La circolazione dei beni di provenienza donativa
La circolazione dei beni di provenienza donativa
di Giancarlo Iaccarino
Notaio in Massa Lubrense

Gli interessi contrapposti in gioco

Come visto nella sezione precedente, la criticità delle provenienze donative ha indotto gli studiosi e, in particolare, la prassi notarile ad escogitare varie soluzioni volte a stabilizzarle nella prospettiva di rendere sicura l’immissione nel mercato immobiliare dei beni ricevuti con donazione.
In tale contesto, giova sottolineare che gli interessi in gioco, tra loro contrapposti, sono due. Da un lato, quello del legittimario leso e, dall’altro, quello della sicura circolazione immobiliare dei c.d. beni “donativi”. Invero, poiché il secondo interesse coinvolge due soggetti, i nuclei soggettivi attratti nell’orbita della vicenda donativa sono sostanzialmente tre: il legittimario leso, il donatario e il terzo acquirente dal donatario.
Il legittimario ha una tutela granitica, forse eccessiva, che gli proviene soprattutto da tre azioni: di riduzione in senso stretto (art. 557 e ss.), di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni lesive (art. 561) e di restituzione contro gli aventi causa dal donatario delle disposizioni lesive (art. 563).
Il donatario, come tutti i titolari di diritti legittimamente acquistati per contratto, è tutelato sia dalla Costituzione ex art. 42 sia dal codice civile ex art. 832 c.c.
Il terzo acquirente dal donatario, infine, è tutelato nella fase precedente all’acquisto soprattutto dal notaio quale professionista coinvolto in prima linea nella vicenda acquisitiva dei beni immobili e, successivamente, dagli stessi princípi (costituzionali e civilistici) che tutelano qualunque proprietario. Giova ricordare che in questo scenario hanno un ruolo determinante per l’attività notarile, in primo luogo, il sistema della pubblicità (dal quale nel caso di specie, si evincono sia la provenienza donativa ex art. 2643 n. 1 sia le eventuali azioni promosse dai legittimari lesi ex art. 2652 n. 8) e, in secondo luogo, i diritti inviolabili dei legittimari.
Sullo sfondo di tale intreccio di interessi si colloca la rinuncia preventiva alla azione di restituzione quale rimedio volto a garantire, nel rispetto dei suddetti princípi nonché di quelli inderogabili del nostro ordinamento, il terzo acquirente di un bene con provenienza donativa.

Rinuncia preventiva all’azione di restituzione

Generalità

Tenuto conto che, come si vedrà nel capitolo XLIII, le provenienze scaturenti da donazioni indirette sono certe, nel senso che non mettono in discussione la successiva circolazione immobiliare, è opportuno chiedersi quale possa essere la via più diretta per stabilizzare anche la circolazione di beni provenienti da donazioni dirette o tipiche.
Invero, tutte le alternative e i rimedi analizzati nella sezione precedente non rappresentano una soluzione definitiva o idonea per ogni caso.
Soprattutto dopo la novella del 2005, è conseguente interrogarsi sulla legittimità di un atto notarile di rinuncia preventiva alla azione di restituzione in virtù del quale i legittimari potenzialmente lesi, durante la vita del donante e prima dello spirare del termine ventennale di cui all’art. 563 c.c., possano consentire al germano donatario di vendere in modo più certo il bene ricevuto in donazione dal comune genitore.
Come è noto, l’art. 563 c.c. è stato oggetto di una rilevante modificazione a séguito della entrata in vigore dell’art. 2, comma 4-novies, D.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80. Per effetto di tale modifica il diritto del legittimario, una volta esperita vittoriosamente l’azione di riduzione, di agire per la restituzione del donatum nei confronti dei terzi acquirenti viene limitato sul piano temporale, nel senso che tale azione potrà essere esperita se ed in quanto non sia decorso il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione, suscettibile tuttavia di essere sospeso «nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione». Da ciò si evince correttamente(1) che la retroattività reale (ossia l’opponibilità ai terzi) della azione di restituzione sussiste solo per 20 anni dalla trascrizione della donazione o per il maggior termine che si determini a séguito della sospensione provocata dalla c.d. opposizione della donazione.
A questo punto, in estrema sintesi, le domande sono due. Si può ritenere che il termine ventennale previsto dal legislatore nel 2005 abbia natura disponibile? Se sì, la rinuncia preventiva alla azione di restituzione contrasta con i princípi fondamentali del nostro ordinamento di cui agli artt. 458 e 557 c.c.?

La tesi negativa

Tale ricostruzione dottrinale(2) muove le sue argomentazioni da un convincimento fondamentale in virtù del quale la tutela reale del legittimario è inviolabile e, come tale, non può essere immolata sull’altare della circolazione dei beni di provenienza donativa.
La tesi trova le sue principali argomentazioni, in primo luogo, nella copertura costituzionale dell’erede necessario scaturente dal principio di solidarietà familiare riconducibile al combinato disposto degli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione. Tale tutela, inoltre, in materia di riduzione, è stata conseguita nel codice civile mediante la compressione della autonomia negoziale scaturente dall’art. 557, comma 2, c.c., a mente del quale i legittimari non possono rinunciare a questo diritto (di agire in riduzione) finché vive il donante.
In secondo luogo, si osserva che la legge, dopo la riforma del 2005(3), prevede la sola rinuncia all’opposizione della donazione che fa decorrere il termine prescrizionale; se avesse voluto consentire altre rinunce le avrebbe previste; ogni altro negozio abdicativo sembra, pertanto, essere nullo ai sensi degli artt. 458, in tema di divieti di patti successori, e 557 comma 2, in tema di irrinunciabilità della riduzione durante la vita del donante(4).
In terzo luogo, pur riconoscendo la distinzione tra azione di riduzione ed azione di restituzione, è innegabile il collegamento tra le due azioni in quanto quella di restituzione rappresenta la naturale conseguenza dell’azione di riduzione. In particolare, tale corrente di pensiero, da un lato, esalta le differenze tra le due azioni affermando, tra l’altro, che la funzione dell’azione di riduzione si esaurisce nel rendere inefficace nei confronti del legittimario attore le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive dei suoi diritti di legittima. L’azione di restituzione, invece, costituisce lo strumento processuale utilizzabile poi dallo stesso legittimario per ottenere la restituzione, dal beneficiario o dai terzi, dei beni oggetto delle liberalità, private di efficacia con l’azione di riduzione(5).
Sempre in tal senso, è stato affermato che il rapporto tra azione di riduzione e azione di restituzione è rapporto tra azioni che tutelano beni giuridici diversi, utilità diverse espressive d’interessi patrimoniali diversi: la riduzione tutela l’interesse del legittimario ad ottenere la delazione; la restituzione tutela l’interesse del legittimario a vedere composta la sua quota di legittima dal bene in natura(6).
Dall’altro si osserva che, seppur tale differenza tra le due azioni potrebbe indurre a ritenere che, ferma la nullità della rinunzia preventiva alla azione di riduzione, sia legittimo rinunciare in anticipo (prima della morte del donante e prima del termine di 20 anni di cui all’art. 563 c.c.) alla azione di restituzione al fine di “stabilizzare” definitivamente l’acquisto del terzo avente causa del donatario, tale tesi “suggestiva”, tuttavia, non parrebbe accoglibile. Infatti, nonostante le suddette differenze tra le due azioni, presupposto necessario per l’esperimento di quella di restituzione è la caducazione del titolo donativo sul quale si fonda l’acquisto del terzo.
In altri termini, il legittimario nel nostro ordinamento gode di una tutela complessa e completa che non può essere diminuita da tale atto di rinuncia preventiva(7).
Non rileva, inoltre, secondo tale orientamento, neanche la disparità di trattamento riservato alle liberalità indirette le quali, secondo la tesi preferibile, sia in giurisprudenza(8) sia in dottrina(9), non mettono in discussione la sicura circolazione dei beni provenienti da tali liberalità in quanto, in tale caso, i legittimari lesi vantano solo un diritto di credito e non un diritto reale di séguito sul bene indirettamente donato.
Non pare, infatti, che le donazioni dirette e le donazioni indirette siano meritevoli in subiecta materia di un trattamento necessariamente unitario. Ciò in quanto solo nel primo caso emerge chiaramente dal titolo di provenienza la natura liberale. Proprio questa distinzione varrebbe a giustificare una diseguaglianza di trattamento(10).
In conclusione, per tale orientamento, il legislatore, al fine di perseguire il dichiarato obiettivo circolatorio mercé la compressione della effettività della tutela del legittimario già prima della morte del donante, ha richiesto il completamento di una fattispecie a formazione progressiva i cui coelementi perfezionativi sembrano essere, da una parte, la rinuncia all’opposizione (con la quale, come anticipato, il legittimario manifesta la sua volontà, ora per allora, di degradare la propria tutela reale ad obbligatoria), dall’altra, il decorso del ventennio(11).
Da ciò deriva, in estrema sintesi, che il termine di 20 anni disciplinato dall’art. 563 è un periodo di garanzia inviolabile posto a presidio della tutela reale del legittimario.
In realtà si tratta di comprendere sino a che punto il legislatore abbia inteso spingersi nel far prevalere un regolamento degli interessi in gioco meno sbilanciato a favore dei legittimari, nel conflitto che li vede contrapposti agli acquirenti del donatario. In tale prospettiva, «se il diritto di opposizione funge da contrappeso rispetto all’introduzione del limite temporale oltre il quale l’esercizio dell’azione di riduzione non è più in grado di condurre ad una sentenza che travolga gli acquisti degli aventi causa dal donatario, ciò testimonia della preoccupazione del legislatore di assicurare comunque una tutela forte, pur in un’ottica tesa al perseguimento del dichiarato obiettivo della novella, ai membri della famiglia più stretta del donante»(12).
Pertanto, considerata la perplessità in relazione ai divieti sanciti dalle su richiamate norme (458 e 557 c.c.), allo stato, la rinuncia preventiva sarebbe ammissibile solo dopo un risolutorio intervento legislativo in pendenza del quale sarebbe sconsigliabile da parte del notaio redigere un atto di rinuncia anche alla luce di un possibile coinvolgimento del noto art. 28 della legge notarile(13).

