1865: il codice civile unitario e il testamento olografo. Un percorso accidentato
1865: il codice civile unitario e il testamento olografo. Un percorso accidentato
di Isidoro Soffietti
Emerito di Storia del diritto medievale e moderno, Università di Torino

Il primo gennaio 1866 entrò in vigore il codice civile dell’Italia unificata nel 1861 e con esso, approvato nel 1865, fu introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il testamento olografo, in precedenza oggetto di controversie, respingimenti, accoglienze, come si vedrà(1). Ricordo solo che nel 1866 mancavano ancora all’unità politica e giuridica Roma e le Venezie. Il nostro legislatore scelse nel 1865, in materia di successioni testamentarie, la strada di lasciare una grande libertà al testatore nel manifestare le proprie volontà per la destinazione dei suoi beni, fatta salva la riserva a favore dei legittimari. Furono disposte talune particolari cautele circa gli aspetti formali per la manifestazione stessa, ma senza ricorrere necessariamente a forme esterne alla dichiarazione, forme cioè richieste a scopo, tra l’altro, di sicurezza e a garanzia della pubblicità, in particolare della conoscenza da parte di eventuali interessati. Non voglio, né posso, qui affrontare il problema dei vari tipi di forma, temi tutti ampiamente trattati da civilisti e da professionisti, notai in particolare(2). Il legislatore del 1865/66 si rifà, pur con qualche integrazione, nel disporre i requisiti per il testamento olografo, alla definizione, data da Isidoro di Siviglia, vescovo spagnolo, santo, vissuto nei secoli VI-VII dopo Cristo, nelle sue Etimologie, come noto celebre enciclopedia, destinata ad avere un grande successo e un’enorme divulgazione in tutto il medioevo, se non pure in età moderna, come è dimostrato, tra l’altro, dalle innumerevoli edizioni a stampa e dalla tradizione manoscritta. Secondo il legislatore, e in parte secondo il vescovo spagnolo, infatti, il testamento deve essere scritto di suo pugno, sottoscritto e datato dal testatore(3). Isidoro di Siviglia aveva accolto un testamento che era stato considerato nullo, invece, dai tempi di Giustiniano, prima metà del VI secolo, dai tempi, cioè, in cui l’impero romano aveva perduto la quasi totalità dell’Occidente a seguito degli stanziamenti delle popolazioni germaniche. In molte delle terre occupate insieme al diritto di tali popolazioni continuava ad essere applicata, almeno parzialmente, una normativa risalente al cosiddetto codice teodosiano, promulgato nel 438 da Teodosio II, in seguito aggiornato con altre disposizioni posteriori. La riconquista delle terre dell’impero occidentale avviata da Giustiniano si arenò all’Italia e a poco altro. In conseguenza di ciò si determinarono delle tradizioni romanistiche differenziate in Europa. Da un lato troviamo un’eredità di quella parte occidentale del mondo romanistico che si reggeva ancora tenendo conto del codice teodosiano del 438. Tale tradizione, presente ancora nei territori soprattutto visigoti di Francia e poi di Spagna, aveva subito influenze e modifiche dopo il 438, in primo luogo da parte di Teodosio II stesso e del suo collega Valentiniano III, e poi da re visigoti(4). In questa normativa era prevista proprio l’ammissione del testamento olografo, dando quindi prevalenza alla manifestazione di volontà. Dall’altro lato, con la riconquista di Giustiniano si ha l’estensione nel 554 di quello che sarà denominato “Corpus Iuris Civilis”, con tutte le innovazioni introdotte rispetto alla precedente normativa. Tra queste, marginale rispetto a molte altre, specie in tema di successioni, vi era la ripulsa del testamento olografo, tranne per quello redatto “inter liberos”, cioè disposto a favore dei propri figli. Doveva essere compilato per iscritto, di propria mano, con l’indicazione del nome degli eredi e con la determinazione per disteso delle quote(5). Come si vede esso si avvicinava alle modalità richieste per il testamento olografo che invece non era limitato all’ambito familiare. Mi sono dilungato su questi banali richiami di cose notissime poiché le due tradizioni così create vengono a confliggere: quella che riconosceva valido il testamento olografo e quella che invece lo considerava nullo. Questa doppia tradizione è destinata a segnare le vicende dell’istituto nel corso