare che non giustifica l’invocabilità a casi diversi rispetto a quelli espressamente previsti da parte del legislatore. Secondo l’autore, pur dovendosi dare atto delle assolute peculiarità dell’istituto in esame e della sua impossibilità di poter essere ricondotto appieno all’azione surrogatoria ovvero all’azione revocatoria, in ogni caso risulta ricollegabile al più generale principio di “tutela conservativa del diritto del creditore” il quale viene assicurato nell’ambito delle vicende successorie con la disciplina di cui alla norma in esame.
Quest’ultima rappresenta in sostanza lo strumento ritenuto più proficuo al fine di assicurare un’efficace tutela dei creditori in un settore dell’ordinamento nel quale l’utile esercizio dell’azione revocatoria e dell’azione surrogatoria risulterebbe altrimenti precluso, come confermato dalle motivazioni che hanno indotto la Suprema Corte a ritenere inammissibile l’esercizio dell’azione revocatoria nei confronti dell’atto con il quale il debitore manifesta la propria preferenza per il legato ex articolo 551 c.c.
L’esigenza di tutela dei creditori si pone quindi in termini affatto similari anche laddove la rinunzia non abbia ad oggetto il diritto di accettare l’eredità, quanto piuttosto l’unico strumento giuridico attraverso cui al legittimario è permesso pervenire all’eredità, palesandosi in tal modo legittima l’applicazione analogica di tale norma.
Il completamento della tutela dei creditori passa poi, secondo la ricostruzione in oggetto, attraverso il riconoscimento della possibilità di reagire, sempre con il rimedio di cui all’articolo 524 c.c. all’inerzia del debitore, e ciò ritenendo applicabile l’articolo 481 c.c. anche al diverso fine di sollecitare il legittimario a manifestare le proprie scelte in ordine all’esercizio dell’azione di riduzione.
Il ricorso in via analogica a tale norma impone però di interrogarsi anche sulla possibilità di estendere il rimedio di cui all’articolo 524 c.c., non solo ai casi in cui vi sia un’espressa manifestazione di rinunzia, ed in questa ipotesi, all’azione di riduzione, ma anche alla diversa fattispecie in cui il debitore lasci infruttuosamente decorrere il termine all’uopo assegnatogli da parte del giudice, posto che il tenore letterale della norma non sembrerebbe avallare siffatta interpretazione ampliativa.
Soccorre tuttavia l’esegesi che della norma è stata offerta in giurisprudenza ed in particolare da un precedente di legittimità(31), che ha espressamente esteso l’applicabilità dell’art. 524 c.c. anche al caso di decorso del termine di cui all’art. 481 c.c.
Per tale dottrina però restava immune da qualsivoglia forma di reazione da parte dei creditori l’ipotesi in cui il legittimario sia destinatario di un legato in sostituzione di legittima di valore notevolmente inferiore a quello della quota di legittima, ed allo stesso non vi rinunzi, assumendosi che in tal caso la facoltà di rinunzia al legato si risolve in una facoltà di disporre dei beni oggetto del medesimo, insuscettibile pertanto dell’esercizio in via surrogatoria da parte dei creditori, non potendosi ravvisare una situazione di inerzia del debitore.
Le riflessioni in esame sono state poi recentemente oggetto di ulteriore approfondimento da parte di autorevole dottrina(32) la quale nel ripercorrere le argomentazioni che militano a favore dell’applicazione in via analogica dell’articolo 524 c.c. anche al caso di rinunzia all’azione di riduzione, evidenzia come l’intervento della Corte del 2013 ponga il serio pericolo di creare una sorta di immunità per il legato in sostituzione di legittima.
Il bilanciamento tra l’interesse del testatore, inteso anche a salvaguardare le esigenze di integrità del patrimonio ereditario, ponendolo al riparo dall’aggressione dei creditori del legittimario, e l’interesse dei secondi non può portare, senza una valida ragione giustificativa a dare prevalenza al primo, cosicché anche per tale ipotesi risulta propugnabile la soluzione dell’applicazione in via analogica dell’articolo 524 c.c., sebbene col medio necessario dell’esperimento dell’azione interrogatoria di cui all’articolo 481 c.c.
Non trascurabili appaiono anche i vantaggi legati all’attuazione della tutela nelle forme dell’art. 524 c.c. in rapporto ai problemi suscettibili di insorgere nella fase esecutiva.
Infatti, ove si aderisca alla tesi che sembra tesi prevalente in giurisprudenza della combinazione tra azione revocatoria e surrogatoria, ancorché i creditori del legittimario debbano essere preferiti ai creditori dei beneficiari delle disposizioni lesive, i tempi necessari all’espletamento di entrambi i giudizi, potrebbe poi portare alla concreta aggressione dei beni una volta che siano stati già sottoposti a pignoramento da parte dei secondi, con l’ulteriore conseguenza che ove gli stessi abbiano trascritto il pignoramento, ex art. 2915 c.c., sono destinati a prevalere, nel caso in cui la domanda dei creditori del legittimario non sia stata a sua volta trascritta in data anteriore(33).