La tesi positiva (preferibile)

La liceità della rinuncia alla azione di restituzione durante la vita del donante e prima che sia spirato il termine ventennale di cui all’art. 563, primo comma, c.c., si fonda soprattutto su tre argomentazioni(14): i) sulla netta differenza tra azione di riduzione ed azione di restituzione;
ii) sull’assenza di conflitto con il divieto dei patti successori rinunciativi e sulle numerose eccezioni al disposto di cui all’art. 458 c.c.
iii) sulla ratio della riforma del 2005(15), con particolare riguardo:
iii1) alla valenza sistematica della rinunciabilità al diritto di opposizione e iii2) alla introduzione di nuove deroghe alla tutela reale del legittimario. Tali aspetti vengono sinteticamente analizzati.
i) Differenza tra azione di riduzione e di restituzione
In primo luogo, l’azione di riduzione e quella di restituzione sono diverse per il petitum (l’oggetto dell’azione), per la causa petendi (la ragione della pretesa che si vuol far valere in giudizio), per la legittimazione passiva(16), per la natura(17), per la funzione e, dopo il 2005, per l’indipendenza dall’evento morte della sola azione di restituzione.
Più precisamente, l’azione di riduzione è il mezzo concesso al legittimario per fare dichiarare inefficaci nei suoi confronti le donazioni o le disposizioni lesive. Essa non comporta, di per sé, il passaggio dei beni dal patrimonio del beneficiario a quello del legittimario. Per ottenere tale scopo, infatti, è necessario l’esperimento di una diversa e successiva azione, detta di restituzione(18). In termini ancora più netti, la funzione dell’azione di riduzione si esaurisce nel rendere inefficaci nei confronti del legittimario le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive. L’azione di restituzione, invece, costituisce lo strumento processuale utilizzabile dallo stesso legittimario, che ha vittoriosamente agíto in riduzione per ottenere materialmente il bene(19).
In linea con la dottrina è anche la giurisprudenza, la quale ha, tra l’altro, affermato che l’azione di riduzione si distingue dall’azione di restituzione (o di reintegrazione), in quanto, mentre la prima è un’azione di impugnativa, la seconda è un’azione di condanna che, peraltro, presuppone già pronunziata quella di riduzione(20). Anzi, quale presupposto dell’azione di restituzione è necessario che contro il beneficiario l’azione di riduzione sia stata esperita vittoriosamente e che la relativa sentenza sia addirittura passata in giudicato(21).
Relativamente alla legittimazione passiva, inoltre, neanche v’è coincidenza tra le due azioni. L’una, infatti, è diretta verso i beneficiari o i donatari (riduzione), l’altra contro i loro aventi causa (restituzione)(22).
Il rapporto tra le due azioni, come ha precisato la dottrina(23), è simile a quello che esiste tra l’azione revocatoria e l’azione esecutiva, nel senso che l’azione di riduzione sta all’azione revocatoria come l’azione di restituzione sta all’azione esecutiva. Infatti, con la prima (revocativa) si dichiarano inefficaci nei confronti del creditore gli atti dispositivi, con i quali il debitore ha recato pregiudizio all’altrui diritto di credito (art. 2901 c.c.); con la seconda (esecutiva), il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere le azioni esecutive o conservative sul bene nei confronti dei terzi acquirenti (art. 2902 c.c.). La privazione del bene per i terzi non deriva dall’azione revocatoria, bensì dall’azione esecutiva, così come per gli aventi causa del donatario la privazione del bene non può mai derivare dall’azione di riduzione, bensì dalla sussistenza delle condizioni per l’esperibilità nei confronti dei terzi dell’azione di restituzione.
Inoltre, l’azione di riduzione è unitaria, nel senso che colui che agisce utilizzando tale rimedio lo fa complessivamente nei confronti di tutti i beneficiari di disposizioni (testamentarie e donative) ritenute lesive. Viceversa, l’azione di restituzione ha carattere particolare nel senso che è diretta a recuperare una determinata res trasferita dal beneficiario a un terzo.
Detto altrimenti, mentre chi domanda la riduzione lo fa con un’unica azione, colui che agisce in restituzione deve proporre singole domande per ciascuna alienazione effettuata dai beneficiari. Abbiamo, dunque, una azione universale (la riduzione) e una particolare (la restituzione).
L’azione di restituzione contro gli aventi causa dei donatari soggetti a riduzione deve quindi proporsi secondo l’ordine di data delle alienazioni effettuate dai singoli donatari, cominciando dall’ultima.
Il divario tra le due azioni è stato maggiormente accentuato dopo la citata riforma del 2005. Ai sensi dell’art. 563 c.c., infatti, il legittimario se non fa opposizione e sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione perde il diritto di agire in restituzione anche se il donante è ancora in vita. Pertanto, e questa è l’innovazione più pregnante, la perdita della possibilità di agire in restituzione è testualmente indipendente dall’evento morte.
Alla luce del divario tra le due azioni (natura - effetti - legittimazione - funzione) si giunge al primo corollario: il divieto dell’art. 557 c.c. in virtù del quale «… i legittimari non possono rinunciare a questo diritto finché vive il donante …», dettato per l’azione di riduzione non è applicabile anche all’azione di restituzione.
La giurisprudenza(24), che per la prima volta si è espressa sul tema al vaglio, ha compiutamente condiviso i presupposti del ragionamento appena esposto e, coerentemente, ha confermato il suddetto corollario affermando che «… la dichiarazione di rinuncia all’azione di restituzione, e quindi la sua espressa rinunciabilità prima del decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione, sembra avvalorata dal fatto che in caso di inerzia del legittimario l’azione è destinata a perire col decorso del predetto termine anche se il donante sia ancora in vita …».
Conseguentemente, la citata giurisprudenza ha precisato che «… la dichiarazione di rinuncia all’azione di restituzione verso i terzi acquirenti prevista dall’art. 563 c.c. è da reputarsi atto legittimo poiché, diversamente dall’azione di riduzione ex art. 557 c.c. (azione personale di accertamento costitutivo, non rinunciabile prima dell’apertura della successione) e dall’azione di restituzione contro i beneficiari diretti di cui all’art. 561 c.c. (anch’essa personale), ha natura reale e caratteristiche analoghe all’azione di rivendica, oltre a non essere esperibile decorsi venti anni dalla trascrizione della donazione anche qualora il donante sia in vita …».
Come è evidente, il richiamato provvedimento ha posto in luce anche una ulteriore differenza tra le due azioni.
Invero, mentre l’azione di riduzione è personale, l’azione di restituzione ha natura reale e, quindi, ha caratteristiche analoghe a quella di rivendicazione disciplinata dall’art. 948 c.c., la quale, nell’àmbito delle azioni a difesa della proprietà(25), si dirige contro chiunque possiede o detiene la cosa ed è esercitata da chi si pretende proprietario e non sia in possesso del bene(26).
In termini ancora più chiari, l’azione di restituzione, a differenza di quella di riduzione, ha tutte le caratteristiche dell’azione reale ossia lo jus sequelae consistente nella possibilità di recuperare il bene alla massa ereditaria contro chiunque ne sia divenuto titolare e l’inerenza alla res, intesa come stretto collegamento tra il titolare del diritto e il bene, nel nostro caso tra il legittimario ed il bene uscito dal patrimonio ereditario.
Anche la dottrina più recente(27), soffermandosi sulla distinzione sia strutturale sia funzionale tra le due azioni, ha evidenziato, sotto il secondo aspetto, che tra le stesse il collegamento (funzionale) è naturale ma non necessario in quanto la tutela del legittimario (e della quota indisponibile) è garantita dall’azione di riduzione (la quale mira sostanzialmente “all’accertamento della lesione”) e non può condizionare l’eventuale restituzione (in natura), la quale diversamente può incidere, almeno secondo la prospettiva più tradizionale, sul diverso interesse alla circolazione del bene.
ii) Assenza di conflitto con il divieto dei patti successori rinunciativi ed eccezioni al disposto di cui all’art. 458.
Per superare l’ostacolo del divieto dei patti successori, è opportuno, al fine di condividerne la conclusione, rammentare, in primo luogo, il fondamento dei patti successori e, in secondo luogo, le deroghe al divieto.
Nel progetto preliminare al codice attuale, l’art. 70 ripeteva il vecchio testo dell’art. 954 del codice abrogato; nella redazione definitiva, tuttavia, si preferì, assecondando la tripartizione fatta dalla dottrina, inserire in una unica norma (art. 458 c.c.) i tre aspetti del divieto dei patti successori(28). Questa unificazione formale, però, non ha inciso sul fondamento del divieto, che continua ad essere differente per il patto istitutivo, per quello dispositivo e, infine, per quello rinunciativo.
Come è noto, i patti istitutivi sono quelli, in virtù dei quali il de cuius compie un contratto successorio, concordando contrattualmente e, dunque, obbligandosi verso la controparte (futuro erede) a disporre in un determinato modo della propria eredità.
La dottrina pressoché unanime individua la ragione del divieto dei patti istitutivi nella inammissibilità di una terza causa di delazione (contrattuale), accanto a quella legale e a quella testamentaria, in omaggio al principio della libertà di testare: ambulatoria est voluntas defuncti usque ad vitae supremum exitum(29).
