L’autonomia del testatore e i suoi limiti nelle riforme dell’età napoleonica
L’autonomia del testatore e i suoi limiti nelle riforme dell’età napoleonica (*)
di Maria Benedetta Carosi
Dottore di ricerca PhD, Università di Genova

La capacità di testare come espressione della libertà del singolo e della sua autonomia privata

«Io per me porto fermissima opinione che tolta agli uomini la facoltà di testare, si troncherebbe la radice a tanti mali che affliggono la Società … voi non porrete il colmo alla felicità della Nazione, se non private i Cittadini della facoltà di testare e non determinate voi con leggi chiare e semplici i diritti di successione»(1). Con queste parole, ad un anno e mezzo di distanza dalla Rivoluzione giacobina del 1797, un commentatore genovese esprimeva le sue convinzioni sulle pagine de Il Censore. L’idea di negare del tutto la libertà di disporre per testamento, frutto di alcune radicali teorizzazioni illuministiche, era diventata in Francia una realtà concreta sin dal marzo 1793, con il decreto che aboliva la facoltà di disporre dei propri beni in linea diretta, sia per atto tra vivi che a causa di morte, divieto esteso in seguito anche alla linea collaterale e, per qualche tempo, reso addirittura retroattivo al 14 luglio 1789(2). Con l’eliminazione del testamento - strumento utilizzato sino allora per indurre all’obbedienza i figli e realizzare privilegi perlopiù a favore dei maschi primogeniti - si era pensato di estirpare in radice ogni possibile disparità fra gli eredi: le categorie di successibili e le loro quote sui beni paterni sarebbero state indicate dalla legge nel rispetto assoluto del principio di uguaglianza, senza distinzioni di sesso o di età.
Senza mai giungere ad imitare in toto le radicali riforme d’Oltralpe, anche i costituenti genovesi del 1797, nel progetto di Costituzione pubblicato nell’agosto di quell’anno, tentarono di introdurre alcune dirompenti novità come l’equiparazione delle donne in materia successoria e la riduzione della quota disponibile (circoscritta sino ad un sesto dell’asse in presenza di discendenti e ascendenti del testatore)(3), ma dopo l’insorgenza che ai primi di settembre sconvolse la città e le vallate della Liguria, nel testo della Costituzione emendato su suggerimento di Napoleone e definitivamente approvato, di quelle innovazioni non vi fu più traccia. Anche in Francia, comunque, si dovette fare marcia indietro, ripristinando nel 1800 la libertà di disporre a titolo di liberalità, sia per atti inter vivos che di ultima volontà, anche se tale facoltà venne circoscritta ad una quota soltanto dei beni (cd. quotité disponible)(4). Come risulta dai lavori preparatori, questo dietro front fu percepito come un tentativo di reintrodurre un parziale ripristino dell’autorità paterna, ed in effetti la prassi diffusasi da allora in molte regioni francesi di lasciare l’intera disponibile ad uno solo dei discendenti (realizzando di fatto strategie discriminatorie analoghe a quelle degli istituti di antico regime ormai vietati), confermò in gran parte tale interpretazione(5).
Il Code civil segna un punto fermo nella riaffermazione della libertà di testare. Anche se permane il limite della quota legittima, la disponibile (cd. ‘quarta napoleonica’) è decisamente ampia: l’art. 913 prevede una quota variabile, complessivamente utilizzabile per effettuare liberalità tramite donazione o testamento, pari ad un quarto nel caso il defunto lasci tre o più figli(6). D’altra parte, come è stato più volte osservato, l’intero impianto del Code civil ruota attorno al nuovo concetto di proprietà(7), esaltandone quel connotato di ‘assolutezza’ su cui si fonda il principio di libera disponibilità e circolazione. Ricordiamo a questo proposito le parole con le quali Cambacérès scolpiva questi concetti: «Trois choses sont nécessaires et suffisent à l’homme en société: être maître de sa personne; avoir des biens pour remplir ses besoins; pouvoir disposer, pour son plus grand intérêt, de sa personne et de ses biens. Tous les droits civils se réduisent donc aux droits de liberté, de propriété et de contracter»(8).
La stessa materia delle donazioni e delle successioni è interamente contenuta nel libro III, macroarea che il Codice dedica appunto ai ‘modi di acquisto della proprietà’ (Des différentes manières dont on acquiert la propriété). Si instaura pertanto uno stretto parallelismo fra la capacità di disporre liberamente dei beni che formano il proprio patrimonio, esplicazione del più generale principio di disponibilità della proprietà, e la specifica capacità di testare, riconosciuta anch’essa in via generale dall’ordinamento a tutti i soggetti ai quali la legge espressamente non la precluda. Anche la donna - quantunque priva tuttora dei diritti politici ed assoggettata a gravi limitazioni della capacità d’agire - gode per il Code civil della piena e libera facoltà di fare testamento. Mentre per gli atti fra vivi essa è ancora legata al consenso maritale o giudiziario e pertanto la donazione non autorizzata è ritenuta annullabile, siffatte limitazioni non sussistono per la facoltà di testare. Il giudice e trattatista Charles Rocca spiegava questa anomalia di sistema osservando (non senza una punta di arguzia) che nessuna autorizzazione maritale era richiesta in quanto il testamento è un atto che non ha efficacia se non dopo la morte della testatrice, tempo in cui, venuto meno il vincolo matrimoniale, non vi sarà più né marito né moglie («ni mari ni femme»)(9).
La capacità di testare è comunque espressione del pieno godimento dei diritti civili e pertanto negata a coloro che abbiano perso la cittadinanza, per espatrio o per matrimonio, o siano incorsi nella morte civile, ad esempio a seguito di condanne giudiziarie, nonché, in linea di massima, ai cittadini di altre nazioni. Una svolta in senso molto favorevole a questi ultimi era stata attuata dalle leggi francesi del 1790 e 1791: in particolare, l’Assemblea Costituente aveva compiuto un passo decisivo allorché aveva stabilito la completa abolizione del cd. diritto di albinaggio (droit d’aubaine) che consentiva allo Stato di incamerare, in tutto o in parte, i beni ereditari dello straniero situati in territorio francese, un istituto stabilito in «tempi barbari» e considerato contrario «aux principes de fraternité qui doivent lier tous les hommes, quelsque soient leur pays et leur gouvernement»(10). Il Code civil compie a questo proposito un prudenziale arretramento, improntando il trattamento dello straniero al rispetto di un rigoroso principio di reciprocità fondato sui trattati stipulati con la nazione di appartenenza(11). In ogni caso, lo straniero che fosse stato ammesso a stabilire il proprio domicilio nel territorio dello stato francese, avrebbe goduto pienamente dei diritti civili, compresi quelli successori(12).