dei secoli. L’Italia e le aree che conobbero e applicarono la normativa giustinianea sono contrarie, mentre lo ritengono in generale valido quelle che seguirono la normativa che risaliva al codice teodosiano, integrata con modifiche, o che vissero comunque secondo il diritto consuetudinario, risalente principalmente alla tradizione del diritto germanico, seppure spesso perfuso di diritto romano. Resta tuttavia e pur sempre, per questi territori e in questi casi, il problema dei limiti di applicazione e di realizzazione concreta di tale libertà, se consideriamo la quasi totale mancanza di alfabetizzazione delle popolazioni. Per altro anche la disposizione giustinianea che riteneva valido il testamento “inter liberos” richiedeva espressamente che il genitore che lo redigeva sapesse scrivere, il che non era frequente. Era una possibilità, una libertà, lasciata certamente ai ceti colti. Del resto questa criticità segnò e segna tuttora in parte l’istituto. Le due tradizioni ebbero comunque, nel corso delle vicende storiche, delle possibilità di contatti e quindi di ammorbidimento dei divieti, per l’intervento del diritto canonico in primo luogo e poi della giurisprudenza dei grandi tribunali e di giureconsulti(6). L’elemento di contatto fu essenzialmente il principio del rispetto della volontà del testatore, principio al quale si erano rivolti talvolta sia tribunali che giuristi per legittimare errori di forma inficianti il testamento o talora per giustificare pure la successione legittima in alcuni suoi principi. La volontà era così fatta prevalere sulla forma. Era comunque, sempre, una volontà presunta, occorre sottolinearlo. Queste considerazioni, prese così alla lontana, tornano utili per venire ai tempi moderni, cioè al codice del 1865/66. Il codice, come è noto, è in buona parte figlio del codice civile sardo del 1837/38 e del codice civile Napoleone del 1804. In materia testamentaria si riscontra, tra il codice civile sardo e quello Napoleone, un’importante differenza. Il primo, figlio, nel campo dei testamenti, in massima parte, della tradizione romanistica giustinianea, aveva respinto il testamento olografo, non compreso tra le forme ammesse e quindi nullo, come avveniva da secoli, salvo il testamento “inter liberos”, con la conseguenza che la forma prevaleva sulla sostanza. Il codice Napoleone, anche in materia di successioni erede in parte della tradizione romanistica e in parte del “droit coutumier”, quindi delle “coutumes” francesi, l’aveva accolto e regolamentato, riconoscendo così piena libertà alla manifestazione di volontà del testatore, pur con qualche formalità richiesta per le modalità della manifestazione stessa. Il resto dell’Italia vedeva, in sintesi, al momento dell’unificazione, la situazione seguente. La normativa napoleonica fu seguita dal codice napoletano e da quello parmense, con recezione del testamento olografo. La normativa toscana e il codice estense lo accolsero, ma in parte soltanto, con limitazioni riguardanti in particolare le formalità esterne, posteriori, alla dichiarazione di volontà. Si imponeva, cioè, la consegna del testamento in ambito notarile, rispettivamente al notaio nel granducato di Toscana o all’archivio notarile nel ducato di Modena. Le province dello stato pontificio annesse con i plebisciti seguiti alla seconda guerra d’indipendenza, cioè l’Umbria e le Marche, avevano visto l’estensione del codice civile sardo, con la conseguente nullità del testamento olografo. Le terre rimaste sotto la giurisdizione dello Stato pontificio applicavano il respingimento, ribadito dalla normativa pontificia della Restaurazione (1816-1821). L’impero austriaco invece, con il codice civile del 1811, esteso nel Lombardo-Veneto nel 1816, aveva seguito la tradizione anteriore al diritto giustinianeo, favorevole al testamento olografo, con una apertura quasi totale alla manifestazione di volontà del testatore. Non si richiedeva infatti neppure l’apposizione della data, anche se era consigliata. Era una normativa più liberale di quella francese(7). Il legislatore del 1865/66 si trovò dunque a dover scegliere tra le due diverse tradizioni. Non accenno neppure, naturalmente, al testamento scritto dal testatore o da terzi accolto, ma con rigorose formalità da osservare per la presentazione e conservazione. A questo proposito ricordo solo la tradizione degli stati sabaudi di regolamentare con minuziosi dettagli la possibilità di consegnare il proprio testamento ai supremi tribunali per la conservazione, cioè ai senati, e dal 1837/1838 ad altri tribunali provinciali qualora non esistessero senati nei distretti ove risiedeva il testatore(8).