Più precisamente, tale argomentazione è da ascrivere esclusivamente a questa tipologia di patto, in quanto le convenzioni (o contratti), per la loro natura pattizia, sarebbero vincolanti per il de cuius(30). In tali ipotesi, secondo tale dottrina, opera lo stesso motivo “politico” che ha indotto il legislatore a stabilire l’inefficacia della rinuncia alla facoltà di revocare il testamento (art. 679 c.c.) e la nullità del testamento collettivo (art. 589 c.c.).
I patti dispositivi sono quelli volti a disporre beni o diritti che potrebbero provenire da una successione di una terza persona ancora in vita. Il promittente dispone di beni che prevede (rectius spera) di acquistare per causa di morte.
Ovviamente, le ragioni che hanno indotto il legislatore a vietare un patto di tal fatta non possono coincidere con quelle dei patti istitutivi. In questo caso, infatti, la nullità si fonda sulla duplice esigenza di tutelare i giovani inesperti e prodighi che, mal consigliati, potrebbero essere indotti a dilapidare in anticipo le sostanze, che avrebbero dovuto ereditare dai loro parenti, e a impedire il formarsi di convenzioni immorali e socialmente pericolose per il votum captandae mortis(31).
Col patto successorio rinunciativo, infine, un soggetto rinuncia ai diritti che gli possono derivare da una futura successione.
Le ragioni del divieto di questa ultima categoria di patti ricalcano quelle individuate dalla dottrina per i patti dispositivi. Essi, invero, possono considerarsi un sottotipo di quelli dispositivi, in quanto la rinuncia entra in gioco come atto di disposizione di un’eredità futura. La differenza più rilevante rispetto al patto dispositivo è rappresentata dal fatto che il beneficiario, nel patto rinunciativo, affinché lo stesso abbia senso, dovrà essere persona chiamata all’eredità in luogo del rinunciante, o persona che, per effetto della rinuncia, vedrebbe accrescere la propria quota(32).
Da questa breve analisi dei patti successori, non si può negare, in primo luogo, che il fondamento del divieto dei patti istitutivi non vale né per i patti dispositivi né per quelli rinunciativi e, in secondo luogo, che per tali ultime categorie, al fine di giustificare il divieto, si è dovuto ricorrere a ragioni meno convincenti, quale il rischio di prodigalità.
La dottrina(33), che recentemente è tornata sul tema, ha evidenziato, in particolare, la debolezza della motivazione collegata al suddetto rischio. Tale debolezza emerge in tutta la sua evidenza, se solo si tiene conto che l’ordinamento, mentre da un lato vieta la donazione di beni futuri (art. 771 c.c.), dall’altro disciplina sia la vendita di beni altrui (art. 1478 c.c.) sia quella di beni futuri (art. 1472 c.c.). Se ne deduce che il rischio di prodigalità assume più rilievo e, quindi, merita di essere disciplinato e vietato solo in relazione agli atti a titolo gratuito.
Da tali argomentazioni, discende che, se un patto dispositivo o rinunciativo viene concluso dietro corrispettivo, cade la ragione del divieto sancito dall’art. 458 c.c.
Pertanto, sempre secondo tale orientamento(34), l’unica via per giustificare tali divieti è quella di dare centralità al dovere imposto dall’etica corrente di non riporre nella morte altrui affidamenti e speranze. A ciò si aggiunga che autorevole dottrina, ancorché risalente, ha ritenuto ingiustificato il divieto dei patti successori rinunciativi, che, ove non viziati da dolo o violenza, non conterrebbero nulla di illecito, ma appagherebbero il legittimo sentimento di mantenere un patrimonio avito nella stessa famiglia e soprattutto eviterebbero, nelle classi rurali, l’eccessivo frazionamento dei fondi, assicurandone la proprietà ai maschi come naturali continuatori della famiglia dell’agricoltore(35). Più recentemente, è stato osservato, in linea con gli orientamenti giurisprudenziali, che il divieto sancito per i patti rinunziativi non sia molto sentito e che ormai, salvo qualche ipotesi eccezionale, resti largamente disapplicato(36).
La rinuncia alla azione di restituzione preventiva durante la vita del donante rientrerebbe, secondo la convinzione comune, tra i patti successori cosiddetti rinunciativi e, pertanto, sarebbe vietata dall’art. 458 c.c.
Se, però, analizziamo questa particolare ipotesi di rinuncia alla luce di quanto sopra esposto tale conclusione non appare più persuasiva, almeno per quattro motivi.
In primo luogo, il donatario non potrebbe commettere un atto di prodigalità involontario (derivante, ad esempio, dalla sua giovane età e quindi dalla relativa inesperienza), in quanto, tenuto conto che l’azione di restituzione non ha effetti generali ma particolari, egli rinuncerebbe esclusivamente alla azione di restituzione di un singolo bene proveniente da una determinata donazione e di cui, per tali motivi, non può non conoscere il valore. Peraltro, nulla vieta che il sacrificio della perdita di tale azione da parte del legittimario, in virtù di eventuali accordi tra quest’ultimo e il donatario, conclusi nell’àmbito della autonomia privata ai sensi dell’art. 1322(37), venga compensato in danaro dal donatario che, di contro, acquisirebbe un innegabile e immediato vantaggio sul piano della libera e sicura circolazione del bene. Tale vantaggio, inoltre, può essere conseguito anche con due o più rinunce reciproche e contestuali fatte dai singoli donatari.
In secondo luogo, come ha espressamente confermato la giurisprudenza(38), il rinunciante non potrebbe commettere un atto contrario all’etica comune e/o immorale, in quanto la rinuncia non si riferisce ad un bene che appartiene alla sfera patrimoniale del futuro de cuius, bensì ad un bene che per sua volontà (espressa nell’atto di donazione) ne è già fuoriuscito. Pertanto, non può essere concluso in vista o a causa della morte. A conferma di ciò, basti pensare che i suoi effetti, collegati alla libera circolazione del bene, sono immediati e prescindono dall’evento morte. Anzi, sono strettamente connessi alla vita del donante, costituendone il presupposto.
Tale tesi pare ancora più convincente se solo si considera che, dopo le modifiche introdotte dal legislatore nel 2005(39) all’art. 563 c.c., la tutela del legittimario è stata anticipata ad un momento antecedente la morte del donante consentendo allo stesso di fare opposizione alla donazione che egli reputa potenzialmente lesiva della propria quota di legittima.
A tal uopo, giova sottolineare che, una volta ammessa tale possibilità dal legislatore, ne discendono logicamente altre conseguenze di non poco momento come, ad esempio, la legittimazione ad agire per simulazione prima della morte del donante.
Come è noto, secondo la giurisprudenza antecedente la riforma del 2005, il legittimario che riteneva di essere stato leso per la sua quota di legittima da una vendita che dissimulava una donazione (c.d. simulazione relativa), doveva, per agire in simulazione, attendere la morte del donante.
Solo da quel momento, divenendo la lesione patita attuale, ne avrebbe avuto la legittimazione. L’azione di simulazione, infatti, postula un interesse correlato all’esercizio di un proprio diritto: qualora tale diritto risulti inesistente e, comunque, non pregiudicato dall’atto che si assume simulato, il terzo difetta d’interesse a fare dichiarare la simulazione del contratto o di uno dei suoi elementi(40).
In particolare è stata negata, pertanto, prima dell’apertura della successione mortis causa, la legittimazione del figlio ad agire per l’accertamento del carattere non oneroso dell’alienazione fatta dal padre in favore delle sorelle(41).
Parimente, si è esclusa la legittimazione del nudo proprietario ad agire per l’accertamento della simulazione assoluta di un contratto di affitto concluso da chi era ancora usufruttuario(42).
È stata invece riconosciuta, dopo l’apertura della successione, la legittimazione del legittimario a far valere la simulazione nei confronti del terzo estraneo all’eredità, indipendentemente dall’azione di riduzione, ai fini della riunione fittizia o del recupero alla massa ereditaria del bene oggetto dell’atto simulato(43).
Allo stato, è importante rilevare che, alla luce del diritto a fare opposizione, l’interesse del legittimario potenzialmente leso è attuale già prima della morte del donante, e cioè dal momento in cui viene stipulata una vendita che dissimula una donazione.
In parole semplici, dopo la novella del 2005, è legittima la declaratoria della simulazione in vita del donante, poiché non si tratta più di una azione di simulazione finalizzata all’esperimento dell’azione di riduzione, ma di una azione di simulazione finalizzata alla trascrizione dell’atto di opposizione (all’atto dissimulato)(44).
In sintesi:
- il diritto di opposizione è espressione di una tutelabilità anticipata dei diritti dei legittimari rispetto alla morte del donante;
- l’azione di simulazione da parte del legittimario leso può essere esercitata legittimamente anche se il donante è ancora in vita;
- in senso opposto, il legittimario, consapevole della probabile lesione dei suoi diritti, può volontariamente rinunciare ad agire in simulazione e, quindi, fare decorrere il ventennio stabilizzando le donazioni dissimulate;
- è evidente la disponibilità dei rimedi posti a tutela del legittimario già durante la vita del donante. Su tali presupposti la dottrina(45) ha giustamente precisato che la rinuncia alla opposizione consente di reputare l’azione di restituzione non più funzionale alla tutela del legittimario, bensì meramente strumentale. Con l’ovvia deduzione che la sua rinuncia da parte del legittimario, prima dell’apertura della successione, non soltanto non porrebbe, neppure in astratto, un problema di configurabilità di un patto successorio, ma risulterebbe compatibile con la disciplina della tutela dei legittimari.
Pertanto, come è attuale e legalmente tutelata la posizione del legittimario così è legittima pure la rinuncia anticipata all’azione di restituzione in virtù del novellato art. 563 c.c.