Riflessi operativi

La concreta declinazione del principio dell’applicazione analogica dell’articolo 524 c.c. alle varie ipotesi che possano configurarsi in relazione alla qualità del legittimario e dalle scelte da questo compiute può essere riassunta nel modo che segue:

a) Legittimario istituto come erede (ovvero chiamato ex lege) ma in una quota inferiore alla legittima

a1) Il legittimario accetta l’eredità, ma trascura di esercitare l’azione di riduzione
In tale ipotesi è evidente che avendo già acquistato la qualità di erede (con le ulteriori conseguenze anche in tema di responsabilità per i debiti ereditari), l’azione di riduzione non può che portare effetti vantaggiosi per lo stesso, e di riflesso per i suoi creditori, che pertanto possono effettivamente esercitare in via surrogatoria l’azione di riduzione.
Un profilo di problematica soluzione potrebbe porsi nel caso in cui i destinatari dell’azione di riduzione siano dei soggetti non chiamati come coeredi, nei confronti dei quali pertanto l’esercizio dell’azione di riduzione a pena di inammissibilità ex articolo 564 c.c., debba essere preceduto dall’accettazione con beneficio d’inventario.
Il debitore, al fine anche di frustrare le ragioni dei creditori, potrebbe intenzionalmente accettare l’eredità puramente e semplicemente, in maniera tale da mettere al riparo le disposizioni lesive effettuate in favore dei terzi.
Secondo parte della dottrina(34), i creditori potrebbero autonomamente accettare l’eredità con beneficio di inventario, ma trattasi di soluzione non del tutto condivisibile, atteso che l’accettazione ormai è già avvenuta ed ha prodotto integralmente i suoi effetti anche sul piano della confusione dei patrimoni. Secondo altro Autore(35) il problema potrebbe essere risolto evidenziando la natura peculiare dell’azione di riduzione esperita in surrogatoria da parte dei creditori.
In particolare l’onere di previa accettazione dell’inventario, posto a tutela del diritto del terzo aggredito con l’azione di riduzione, onde consentirgli di avere un quadro fedele della situazione successoria, si pone nel solo caso in cui si contrapponga al terzo il legittimario, in quanto in questo caso il contrasto è tra due soggetti che parimenti certant de lucro captando. Viceversa nel caso in cui l’azione sia esperita dai creditori, ancorché utendo iuribus, al beneficiario che mira a conservare un vantaggio patrimoniale derivante dalle disposizioni asseritamente lesive, si contrappongono i creditori che cercano di evitare una perdita patrimoniale legata al pericolo che, attesa l’incapienza del patrimonio del loro debitore, il credito resti inadempiuto.
La differente situazione dei contendenti esimerebbe, e solo per questa situazione peculiare, dalla necessità della previa redazione dell’inventario, senza che quindi abbia rilievo la precedente accettazione pura e semplice del legittimario

a2) Il legittimario indugia nell’accettare l’eredità
I creditori possono fare ricorso alla previsione di cui all’art. 481 c.c.
Se interviene la rinunzia espressa, possono poi avvalersi dell’art. 524 c.c.(36), ma laddove accetti l’eredità, in caso di ulteriore inerzia, possono esercitare l’azione di riduzione in via surrogatoria.
Per altra opinione(37), per evitare che la tutela dei creditori resti limitata ai soli beni assegnati per legge ovvero per testamento, bisognerebbe riconoscere che l’articolo 524 consenta di estendere la tutela anche ai beni che andrebbero ad integrare la quota di legittima.
Ma si tratta di un diritto in realtà diverso da quello spettante al loro debitore, in quanto la possibilità di aggressione è limitata al solo valore dei beni necessari per soddisfare la pretesa creditoria, restando la parte che eccede tale importo a favore dei beneficiari, senza che ne possa approfittare il debitore rinunziante. Da tale affermazione si trae poi l’ulteriore conseguenza per la quale i creditori in questo caso non devono preventivamente accettare l’eredità con beneficio d’inventario, come invece previsto per il legittimario che intende agire in riduzione contro i terzi non chiamati come coeredi. Il problema però è come detto stabilire se quest’eccezione valga solo per il caso in cui il debitore abbia rinunziato all’eredità ovvero si estenda anche alla diversa ipotesi in cui i creditori esercitino in via surrogatoria l’azione di riduzione, in quanto parte della dottrina reputa che in questo caso non debba comunque operare il presupposto della previa accettazione beneficiata.
Se invece il legittimario lascia decorrere il termine di cui all’art. 481 c.c., sarebbe possibile per i creditori fare ricorso in via analogica alla previsione di cui all’art. 524 c.c.
Resta in ogni caso esclusa la possibilità di poter porre rimedio all’intervenuta prescrizione del diritto di accettare l’eredità, in quanto anche a voler ampliare l’ambito di applicazione dell’art. 524 c.c., non appare possibile estendere la tutela all’ipotesi di perdita definitiva del diritto per l’inerzia del titolare protrattasi per il tempo idoneo a far maturare la prescrizione. Né tale conclusione può essere tacciata di risultare eccessivamente penalizzante per i creditori, i quali avrebbero potuto a tempo debito attivarsi, chiedendo la concessione del termine di cui all’art. 481 c.c.
Residua però un dubbio legato alla possibilità della diversa decorrenza del termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità rispetto al termine di prescrizione dell’azione di riduzione, che in caso di lesione derivante da testamento, opera dalla data di accettazione dell’eredità da parte del beneficiario(38). Per questa ipotesi potrebbe ipotizzarsi che, ferma restando la perdita dei diritti vantati nella qualità di erede, si potrebbe fissare il termine ex art. 481 c.c. al solo fine di sollecitare l’esercizio dell’azione di riduzione, consentendo poi ex art. 524 c.c. ai creditori di soddisfarsi sui soli beni destinati ad integrare la quota di riserva, senza però poter aggredire anche i beni che sarebbero spettati al debitore per effetto della successione legittima ovvero testamentaria.

a3) Il legittimario accetta l’eredità, ma rinunzia all’azione di riduzione
Deve ritenersi anche in questo caso applicabile l’art. 524 c.c. al fine di assicurare ai creditori il conseguimento di quanto necessario per soddisfare il proprio credito, senza che però l’eventuale eccedenza resti a vantaggio del debitore.

b) Legittimario totalmente preter messo

b1) il legittimario non manifesta la volontà di conseguire la legittima
Trova applicazione in via analogica l’art. 481 c.c., con la successiva applicazione, sempre in via analogica dell’art. 524 c.c., nel caso in cui intervenga una rinunzia all’azione di riduzione (possibile anche per facta concludentia a differenza della rinunzia all’eredità) ovvero laddove decorra invano il termine assegnato dal giudice.
Nessun problema invece si pone nel caso in cui, assegnato il termine, il legittimario si risolva positivamente ad esercitare l’azione di riduzione, della quale si avvantaggeranno i creditori.
Del pari, come sopra visto, deve escludersi la possibilità di porre rimedio alla prescrizione del diritto di agire in riduzione.