Per quanto concerne inoltre il regno di Sardegna, occorre per lo meno ricordare che la terraferma aveva conosciuto la dominazione napoleonica, mentre l’isola era rimasta sotto il governo sabaudo. Essa fruiva di un regime giuridico particolare, con normative valide solo per l’isola e con la non estensione automatica della legislazione di terraferma. Spicca nel XIX secolo il cosiddetto codice feliciano del 1827/28. Il testamento olografo non era previsto in linea di principio. La Restaurazione del 1814/15, nel regno, fu ottusa e cieca con il ripristino della legislazione precedente il periodo francese. Genova, annessa al regno sardo nel 1815 con il congresso di Vienna, come è noto, vide il mantenimento in vigore, in buona parte, del codice civile Napoleone, mentre per alcune materie, come le successioni, si ebbe addirittura un ritorno all’antica legislazione statutaria della repubblica. In particolare tale legislazione riconosceva validità al testamento “inter liberos”, e a testamenti redatti dai naviganti e da genovesi all’estero, ma con la presenza di testimoni idonei(9).
Nel regno sardo non mancarono, comunque, dei dissensi e delle aperture verso i testamenti olografi, in particolare quando si discussero nei tribunali i casi di testamenti redatti vigente il codice Napoleone, quindi legittimi al tempo, poi dichiarati nulli a seguito del ritorno in vigore delle Regie Costituzioni sabaude del 1770, che non lo prevedevano(10). Talora addirittura furono i tribunali supremi come la Camera dei conti, oltre ai senati, a privilegiare la volontà del defunto espressa nel testamento olografo, facendola prevalere sulle nullità per motivi di forma. Le loro sentenze, ricordo, erano inappellabili e rientravano tra le fonti del diritto, a certe condizioni, in via suppletiva(11). Furono comunque casi eccezionali. Una certa apertura si ebbe dopo l’entrata in vigore del codice albertino, che aveva respinto il testamento olografo, come più volte detto. La via fu il diritto internazionale privato, attraverso una controversia destinata ad avere echi profondi all’estero, specie in Francia, contribuendo così a far prevale la volontà sulla forma esterna. Senza scendere nel dettaglio della controversia, basti accennare alla fattispecie: si trattava di un testamento olografo redatto da un suddito sardo in Lombardia, ove, come detto, questa forma testamentaria era ammessa. Una disposizione del codice civile albertino prevedeva, in campo di diritto internazionale privato, per le forme testamentarie, l’applicabilità della “lex loci” - peraltro prevista in un trattato settecentesco con l’Austria - però nel rispetto delle regole disposte dal codice, cioè di farlo ricevere da notaio o pubblico ufficiale. Il che nel caso specifico, si era verificato, ma tardivamente, dopo la morte del testatore. Dopo alcuni giudizi contrastanti, si pervenne alla sentenza definitiva del Senato di Casale, corte suprema, che dichiarò nullo il testamento(12). Furono così favoriti gli eredi legittimi e la forma prevalse sulla sostanza. La controversia vide in campo opinioni di avvocati in contrasto tra di loro, compresi anche dei docenti universitari. Il conflitto tra la legislazione di due stati e le opinioni contrapposte di giuristi di alto livello attrasse, all’estero, l’attenzione dell’autore di una celebre opera di diritto internazionale privato, Jean-Jacques-Gaspard Foelix, che scrisse sulla “Revue de droit français et étranger” una nota in cui poneva la domanda se, a seguito della sentenza, siamo nel 1844, la normativa nazionale prevalesse su quella internazionale(13). Il caso rimase comunque nella memoria giuridica, tanto che vent’anni dopo circa esso aveva ancora echi in pubblicazioni universitarie e probabilmente ebbe modo di influenzare il dibattito sulle scelte legislative a favore dell’una o dell’altra soluzione, come accadde al momento dell’unificazione legislativa. Tralasciando il lungo iter che portò al codice civile del 1865/66, iniziato già all’indomani della