Alla stessa conclusione è pervenuta la recente dottrina(46) la quale, nell’analizzare la differenza strutturale tra azione di riduzione e quella di restituzione, ha evidenziato che l’azione di restituzione non rappresenta un diritto su di una successione non ancora aperta bensì un diritto attuale. Pertanto, la sua rinuncia è al di fuori della categoria dei patti successori e del divieto ex art. 458 c.c.
Ciò risulta, in modo evidente, dall’attuale formulazione dell’art. 563 c.c. a mente del quale il diritto ad agire in restituzione si può perdere, a prescindere dalla apertura della successione, trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione.
In terzo luogo, anche il tenore letterale degli articoli 458, 557 e 563 c.c. conferma la tesi qui sostenuta. Infatti, a mente dell’art. 458, «… è del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinuncia ai medesimi».
La lettura di tale norma sembrerebbe non lasciare alcuna possibilità di suffragare la tesi al vaglio. Se però la stessa è coordinata con gli altri articoli su menzionati il risultato può ragionevolmente essere diverso.
Il legislatore, infatti, nell’art. 557, nonostante il divieto sancito con l’art. 458, ha ritenuto di dover ribadire che non si può rinunciare all’azione di riduzione finché vive il donante. Viceversa tale divieto non è reduplicato nell’art. 563 in tema di azione di restituzione.
In quarto ed ultimo luogo, il divieto dei patti successori rinunciativi, come innanzi evidenziato, si fonda, a differenza di quelli istitutivi, su motivazioni non molto persuasive (quali rischio di prodigalità e comportamenti immorali collegati all’evento morte) e la rinuncia alla azione di restituzione durante la vita del donante, a determinate condizioni, non contrasta con nessuna delle stesse.
Anche tali argomentazioni sono state pienamente condivise dalla citata giurisprudenza(47) nel momento in cui afferma che «… la rinuncia preventiva all’azione di restituzione verso i terzi non concreta neppure patto successorio dispositivo rinunciativo, nullo ex art. 458 c.c., perché con l’atto di donazione il bene è già uscito dal patrimonio del donantefuturo de cuius e perché il rinunciante potrà agire in riduzione e restituzione verso il donatario, seppur al limitato fine di conseguire il controvalore pecuniario del bene alienato a terzi …».
Il secondo corollario a cui si perviene è di tutta evidenza: la rinuncia alla azione di restituzione prima della morte del donante, a differenza di quella alla riduzione, non è espressamente vietata dal legislatore in quanto non è un patto successorio.
Ove mai le suddette argomentazioni non fossero esaustive si potrebbe, al fine di giungere alle medesime conclusioni, tentare di percorrere una via alternativa volta, da un lato, a considerare tale rinuncia un patto successorio e, dall’altro, una deroga allo stesso divieto. A tal uopo, è opportuno, preliminarmente, precisare che il divieto dei patti successori, oltre a non essere di ordine pubblico(48), talvolta è derogabile.
Le principali eccezioni al divieto sono state, di volta in volta, individuate dalla dottrina, quali deroghe implicite scaturenti da alcune norme del codice civile, dalla giurisprudenza o disciplinate esplicitamente dal legislatore. Alla prima categoria appartengono l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo, di cui all’art. 1920 c.c.(49), il contratto a favore del terzo designato per testamento ex art. 1412 c.c.(50) e il deposito a favore del terzo ex art. 1766 c.c.(51)
Alla seconda categoria appartengono alcune clausole di continuazione in àmbito societario(52) e, infine, alla terza, il patto di famiglia(53).
Il dissenso di chi non condivide la tesi in virtù della quale la rinuncia preventiva non è un patto successorio, potrebbe opportunamente considerarsi un’altra deroga al divieto sancito dall’art. 458 c.c. deducibile in modo palese dal sistema normativo.
iii) Ratio della riforma
Il legislatore del 2005(54) ha inteso dare maggiore certezza, almeno dopo un ventennio, alle provenienze donative.
Inizialmente, tale riforma, in linea con parte della dottrina(55), appariva timida, se non addirittura inutile(56). Essa, infatti, di primo acchito, sembrava solo avere attenuato la forza delle azioni poste a tutela dei diritti dei legittimari, senza avere inciso in modo efficace sul problema centrale: la definitiva emancipazione dei beni provenienti da donazioni.
A ben vedere, anche per le argomentazioni che hanno portato ai primi due corollari, il legislatore ha inteso innovare, ancorché implicitamente, molto di più di quanto, dopo le prime letture degli articoli emendati, potesse apparire.
È stato merito di alcuni interpreti(57) riuscire a svelare, man mano dopo l’entrata in vigore della legge del 2005, la vera forza innovativa di questa cosiddetta miniriforma e a delinearne la sua reale portata. Del resto, se non si commette l’errore di trascurare le reali esigenze che hanno spinto il legislatore a varare le modifiche degli articoli 561 e 563 c.c., si colgono le vere motivazioni e si è d’accordo con i commentatori della prima ora(58), che correttamente individuavano la ratio della novella nella risposta del legislatore, tesa a risolvere il problema, assai diffuso nella prassi, della commerciabilità di beni immobili provenienti da donazioni, quando il donante sia ancora in vita o quando non sia trascorso dalla sua morte il decennio per la prescrizione dell’azione di riduzione.
Le modifiche, infatti, coerentemente con le finalità delle disposizioni urgenti nell’àmbito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale in sede di conversione del cosiddetto decreto sulla competitività, vanno nella direzione di creare un sistema, volto ad abolire un intralcio alla circolazione dei beni con provenienza donativa e, nel contempo, teso a modificare una diffusa prassi bancaria, per la quale tali beni non sono accettati in garanzia fino al decorso del termine per l’azione di riduzione.
iii.1) Valenza sistematica della rinunciabilità al diritto di opposizione
La possibilità di rinunciare al diritto di opposizione ha dato vita ad un vivace dibattito tra gli interpreti non ancora sopito dal quale sono scaturite tre tesi che qui si sintetizzano.
L’interpretazione più rigorosa e preferibile, che si fonda sul tenore letterale della norma, ritiene che tale rinuncia possa riguardare esclusivamente il diritto di opporsi senza possibilità alcuna di spiegare effetti abdicativi in ordine all’esercizio dell’azione di restituzione. In altri termini, essa avrebbe come unico effetto quello di precludere al rinunziante, in modo definitivo(59), la possibilità di opporsi al decorso del ventennio dalla trascrizione della donazione e, quindi, agli effetti previsti dall’art. 563 c.c. Pertanto, secondo tale corrente di pensiero, una volta rinunciato alla opposizione, per ottenere effetti stabili dell’atto liberale bisogna comunque attendere il decorso del ventennio dalla trascrizione dello stesso(60). Secondo un diverso orientamento(61), al quale sembra avere aderito la giurisprudenza(62), invece, la rinunzia al diritto di opposizione comporterebbe anche la rinunzia implicita alla azione di restituzione.
Tale orientamento si fonda, principalmente, su due condivisibili considerazioni. In primo luogo, colui che decide di rinunziare al diritto di opporsi avverso una determinata donazione e quindi alla perdita del diritto di agire in restituzione, ovviamente, ha già valutato ed accettato che per la liberalità di cui trattasi perderà il diritto alla restituzione, pur conservando la possibilità di agire in riduzione. Più precisamente è stato osservato che nella rinuncia ai termini dell’azione di restituzione altro non c’è che una volontà di stabilizzare il contratto, qualora il donante sopravviva venti anni alla donazione. Però, nel momento in cui il legislatore concede la possibilità di rinunciare a quei termini, conferisce alla autonomia privata la disponibilità della azione di restituzione(63). In secondo luogo, si è tentato, con una interpretazione più coerente, di non mortificare la portata innovativa della riforma del 2005 volta, come è noto, a beneficiare la commerciabilità degli immobili con provenienza donativa.
Infine, un terzo orientamento(64), prendendo spunto dal concreto scopo della predetta riforma, si è spinto ad affermare che, in buona sostanza, il legittimario che rinuncia ad opporsi alla liberalità non soltanto rinuncia semplicemente ad ottenere la restituzione dell’immobile donato libero da pesi e da ipoteche, una volta trascorso il ventennio dalla trascrizione della donazione, ma mostra, in modo inequivocabile, anche la sua volontà di non avvalersi dell’azione di riduzione, pur astrattamente da lui esperibile nei termini di legge.
Le ultime due teorie, che solo razionalmente (ma non tecnicamente) riterrei condivisibili, in realtà sono molto più vicine tra loro di quanto a primo acchito possa apparire. Infatti, al di là del riferimento alla azione di restituzione o di riduzione, entrambe, come del resto anche il Tribunale torinese condivide, muovono dagli stessi presupposti ed ambedue, come la decisione che si commenta, hanno il pregio di porre in luce la disponibilità della azione di restituzione. L’ultimo orientamento illustrato, inoltre, evidenzia che chi non ha interesse ad agire in restituzione, verosimilmente, non agirà, pur avendone sempre il diritto, neppure in riduzione.
Come già si è avuto modo di affermare(65), per perdere il diritto ad agire in restituzione non è necessario utilizzare, forzandone la reale portata, la rinuncia al diritto di opposizione.