b2) il legittimario rinunzia all’azione di riduzione
È il caso in cui più intuitivamente risulta applicabile in via analogica l’art. 524 c.c.

c) Legittimario beneficiato da un legato ex art. 551 c.c.

c1) Il legittimario non manifesta la propria preferenza
Ai creditori è data la possibilità di far fissare un termine al debitore entro il quale dichiarare se intende o meno esercitare l’azione di riduzione, con la conseguente possibilità di avvalersi dell’art. 524 c.c. in caso di rinuncia o inutile decorso del termine.

c2) Il legittimario opta per il legato sostituivo
Per tale ipotesi si registra il divario tra la tesi di chi, pur manifestando in linea generale adesione all’applicazione in via analogica dell’art. 524 c.c. ritiene che i creditori sarebbero privi di tutela, in quanto la mancata rinunzia non è atto di disposizione, non apparendo nemmeno possibile agire ex art. 2900 c.c., in quanto la facoltà di rinunzia al legato è una facoltà di disporre dei propri beni che esclude l’inerzia del debitore(39), e chi invece, con il chiaro intento di ampliare gli spazi di tutela dei creditori, reputa che l’art. 524 c.c. permetta di aggredire i beni sino all’ammontare della quota di riserva, e nei limiti del credito insoddisfatto, ancorchè il legittimario abbia aderito alla disposizione a titolo di legato(40).

Altre ipotesi di disposizione della quota di legittima

La sopra ricordata centralità che ha avuto l’azione di riduzione nell’ambito degli strumenti di tutela del legittimario, ha indotto la dottrina ad incentrare le proprie riflessioni anche in ordine alla tutela dei creditori del legittimario sulla sinora esaminata problematica relativa al mancato esercizio dell’azione di riduzione.
Ma la panoramica degli strumenti che il legislatore pone a disposizione del legittimario, pur nella ribadita preminenza da accordare all’azione di riduzione, rischierebbe di rendere del tutto parziale la disamina del tema della presente riflessione, ove non si offrissero anche dei rapidi cenni ai possibili strumenti di tutela dei creditori dinanzi ad atti del debitore comunque idonei ad incidere sul diritto alla quota di riserva.

a) La rinunzia all’opposizione
Come sopra accennato, il legislatore, nel prevedere la salvezza dei diritti dei terzi sui beni oggetto di donazioni lesive dei diritti del legittimario al decorso dei venti anni dalla trascrizione della donazione, ha controbilanciato la posizione del futuro riservatario attribuendogli ancor prima della morte del donante la possibilità di manifestare un atto di opposizione, il cui effetto è quello di sospendere il decorso del ventennio, lasciando quindi immutata la tutela reale offerta dall’art. 563 c.c. nei confronti dei terzi acquirenti.
L’istituto che non ha conosciuto, allo stato significative applicazioni, ha tuttavia indotto parte della dottrina ad interrogarsi circa le ricadute della novella, soprattutto nella parte in cui si prevede la rinunziabilità del diritto de quo, sul diverso piano della deroga ex lege al divieto di cui all’art. 557 c.c., essendo stata autorevolmente sostenuta la tesi secondo cui, una volta intervenuta la rinunzia (che secondo l’opinione prevalente potrebbe essere sia preventiva che successiva alla già intervenuta manifestazione dell’opposizione), dovrebbe reputarsi intervenuta anche la rinunzia, quanto meno all’azione di restituzione vero i terzi di cui all’art. 563 c.c.(41), trovando tale opzione una risposta favorevole anche in una pronuncia di merito(42).
È evidente che con tale previsione si è da un lato riconosciuta una tutela anticipata alla posizione del legittimario il quale, a differenza del passato, può esercitare un vero e proprio diritto, e precisamente quello di opposizione, facendo valere sostanzialmente la propria qualità di legittimario anche prima dell’apertura della successione, ed in vista della necessità di assicurare il proficuo esercizio dopo la morte del donante, dell’azione di restituzione nei confronti degli aventi causa del donatario.
Un dubbio che però pone la norma è quello della espressa qualificazione del diritto di opposizione come personale in quanto l’opinione della prevalente dottrina è nel senso che, pur dovendosi escludere che si tratti di un atto personalissimo, il che consente di affermare che possa essere effettuato anche da un rappresentante legale o volontario, non sia ammissibile l’esercizio in via surrogatoria del diritto di opposizione da parte dei creditori del legittimario che rimanga inerte(43), facendosi per l’appunto leva sul carattere personale del diritto di opposizione.
La norma però potrebbe anche essere letta nel senso che la qualificazione come personale sia avvenuta ad opera del legislatore replicando la qualificazione in generale offerta dell’azione di riduzione, e cioè nel senso che anche il diritto di opposizione compete individualmente ad ognuno dei legittimari, che può quindi esercitarlo singolarmente ancorché lo stesso non sia il solo legittimario, come nella particolare ipotesi in cui la classe dei legittimari, sia composta di più titolari (si pensi alla pluralità di figli ovvero di ascendenti). In questa prospettiva quindi potrebbe aprirsi uno spazio per l’esercizio del diritto di opposizione esercitato in via surrogatoria da parte dei creditori del legittimario.
Inoltre, appaiono aprirsi ancora ulteriori scenari di tutela dei creditori, atteso che la più recente giurisprudenza di merito, dando concretezza a quelle che erano alcune delle ipotesi prospettate dalla dottrina, sta riconoscendo la possibilità per il legittimario di poter agire, ancor prima dell’apertura della successione, al fine di far accertare la natura simulata di determinati atti che risultano formalmente essere delle compravendite, ma che in realtà il futuro legittimario sostiene essere delle donazioni.
Se si ritiene che il diritto di opposizione, rispetto al quale è funzionale l’accertamento della simulazione prima dell’apertura della successione, possa essere esercitato anche da parte dei creditori utendo iuribus, dovremmo ritenere estesa a questi ultimi anche la possibilità di esercitare l’azione di simulazione in via surrogatoria, senza sicuramente alcuna limitazione probatoria prevista invece per la prova della simulazione a carico delle parti (e ciò sia perché terzi rispetto all’atto di cui intendono far valere la natura relativamente simulata, sia perché agiscono avvalendosi del diritto del legittimario, che notoriamente non è sottoposto ai limiti di cui all’art. 1417 c.c.).
Inoltre, poiché, come detto, l’atto di opposizione risulta essere rinunciabile, una volta esclusa la natura personale del relativo diritto, dovrebbe riconoscersi coerentemente la possibilità di impugnare l’atto di rinunzia con l’azione revocatoria (anche a voler ritenere che il carattere personale attribuito al diritto, precluda l’esercizio dello stesso in via surrogatoria da parte dei creditori, l’interesse ad agire in revocatoria potrebbe essere individuato comunque nell’intento di rendere inefficace l’atto inteso quale anticipata rinunzia all’azione di restituzione ovvero, per la tesi più estrema, alla stessa azione di riduzione), ma in tale ultima prospettiva con il riproporsi delle già segnalate difficoltà in merito alla compatibilità tra l’azione revocatoria e la rinunzia all’azione di riduzione.