proclamazione dell’Unità, veniamo alle ultime battute, non senza ricordare che le vicende sono state ampiamente trattate(14). Il progetto definitivo, che sarebbe sfociato nel nuovo codice civile, vide all’opera principalmente l’allora guardasigilli Giuseppe Pisanelli, considerato il padre del Codice civile(15). Esso prevedeva la liceità del testamento olografo, previo però il deposito obbligatorio da parte del testatore presso notaio o cancelliere giudiziario, seguendo così le linee della normativa toscana e modenese, con ricordi di quella sabauda. Si introduce il limite del rispetto di formalità esterne alla dichiarazione di volontà. La soluzione non fu accettata dal Parlamento che, invece, la rinviò a una commissione nominata per coordinare i codici che accompagnarono quello civile nella legge di unificazione del 1865. Alla commissione furono demandati altri problemi che erano rimasti insoluti, cioè l’enfiteusi, la registrazione ipotecaria e la successione tra coniugi. In commissione il guardasigilli Pisanelli, dopo una discussione vivace, si disse convinto dell’opportunità di lasciare pieno spazio alla libertà da formalità esterne alla libera manifestazione di volontà. Il testamento olografo fu così accolto, dopo il dibattito, con la garanzia, tuttavia, che la dichiarazione di volontà fosse scritta, sottoscritta e datata dal testatore stesso, e poi, a richiesta di chiunque interessato, depositata presso un notaio dopo la morte del testatore per la pubblicazione. Tale normativa fu seguita, come si sa, dal codice vigente, con alcune varianti, specie per quanto concerne la pubblicazione.
Ovviamente resta, come restava nel 1865/66, il deposito facoltativo. Inoltre è prevista l’iscrizione nel Registro Generale dei Testamenti, che potrà anche essere elettronico. Il legislatore del 1865/66 eliminò del tutto il testamento consegnato ad un tribunale, forma appartenente, come detto, alla tradizione sabauda.
A proposito della discussione in seno alla commissione, si può ricordare l’intervento a favore del testamento olografo del professore Enrico Precerutti, civilista dell’Università di Torino, che già si era pronunciato in tal senso a seguito della controversia di diritto internazionale privato. Si può ritenere, come detto, che gli echi di quel caso, pervenuto a livello internazionale, contribuirono tacitamente a influenzare il legislatore(16).
Veniamo ad alcune considerazioni conclusive. Su un piano teorico, ideologico e politico, si può dire che la scelta del legislatore del 1865/66 rappresenta la vittoria della libera volontà sulla forma, in un codice considerato per lo più liberale e individualista e, come tale, elogiato e criticato, come peraltro è stato più volte e da più parti sostenuto. Cito, tra gli altri, Cesare Losana, Francesco Filomusi Guelfi, Guido Astuti e, per venire più vicino a noi, Guido Alpa. Sintomatica fu la definizione data da Cesare Losana, tra fine ‘800 e primi’900, del testamento olografo: «il trionfo dell’individuo nell’esercizio della facoltà di dar norma alle cose sue per causa di morte»(17).
A questo punto può sorgere una domanda: a quali categorie di professionisti e di operatori del diritto l’accoglimento del testamento olografo abbia comportato vantaggi o svantaggi. La risposta non è semplice ed è legata a ricerche sulle fonti giudiziarie e notarili. I magistrati, liberati dalle complesse formalità previste per la consegna e la conservazione del testamento, videro aumentare le cause per reati di falso e circonvenzione. Gli avvocati furono certamente favoriti per gli incrementi delle controversie legate all’impugnazione dei testamenti. I notai, si può supporre, furono in parte danneggiati a causa della scomparsa dell’obbligo della consegna del testamento nelle loro mani da parte dei testatori, mentre rimasero le altre formalità legate soprattutto alla pubblicazione.
I pregi e i difetti del testamento olografo, libero da formalità esterne alla volontà, continuano a dar vita a discussioni, soprattutto se si tiene conto delle possibilità di alterazioni della volontà del testatore. I problemi potranno aumentare, infine, se si considera la progressiva avanzata dell’informatizzazione, con firme digitali e altre formalità. Trovare le soluzioni spetta ai giuristi, agli avvocati, ai magistrati, ma soprattutto ai notai.