Ragionare in tal senso, infatti, potrebbe equivalere, da un lato, a non ammettere che la rinuncia tout court all’azione di restituzione preventiva sia strada percorribile, dall’altro, ad affermare che il più (rinuncia alla restituzione) stia nel meno (rinuncia alla opposizione), e non viceversa, come la logica impone che sia. Altrimenti detto, la rinuncia al diritto di opposizione è solo il presupposto per perdere dopo venti anni con certezza il diritto ad agire in restituzione. Fare discendere tacitamente da tale rinuncia la perdita di un diritto ulteriore, quale la possibilità di agire in restituzione, è cosa logica, ma, forse, tecnicamente carente(66).
Nella prassi, anche gli istituti finanziatori, talvolta, sono stati indotti, sopravvalutando gli effetti della rinuncia alla opposizione, a concludere finanziamenti in favore di donatari che offrivano in garanzia beni ricevuti in donazione, se gli altri legittimari avevano preventivamente rinunciato al diritto di fare opposizione ai sensi dell’art. 563 c.c.
In definitiva, la rinuncia al vaglio, ai nostri fini, giova ad evidenziare che il legislatore del 2005, nel momento in cui ha concesso al legittimario la facoltà di rinunciare al diritto di opposizione, ha ulteriormente indebolito(67), derogandovi, il divieto dei patti successori rinunciativi, consentendo al legittimario di produrre con tale atto effetti economico-giuridici immediatamente apprezzabili, riferibili alla sfera di soggetti diversi dal donante(68).
Tali considerazioni sono state, condivise dalla citata dottrina(69) la quale, esaltando la valenza sistematica della rinuncia alla opposizione, afferma che la disponibilità della figura al vaglio «consente di reputare l’azione di restituzione disponibile e, quindi, legittima la sua rinuncia preventiva alla morte del donante».
III.2) La debolezza della tutela reale del legittimario
A tal uopo, giova riportarsi brevemente al sistema predisposto dal legislatore a difesa dei legittimari per individuarne con precisione il perimetro operativo e, conseguentemente, i limiti della tutela reale. Come si è avuto modo di rilevare(70), i diritti dei legittimari sono considerati dal nostro ordinamento con particolare, forse troppa, attenzione, sia per quanto attiene alla fase di redazione del testamento, impugnabile, una volta pubblicato, dai legittimari lesi o pretermessi, sia con riferimento alle donazioni effettuate dal de cuius in vita, riducibili per garantire la soddisfazione dei diritti dei legittimari.
Come è noto, la tutela di tali diritti, genericamente designata dal codice civile «reintegrazione della quota riservata ai legittimari» (libro secondo, titolo I, capo X, sezione II), consta, in realtà, di tre azioni distinte e autonome(71), seppure connesse, volte nel complesso a far ottenere piena soddisfazione al legittimario leso o pretermesso; esse sono: l’azione di riduzione in senso stretto (prevista dall’art. 557 c.c.), l’azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni lesive (prevista dall’art. 561 c.c.) e l’azione di restituzione contro i terzi acquirenti dal donatario o dal beneficiario della disposizione lesiva(72) (prevista dall’art. 563 c.c.).
Da tale sistema, volto a tutelare la famiglia in generale e i legittimari in particolare, non emerge però un principio che in modo assoluto assicuri una tutela reale all’erede necessario in caso di lesione della legittima. Se così fosse, invero, a quest’ultimo dovrebbe, in ogni caso, essere garantito il recupero del bene fuoriuscito dal patrimonio ereditario. In realtà non è mai stato così e non lo è, a maggior ragione, dopo la citata riforma del 2005 e l’introduzione nel codice civile del patto di famiglia avvenuta nel 2006(73).
La dottrina preferibile(74), anche prima delle su menzionate novelle legislative, riteneva che i legittimari non avessero un diritto di séguito inviolabile sull’immobile di provenienza donativa trasferito ai terzi. Successivamente, tale forma di tutela è divenuta ancora più debole.
Al fine di constatare che nel nostro sistema legislativo è immanente la tutela del legittimario per l’equivalente e non in natura, giova richiamare le principali fonti normative in virtù delle quali la tutela reale non può che considerarsi una evenienza residuale.
In primo luogo, è proprio l’art. 563 che prevede due deroghe alla tutela reale del legittimario. Infatti, al primo comma recita: «… il legittimario premessa l’escussione dei beni del donatario» e al terzo comma dispone: «Il terzo acquirente può liberarsi dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in danaro» (c.d. facoltà alternativa).
In effetti è lo stesso legislatore che, anche in questo caso, consente che il legittimario perda la tutela reale:
a) prima imponendo al legittimario leso di escutere il patrimonio del donatario, mentre questi ben potrebbe corrispondere il valore equivalente dell’immobile in denaro e
b) poi, invece, consentendo al terzo di pagare l’equivalente in denaro(75).
L’unica differenza con il caso di rinuncia preventiva sarebbe che il legittimario rinunciando alla azione di restituzione non avrebbe più, per il caso di incapienza del patrimonio del donatario, una tutela reale nei confronti del terzo.
A mente dell’art. 560, comma 2 c.c., relativo alla riduzione del legato o della donazione, inoltre, «Se la separazione non può farsi comodamente e il legatario o il donatario ha nell’immobile una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile [556 c.c.], l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della porzione disponibile. Se l’eccedenza non supera il quarto, il legatario o il donatario può ritenere tutto l’immobile compensando in denaro i legittimari».
Anche in tema di collazione vige lo stesso principio in quanto, oltre alla dispensa dalla stessa ex art. 737 c.c., la collazione di mobili può farsi soltanto per imputazione (art. 750 c.c.) e quella di immobili può avvenire in natura o per imputazione, ma a scelta di chi conferisce (art. 746 c.c.). Pertanto, con la collazione mancherebbe un effetto tipicamente restitutorio perché non v’è recupero di contitolarità sui beni donati, ma semplice trasferimento di valore(76).
Dal punto di osservazione che ci riguarda, si sta tentando di mettere il luce la derogablità del diritto reale dei legittimari rispetto ad un interesse generale quale è quello della più agevole circolazione immobiliare.
È stato merito della su menzionata dottrina(77) identificare in modo convincente altri interessi generali per i quali tale diritto va sacrificato.
In primo luogo, si è fatto riferimento alla funzione abitativa e/o assistenziale che può essere il presupposto di determinate liberalità.
Tali finalità, invero, molto diffuse nella prassi negoziale, si verificano previdentemente, in caso di donazioni aventi ad oggetto la prima casa da adibire a residenza familiare (funzione abitativa). Se il donatario è portatore di handicap, la funzione sarà anche assistenziale. In tali casi, sulla base comparativa degli interessi, è naturale che debbano prevalere quelli appena evidenziati rispetto alla tutela reale del legittimario.
Dopo la riforma del 2005 e l’introduzione del patto di famiglia nel 2006, si può affermare, con maggiore convinzione, che per il legittimario leso il diritto a un valore sia la regola mentre il diritto di séguito sul bene sia l’eccezione.
A conferma di ciò l’art. 561 c.c., che disciplina la restituzione degli immobili da parte dei donatari che non li abbiano trasferiti a terzi, statuisce: «… I pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari …». In tal senso anche l’art. 768-sexies, nell’àmbito del patto di famiglia, al primo comma sancisce che «all’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell’articolo 768-quater, aumentata degli interessi legali».
In particolare, la dottrina(78) ha individuato un altro interesse di carattere generale derivante in modo evidente dalla introduzione nel codice del patto di famiglia, quale è quello economico volto a tutelare l’integrità del bene-azienda. Infine, come è stato evidenziato, l’adeguamento degli effetti dell’azione di restituzione rispetto all’oggetto e alla funzione dell’attribuzione o della liberalità risulta anche dall’art. 64 della legge fallimentare, il quale, nel prevedere l’efficacia nei confronti dei creditori delle liberalità «in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità», comporta addirittura la non assoggettabilità di tali atti a revocatoria ordinaria, fallimentare, per sopravvenienza di figli, riduzione e collazione, se proporzionati al patrimonio del donante(79).
La giurisprudenza, in linea con il legislatore e con la dottrina preferibile, ha ritenuto prevalente l’interesse economico della libera circolazione dei beni provenienti da liberalità indirette rispetto a quello, ormai affievolito, della c.d. tutela reale del legittimario. È stato, infatti, sancito dalla Suprema Corte(80) che «… alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura … con la conseguenza che l’acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell’imputazione, come nella collazione (art. 724 c.c.). La riduzione delle donazioni indirette non mette, infatti, in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano della circolazione dei beni»(81).
Questo profilo è stato, a ragion veduta, rimarcato anche nel decreto torinese innanzi più volte citato ove, facendo riferimento alla suddetta Cassazione, si è riportato uno dei passaggi fondamentali della stessa volto a definire il perimetro della tutela dei legittimari, e cioè che «nel caso di donazione indiretta il legittimario che agisce in riduzione può conseguire solo il controvalore del bene intestato al beneficiario e non può agire in restituzione verso il terzo».
In modo chiaro, si perviene al terzo ed ultimo corollario in virtù del quale i legittimari rinuncianti nonché quelli ulteriori o sopravvenuti(82) all’atto di rinuncia, hanno solo un diritto di credito verso i beneficiari e non un’azione recuperatoria verso i loro aventi causa.