b) Il patto di famiglia
Altro profilo di interesse che mi sembra non sufficientemente esplorato in dottrina, è quello concernente l’individuazione degli spazi di tutela dei creditori dei creditori del legittimario a fronte del patto di famiglia concluso da parte del loro debitore.
Ed infatti, in disparte l’ipotesi in cui il legittimario non beneficiario dell’assegnazione dell’azienda ovvero delle partecipazioni societarie, rinunci a ricevere il pagamento di una somma corrispondente al valore della quota di legittima calcolata sul valore del bene assegnato (ipotesi nella quale appare evidente ed immediato il pregiudizio alle aspettative dei creditori i quali una volta apertasi la successione, ed anche laddove i loro debitore intenda esercitare l’azione di riduzione, non potranno mai aggredire i beni oggetto del patto di famiglia), in ogni caso potrebbe ipotizzarsi anche un patto di famiglia chiaramente finalizzato a blindare l’assegnazione dei beni, spesso di più rilevante interesse economico dell’ereditando, mediante l’assegnazione a chi tra i discendenti risulti avere meno problemi di esposizione debitoria.
Ed infatti, poiché il calcolo delle somme da attribuire ai non beneficiari, deve avvenire sulla base del valore attribuito ai beni in contratto, le parti contraenti potrebbero fraudolentemente assegnargli un valore di gran lunga inferiore a quello reale, proprio allo scopo di frustrare le aspettative dei creditori che in tal modo perderebbero la futura possibilità di contare sui beni che sarebbero pervenuti mortis causa al loro debitore, dovendosi per l’effetto accontentare di una somma di gran lunga inferiore rispetto a quanto invece sarebbe effettivamente spettato. Naturalmente, stante la necessità che al patto di famiglia partecipino tutti i legittimari, l’ipotesi prospettata chiaramente presuppone che vi sia, se non un’intesa fraudolenta, quantomeno un assenso implicito da parte di tutti gli interessati alla realizzazione dell’assetto di interessi finalizzato a premiare colui che viene ritenuto essere, oltre che il più capace nella gestione dell’impresa, anche il meno suscettibile di aggressione da parte di terzi creditori.

c) I pesi e le condizioni posti dal de cuius sulla quota di legittima
Altra ipotesi nella quale che può prospettarsi il dubbio in ordine alla più appropriata forma di tutela dei creditori a fronte di atti che interessino il debitore legittimario è la fattispecie contemplata dall’articolo 549 cc.
È opinione consolidata che la ratio del divieto consista nell’apposizione della clausola in sé e non nel suo contenuto, e che, ancorché la sanzione in senso tecnico prevista dal legislatore sia quella della nullità, si tratterebbe di una nullità posta nell’esclusivo interesse del legittimario, e che pertanto non sarebbe rilevabile d’ufficio da parte del giudice (in tal senso devono ritenersi minoritarie le tesi che parlano di inefficacia ovvero di annullabilità).
Probabilmente tale conclusione andrebbe rivista alla luce del recente intervento delle Sezioni Unite le quali, anche in relazione alle cosiddette nullità di protezione, poste cioè nell’esclusivo interesse di una parte, hanno ritenuto opportuno distinguere il profilo della rilievo della nullità da quello della dichiarazione della nullità(44), reputando che per questa categoria di nullità rimarrebbe comunque intatta la possibilità per il giudice anche di ufficio di rilevare la nullità, e quindi di sottoporre la relativa questione alle parti, essendo però rimessa a queste ultime, e precisamente a quella nel cui interesse il legislatore ha previsto la nullità, il potere di farla poi dichiarare. Mutatis mutandis, nel nostro caso dovrebbe quindi rimanere intatta la possibilità per il giudice di far rilevare la nullità del “peso” apposto alla quota di legittima, essendo però rimessa al legittimario la decisione di ottenere una pronunzia in tal senso. Ne consegue che se la legittimazione compete esclusivamente al legittimario, è lecito interrogarsi se in via surrogatoria i creditori di quest’ultimo possano agire al fine di far dichiarare la nullità delle condizioni e dei pesi che limitano la quota di riserva del loro debitore.
Altre ipotesi di nullità espressamente prevista a favore del legittimario è quella contemplata dall’articolo 735 c.c., il quale prevede la nullità della divisione del testatore che abbia pretermesso il legittimario. Si potrebbe quindi ipotizzare che, sempre ex art. 2900 c.c., i creditori possano agire in giudizio onde far valere l’invalidità della divisione che abbia distribuito i beni trascurando del tutto il loro debitore. A tale conclusione deve però porsi un limite rappresentato dal fatto che, secondo l’opinione della dottrina(45) e della giurisprudenza(46) la declaratoria di nullità della divisione presuppone che il legittimario abbia preventivamente acquisito la qualità di erede con il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. Ne consegue pertanto che prima di poter addivenire ad una dichiarazione di nullità da parte dei creditori, è necessario previamente superare le difficoltà sopra segnalate in merito alla possibilità di poter ovviare all’inerzia ovvero alla rinunzia del pretermesso, il quale non abbia curato autonomamente di far valere i diritti riservatigli dalla legge.