Il problema si presentò in modo particolarmente acuto nella fase di espansione dell’Impero, allorché alcuni Paesi erano già stati annessi ed altri rimanevano ancora formalmente indipendenti, creandosi il presupposto per frequenti ipotesi di complicate successioni transfrontaliere. Sfogliando i Repertori giurisprudenziali dell’epoca, ci imbattiamo ad esempio nella curiosa vicenda del piemontese signor Grisella che, nel settembre del 1801, aveva legato al nipote signor Defranchi genovese - e quindi ‘straniero’ essendo all’epoca la Liguria ancora una Repubblica indipendente - un podere in Caramagna, purché «in qualsiasi tempo e in qualsiasi modo, divenisse capace di ricevere il legato e fissasse il proprio domicilio in Piemonte»(13). Poco dopo la morte dello zio, avvenuta nel giugno del 1802, il legatario si trasferì a Casale, in Piemonte, e si affrettò a prendere possesso della terra di Caramagna, ma venne citato in giudizio di fronte al Tribunale di Alessandria dal secondo chiamato in subordine nel medesimo legato. Quest’ultimo rivendicava la terra, sostenendo che il Defranchi, essendo uno straniero al momento dell’aperta successione, era incapace di ricevere il legato: all’epoca, infatti, la legge francese del 1790 che aboliva l’albinaggio non era stata ancora pubblicata in Piemonte e quindi, a suo parere, dovevano applicarsi le Regie costituzioni sabaude che negavano allo straniero la capacità di succedere(14). La sentenza di primo grado, favorevole al Defranchi, fu sottoposta al riesame della Corte d’Appello di Torino la quale risolse il caso a prescindere dall’astratta e complicata questione della legge applicabile, considerando dirimente la formula adottata in concreto dal testatore. Se il legato fosse stato puro - affermò la Corte - la capacità di ricevere del legatario, in applicazione della cd. ‘regola catoniana’, avrebbe dovuto sussistere al momento stesso in cui venne redatto il testamento; trattandosi invece di un legato condizionale, era sufficiente che il legatario fosse capace nel momento di avveramento della condizione, ciò che si era puntualmente verificato quando il Defranchi aveva eletto il proprio domicilio in Piemonte, acquistando la capacità di ricevere per successione, per modo che il legato a suo favore doveva considerarsi perfettamente valido. L’accorta formulazione della clausola - che immaginiamo suggerita al testatore da un notaio particolarmente previdente - aveva dunque salvato la disposizione, garantendone la validità e la stabilità nel tempo, quale che fosse la legge vigente.
Il primato della volontà del testatore e della sua libera manifestazione ispira varie norme del Code civil volte ad assicurare che la stessa sia genuina e scevra da condizionamenti.
A cominciare dalla stessa forma, il testamento è circondato da accorgimenti atti a garantirne l’autenticità e la sicura riferibilità alla persona del testatore, al punto che nella redazione per atto di notaio - la più solenne delle forme testamentarie - il pubblico ufficiale è obbligato a riportare alla lettera l’ultima volontà del disponente «telle qu’elle était sortie de sa bouche, sans altération ni modification»(15). Ricordiamo a questo proposito l’empasse in cui si trovarono i notai genovesi allorché, all’indomani dell’annessione all’Impero, furono obbligati a ricevere tutti gli atti - testamenti compresi - nella lingua francese, sconosciuta ai più. Poiché a Genova e in tutti gli altri comuni del circondario, specialmente in quelli di montagna, le parti e i testimoni ignoravano l’idioma francese, i notai si trovarono in grave difficoltà, dal momento che i testamenti dovevano essere «dettati dal testatore», ciò che quest’ultimo poteva fare soltanto utilizzando la propria lingua. Per ottemperare all’obbligo della redazione in lingua francese, senza venire meno alla corretta indagine della volontà del testatore, i notai genovesi ricorsero allora ad un elegante escamotage del quale troviamo traccia in formule come queste: «... lequel testateur l’a dicté en langue italienne et a été redigé et écrit entièrement par moi notaire en langue française en présence des témoins soussignés et d’abord a été en la dite présence lu par moi dit notaire au testateur en dite langue italienne, le quel a declaré bien comprendre le tout et y perseverer comme etant entièrement conforme à ses intentions»(16).
L’osservanza scrupolosa delle regole formali anche più minute non deve stupire, potendosi rischiare l’invalidità del testamento stesso: «S’il est un acte où l’observation des formes soit absolue, c’est le testament, dont toute la valeur est dans la solemnité et toute solemnité dans les formes». Per questo Charles Rocca si accingeva a fornire nella sua opera alcuni modelli di formule, con versione italiana a fronte, per coloro che avessero poca familiarità con la lingua francese, in modo da «servir le zèle de ces pilotes tutelaires, les Notaires» fornendo loro il modo di adempiere rigorosamente «le prescrit de la loi»(17). Lo stesso trattatista osservava preoccupato la diffusione di un formulario - dato alle stampe a Torino con l’intento di agevolare l’adeguamento degli operatori al nuovo diritto - nel quale era stata omessa l’indispensabile formula sacramentale relativa alla redazione del testamento di mano del notaio, di cui la legge richiedeva espressa menzione a pena di nullità(18).
Il Codice protegge poi indirettamente la volontà del testatore da condizionamenti e pressioni anche di natura morale, stabilendo l’incapacità di ricevere da parte di alcuni soggetti che si presumono in grado di influenzarlo.
Così in particolare le norme riguardanti i legati dei pupilli a favore del tutore (art. 907) e quelle a favore di medici, farmacisti e ministri di culto che avessero assistito un infermo nella fase terminale della malattia (art. 909), norme che ai genovesi richiamano alla mente quelle contenute negli Statuti civili della Serenissima i quali proibivano ai «famigli, o garzoni» di far testamento in favore dei maestri presso cui esercitavano l’arte e dichiaravano nulli quelli degli appestati a favore di medici, ‘chirurgici’, ‘serventi’ e in genere di coloro che li avevano in cura(19). Per quando riguarda in particolare i ministri di culto, il Tribunale di Nivelles, ad esempio, dichiarò nullo il legato di una somma annuale di denaro con l’onere di celebrare delle messe, effettuato dalla Damoiselle Fauvelle a favore del curato che le aveva reso visita durante la sua ultima malattia. In senso opposto, la Corte d’Appello di Grenoble considerò invece ammissibile una liberalità effettuata a favore del Curato che aveva somministrato l’estrema unzione al defunto, affermando che tale circostanza di per sé non era un elemento sufficiente «pour caractériser l’empire du prêtre sur l’esprit du malade». A parere della Corte, infatti, l’incapacità a ricevere stabilita dal Code poteva colpire soltanto quei ministri di culto che avessero avuto il potere di “dirigere la coscienza” del testatore influenzandola nel «tribunal de la pénitence»(20).
La salvaguardia dell’autonomia del testatore trova ulteriore espressione anche nel principio di assoluta personalità e revocabilità, dal quale discende il divieto di testamento congiuntivo o reciproco, già sancito in Francia dall’ordonnance del 1735, divieto che come tanti altri non mancò di creare problemi di successione di leggi nel tempo(21). Dal momento che l’art. 968 del Code civil sembrava introdurre un divieto operante soltanto pro futuro, all’indomani della sua entrata in vigore si era dovuto decidere ad esempio se, nei Paesi ove in passato erano ammessi, i testamenti congiuntivi potessero ritenersi tuttora validi. Sul punto, particolarmente controverso, era intervenuto, in veste di procuratore generale presso la Corte di Cassazione, l’illustre politico e giurista Philippe-Antoine Merlin(22) il quale, con ragionamento analitico, aveva distinto due casi: quello in cui ciascuno dei testatori avesse disposto col suo testamento dei propri beni soltanto (ipotesi in cui sarebbe stata ammissibile la revoca unilaterale successiva), e quello in cui ciascuno dei due avesse disposto in modo complessivo e generale della totalità dei beni propri e dell’altro, come di un unico patrimonio, «en vertu du consentement qu’ils se sont donné mutuellement»(23). In quest’ultimo caso, affermava Merlin, per effetto della morte di uno dei due disponenti, il testamento diventava irrevocabile e il superstite non avrebbe potuto più modificarlo, nemmeno per la propria parte.