Conclusioni

Da questa breve analisi emerge in modo palese la disponibilità e quindi la rinunciabilità del diritto ad agire in restituzione da parte dei legittimari prima del decorso del ventennio e durante la vita del donante.
In particolare, si possono considerare superati i due principali ostacoli alla soluzione esaminata, quali il divieto dei patti successori di cui all’art. 458 e il divieto alla rinuncia all’azione di riduzione durante la vita del donante di cui al secondo comma dell’art. 557. Infine, sono stati definiti i limiti della protezione attribuita ai legittimari che non godono di una tutela reale assoluta. Continuare a ritenere che il legittimario abbia comunque un diritto di séguito sul bene sarebbe sia irrazionale sia in contrasto con il sistema legislativo vigente, con l’orientamento della Suprema Corte e, infine, con l’interesse generale alla libera e agevole circolazione dei beni con provenienza donativa.
La dottrina(83), facendo riferimento all’art. 4, secondo comma, della Costituzione in virtù del quale ogni cittadino ha il dovere di svolgere le sue funzioni in modo da concorrere al progresso della società, ritiene giustamente che, allo stato, possa incorrere nelle sanzioni prescritte dall’art. 27 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (c.d. legge notarile) il notaio che, sic et simpliciter, si rifiuti di ricevere un legittimo atto di rinuncia alla azione di restituzione piuttosto che il notaio il quale, alla luce di quanto esposto, lo riceva. Conseguentemente, poiché in giurisprudenza non esiste alcun precedente contrario alla rinuncia alla azione di restituzione anticipata, ma soltanto uno di segno positivo(84), con ragionevole certezza, si può ritenere non applicabile al notaio l’art. 28 della legge notarile(85).
Dal 1942 ad oggi il diritto italiano non è stato insensibile alla evoluzione e ai cambiamenti della nostra società. Come è stato giustamente osservato(86), infatti, i rari ma importanti interventi legislativi hanno inciso in modo non superficiale sul diritto delle successioni. Basti pensare alle discipline sull’opposizione alla donazione e sull’azione di restituzione, introdotta la prima e modificata la seconda con la L. 80/2005, sul vincolo di destinazione per la realizzazione d’interessi meritevoli di tutela, introdotta con la L. 51/2006, sul patto di famiglia, introdotta con la L. 55/2006, sulla cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla responsabilità genitoriale sui figli, introdotta con il D.lgs. 154/2013 e rilevante anche ai fini dell’indegnità, a quella sulle unioni civili, introdotta con la L. 20 maggio 2016, n. 76 e, infine, alla c.d. legge “dopo di noi”, introdotta con la L. 22 giugno 2016, n. 112.
Tali innovazioni dovrebbero essere colte in modo positivo soprattutto dal notariato che, con l’applicazione delle stesse ai casi concreti, contribuisce a fornire linfa vitale all’evoluzione del diritto, evitando vere e proprie letture abroganti delle discipline citate e, allo stesso tempo, svolgendo una funzione capace di concorrere al progresso materiale e spirituale della società.

Abstract

L’annosa vicenda della stabilità delle provenienze donative trova, secondo l’orientamento preferibile, una convincente soluzione nella rinuncia preventiva alla azione di restituzione (prima dello spirare del termine ventennale di cui all’art. 563 e durante la vita del donante).
Gli interessi contrapposti in gioco, del legittimario leso, da un lato, e della sicura circolazione immobiliare, dall’altro, vedono la prevalenza del secondo per motivazioni sia giuridiche sia di politica legislativa.
Sotto il primo profilo, al fine di superare le principali obiezioni della tesi negativa (divieto dei patti successori e violazione di quanto disposto dall’art. 557), si è giunti, in virtù di un articolato ragionamento, a tre corollari:
- il divieto del 557 c.c., dettato per l’azione di riduzione, non è applicabile anche all’azione di restituzione.
- la rinuncia alla azione di restituzione prima della morte del donante, a differenza di quella alla riduzione, non è espressamente vietata dal legislatore in quanto non è un patto successorio;
- i legittimari rinuncianti nonché quelli ulteriori o sopravvenuti all’atto di rinuncia, hanno solo un diritto di credito verso i beneficiari e non un’azione recuperatoria verso i loro aventi causa.
Tali conclusioni, peraltro, sono state tutte condivise dall’unico precedente giurisprudenziale sul tema (Trib. Torino, 25 settembre 2014).
Sotto il secondo aspetto, sia nel rispetto degli obiettivi prefissati dal legislatore del 2005 (L. 80/2005), volti a varare norme urgenti per lo sviluppo economico e sociale del paese, sia in un’ottica di un diritto euro-unitario che impone la prevalenza della libera autodeterminazione della persona piuttosto che l’interesse della tutela dei legittimari, prevale in modo ancora più netto l’esigenza di abolire un inutile intralcio alla circolazione immobiliare.


(1) G. D’AMICO, «La rinunzia all’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente di bene di provenienza donativa», in Riv. not., 2011, 6, p. 1276 ed ivi, nota 24.

(2) M. TATARANO, «Il cielo sopra Torino. A proposito di rinuncia anticipata all’azione di restituzione», nota a commento Trib. Torino, 26 settembre 2014, in Dir. succ. fam., 2016, 1, p. 239 e ss.

(3) L. 14 maggio 2005, n. 80, che ha convertito il D.l. 14 marzo 2005, n. 35 e successiva L. 28 dicembre 2005, n. 263.

(4) RINALDI, «La donazione simulata: quando la donazione è usata impropriamente», relazione al Convegno tenutosi a Napoli il 27 maggio 2016 su “La sicurezza degli acquisti dei beni di provenienza donativa: verso la stabilizzazione della donazione”.

(5) G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, III ed. interamente rivista e aggiornata a cura di Ferrucci-Ferrentino, I, Milano, 2009.

(6) U. LA PORTA, «Azione di riduzione di “donazioni indirette” lesive della legittima e azione di restituzione contro il terzo acquirente dal “donatario”. Sull’inesistente rapporto tra art. 809 e art. 563 c.c.», in Riv. not., 2009.

(7) U. LA PORTA, op. cit., p. 33.

(8) Cass. 11496/2010, con nota a sentenza di G. IACCARINO: «Le donazioni indirette», in Notariato, 2010, 5.

(9) G. AMADIO, «Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative», Studio n. 17-2009/C, approvato dalla Commissione studi civilistici, a cura del Consiglio nazionale del notariato, il 22/4/2009, nonché in Riv. not., 4, 2009.

(10) M. TATARANO, op. cit., p. 243.

(11) Ivi, 241.

(12) S. DELLE MONACHE, «Tutela dei legittimari e limiti nuovi all’opponibilità della ri-duzione nei confronti degli aventi causa dal donatario», in Riv. not., 2006, II, p. 98 e ss.; C. CASTRONOVO, «Sulla disciplina nuova degli artt. 561 e 563 c.c.», in Vita not., 2007, 3, p. 996 e ss.

(13) R. FRANCO, «Sulla persistente inammissibilità della rinunzia all’azione di restitu-zione», in Riv. not., 2013, p. 307.

(14) G. IACCARINO, «Rinuncia all’azione di restituzione, prima della morte del donante: soluzioni operative», in Notariato, 2012, 4.

(15) L. 80/2005, cit.

(16) G. TAMBURRINO, Successione necessaria, (dir. priv.), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1375 e 1376.

(17) L. MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte Speciale. Successione necessaria, in Trattato Cicu-Messineo, continuato da Mengoni, IV ed., Milano, 2000, p. 314 e 315; U. LA PORTA, op. cit., p. 951 e ss.