d) Gli accordi di integrazione della legittima
Spesso il riconoscimento dei diritti del legittimario leso passa non già attraverso l’accertamento in sede giurisdizionale, ma mediante la stipula di apposti accordi con i beneficiari delle disposizioni lesive, volti espressamente ad assicurare in tutto o in parte un risultato analogo a quello conseguibile mediante il provvedimento adottato ope iudicis(47).
La dottrina che si è occupata del tema è solita ricostruire la natura giuridica degli accordi in questione partendo dal dato normativo rappresentato dall’articolo 43 del decreto legislativo n. 346 del 1990 (Testo unico in materia di disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) il quale prevede che anche gli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari sono sottoposti all’imposta di successione.
Un problema sul quale le soluzioni si dividono è però quello relativo alla possibilità di ritenere che tali accordi possano essere reputati equivalenti, quanto agli effetti, alla sentenza che accolga la domanda di riduzione, sembrando a parere di chi scrive preferibile l’opinione di chi sostiene(48) che l’autonomia privata non sia in grado di sortire effetti dispositivi in ordine a diritti concernenti status familiari, così che l’atto in tal senso concluso non potrà in alcun modo essere attributivo della qualità di erede. Analoga posizione è sostenuta da chi(49) esclude che l’acquisto dello status di erede possa discendere da un accordo concluso al di fuori del controllo giudiziario. Si evidenzia inoltre che se al legittimario dovesse essere riconosciuta la qualità di erede, lo stesso dovrebbe rispondere anche pro quota dei debiti ereditari ed in tal modo, in violazione dell’articolo 457 c.c., gli verrebbe attribuita la detta qualità in base ad una delazione che non è né legittima né testamentaria.
Si aggiunge, a suffragio di tale conclusione, l’ulteriore argomento per il quale non sarebbe possibile che il legittimario pretermesso e il beneficiario della disposizione lesiva possano convenzionalmente privare di effetti un negozio (testamento o donazione) al quale non hanno partecipato. La conseguenza dovrebbe pertanto essere che il legittimario acquista i beni oggetto dell’accordo come avente causa dal beneficiario, ma senza acquisire altresì la qualità di erede.
Altra parte della dottrina invece ritiene che tali accordi determinino l’inefficacia relativa sopravvenuta delle disposizioni lesive(50) con una perfetta simmetria tra il risultato che può essere conseguito per via giudiziale e quello conseguibile per via negoziale(51). Il negozio avrebbe pertanto un’efficacia di accertamento costitutivo in quanto, da un lato accerta la lesione della legittima, e dall’altro individua il contenuto del diritto dei legittimario, rimuovendo l’efficacia degli atti pregiudizievoli, con la precisazione che la delazione continuerebbe ad essere di natura legale.
La giurisprudenza in generale ritiene che gli accordi in esame possano produrre i medesimi effetti che discendono dalla sentenza che accolga la domanda di riduzione, sebbene i precedenti in materia traggano per lo più origine da controversie di natura fiscale, nei quali però si è affermato che l’accordo determina una modificazione con effetto retroattivo del rapporto successorio(52), trattandosi quindi a tutti gli effetti, non solo fiscali, di un atto mortis causa.
In termini analoghi numerose pronunce emesse a risoluzione di controversie di natura prettamente civilistica(53) affermano tralaticiamente che l’acquisto dei diritti da parte del legittimario possa avvenire dopo l’esperimento dell’azione di riduzione o di annullamento del testamento, ovvero dopo il riconoscimento dei suoi diritti da parte dell’istituito.
In sostanza si ritiene che il negozio in oggetto preveda il riconoscimento da parte dell’erede testamentario degli intangibili diritti di riserva del legittimario, individui quali sono le conseguenze giuridiche derivanti dal negozio, con il conseguente inserimento automatico del legittimario pretermesso nella comunione ereditaria, e ciò fin dal momento dell’apertura della successione, acquisendo la sua quota di eredità su tutti beni ereditari, con l’assunzione anche della qualità di erede.
La dottrina più recente(54) tuttavia ritiene che tale conclusione non possa essere condivisa in quanto, laddove la lesione derivi da un atto mortis causa, il legittimario e l’erede testamentario sarebbero privi del potere di intervenire sul negozio mortis causa eliminandone l’efficacia, e che pertanto solo la sentenza del giudice abbia il potere di intervenire in tal senso.
Analoghe conclusioni devono essere assunte per quanto riguarda il contratto di donazione, dovendosi affermare che, anche laddove l’erede testamentario sia il successore del donante, sarebbe privo di legittimazione ad incidere sugli effetti di un atto ormai già perfetto.
La conclusione è quindi nel senso che l’accordo in esame costituirebbe in un atto traslativo per il quale devono trovare applicazione tutte le previsioni normative previste per gli atti inter vivos, tra le quali rilevano le menzioni urbanistiche, la dichiarazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie depositate in catasto, l’allegazione dell’attestato di prestazione energetica, ecc., con l’ulteriore conseguenza che l’eventuale acquisto è destinato a cadere in comunione legale, non trattandosi di fattispecie rientrante tra gli acquisti di bene personale.
Alla luce di tale conclusione non appare quindi possibile di per sé escludere la validità di accordi integrativi che contemplino anche beni non ereditari, dovendosi ritenere alla luce di una serie di previsioni normative, che la tacitazione dei diritti del legittimario possa, con il concorso della sua volontà, avvenire anche mediante beni non appartenenti al de cuius.
L’accordo di integrazione deve essere però distinto da alcune figure affini quali ad esempio la transazione, la quale presuppone la reciprocità delle concessioni, così che nel nostro caso si potrebbe parlare di transazione allorquando al legittimario siano attribuiti beni di valore inferiore alla sua quota di legittima, ovvero quando sia stato soddisfatto con beni non provenienti dall’asse ereditario o ancora siano stati attribuiti beni non in piena proprietà.
Affinché possa quindi parlarsi di transazione è necessario che vi sia un conflitto giuridico ed attuale in ordine all’esistenza della lesione ovvero in ordine ai beni aggredibili(55), di modo che nei casi sopra indicati, se vi è il riconoscimento dell’esistenza della lesione, ma si incide solo sulle modalità attraverso le quali la stessa viene soddisfatta, non saremmo di fronte ad una transazione.
Personalmente ritengo che, soprattutto laddove al legittimario siano attribuiti beni di valore inferiore alla quota astratta di legittima, possa parlarsi di transazione, ed in tal caso ritengo che i creditori possano tranquillamente impugnare con l’azione revocatoria l’atto transattivo in quanto pregiudizievole.
Il problema che però poi si pone è quello di verificare in che modo possano poi materialmente aggredire i beni che sarebbero spettati a titolo di legittima, in quanto una volta rimossa l’efficacia dell’atto transattivo, il legittimario, che non ha conseguito tale qualità per effetto dell’accordo, continua a rivestire la qualità di soggetto del tutto pretermesso e pertanto si porrebbero i già esposti problemi di individuazione degli strumenti più appropriati per reagire all’inerzia ovvero alla rinunzia, laddove si reputi che l’accordo o la transazione contengano anche un’implicita rinunzia all’azione di riduzione. Discorso diverso potrebbe invece essere svolto laddove invece si reputi che la qualità di erede sia stata acquisita per effetto dell’accordo (anche se verosimilmente facendo un’opportuna distinzione tra accordo di reintegrazione e transazione, in quanto l’effetto in questione potrebbe essere riconosciuto solo al primo e non alla seconda), poiché in questo caso essendo già divenuto erede, vi sarebbe allora spazio perché i creditori possano esercitare l’azione di riduzione in via surrogatoria, non ponendosi i segnalati problemi di impedire l’acquisto della qualità di erede contro la volontà dell’interessato.
La condizione nella quale verrebbero però a trovarsi i creditori del legittimario, una volta dichiarata l’inefficacia dell’atto transattivo, non appare punto differente da quella nella quale verrebbero a trovarsi laddove si riconoscesse l’ammissibilità di impugnare con la revocatoria l’atto di preferenza del legittimario per il legato di cui all’art. 551 c.c., essendo anche in tal caso necessario poi agire per il recupero dei beni con l’azione di riduzione in via surrogatoria, circostanza questa che ha indotto la Suprema Corte nel 2013 a negare l’ammissibilità la revocabilità dell’atto di scelta del legato de quo. Ragioni di coerenza sistematica imporrebbero quindi di estendere la detta conclusione anche al caso qui in esame, venendosi in tal modo ad individuare un’altra ipotesi immune dal potere di reazione dei creditori del legittimario, non potendosi logicamente sostenere che una differenza di trattamento possa risiedere nel solo fatto che, a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 551 c.c., il pregiudizio per le ragioni dei creditori in questo caso discenda da una manifestazione di volontà posta in essere dopo l’apertura della successione.