(1) In linea di principio, cfr. per una bibliografia essenziale, in particolare rivolta alle vicende storiche del testamento olografo, C. NANI, Storia del diritto privato italiano, Torino, 1902, p. 597 e ss.; F. CICCAGLIONE, voce Successione (Diritto intermedio), in Dig. it., XXII, III, Torino, 1889-1897, p. 351-352; C. LOSANA, voce Successioni testamentarie, in Dig. it., XXII, IV, Torino, 1893-1902, p. 63 e ss.; V. VITALI, Delle successioni legittime e testamentarie, III, Napoli, 1895, p. 3-19 (Il diritto civile italiano, per cura di P. Fiore, parte IX, Delle successioni, III) , soprattutto p. 7 -18; F. DE FILIPPIS, voce Successioni, in Enc. giur. it., XV, parte III, Milano, 1910, p. 93 e ss.; P. VACCARI, Introduzione storica al vigente diritto privato italiano, Milano, 1949, p. 102 -103; P.S. LEICHT, Storia del diritto italiano. Il diritto privato, parte II, Diritti reali e di successione. Lezioni, Milano, 1960, p. 242-249; E. BESTA, Le successioni nella storia del diritto italiano, Milano, 1961, p. 203 -210; H. REGNAULT, Les Ordonnances civiles du chancellier Daguesseau. Les testaments et l’Ordonnance de 1735, Paris, 1965, p. 37; G. IMPALLOMENI, voce Successioni. Diritto romano, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 704 e ss. Più in generale cfr. C. GIARDINA, voce Successioni. Diritto intermedio, in Noviss. Dig. it., cit., p. 727-748, con l’amplissima bibliografia citata. Cfr. inoltre G. VISMARA, Famiglia e successioni nella storia del diritto, Roma, 1975, p. 61 e ss.; ID., La norma e lo spirito nella storia del diritto successorio, in Studia et documenta historiae et iuris, 31, 1965, p. 61-91, ora in Scritti di storia giuridica, 6, Le successioni ereditarie, Milano, 1988, p. 3-35; ID., Appunti intorno alla «heredis institutio», in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta, III, Milano, 1939, p. 301-363, ora in Le successioni ereditarie, cit., p. 39-106; La successione volontaria nelle leggi barbariche, in Studi di storia e diritto in onore di Arrigo Salmi, 2, Milano, 1940, p. 183- 220, ora in Le successioni ereditarie, cit., p. 109-143; Heredem instituere. Note, Milano, 1940, ora in Le successioni ereditarie, cit., p. 147-209; E. BUSSI, Evoluzione storica del testamento come disposizione di volontà, in Studi di storia e diritto in onore di Enrico Besta, cit., l, p. 443-445, pure in La formazione dei dogmi di diritto privato nel diritto comune (contratti, successioni, diritti di famiglia), Padova, 1939, p. 165-196. Cfr., dello stesso, Evoluzione storica del testamento come atto documentale, ibidem, p. 153-163. Cfr. pure, molto in generale, ma sempre in relazione alla manifestazione della volontà e ai connessi problemi ermeneutici, G. CHIODI, L’interpretazione del testamento nel pensiero dei glossatori, Milano, 1997 (Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, Pubblicazioni dell’Istituto di storia del diritto italiano, 21); «Sempre più uguali. I diritti successori del coniuge e dei figli naturali a 70 anni dal Codice civile», a cura di G. Chiodi, Milano, (2013), reperibile sul sito www.giuffre. it. Cfr. più in specifico, I. SOFFIETTI, «Osservazioni su particolari forme di testamento negli stati sabaudi dal XVI secolo all’Unità», in Rassegna degli Archivi di Stato, XXXVI, 1976, p. 418-449; ID., «Il testamento olografo, il codice civile albertino e il diritto internazionale. Spunti problematici», in Riv. st. dir. it., LXXI, 1998, p. 139- 146. A titolo di bibliografia di mero riferimento, cfr. A. CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale. Delazione e acquisto dell’eredità, Milano, 1954 (Trattato Cicu e Messineo); G. BONILINI, voce Testamento, in Dig., disc. priv., sez. civ., XIX, Torino, 1999, in specie p. 364-367. La nozione di testamento olografo accettata corrisponde, come detto, a quella moderna. Nel passato, specie negli stati sabaudi, furono date definizioni assai restrittive, intendendosi per testamento olografo soltanto quello scritto di proprio pugno dal testatore, cioè autografo. Cfr. T.M. RICHERI, Dictionarium iuris civilis, canonici et feudalis adiecto delectu legum civilium et feudalium, Torino, 1792, p. 130: «Testamentum olographum vocatur illud, quod scribitur a proprio testatore: si vero litteras nesciat, adhibet Notarium, ut illud scribat, et tunc dicitur testamentum scriptum». Cfr. altresì E. MARMOCCHI, «Il testamento olografo tra segretezza e sicurezza», in Riv. dir. civ., XLIV, 1998, p. 116-124, con la bibliografia citata; I. SOFFIETTI, Il testamento olografo e il codice civile unitario, in Avvocati protagonisti e rinnovatori del primo diritto unitario, cur. S. Borsacchi e G.S. Pene Vidari, Bologna, 2014, p. 301-312.