Il primato della legge e i limiti imposti all’autonomia testamentaria

All’aspetto della tutela della libertà testamentaria del singolo sin qui esaminato, si affianca quello relativo alla preminenza della legge nella disciplina delle vicende successorie. L’intero impianto del codice ha le sue fondamenta nel primato della legge e affida al legislatore il compito di fissare i confini che delimitano la libera volontà dell’individuo, in ossequio ad una precisa visione di politica legislativa, non sempre rispettosa delle tradizioni e delle consuetudini presenti in alcune zone della Francia stessa e nel territorio dei Paesi annessi(24).
È la legge a stabilire l’ordine inderogabile delle successioni che non può essere alterato né mediante testamento, né mediante atto fra vivi - come ad esempio il contratto di matrimonio (art. 1039) - né per mezzo di rinunce o di qualsiasi altro strumento. Da ciò discende il noto divieto dei patti successori ed in particolare quello di disporre di diritti concernenti un’eredità futura enunciato più volte nel Code, sia in tema di oggetto del contratto in generale (art. 1130), sia in modo specifico per le convenzioni matrimoniali (art. 791) e per la vendita (art. 1600). Il principio subisce eccezioni soltanto nelle ipotesi in cui si realizza un interesse meritevole di tutela a giudizio del legislatore: così l’art. 1082 consente di inserire nel contratto di matrimonio una sorta di donazione ob-nuziale con cui il donante dispone sin d’ora di tutta o parte della sua eredità a favore degli sposi e dei loro discendenti; l’art. 761 inoltre permette di effettuare in vita un’attribuzione a favore del figlio naturale, con la finalità espressa di tacitarne in anticipo i diritti successori ed estrometterlo - col suo consenso - dalla futura eredità(25). Appare evidente, in quest’ultimo caso, l’intento del legislatore di privilegiare l’interesse e la stabilità della famiglia legittima, considerata come la ‘pépinière de l’Etat’ e fulcro del nuovo ordine sociale napoleonico. A garanzia del trattamento privilegiato riservato ai discendenti legittimi, inoltre, l’art. 908 stabilisce che i figli naturali non possano ricevere, né per donazione fra vivi né per testamento, a pena di nullità delle liberalità effettuate in loro favore, più di quanto non sia accordato loro dalla legge. Ai figli adulterini od incestuosi, poi, la legge non riconosce altro che il diritto agli alimenti (art. 762), non ammettendo alcun genere di liberalità in loro favore. Si veda ad esempio il caso del signor Révelière che, regolarmente sposato e padre di quattro figli, aveva avuto un quinto figlio da una relazione adulterina. Pochi giorni dopo la nascita del bambino, chiamato Gilles-Aimé, sopravvenuta la morte della legittima consorte, Révelière aveva sposato la madre del figlio naturale, effettuando a favore di quest’ultima nel contratto di matrimonio cospicue liberalità ed acquistando vari immobili a nome della stessa. Morendo, egli lasciava quali beneficiari testamentari Gilles-Aimé e la madre di lui. I figli legittimi impugnarono di nullità tutti i benefici ricevuti dal fratellastro, non soltanto quelli effettuati a lui direttamente per testamento, ma anche quelli a favore dalla madre, considerata per presunzione di legge come interposta persona (art. 911). La vedova sostenne che, per effetto del successivo matrimonio, Gilles-Aimé era ormai legittimato e nulla gli impediva di succedere al proprio padre, ma i fratelli ribatterono che all’epoca della nascita (avvenuta una ventina di giorni prima della morte della legittima consorte di Révelière), esisteva fra i genitori naturali un impedimento dirimente che impediva loro di sposarsi ed il bambino era dunque ‘adulterino’. A queste obiezioni la vedova, risoluta a non arrendersi, tentò inutilmente di controbattere con una «singulière subtilité», sostenendo che si doveva fare riferimento non già alla data della nascita, ma a quella dell’iscrizione del figlio nei registri dello stato civile (Gilles-Aimé, infatti, era stato registrato circa un anno dopo lo scioglimento del precedente matrimonio del padre). Tuttavia, l’argomentazione pretestuosa della vedova, venne considerata “ridicola” e tanto la Corte d’appello che quella di Cassazione, dichiararono nulle anche le liberalità da lei ricevute, come effettuate per interposta persona a favore del figlio adulterino(26).
Fra i problemi che gli interpreti si trovarono ad affrontare in tema di libertà testamentaria, vi fu quello spinoso delle condizioni ‘coartanti’ ed in particolare di quelle che incidono sulla libertà matrimoniale del beneficiario della liberalità. L’atteggiamento della giurisprudenza nei confronti di questo genere di clausole tendeva ad essere molto rigoroso qualora esse fossero inserite in un testamento, considerandole in tal caso contrarie all’utilité publique e ritenendole come non scritte, dimostrandosi invece più aperto nell’ipotesi in cui le clausole fossero parte di un contesto contrattuale, quale ad esempio una convenzione matrimoniale. Fu appunto questo il caso della signora Mesenge che, nel contratto di matrimonio stipulato il 21 novembre del 1789, aveva ricevuto dal marito una rendita di 1000 lire sotto la condizione espressa «qu’elle ne convolerait pas à secondes noces»(27). Poiché la vedova Mesenge si era risposata, gli eredi legittimi le avevano fatto causa, sostenendo che il diritto a percepire la rendita era venuto meno per effetto del secondo matrimonio. Nel corso della causa, nella quale gli eredi legittimi furono difesi dal celebre avvocato Sirey(28), si discusse dell’applicabilità dell’ordonnance del 1747, ancora in vigore al momento del matrimonio, nonché della possibile retroattività della riforma del 1791 in materia di clausole o condizioni contrarie «aux moeurs où à la liberté» e si pensò persino di applicare la Novella 22 di Giustiniano che imponeva al beneficiato di astenersi dal secondo matrimonio per non perdere la liberalità(29). Si cercò inoltre di far leva sulla formulazione dell’art. 900 del Code che, vietando genericamente le condizioni contrarie alla legge o al buon costume, lasciava ampi margini di discrezionalità interpretativa; ci si interrogò pertanto sulla validità della condizione apposta alla liberalità in questione, chiedendosi, per il caso in cui fosse considerata illecita, se essa dovesse reputarsi semplicemente come non scritta o se la sua invalidità si estendesse anche alla disposizione principale(30). La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni dei giudici di grado inferiore, diede torto alla vedova Mesenge, considerando efficace nei suoi confronti il divieto di nuove nozze, per il fatto che quella condizione era contenuta in un contratto e dunque era stata «ouvrage de la volonté des parties, qui ont stipulé selon leur vues et selon leurs intérêts». Nel suo ragionamento la Cassazione distinse quindi il trattamento da riservare alla clausola contenuta in un testamento - per effetto della quale la libertà del destinatario sarebbe unilateralmente compressa se non intervenisse a sua tutela la legge privando di efficacia la clausola stessa - dall’ipotesi di clausola inserita nel contesto di una disposizione contrattuale, frutto del consenso di entrambe le parti contraenti, in ordine alla formulazione della quale, proprio in virtù di tale consenso, l’autonomia delle parti può godere di un margine più ampio di libertà.
Al termine di questo sguardo sulla libertà e sui limiti all’autonomia del testatore, non possiamo non accennare, sia pur brevemente, alla vasta e problematica materia delle sostituzioni fedecomissarie. Come suggestivamente notava il Marcadé nel suo commentario, «poche legislazioni hanno avuto tanti mutamenti, quanto quelle delle nostre sostituzioni fidecommissarie, non essendovi materia che si leghi più intimamente alle forme del Governo, e che abbia più stretto rapporto coi sistemi politici»(31). In Antico regime, il fedecommesso - nelle sottospecie più frequenti della primogenitura e del maggiorasco - si era prestato a derogare al principio romanistico di eguaglianza fra gli eredi, consentendo di instaurare un ordine successorio diverso da quello previsto dalla legge. Esso, inoltre, com’è noto, poneva di fatto una gran massa di beni fuori commercio per periodi di tempo anche lunghissimi, sottraeva beni all’azione dei creditori, permetteva l’accumulo di intere ricchezze familiari nelle mani di pochi, inconvenienti che - unitamente alla particolare complessità tecnico-giuridica della materia - ne facevano una sorgente inesauribile di discordie e continui litigi, favorendo il maturare di un’ostilità crescente nei confronti dell’istituto(32). Scriveva al riguardo il Muratori: «mettete un po’ la testa nel Foro, ed osservate, di che si tratti, di che disputi. Per lo più d’una sustituzione, d’un fideicommisso, di un maggiorasco, di una primogenitura. Questo è il podere più fruttuoso d’ogni altro per gli avvocati, procuratori, notai, e giudici, perché più spesso che per altri affari insorgono liti a cagion delle successioni, e de’ testamenti per sé stessi imbrogliati, o che i sottili legisti cercano d’imbrogliare con loro gran sapere»(33). A queste celebri parole sembrano fare eco quelle di Philippe Antoine Merlin, il quale nel suo noto Répertoire osservava come nell’antica Repubblica di Genova «le sostituzioni fedecommissarie erano permesse in perpetuo e senza limitazione di gradi. I fedecommessi si stabilivano per congetture. Tutta questa materia era, in certo modo, abbandonata al capriccio de’ giudici, di cui la maggior parte prendea per norma tutte le stravaganze de’ vecchi dottori»(34). Il celebre caso del maggiorasco di Cristoforo Colombo, rappresenta al riguardo soltanto l’esempio di una prassi diffusa e protrattasi sino alle soglie della Rivoluzione(35).