Abstract

L’articolo, partendo dalla disamina della scarna disciplina che il codice civile riserva alla posizione dei creditori del legittimario, offre una disamina del panorama della giurisprudenza di legittimità degli ultimi anni, segnalando le difficoltà che pone la tradizionale soluzione che riconosce ai creditori del legittimario la legittimazione surrogatoria all’esercizio dell’azione di riduzione.
All’approdo giurisprudenziale viene contrapposta la tesi prevalentemente dottrinale, ancorché sostenuta da alcuni giudici di merito, che invece propone l’applicazione in via analogica dell’art. 524 c.c., dandosi pertanto conto delle varie situazioni che nella pratica possono presentarsi.
L’ultima parte dell’articolo è dedicata alla disamina dei possibili rimedi che i creditori possono esercitare a fronte di atti dispositivi del diritto del legittimario diversi dalla rinunzia all’azione di riduzione.


(1) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1962, p. 331 il quale invece ritiene che la previsione di cui all’articolo 557 primo comma codice civile limita l’esercizio dell’azione di riduzione ai soli aventi causa del legittimario naturalmente oltre che agli eredi.

(2) Per l’ammissibilità dell’azione di riduzione esperita dal cessionario dell’azione di riduzione, con atto inter vivos o mortis causa, Cass. civ., 9 aprile 2008, n. 26254; Cass. civ., 20 gennaio 2009, n. 1373.

(3) L. MENGONI, Successioni per causa di morte - Parte speciale Successione necessaria, Milano, 2000, p. 243, che sottopone a critica le tesi contrarie, tra le quali si segnala anche V. CANTELMO, I legittimari, Padova, 1991, p. 125 che argomenta in tal senso sul presupposto che si tratti di un diritto assolutamente personale, insuscettibile di poter essere esercitato in via surrogatoria da parte dei creditori. In senso contrario si veda anche F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2011, p. 490 il quale ritiene che invece non sia possibile l’azione di riduzione in via surrogatoria in quanto si tratta di una scelta del legittimario che non può essere imposta da un’iniziativa del creditore. In senso altresì favorevole alla legittimazione dei creditori, si veda ex multis E. BETTI, Appunti di diritto civile, Milano, 1928-1929, p. 516; F. SANTORO PASSARELLI, Dei legittimari, in Codice civile, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, in Commentario diretto da D’Amelio e Finzi, 1941, p. 316; A. PINO, Tutela dei legittimari, Padova, 1954, p. 69 e ss.; R. NICOLÒ, Surrogatoria-Revocatoria, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1957, p. 142.