(2) Per tutti cfr. E. MARMOCCHI, Forma dei testamenti, in Successioni e donazioni, cur. P. Rescigno, I, Padova, 1994, p. 757-880. P. RESCIGNO, Ultime volontà e volontà della forma, in Studi in onore di Michele Giorgianni, Napoli, 1988, p. 653- 679.

(3) Isidori hispalensis episcopi etymologiarum sive originum libri XX, recognovit brevique adnotatione critica instruxit W. M. Lindsay, l , Oxonii, V, 24, 7-8, p. 187.

(4) Sulla legislazione del re visigoto Reccesvindo cfr. K. ZEUMER, Leges Visigothorum, Hannoverae et Lipsiae, 1902, p. 115-116 (Monumenta Germaniae Historica, Leges Nationum Germanicarum, t. l). Per i rapporti più specifici tra la normativa dei sovrani visigoti e l’esperienza della tradizione romanistica, cfr. ID., «Zum westgotischen Urkundenwesen», in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XXIV, 1899, p. 15-29 (Subscriptio und Signum), 30-38 (Die Schriftvergleichung (contropatio)); Il, Geschichte der westgotischen Gesetzgebung, p. 39-122, soprattutto p. 114-118. Sulla legislazione bizantina postgiustinianea, cfr. F. GORIA, Contributo allo studio degli scolii all’Eisagoge: gli spunti di ragionamento analogico, in Antecessor. Festschrift für Spyros N. Troianos zum 80. Geburtstag, Athen, 2013 , p. 359-396. Per i testi di Valentiniano III e di Teodosio Il, e per l’interpretatio, cfr. P.M. MEYER, Leges novellae ad Theodosianum pertinentes, Berolini, 1905, Nov. XXI, l e 2, p. 108-112.

(5) Nov. 107.1.

(6) Cfr., in specie, G. CHIODI, op. cit., passim.

(7) Code civil, art. 970; Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, artt. 797, 802; Codice civile per gli stati di Parma, Piacenza e Guastalla, art. 726; Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Parte prima. Leggi civili, artt. 894, 895; Codice civile austriaco, artt. 577, 578, 585, 586, 587, 588, 589, 590; Codice civile per gli Stati Estensi, artt. 693, 694, 695, 696.

(8) Cfr. soprattutto I. SOFFIETTI, «Osservazioni su particolari forme …», cit., passim.

(9) Si rinvia agli Statuta et Decreta Communis Genuae ..., Venetiis, 1567, IV, De Testamentis et ultimis voluntatibus, 1, c. 71-73.