In Francia, si erano succeduti nel tempo svariati interventi restrittivi destinati anzitutto a contenere la durata dei fedecommessi: così l’ordinanza successoria del 1747 (una delle quattro ordinanze della riforma del d’Aguesseau) che, confermando quella precedente del 1560, restringeva a due gradi la validità dei fedecommessi, finché - in attuazione dei principi rivoluzionari di libertà ed eguaglianza - la Convenzione nazionale nel 1792 aboliva del tutto l’istituto in questione, vietando le nuove sostituzioni ed annullando quelle non ancora apertesi(36). Sulla scia di questi provvedimenti, anche la Repubblica democratica ligure, con la legge del 26 marzo 1799, decretò la soppressione dei fedecommessi, anche se la riforma fu attuata con estrema difficoltà e continue dilazioni a causa delle fortissime resistenze, perché «togliere così di slancio dalle mani degli uni quei beni de’ quali godè finora tranquillamente per trasportarli nelle mani degli altri» si rivelò effettivamente - sono parole di un giornalista dell’epoca - «un’operazione violenta e del pari pericolosa»(37).
Il Code civil si dimostrava su questo punto ancora più severo della legge del 1792, disponendo non soltanto la nullità della disposizione recante l’obbligo di conservare e restituire, ma anche la nullità della disposizione principale cui essa accede: nonostante qualche dubbio legato alla formulazione non chiarissima dell’articolo 896, e una possibile interpretazione tesa a ridurre la portata del divieto, l’opinione prevalente scelse il maggior rigore(38). La sostituzione fedecommissaria, infatti, andava assolutamente colpita, perché in conflitto sia con il principio di eguaglianza (ora vigente in materia successoria anche per le donne, con l’equiparazione di figli e figlie) sia con quello di assolutezza e pienezza della proprietà: prevedere una generale capacità di testare sarebbe stato inutile se poi, in concreto, molti beni si fossero trovati soggetti ad un vincolo di indisponibilità perché gravati dall’obbligo (magari quasi perpetuo) di conservare e restituire(39). Tuttavia, anche questa norma fondamentale che sancisce la nullità delle sostituzioni fidecommissarie, trova nel codice due eccezioni che, a parere di alcuni commentatori non avrebbero dovuto neppure essere indicate come sostituzioni o fedecommessi, bensì come semplici ‘restitutions’ che nulla avevano a che vedere con quelle di antico regime. Il primo caso è quello previsto dall’art. 1048, secondo cui i beni dei quali i genitori possono disporre (siamo quindi nei limiti della disponibile) possono essere lasciati per donazione o per testamento a uno o più figli, con l’obbligo di restituire gli stessi beni ai loro figli nati e nascituri(40). La seconda eccezione è costituita dalla possibilità - in assenza di discendenti propri - di effettuare liberalità verso fratelli e sorelle, con obbligo di restituire a favore dei loro discendenti nati e nascituri (art. 1049). Per evitare un surrettizio re-ingresso di istituti quali il maggiorascato e la primogenitura, il Code fissa tuttavia in entrambi i casi, limiti tassativi: le sostituzioni sono consentite solo per un ordine di chiamati e l’obbligo di restituzione deve profittare a tutti indistintamente i figli nati e nascituri del soggetto gravato, senza eccezione alcuna, né preferenza d’età o di sesso (art. 1050).
L’abolizione delle sostituzioni fidecommissarie, tuttavia, creò non meno problemi e contenziosi di quanti ne volesse impedire: per molti anni i Tribunali si trovarono a decidere anzitutto le questioni relative all’interpretazione e all’esecuzione di testamenti redatti all’epoca in cui quelle sostituzioni erano perfettamente legittime e dovettero risolvere complicate questioni legate alla successione delle leggi nel tempo, contemperando l’esigenza di salvare le ultime volontà dei disponenti con quella di dare finalmente attuazione al ‘nuovo ordine’ stabilito dal Code. D’altra parte, l’entrata in vigore di questo monumento legislativo, a cagione del suo contenuto profondamente innovatore, non poteva che dare adito, in quasi tutte le materie, ad una nutrita serie di ‘questions transitoires’, alle quali lo stesso Chabot de l’Allier non disdegnò, a ragione, di dedicare un’intera sua opera(41).
Nemmeno la legge, del resto, poteva abolire d’un tratto le esigenze sociali ed economiche che di quegli antichi istituti erano alla base. La salvaguardia dell’integrità del patrimonio familiare, l’esclusione di un figlio scapestrato e dissipatore o il doveroso riconoscimento verso quello che aveva più amorevolmente assistito i genitori, si rivelavano esigenze sempre attuali che costantemente riaffioravano, fra le maglie più o meno strette dei divieti, anche per mano degli stessi notai che - pur di soddisfare le esigenze della clientela senza incorrere nelle nullità comminate dalla legge - concepivano complicate formule testamentarie. Ricordiamo, a mero titolo d’esempio, a testimonianza della loro inventiva, quella che inseriva la sostituzione «sotto condizione che non fosse considerata vietata dal Codice», confermando, per il caso contrario, la prima chiamata come se fosse priva di sostituzione, ovvero stabilendo una diversa destinazione del bene(42). Anche dopo le abolizioni proclamate dalla legge, continuarono a presentarsi all’esame del giudici numerose fattispecie di dubbia validità, sintomo significativo di una prassi che difficilmente si arrendeva alla novità.
La tendenza dei giudici fu quella di salvare, ove possibile, le disposizioni dubbie - riqualificandole ad esempio come attributive dell’usufrutto a favore del primo chiamato e della nuda proprietà al secondo - dichiarando invece la radicale nullità in tutti i casi in cui venisse accertata l’intenzione del de cuius di imporre al primo chiamato un vero e proprio obbligo di conservare e restituire. Le raccolte di giurisprudenza testimoniano inoltre il faticoso processo destinato a sdoganare gradualmente alcuni casi controversi, quali ad esempio le ipotesi di fedecommesso de residuo, l’obbligo di conservare i beni con facoltà di alienare in caso di bisogno (o quando ciò fosse stimato «utile e vantaggioso»); la liberalità effettuata a condizione che il beneficiario non alienasse mai i beni, neppure per testamento, in modo da trasmetterli agli eredi ex lege; l’obbligo di restituire i beni in un momento diverso dalla morte del beneficiario(43). La materia delle sostituzioni, in definitiva, continuava ad invadere il Foro, non cessando d’essere, come aveva osservato a suo tempo il Muratori, «il podere più fruttuoso» per avvocati e giuristi.
Paradossalmente, poi, fu proprio lo stesso Bonaparte - con decreto del 30 marzo e senatoconsulto del 14 agosto del 1806 - a creare dei maggioraschi con beni dello Stato e beni privati, cioè appunto delle sostituzioni perpetue con ordine di primogenitura e mascolinità altrimenti vietate dal codice che portava il suo nome(44). A ciò si aggiunga che le ipotesi di fedecommesso permesse dal Code vennero riformate in senso ancor più liberale dopo la Restaurazione, con legge del 17 maggio 1826, la quale consentiva di disporre a favore anche soltanto di alcuni figli del soggetto gravato, con possibilità di un secondo grado di sostituzione(45). Per un curioso fenomeno, felicemente definito come una vera e propria “nemesi storica”, la stessa Francia ha quindi progressivamente accolto questo istituto a suo tempo fieramente osteggiato, giungendo, con la recente riforma del 2006, ad ampliare ulteriormente le ipotesi consentite di libéralités graduelles et residuelles (art. 1057)(46). Un Relatore della legge del 1800 (quella che reintroduceva in Francia la disponibile), rispondendo a chi temeva che quella riforma potesse portare alla reviviscenza degli istituti aboliti dalla legge del 1792, aveva assicurato che non era il caso di vietarli ancora colpendoli con un «anathème nouveau», potendosi star certi che le sostituzioni fidecommissarie non sarebbero più ricomparse in Francia. «Elles ne reviendront jamais!»(47) esclamò con una convinzione che la Storia, come abbiamo visto, ha invece clamorosamente smentito.