(4) Soffermandosi per il momento sulla sola giurisprudenza di legittimità più risalente nel tempo e sulla giurisprudenza di merito, con riserva di esaminare nel prosieguo dello scritto le posizioni più recenti della giurisprudenza di legittimità, si veda Cass. 30 ottobre 1959, n. 3208, che ammette l’esercizio dell’azione surrogatoria da parte dei creditori del legittimario, nonché Tribunale Novara 18/3/2013, in Notariato, 2013, p. 655 con nota di A. BIGONI - F. GIOVANZANA, «La tutela del creditore personale del legittimario tra surrogatoria, revocatoria ed articolo 524 c.c.»; Tribunale Pesaro 11/8/2005, in Foro it., Repertorio, 2009, voce Successione ereditaria n. 148; Tribunale Cagliari, 14/2/2002, in Riv. giur. sarda, 2003, p. 323 con nota di M. PERRECA, «Considerazioni minime sugli strumenti di tutela dei creditori del legittimari o verso la rinunzia tacita alla legittima»; Tribunale Gorizia 4 agosto 2003, in Familia, 2004, p. 1187, con nota di Grassi; Tribunale Lucca 2 luglio 2007, in Giur. mer., 2008, 3, p. 738.

(5) L. MENGONI, op. cit.

(6) Cfr. Cass. civ., 20 novembre 2008, n. 27556.

(7) Cfr. in giurisprudenza Cass. civ., 20 settembre 1963, n. 2592.

(8) S. PAGLIANTINI, Legittimario pretermesso, fallimento e rinunzia all’azione di riduzione: spigolature sulla cd. volontà testamentaria negativa e tutela dei creditori, in Diritto delle successioni e della famiglia, 2015, p. 53 e ss.

(9) Per l’applicazione dell’articolo 524 c.c. anche all’ipotesi di rinunzia all’azione di riduzione da parte del legittimario pretermesso, Tribunale Roma, 22 gennaio 2014, in Foro it., 2014 , I, c. 1308 ed in precedenza Tribunale Napoli, 15 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, p. 1646 con nota di A. BUCELLI, «Rinunzia all’azione di riduzione e fallimento del legittimario».

(10) Cass. civ., S.U., 9 giugno 2006 n. 13429, in Foro it., 2006, I, c. 2727.

(11) Cass. civ., 29 luglio 2008, n. 20562.

(12) Cass. civ., 18 gennaio 1982, n. 310; Cass. civ., 25 marzo 1995, n. 3548.

(13) Cass. civ., 12 gennaio 1999, n. 251; Cass. civ., 7 ottobre 2005, n. 19527; Cass. civ., 15 giugno 2006, n. 13804.

(14) S. CAPASSO, «Gli strumenti di tutela del creditore dell’erede rinunziante e/o del legittimari pretermissione», tenuta in occasione dell’incontro di studi organizzato dal CSM in data 18 ottobre 2011, “Il contenzioso civile in materia di successioni e divisioni”, in www.csm.it.

(15) In termini analoghi, in dottrina L. ZOSO, «La trasmissibilità dell’azione di riduzione», in Corr. giur., 2012, p. 581; C. GRASSI, «Rinuncia del legittimario pretermesso all’azione di riduzione e mezzi di tutela dei creditori: revoca della rinuncia ed esercizio in surroga dell’azione di riduzione», nota a Tribunale Gorizia, 4 agosto 2003, in Familia, 2004, p. 1190.

(16) A. BUCELLI, Dei legittimari, in Commentario al codice civile diretto da Busnelli, Milano, 2012, p. 597 e ss.

(17) In aggiunta agli Autori già citati, si veda anche C.M. BIANCA, Diritto civile, Milano, 2001, p. 615; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1983, p. 322; C.R. CALDERONE, Della successione legittima e dei legittimari, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da de Martino, Roma 1976, p. 265; R. NICOLÒ, op. cit., p. 142.

(18) L. FERRI, I legittimari in Commentario del codice civile a cura di Scialoja -Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 199 e ss.

(19) Lo stesso L. FERRI, op. cit., però distingue tra la rinuncia la quota di legittima e la rinunzia ad accettare l’eredità la quale farebbe cadere la delazione e quindi importerebbe la dismissione non già di un bene già entrato nel patrimonio, ma di un potere riconosciuto dalla legge.

(20) A. BUCELLI, op. ult. cit.

(21) A. BUCELLI, op. ult. cit.

(22) Cass. civ., 23 gennaio 2007, n. 1403.

(23) Cass. civ., 15 maggio 2013, n. 11737, in Dir. fam. pers., 2014, 2, p. 567 con nota di Marini.

(24) Nella giurisprudenza di merito aderiscono alla tesi della legittimazione del curatore alla proposizione dell’azione di riduzione, Tribunale Venezia, 20 maggio 2005, in Fall., 2006, p. 714 con una nota di D. FINARDI, «Legittimazione del curatore fallimentare ad esperire l’azione di riduzione in luogo del fallito pretermesso»; Tribunale Como, 3 febbraio 1993, in Dir. fall., 1993, II, p. 954 con nota di E. CAPUTO, «La legittimazione del curatore a sperimentare l’azione di riduzione per la lesione di legittima»; in senso contrario Tribunale Milano 10 novembre 1996, in Foro it., Repertorio, 1998, voce Successione ereditaria, n. 85.

(25) Cass. civ., 19 febbraio 2013, n. 4005, in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 828, con nota di M.V. MACCARI, «Accettazione del legato in sostituzione di legittima e tutela dei creditori: è possibile esperire l’azione revocatoria?».