(18) A. TULLIO, La successione legittima, in Trattato Bonilini, III, Milano, 2009, p. 579.

(19) G. CAPOZZI, op. cit., p. 530.

(20) Cass., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4130, in Giur. it., 2001, p. 2261.

(21) G. CAPOZZI, op. cit., p. 571.

(22) A. PALAZZO, Le successioni, Introduzione al diritto successorio, Istituti comuni alle categorie successorie, Successione legale, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2000, p. 587 e ss.

(23) A. TORRONI, «Azione di riduzione ed azione di restituzione: alcune riflessioni intorno al dogma della retroattività (sempre meno) reale dell’azione di riduzione nell’ottica della circolazione dei beni», Relazione tenuta al 44° Raduno invernale dei Notai d’Italia, Cortina d’Ampezzo, 20-27 febbraio 2011.

(24) Trib. Torino, 26 settembre 2014, n. 2298, con commento di G. IACCARINO, «La rinuncia anticipata alla azione di restituzione», in Notariato, 2015, 2.

(25) Le azioni a difesa della proprietà, oltre a quelle di rivendicazione, sono la negatoria (art. 949 c.c.), di regolamento di confini (art. 950 c.c.) e per apposizione di termini (art. 951 c.c.).

(26) G. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, 30ª ed., Padova, p. 453.

(27) G. PERLINGIERI, «Il discorso preliminare di Portalis tra presente e futuro del diritto delle successioni e della famiglia», in Dir. succ. fam., 2015, 2, p. 674.

(28) G. PRESTIPINO, Delle successioni in generale art. 456-535, in Comm. de Martino, Libro II - Delle successioni, II ed., Roma, 1981, p. 58.

(29) G. CAPOZZI, op. cit., p. 39; F.S. AZZARITI - G. MARTINEZ - G. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1959, p. 10.

(30) L. FERRI, Dei legittimari (artt. 536-564), in Comm. Scialoja- Branca, Libro secondo - Delle successioni, Bologna-Roma, 1997, p. 101.

(31) L. COVIELLO JR., Diritto successorio, Bari, 1962, p. 250; L. FERRI, Dei legittimari (artt. 536-564), p. 104.

(32) Ivi, 106.

(33) C. CACCAVALE, «Patti successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale», in Notariato, 1995, 6, p. 552 e ss.

(34) Ibidem.

(35) F.S. AZZARITI - G. MARTINEZ - G. AZZARITI, op. cit., p. 11.

(36) M.V. DE GIORGI, voce Patto successorio, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 533.

(37) G. D’AMICO, «La rinunzia all’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente di bene di provenienza donativa», cit., p. 1292 e ss. In tal senso, con qualche differenza, anche R. CAPRIOLI, «La circolazione dei beni immobili donati nel primo ventennio dalla trascrizione della donazione», in Contr. impr., 2008, p. 1096.

(38) Cfr., supra, nota 24.

(39) D.l. 14 marzo 2005, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80.

(40) In particolare, si è negato che il coltivatore diretto privo del diritto di riscatto possa agire per l’accertamento della simulazione della vendita del fondo rustico oggetto dell’affitto. Cass. 1° aprile 1995, n. 3836, in Giust. civ. Mass., 1995, p. 751; Cass. 5 novembre 1997, n. 10848, in Giust. civ., 1998, I, p. 717.

(41) Trib. Roma, 18 maggio 1982, n. 5326, in TR, 1982, p. 181 e ss.

(42) Cass. 20 gennaio 1994, n. 464, in Giur. it., 1995, I, 1, p. 696.

(43) Cass. 1° aprile 1997, n. 2836, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 511.

(44) G. ZANCHI, «La stabilizzazione della provenienza donativa nella circolazione immobiliare e la pianificazione successoria: la prospettiva successoria», Relazione svolta al Convegno tenutosi a Napoli il 27 maggio 2016 su “La sicurezza degli acquisti dei beni di provenienza donativa”.

(45) V. BARBA, «I nuovi confini del diritto successorio», in Dir. succ. fam., 2015, 2, p. 334 e ss.

(46) G. PERLINGIERI, «Il discorso preliminare di Portalis tra presente e futuro del diritto delle successioni e della famiglia», cit., p. 674.

(47) Cfr., supra, nota 24.

(48) Cass. 6 ottobre 1955, n. 2870; App. Venezia, 23 settembre 1954; L. FERRI, Dei legittimari (artt. 536-564), cit., p. 109; G. PRESTIPINO, op. cit., p. 65; L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, II ed., Milano, 1949, p. 49.

(49) G. GIAMPICCOLO, voce Atto “mortis causa”, in Enc. dir., Milano, 1959, p. 300; L. FERRI, Dei legittimari (artt. 536-564), cit., p. 119; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato Vassalli, Torino, 1960, p. 320, nota 3, che trattando della revoca afferma: «l’art. 1412 c.c. contempla un’attribuzione mortis causa operata mediante contratto a favore di terzo. Che essa sia da qualificare come mortis causa si arguisce con sicurezza dal fatto che lo stipulante secondo il citato articolo “può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare”: revocabilità che non sarebbe consentita se si trattasse di un’attribuzione inter vivos. È ammessa soltanto la rinunzia al potere di revocare verso il terzo, da farsi in forma scritta: rinuncia che con la dichiarazione del terzo, rende irrevocabile l’attribuzione. Nel che è da ravvisare una deroga al divieto di patti successori enunciato dall’art. 458». Condividono tale impostazione L. FERRI, Successioni in generale, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1983, p. 93 e ss.; M. COSTANTINO, «Titolo idoneo negli acquisti “a non domino” e negozio a causa di morte», in Riv. trim. civ., 1964, p. 100; G. CAPOZZI, op. cit., p. 50; M. IEVA, I fenomeni c.d. parasuccessori, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, Padova, 1994, I, p. 57; F. MAGLIULO, «Il divieto del patto successorio istitutivo nella pratica negoziale», in Riv. not., 1992, p. 1433.

(50) L.V. MOSCARINI, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, p. 159.

(51) C.M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, IV ed. Milano, 2005, p. 566.

(52) Cass. 12 febbraio 2010, n. 3345.

(53) A. PISCHETOLA, «Il patto di famiglia», in Patti di famiglia per l’impresa, in questa rivista, 2006, p. 306 e ss.; A. BOLANO, «I patti successori e l’impresa alla luce di una recente proposta di legge», in I contratti, 2006, p. 90 e ss. Gli autori sostengono che il patto di famiglia costituisce una vera e propria deroga al divieto contenuto nell’art. 458, ravvisando in particolare un patto successorio dispositivo nella liquidazione che l’assegnatario in vita del de cuius anticipa ai suoi fratelli o sorelle ed all’altro genitore, in ordine a quanto di loro spettanza sui beni oggetto del patto (i quali altrimenti cadrebbero in successione). A.L. BONAFINI, «Il patto di famiglia tra diritto commerciale e diritto successorio», in Contr. impr., 2006, p. 1205. - Nel senso che il patto di famiglia realizza un patto successorio rinunziativo, dal momento che esso comporta la rinuncia (sia pure implicita) all’azione di riduzione ed alla collazione, e quindi la rinuncia preventiva ai diritti derivanti da una futura successione, cfr. F. MONCALVO, Sub art. 458, in Cod. succ. don. ipertestuale, a cura di Bonilini-Conforti, Torino, 2007, p. 117. Ritiene altresì che si configuri un patto successorio rinunziativo, eccezionalmente valido, nell’ipotesi in cui i legittimari non assegnatari rinuncino alla liquidazione; G. CASU, I patti successori, in G. Casu - M. Moretti - G. Santarcangelo, Testamento e patti successori, Bologna, 2006, p. 541 e ss. - Contra C. CACCAVALE, «Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie», in Notariato, 2006, p. 302, per il quale la deroga introdotta «è da ascrivere soprattutto ai timori del legislatore di poter tradire la coerenza del sistema o, forse, più plausibilmente, al suo scarso interesse per le ricostruzioni dottrinali»; F. TASSINARI, «Il patto di famiglia per l’impresa e la tutela dei legittimari», relazione tenuta al Convegno organizzato a Fasano dal titolo: “Patto di famiglia e donazioni”, giugno 2006; G. PALLISCO, «La normativa sui patti di famiglia: cenni preliminari di una prima lettura», in Vita not., 2006, p. 968 e ss.

(54) L. 14 maggio 2005, n. 80, che ha convertito il D.l. 14 marzo 2005, n. 35.

(55) V. MARICONDA, «L’inutile riforma degli artt. 561 e 563 c.c.», in Corr. giur., 2005, p. 1175.

(56) G. IACCARINO, Donazioni indirette e “ars stipulatoria”, in Letture notarili, Milano, 2008, p. 17 e ss.

(57) V. TAGLIAFERRI, «La riforma dell’azione di restituzione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione», in Notariato, 2006, p. 167 e ss.

(58) G. CARLINI - C. UNGARI TRASATTI, «La tutela degli aventi causa a titolo particolare dai donatari: considerazioni sulla L. n. 80 del 2005», in Riv. not., 2005, p. 773 e ss.