(10) Per i rapporti tra i territori della Repubblica di Genova dopo l’annessione al regno sardo, cfr. I. SOFFIETTI e C. MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti ed istituzioni (secoli XV-XIX), Torino, 2008, soprattutto p. 114-116, con la bibliografia citata.

(11) Sulle fonti del diritto negli stati sabaudi, cfr. I. SOFFIETTI e C. MONTANARI, op. cit., passim. In particolare, sull’infallibilità dei Senati, si rinvia a I. SOFFIETTI, Les résistances politiques et juridiques à la création d’une Cour de Cassation: le cas du royaume de Piémont-Sardaigne, in Les désunions de la magistrature (XIXe -XXe siècle), a cura di J. Krynen e J.-Chr. Gaven, Toulouse, 2013, p. 399-406, con la bibliografia citata (Études d’histoire du droit et des idées politiques, n. 17, 2013).

(12) Sul caso del testamento olografo redatto in Lombardia da un suddito sardo, cfr. I SOFFIETTI, Il testamento olografo …, cit., in specie, p. 145-146.

(13) Cfr. J.J.G. FOELIX, in Revue de droit français et étranger, I, 1844, p. 318-319.

(14) Sulle complesse vicende che portarono al codice civile unitario, cfr. E. MARMOCCHI, «Il testamento olografo …», cit., in particolare p. 118-121; A. AQUARONE, L’unificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, 1960, sia per le considerazioni introduttive e generali, sia per la parte dedicata alle fonti normative, alle relazioni per i progetti, agli interventi esterni comparsi in articoli su pubblicazioni. In particolare per i progetti e le relative relazioni, fondamentali si sono rivelati, per il facile accesso e per gli accorpamenti, i verbali delle commissioni parlamentari editi da S. GIANZANA, Codice civile, preceduto dalle Relazioni Ministeriale e Senatoria, dalle Discussioni parlamentari e dai Verbali della Commissione coordinatrice ..., Torino, 1887, 5 voll. Cfr. inoltre C. LOSANA, op. cit., XXII, p. 63-79 (con citazioni di lavori parlamentari), 446-448 (con riferimento alla legislazione piemontese); F. DE FILIPPIS, op. cit., soprattutto p. 93 -101 e 265-269. Per i progetti Cassinis e la bibliografia citata, cfr. S. SOLIMANO, «Il letto di Procuste». Diritto e politica nella formazione del codice civile unitario. I progetti Cassinis (1860-1861), Milano, 2003, passim, e in specie, per il testamento olografo, p. 331-341. Per la biografia completa del Cassinis, cfr. ID., voce, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone e M.N. Miletti, (DBGI), Bologna, 2013, vol. I, p. 481 - 482.

(15) Su Giuseppe Pisanelli, cfr. C. VANO, voce ..., in DBGI II, p. 1600 - 1602.

(16) Cfr. S. GIANZANA, op. cit., III, Verbali della Commissione di coordinamento, 12 maggio 1865, verbale n. 30, p. 254 per la proposta del Precerutti; per il mutamento di pensiero di Pisanelli, p. 255. Su Enrico Precerutti, cfr. S. SOLIMANO, voce ..., in DBGI, II, p. 1623-1624.

(17) C. LOSANA, op. cit., p. 63; F. FILOMUSI GUELFI, Lezioni e saggi di filosofia del diritto, a cura di G. Del Vecchio, Milano, 1949, p. 205; G. ASTUTI, «La codificazione del diritto civile», in Riv. st. dir. cont., 2, 1977, p. 1-33, in particolare p. 31. Cfr. pure numerosi altri studi di Guido Astuti ora riediti in ID., Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, Raccolta di scritti a cura di G. Diurni. Prefazione di G. Cassandro, in specie II, Napoli, 1984, in particolare p. 711-846; G. ALPA, «Le code civil et l’Italie», in Revue international de droit comparé, 57/3, 2005, p. 613-614 e, in italiano, ID., in Libreria Antiquaria Giulio Cesare, catalogo 6, scienze giuridiche, Roma, 2004-2005, p. 21.

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