(*) Il testo riproduce integralmente, con l’aggiunta soltanto di alcune note bibliografiche, l’intervento tenuto nel corso del Convegno.

(1) L’articolo è pubblicato in Il Censore, n. 23, 22 dicembre 1798, p. 89 e ss., citato in M. DA PASSANO, «Il processo di costituzionalizzazione nella Repubblica Ligure (1797- 1799)», in Materiali per una storia della cultura giuridica, III,1, (1973), p. 127-128.

(2) Cfr. Décret qui abolit la faculté de tester en ligne directe, 7-11 mars 1793, in Bulletin annoté des lois, décrets et ordonnances, depuis le mois de juin 1789 jusqu’au mois d’aout 1830, Paris, Chez Paul Dupont (d’ora innanzi abbreviato in Bull. ann.), Tome quatrième, n° 309, p. 127-128. Successivamente, l’interdizione veniva estesa anche alla linea collaterale e, l’anno seguente, il divieto di disporre era reso retroattivo a far tempo dal 14 luglio 1789: cfr. rispettivamente il Décret contenant plusieurs dispositions relatives aux actes et contrats civils, 26-27 octobre 1793, e il Décret relatif aux donations et successions, 17-21 nivose an 2 (6-10 janvier 1794), rispettivamente in Bull. ann., Tome quatrième, n. 930, p. 510-512, e in Tome cinquème, n. 95, p. 73 e ss. La retroattività veniva però abolita già nel 1795: cfr. Décret portant que les dispositions de ceux des 5 - 6 brumaire et 17 - 21 nivose an 2 sur les successions, n’auront d’effet que du jour de leur promulgation, 9 fructidor an 3 (26 août 1795), in Bull. ann., Tome sixième, n. 155, p. 144- 145.

(3) Progetto di Costituzione per il Popolo Ligure presentato al Governo Provvisorio dalla Commissione Legislativa, Genova, 1797, «La facoltà di far testamento o donazioni per causa di morte, o da valere dopo la morte, resta limitata per quelli che hanno Discendenti o Ascendenti, al sesto del loro patrimonio» (art. 260); «Dopo l’accettazione della Costituzione non vi sarà differenza alcuna rapporto alle successioni tra gli Uomini e le Donne» (art. 261). Le norme costituzionali in materia successoria e quelle riguardanti la libertà di coscienza, unitamente all’introduzione di un’imposta personale generalizzata su tutti gli abitanti della Liguria, furono tra le novità più osteggiate dalla violenta protesta scoppiata nelle giornate del 4, 5 e 6 settembre 1797 e sedata dalle armi del generale Duphot. Su queste vicende cfr. G. ASSERETO, La Repubblica Ligure. Lotte politiche e problemi finanziari (1797-1799), Torino, 1975, in particolare p. 89-90.