(59) G. CARLINI - C. UNGARI TRASATTI, op. cit., p. 790 e ss.; G. BARALIS, «Riflessioni sull’atto di opposizione alla donazione a seguito della modifica dell’art. 563 c.c.», in Riv. not., 2006, p. 298; M. CAMPISI, «Azione di riduzione e tutela del terzo acquirente alla luce delle L. 14 maggio 2005, n. 80 e 28 dicembre 2005, n. 263», in Riv. not., 2006, p. 1286; C. CASTRONOVO, op. cit., p. 1000; F. GAZZONI, «Competitività e dannosità della successione necessaria», in Giust. civ., 2006, II, p. 11. Nel senso della revocabilità, isolatamente, cfr. invece A. PALAZZO, «Vicende delle provenienze donative dopo la legge n. 80/2005», in Vita not., 2005, p. 769; A. BUSANI, «L’atto di opposizione alla donazione (art. 563, 4° comma, cod. civ.)», in Nuova giur. comm., 2006, p. 49 e 54 e ss., il quale osserva come nel corso del ventennio sia comunque possibile agire in restituzione; G. GABRIELLI, «Tutela dei legittimari e tutela degli aventi causa dal beneficiario di donazione lesiva: una riforma attesa ma timida», in Studium Iuris, 2005, p. 1134; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, IV ed., Torino, 2006, p. 156.

(60) A. TULLIO, La tutela dei diritti dei legittimari, in Trattato Bonilini, III, Milano, 2009, p. 597; G. BONILINI, Manuale del diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2005, p. 597; G. CAPOZZI, op. cit., p. 594; G. LANZARA, Commento all’art. 563, in Comm. Cendon, Milano, 2009, p. 748 e 749.

(61) V. TAGLIAFERRI, op. cit., p. 167 e ss.; F. PATTI, «La circolazione dei beni da prove-nienza donativa. La lettura tradizionale degli artt. 563 e 564 c.c., con particolare riguardo all’opposizione e alla sua trascrivibilità», dal testo della Relazione tenuta al Convegno “Questioni applicative (civili e commerciali) a tesi contrapposte, Civil Law - Insignum”, Sorrento 9-10 luglio 2010; F. PATTI, «Il mutuo fondiario: considerazioni operative. Ruolo del Notaio e novità introdotte dalla L. n. 80/2005 e D.lgs. n. 122/2005», in Nuovi quad. Vita not., s.d., 32, p. 48 e ss. In particolare, secondo l’Autore, «il legittimario che rinunzia all’opposizione accetta il rischio di rinunziare alla pretesa reale su beni alienati dal donatario, mantenendo in ogni caso il credito nei confronti di quest’ultimo. La rinunzia all’opposizione si sostanzia, pertanto, in una rinunzia all’azione di restituzione nei confronti del terzo e in una rinunzia ad avere restituito dal terzo il bene». Se si desse un’interpretazione restrittiva, questa non sarebbe in linea con lo spirito della norma, inteso ad incidere positivamente sulla circolazione dei beni derivanti da provenienze donative. G. CARLINI - C. UN-GARI TRASATTI, op. cit., p. 789 e ss.; C. CASTRONOVO, op. cit., p. 999.

(62) Cfr., supra, nota 24. Invero, solo in un primo momento il provvedimento del Tribunale torinese afferma: «… parte della dottrina ritiene che dalla rinuncia all’opposizione deriverebbe solo la definitiva preclusione della facoltà di sospende-re il termine ventennale; altra parte, ritiene, invece, che tale rinuncia concreti im-plicitamente la definitiva rinuncia all’azione di restituzione verso i terzi; la seconda interpretazione è senz’altro preferibile perché in linea con la riforma del 2005, di certo ispirata dalla sentita esigenza di favorire, anche durante la vita del donante, la commerciabilità del bene oggetto di donazione …». Successivamente, però, il Tribunale, analizzando la via percorribile per la pubblicità della rinuncia, in modo pienamente condivisibile, precisa: «… Premesso che in assenza di un’ulteriore, esplicita, manifestazione di volontà l’atto di rinuncia al diritto di opposizione alla donazione soggetta a riduzione (che per avere efficacia deve essere anche trascritto) non può concretare altresì atto di rinuncia all’azione di restituzione verso i terzi aventi causa del donatario soggetto a riduzione, si deve anche rilevare che altri Tribunali sono pervenuti a conclusioni contrarie pure in tema di trascrivibilità della rinuncia all’opposizione …».

(63) V. TAGLIAFERRI, op. cit., p. 174 e ss.

(64) A. PALAZZO, «Vicende delle provenienze donative dopo la legge n. 80/2005», cit., p. 764.

(65) G. IACCARINO, Rinuncia all’azione di restituzione prima della morte del donante: soluzioni operative, cit., 404.

(66) Questo aspetto sembrerebbe essere sfuggito anche ai primi autorevoli commentatori: cfr. - ad es. - A. BUSANI, «Beni donati con meno vincoli», Il Sole 24 ore del 9 ottobre 2014, p. 47.

(67) All’uopo, giova ricordare che il legislatore, con la L. 14 febbraio 2006, n. 55, relativa alla introduzione del patto di famiglia, ha continuato ad attenuare, con la deroga contenuta nell’art. 768-bis c.c., il divieto dei patti successori.

(68) G. LANZARA, op. cit., p. 746.

(69) V. BARBA, op. cit., p. 334 e ss.

(70) G. IACCARINO, Liberalità indirette. Enunciazione dell’intento liberale quale metodologia operativa, in Notariato e diritto di famiglia, Milano, 2011, p. 1.

(71) Per tutta la problematica relativa alle tre azioni si veda, tra la copiosa letteratura in materia, L. BARASSI, op. cit.; D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1965; C.M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 1981; L. CARIOTA FERRARA, Successioni per causa di morte, Parte generale, Napoli, 1977; V.R. CASULLI, Successione necessaria, in Noviss. Dig. it., vol. XVIII, Torino, 1971; A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, Milano, 1947; L. FERRI, Successioni in generale, artt. 456-511, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna- Roma, 1980; L. MENGONI, Successione necessaria, Milano, 1967; A. PINO, La tutela del legittimario, Padova, 1954; F. SANTORO-PASSARELLI, Dei legittimari, in Comm. D’Amelio-Finzi, II, Firenze, 1941.

(72) G. IACCARINO, Liberalità indirette. Enunciazione dell’intento liberale quale metodologia operativa, cit., p. 1-2.

(73) Art. 2, L. 14 febbraio 2006, n. 55.

(74) G. PERLINGIERI, «Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi», in Rass. dir. civ., 2008, § 6.

(75) L. FERRI, Dei legittimari (artt. 536-564), cit., p. 241.

(76) G. PERLINGIERI, «Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi», cit.

(77) Ibidem.

(78) Ibidem.

(79) A tal uopo, è stato opportunamente precisato da autorevole dottrina che tali effetti si verificano perché «la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante»; sul punto cfr., tra gli altri, L. GATT, Le liberalità, I, Torino, 2002, p. 379; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, p. 192, 284; ivi ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza.

(80) Cass. 11496/2010; Trib. Roma, sez. VIII, 30 maggio 2011.

(81) G. IACCARINO, «Nota a sentenza. Le donazioni indirette», cit.

(82) Per legittimari “ulteriori o sopravvenuti” si intendono quelli non risultanti dai registri di stato civile al momento della alienazione del bene donato.

(83) G. PERLINGIERI, inedito, Convegno sul tema “Professioni a confronto con nuove disposizioni civilistiche e commerciali (dal deposito del prezzo nelle mani del notaio alle “nuove” Srl “One EUR Capital”)”, 20-21 settembre 2014, Lizzano (TA). Hanno aderito a tale tesi, Molinari e Caterini, nei rispettivi interventi al suddetto Convegno. Inizialmente tale tesi, ad eccezione di G. D’AMICO, «La rinunzia all’azione di restituzione nei confronti del terzo acquirente di bene di provenienza donativa», cit., non ha trovato consensi in dottrina. Successivamente, soprattutto nella prassi notarile, ha avuto numerose adesioni. In dottrina, cfr. “Crisi irreversibile della donazione? Rimedi “de iure condito” e “de iure condendo” all’instabilità della provenienza donativa”, Convegno tenutosi a Torino il 26 ottobre 2012: G. D’AMICO, «I limiti di inderogabilità della tutela del legittimario»; R. BARONE, «Vincoli italiani dalla donazione e analisi economica del diritto: il quadro europeo e l’interpretazione funzionale alla sicurezza degli scambi»; E. ASTUNI, «L’azione di restituzione in relazione alle donazioni indirette e simulate»; G. MARCOZ, «La riforma degli articoli 561 e 563 codice civile e il rapporto con l’autonomia privata».

(84) Cfr., supra, nota 24.

(85) In tal senso, Caccavale ha affermato di recente che «il decreto ne rafforza certamente la problematica, con la conseguenza che, sotto la specifica prospettiva notarile e rebus sic stantibus, un eventuale futuro giudizio di nullità dell’atto rende oramai discutibile la chiamata in causa dell’art. 28 della legge notarile» («L’esercizio della funzione notarile: appunti a margine della controversa questione della rinuncia anticipata all’azione di restituzione», in Notariato, 2015, p. 7 e ss.).

(86) V. BARBA, op. cit., p. 333.

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