(26) Diversa soluzione andrebbe invece adottata nel caso, da ritenersi peraltro di scuola, in cui, a fronte di un legato ex articolo 551 c.c. di valore largamente superiore all’ammontare della quota di legittima, il legittimario rinunzi allo stesso, al fine di conseguire con l’esercizio dell’azione di riduzione la quota riservatagli per legge. In tal caso si ritiene pacifica la possibilità per i creditori di poter reagire con un’azione revocatoria e ciò in considerazione della regola di carattere generale, valida anche per il legato in sostituzione di legittima, Cass., S.U., 29 marzo 2011, n. 7098, secondo cui il legato si acquista di diritto, con l’ulteriore conseguenza che la rinunzia concerne un diritto già entrato a far parte del patrimonio del legatario. Per tali riflessioni si veda in particolare, F. REALMONTE, La tutela dei creditori personali del legittimario, in Studi in onore di Mengoni, I, Milano, 1995, p. 634 e ss., nonché S. PAGLIANTINI, op. cit., p. 62.

(27) Cass. civ., 2 febbraio 2016, n. 1996.

(28) Cass. civ., 12 aprile 2012, n. 5805; Cass. civ., 4 agosto 1997, n. 7187; Cass. civ., 28 maggio 1988, n. 3665.

(29) In tal senso A. BIGONI - F. GIOVANZANA, op. cit.

(30) F. REALMONTE, op. cit.

(31) Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7735, in Riv. not., 2008, 2, p. 456 con nota di Musolino.

(32) S. PAGLIANTINI, op. cit. Per l’adesione alla tesi dell’applicabilità dell’art. 524 c.c., A. BIGONI - F. GIOVANZANA, op. cit., p. 655.

(33) Per tali riflessioni, anche in relazione alla trascrivibilità della domanda ex art. 524 c.c., si veda S. PAGLIANTINI, op. cit., p. 65 e ss., nonché F. REALMONTE, op. cit., p. 654 e ss.

(34) ZOSO, op. cit.

(35) F. REALMONTE, op. cit., nota 73.

(36) S. CAPASSO, op. cit., che ritiene che però i creditori pur agendo in surrogatoria, non possano ottenere più di quanto costituisce la quota ereditaria.

(37) F. REALMONTE, op. cit., p. 648.

(38) Cass., S.U., 25 ottobre 2004, n. 20644.

(39) F. REALMONTE, op. cit., p. 652.

(40) S. PAGLIANTINI, op. cit., p. 64 e ss. Vale segnalare che secondo R. NICOLÒ, op. cit., l’intervento surrogatorio dei creditori, da escludersi in relazione al potere di scelta fra il legato sostitutivo e la legittima da acquisire con l’azione di riduzione, diventa ammissibile non appena il legittimario abbia effettuato la propria scelta.

(41) Per una disamina delle varie opinioni, si veda ex multis, G. IACCARINO, «Rinunzia all’azione di restituzione prima della morte del donante», in Fam. pers. succ., 2012, p. 2 e ss.

(42) Trib. Torino, decreto, 26 settembre 2014, in Notariato, 2015, p. 191 e ss., con nota di Iaccarino, secondo cui l’esigenza di favorire la commerciabilità dei beni donati pur durante la vita del donante può essere soddisfatta mediante annotazione dell’atto di rinuncia all’azione di restituzione a margine della trascrizione dell’atto di donazione assoggettabile a riduzione, sull’esplicito presupposto della validità di una rinunzia all’azione di restituzione in vita del donante.

(43) In tal senso P. VITUCCI, «Tutela dei legittimari e circolazione dei beni acquistati a titolo gratuito. Per una lettura sistematica dei novellati articoli 561 e 563 c.c.», in Riv. dir. civ., 2005, II, p. 572; G. CARLINI - C. UNGARI TRASATTI, «La tutela degli aventi causa titolo particolare dal donatario: considerazioni sulla legge numero 80 del 2005», in Riv. not., 2005, p. 788; F. GAZZONI, «Competitività e dannosità della successione necessaria (a proposito dei novellati articoli 561 e 563 c.c.)», in Giust. civ., 2006, II, p. 10; S. DELLE MONACHE, «Scenari attuali in materia di tutela del legittimari», in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, p. 92; G. MARINARO, La successione necessaria, in Trattato di diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2009, p. 344 e ss.

(44) Cass. civ., S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243.

(45) Ex multis, L. MENGONI, op. cit., p. 72.

(46) Cassazione civile 15 marzo 1958 n. 367; Cassazione civile 6 ottobre 1972 n. 2870.

(47) Per riferimenti a tale fattispecie negoziale, si veda da ultimo A. AZARA, Gli accordi di integrazione della legittima, in Successioni per causa di morte. Esperienze ed argomenti, a cura di Cuffaro, Torino, 2015, p. 377 e ss.

(48) F. SALVATORE, «Accordi di reintegrazione della legittima: accertamento e transazione», in Riv. not., 1996, p. 211 e ss.

(49) A. BULGARELLI, «Gli atti “dispositivi” della legittima», in Notariato, 2000, p. 5 e ss.

(50) G. SANTARCANGELO, «Gli accordi di reintegrazione di legittima», in Notariato, 2011, p. 162 è seguenti.

(51) In senso conforme D. CAVICCHI, «Accordi per la reintegrazione della legittima», in Contratti, 2009, p. 11 e ss.

(52) Cass. civ., 30 ottobre 1974, n. 3334, in Giur. it., 1976, I, 1, p. 839; Cass. civ., 24 novembre 1981, n. 6235, in Giust. civ., 1982, I, p. 965.

(53) Cass. civ., 27 gennaio 2014, n. 1625; Cass. civ., 9 dicembre 1995, n. 12632; Cass. civ., 22 ottobre 1988, n. 5731.

(54) A. AZARA, op. cit.

(55) A. AZARA, op. cit.

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