(4) Cfr. Loi concernant les libéralités par actes entre-vifs ou de dernière volonté, 4 germinal an 8 (25 mars 1800), in Bull. ann., Tome huitième, n° 361, p. 485-486. Sulla normativa successoria immediatamente precedente al Code Civil e sui progetti preparatori cfr. S. SOLIMANO, Verso il Code Napoléon. Il progetto di codice civile di Guy-Jean Baptiste Target (1798-1799), Milano, 1998, in particolare p. 314-334.

(5) Sul difficile adattamento alle novità normative in materia successoria e sul costante riaffiorare delle tradizionali diseguaglianze nella ripartizione delle ricchezze familiari cfr. J. HILAIRE, La scienza dei notai. La lunga storia del notariato in Francia, Milano, 2003 (traduzione italiana a cura di Efenesia Baffa, con prefazione di Vito Piergiovanni, dell’originale La science des notaires. Une longue histoire, Paris, 2000), p. 53-65.

(6) Anche la legge del 25 marzo 1800 prevedeva, all’art. 1, che le liberalità effettuate, tanto per atto fra vivi che di ultima volontà, fossero valide nella misura in cui non eccedessero il quarto dei beni del disponente che lasciasse alla propria morte meno di quattro figli. Il progetto Target distingueva invece fra donazioni e testamento, prevedendo per le prime, in presenza di discendenti, una quota disponibile pari ad un quarto e limitando invece la disponibile testamentaria, sempre in presenza di discendenti, ad un ottavo soltanto. Cfr. S. SOLIMANO, op. cit., p. 317-319.

(7) Art. 544: «La propriété est le droit de jouir et disposer des choses de la manière la plus absolue, pourvu qu’on n’en fasse pas un usage prohibé par les lois ou par les règlements».

(8) Cfr. Rapport fait a la Convention nationale sur le 2e projet de Code civil, par Cambacérès, au nom du Comité de législation (séance du 23 fructidor an 2-9 septembre 1794), in Recueil complet des travaux préparatoires du Code Civil, par P. A. FENET, avocat à la Cour royale de Paris, Tome premier, Paris, Videcoq, 1836, p. 100.

(9) C. ROCCA, Nouveau traité sur la capacité de tester, et de recevoir par testament, sur les conditions imposées au testateur, et sur les règles particulières à la rédaction des testamens, et à leur revocation ... On y a joint un répertoire analytique et raisonné des questions discutées … par Charles Rocca, Turin - Milan, 1807 (Turin: de l’imprimerie de la Cour d’Appel), Deuxième section, De la capacité de tester et de recevoir par testament, Article premier, De ceux qui sont capables ou non de tester, § 25, p. 15-16: «le testament est un acte qui ne commence à exister qu’après la mort du testateur, et dans un temps où il n’y a pour le défunt ni mari ni femme».

(10) Cfr. il verbale della sessione dell’Assemblea Costituente in data 6 agosto 1790 in Réimpression de l’Ancien Moniteur, seule histoire authentique et inalterée de la Révolution française depuis la réunion des États-Généraux jusqu’au Consulat (Mai 1789 - Novembre 1799), Tome cinquième, Assemblée Constituante, Paris, Henri Plon, 1860, p. 324 e ss. Per il provvedimento del 1790 che aboliva il diritto di albinaggio cfr. Décret portant abolition du droit d’aubaine, de détraction et extinction des procédures relatives à ce droit, 6-18 août 1790, in Bull. ann., n. 231, Tome premier, p. 183. Il provvedimento adottato dall’Assemblea Costituente nel 1791, prevedeva all’art. 3: «Les étrangers, quoique établis hors du royaume, sont capables de recueillir en France les successions de leurs parens, même Français; ils pourront de même recevoir et disposer par tous les moyens qui seront autorisés par la loi». Cfr. Décret relatif au partage des successions ab intestat, 8-15 avril 1791, in Bull. ann., Tome second, n. 168, p. 84 e ss.

(11) In base all’art. 11 del Code civil, «L’étranger jouira en France des mêmes droits civils que ceux qui sont ou seront accordés aux Français par les traités de la nation à laquelle cet étranger appartiendra». Il riferimento ai ‘trattati’ e non alle ‘leggi’, come pure inizialmente si era ipotizzato di fare, non era casuale ed era dettato dal timore che altre nazioni potessero agevolmente far sì che i propri cittadini godessero in Francia dei diritti civili, introducendo nel proprio ordinamento una norma che permettesse ai francesi di fare altrettanto. Il principio di reciprocità si rifletteva anche nel dettato dell’art. 912 a tenore del quale: «On ne pourra disposer au profit d’un étranger, que dans le cas où cet étranger pourrait disposer au profit d’un Français».

(12) Il principio di reciprocità soffre due eccezioni: la prima in favore della donna straniera che abbia sposato un francese e la seconda a vantaggio dello straniero che sia stato ammesso a stabilire il proprio domicilio nel territorio francese acquisendo così il godimento dei diritti civili (artt. 12 e 13).

(13) Il caso si trova illustrato in C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, art. LII, (912), p. 343-349.

(14) Per un parere sulla vigenza della legge francese, era stato scomodato direttamente il Ministro di giustizia, il quale aveva affermato che essa doveva trovare esecuzione, anche in difetto di pubblicazione, sin dal momento in cui il Piemonte era stato ‘incorporato’ alla Francia divenendone la 27ma divisione militare, essendo norma attinente al droit politique della Francia di cui il Piemonte stesso era divenuto una dipendenza.

(15) C. ROCCA, op. cit., Avant-propos, p. IV.

(16) Cfr. ad esempio Archivio di Stato di Genova, Notai Genova, Sez. I, n. 1414, notaio Antonio Maria Botto, atti n. 479 del 16 maggio 1809 e n. 500 del 30 maggio 1809.

(17) Tutte le citazioni in C. ROCCA, op. cit., Avant-propos, passim.

(18) Si tratta dell’opera Formules des actes les plus usités, rédigés en français et en italien; à l’usage des notaires. - Seconde édition revue et corrigée d’après les nouvelles dispositions du Code civil ... Par un receveur de l’enregistrement, Turin: chez l’éditeur Charles Bocca libraire, 1805 - an 14 (Coni: de l’imprimerie de Pierre Rossi), che alle p. 250 e ss. riporta in effetti la formula con la lacuna denunciata dal Rocca. L’art. 972 del Code civil richiedeva che il testamento fosse dettato dal testatore e scritto da uno dei due notai riceventi (o dall’unico rogatario, nell’ipotesi alternativa per la quale si richiedeva la presenza di testimoni aggiuntivi), prescrivendo che di tutto ciò fosse fatta espressa menzione nell’atto. L’art. 1001 stabiliva inoltre che le formalità costitutive alle quali erano soggetti i diversi tipi di testamento dovessero essere osservate sotto pena di nullità.

(19) Degli Statuti Civili della Serenissima Republica di Genova, Libri Sei, tradotti in volgare da Oratio Taccone, con due copiosissime Tavole, una delle Rubriche, l’altra delle Materie, con privilegio e licenza de’ Superiori, in Genova, appresso Giuseppe Pavoni, MDCXIII, Ad istanza di Nicolò Capello Libraro all’insegna del Rè David, Libro Quinto, De’ testamenti & ultime volontà, Cap. XII, p. 163.

(20) I casi sono citati in C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, artt. XLVIII-XLIX, (909); art. L, (911), p. 334- 337.

(21) Ordonnance concernant les testaments, Versailles, août 1735, in Recueil général des anciennes lois françaises depuis l’an 420 jusqu’à la révolution de 1789..., par MM., Isambert, De Crusy, Taillandier, Paris, 1830, tome XXII, 1er janvier 1737 - 10 mai 1774, n° 478, art. 77, p. 401.

(22) Philippe Antoine Merlin (Arleux, 1754 - Parigi, 1838), conosciuto anche come Merlin de Douai, esercitò la propria attività di politico e giurista dalla Rivoluzione francese al Primo Impero, divenendo membro dell’Assemblea nazionale costituente del 1789-1791 e deputato alla Convenzione nazionale. Merlin viene ricordato soprattutto per il suo Répertoire universel et raisonné de Jurisprudence, vera e propria summa del sapere forense tra fine dell’ancien régime e inizio dell’età dei codici.

(23) C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, art. LIV, (968), p. 352-355. Sullo stesso problema cfr. anche il caso precedente all’art. LIV, (968).

(24) Sui problemi che si posero ad esempio per l’estensione del Code Civil in Liguria ed in particolare sulla polemica relativa al divorzio, cfr. R. FERRANTE, Dans l’ordre établi par le Code civil. La scienza del diritto al tramonto dell’Illuminismo giuridico, Milano, 2002, p. 211 e ss.

(25) Ai sensi del comma 2 dell’art. 761, restava ferma per il figlio la facoltà di pretendere un supplemento qualora i beni ricevuti fossero di valore inferiore alla metà della quota prevista per legge (quota che, in caso di concorso con i figli legittimi, secondo quanto previsto dall’art. 757, era pari ad un terzo di quanto gli sarebbe spettato se fosse stato anch’egli legittimo).

(26) Il caso è riportato in C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, art. LI, (911), p. 338-343.

(27) La vicenda illustrata ed altri casi relativi a clausole che restringevano la libertà matrimoniale si trovano in C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, artt. XVI-XIX, (900), p. 277-285.

(28) Jean-Baptiste Sirey (Sarlat, 1762 - Limoges, 1845), intrapresa dapprima la carriera ecclesiastica, aderì poi alla Rivoluzione e divenne membro del Comitato legislativo della Convenzione. Dopo il 18 brumaio, fu avvocato presso la Corte di Cassazione e presso il Consiglio di stato. È noto soprattutto per una celebre raccolta di giurisprudenza nota anche come ‘Recueil Sirey’.

(29) Il provvedimento del settembre 1791, confermato dal decreto del 5 brumaio anno 2 (26 octobre 1793) e da quello del 17 - 21 nivoso anno 2 (6 - 10 janvier 1794), considerava come ‘non scritte’ le condizioni che limitassero la libertà di sposarsi con una determinata persona. Cfr. Décret relatif aux clauses impératives prohibitives insérées dans les testamens, donations et autres actes, 5 - 12 septembre 1791, in Bull. ann., Tome second, n° 424, p. 417.

(30) In conformità al generale principio di autonomia privata, il Code civil, nelle disposizioni in materia di donazioni e testamenti, si limita a vietare le condizioni impossibili o contraires aux lois ou aux moeurs, le quali, in ossequio al principio del favor testamenti, sono considerate semplicemente come non scritte.

(31) Spiegazione teorico-pratica del Codice Napoleone contenente l’analisi critica degli autori e della giurisprudenza e seguita da un reassunto alla fine di ciascun titolo, opera del Sig. V. Marcadé ..., versione italiana sulla 5a ed ultima edizione di Parigi, accresciuta…, per Luigi Sampolo…, col confronto degli articoli del Codice per lo Regno delle Due Sicilie e con tutte le disposizioni governative emanate sin’oggi sotto ciascun articolo, Vol. II, Palermo, Fratelli Pedone Lauriel, 1857, sub art. 896, p. 296. Il nome del giurista Victor-Napoléon Marcadé (Rouen 1810 - ivi 1854) si lega alla sua nota opera di commento al codice napoleonico, destinata ad avere larga influenza sulla pratica e sulla dottrina: Éléments du droit civil français ou explication méthodique et raisonnée du Code civil (Paris, 1842; 5a ed., sotto il titolo di Explication théorique et pratique du Code Napoléon, Paris, 1858- 59).

(32) Come osservava icasticamente il Rocca: «Ces substitutions sont reprouvées par la nature de tout gouvernement libre, comme privilèges héréditaires; elles le sont ancore par les principes de l’economie publique comme aussi contraires à la reproduction des richesses qu’à la facilité, à la sureté du commerce, et enfin comme source intarissable de procedures steriles et ruineuses». Cfr. C. ROCCA, op. cit., Section première, 12, p. 9. Fra gli studi classici in materia di fedecommesso ricordiamo per tutti M. CARAVALE, voce Fedecommesso (diritto intermedio), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, p. 109-114; A. PADOA SCHIOPPA, Sul fedecommesso nella Lombardia teresiana, in Studi in onore di Antonio Amorth, vol. II, Milano, 1982, p. 427-447 (ora anche in Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna, 2003, p. 439-459). Uno sguardo sul declino del fedecommesso, con bibliografia di riferimento sull’evoluzione dell’istituto in età medievale e moderna, è offerto da C. GALLIGANI, «Il tramonto del fedecommesso nel Granducato di Toscana. Una prima ricognizione dell’istituto nella legislazione sette- ottocentesca», in Historia et ius - rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna, 6, 2014, p. 4.

(33) L.A. MURATORI, Dei difetti della giurisprudenza, Venezia, Giambattista Pasquali, 1742, Cap. XVII.

(34) Cfr. Dizionario universale ossia repertorio ragionato di giurisprudenza e questioni di diritto, di MERLIN, antico Procuratore generale presso la Corte di Cassazione in Francia, versione italiana a cura di una società di avvocati sotto la direzione dell’avvocato Filippo Carrillo, prima edizione veneta …, tomo VIII, Venezia, Antonelli, 1838, voce Liguria, p. 389. Il principio di eguaglianza in materia successoria, rappresentò una notevole novità per il contesto genovese nel quale vigeva ancora il tradizionale principio della exclusio propter dotem, tendente ad estromettere le femmine dalla categoria dei successibili per legge, al fine di tutelare l’integrità del patrimonio familiare. Il principio era duro a morire e all’indomani della caduta del Bonaparte, mentre la codificazione napoleonica nel suo complesso veniva provvisoriamente mantenuta in vigore, furono abolite alcune norme in materia di diritto di famiglia e di diritto successorio fortemente in contrasto con la tradizione locale, fra le quali appunto quella che sanciva l’eguaglianza tra figli maschi e femmine in materia di successione ab intestato ed in materia di legittima: le norme in questione vennero abrogate con efficacia retroattiva a partire dal 21 aprile 1814, data della cessazione del governo francese in Liguria, e sostituite dalle corrispondenti disposizioni degli antichi Statuti civili genovesi. Cfr. L. SINISI, Tra reazione e moderatismo: attività legislativa e progetti di codificazione nella restaurata Repubblica di Genova (1814), in AA.VV., Studi in onore di Franca De Marini Avonzo, a cura di M. Bianchini e G. Viarengo, Torino, 1999, p. 355-357.

(35) Nel 1578, morto senza eredi Diego il Giovane, si estingueva la discendenza maschile in linea diretta dell’Ammiraglio e sorgeva una lunga e faticosa controversia (il cd. «Pleito de las Indias») celebratasi davanti al Tribunale delle Indie e protrattasi sino al 1608, per aggiudicarsi la successione al maggiorasco di quest’ultimo che comprendeva il Ducato di Veragua (nell’attuale Panamà), il marchesato di Giamaica e le rendite annesse all’Ammiragliato delle Indie. Sulle complesse e romanzesche vicende successorie del Navigatore, cfr. G. PISTARINO, «I testamenti di Cristoforo Colombo», in “La storia dei genovesi”, Atti del convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova (Genova, 23-26 maggio 1989), vol. X, Genova 1990, p. 19-42. Un panorama efficace dell’importanza dell’istituzione familiare nella società genovese di antico regime con esempi significativi di fedecommessi al servizio delle strategie economico sociali del capofamiglia si trova in G. FELLONI, L. PICCINNO, La cultura economica: I. La Famiglia, in AA.VV., Storia della cultura ligure, a cura di D. Puncuh, voll. 4, Atti della Società ligure di storia patria, n.s. vol. XLIV (CXVIII), fasc. I, Genova, 2004, vol. 1, p. 239 e ss.

(36) Cfr. Ordonnance générale rendue sur les plaintes, doléances et remontrances des états assemblés à Orléans, janvier 1560, art. 59, in Recueil général des anciennes lois françaises, cit., Paris, juin 1829, tome XIV, 1ère partie: juillet 1559 - mai 1574, n° 8, p. 63 e ss. Per l’ordinanza del d’Aguesseau in materia di sostituzioni del 1747, cfr. Ordonnance concernant les substitutions, Au camp de la Commanderie du Vieux-Jonc, août 1747, in Recueil général des anciennes lois françaises, cit., Paris, 1830, tome XXII, 1er janvier 1737 - 10 mai 1774, n° 629, p. 193 e ss. Per il provvedimento della Convenzione Nazionale del 1792, cfr. Décret qui abolit les substitutions, 14 novembre (et 25 octobre) - 15 novembre 1792, in Bull. ann., Tome quatrième, n. 82, p. 26 e ss.

(37) Cfr. legge Intorno allo svincolamento de Fedecommessi, 26 marzo 1799, in Raccolta delle leggi, ed atti del Corpo legislativo della Repubblica Ligure dal primo gennaio 1799 anno secondo della ligure libertà, volume III, n. 85, p. 117-119. Sulla faticosa abolizione dei fedecommessi cfr. M. DA PASSANO, op. cit., p. 124 e ss. in cui si legge la citazione tratta da Il Censore, n. 18, 11 dicembre 1798, p. 69.

(38) L’interpretazione più liberale è proposta da G.-A. CHABOT DE L’ALLIER, Questions transitoires sur le Code Napoléon, relatives à son autorité sur les actes et les droits antérieurs à sa promulgation; et dont la discussion comprend 1°. le tableau de diverses législations sur chacune des matières qui y sont traitées, 2°. des explications sur les lois anciennes et sur le Code, A Paris, chez Garnery, rue de Seine, Hotel Mirabeau, 1809, Tome second, Substitution, p. 375. La stessa Corte d’appello di Parigi, abbracciò in una sua pronuncia l’opinione minoritaria che interpretava il secondo comma in modo isolato e slegato dal primo, sostenendo che la seconda parte dell’art. 896, pronunciando la nullità della disposizione che contiene l’obbligo di conservare e restituire, non disponesse affatto la nullità della prima istituzione. Sulla pronunzia e sulle diverse opinioni relative all’interpretazione della norma cfr. C. ROCCA, op. cit., Répertoire analytique, art. XV, (896), p. 275-276.

(39) Il fedecommesso strideva con il principio di uguaglianza delle persone e dei beni. Ai sensi dell’art. 745 del Code civil, tutti i figli sono chiamati, senza distinzione di sesso, a succedere al proprio padre. Inoltre, a tenore dell’art. 732, la legge non considera rilevante né la natura, né l’origine dei beni per regolarne la successione. Un quadro efficace della situazione di antico regime in Francia ed in particolare delle coutumes francesi che escludevano dalla successione paterna le figlie dotate si trova in G.-A. CHABOT DE L’ALLIER, op. cit., Tome premier, Droits de masculinité et de primogéniture, p. 381 e ss.; Tome second, Exclusions coutumières, p. 1 e ss.

(40) Cfr. ad esempio la formula proposta da Rocca: «Volendo dar prova al mio figlio primogenito Luigi della mia benevolenza, e ricompensare nella di lui persona non meno che in quella de’ suoi figliuoli i servigi che ho continuamente da esso ricevuti, mercè l’avuta amministrazione de’ miei affari, do e lego al medesimo a titolo di precipuo e di antiparte il fondo di ... Tale legato a favore di detto mio figlio primogenito sarà accompagnato dal peso di conservare il detto fondo le sue attinenze come sovra legategli e di restituire ogni cosa dopo la di lui morte ai di lui figliuoli nati e nascituri, che gli sostituisco per quest’effetto». C. ROCCA, op. cit., XIV Modèle, p. 205- 206. A porre le basi dell’art. 1048 era stato il progetto di Target che, pur proibendo la sostituzione fedecommissaria nel solco della legge del 1792, prevedeva una deroga nel caso in cui vi fosse pericolo che il proprio figlio dissipasse il patrimonio (S. SOLIMANO, op. cit., p. 315).

(41) Chabot, Georges-Antoine (Montluçon 1758 - Paris 1819), avvocato, magistrato e uomo politico, fu Tribuno, membro del Corpo Legislativo, Consigliere di Cassazione e Ispettore generale dell’Université imperiale. Prese parte alla discussione del Code civil, in modo particolare per la materia successoria, e scrisse l’opera Questions transitoires sur le Code Napoléon già citata. Un quadro della complessa normativa succedutasi in materia successoria si trova raccolto in G.-A. CHABOT DE L’ALLIER, Tableau de la Législation ancienne sur les Successions et de la Législation nouvelle établie par le Code civil, à Paris: chez Rondonneau, au Dépot des lois, place du Carrousel; et chez Lenormant, Imprimeur du Journal des Débats, rue des Prêtres-Saint- Germain-l’Auxerrois, pluviose an XII - 1804. Lo stesso Ambrogio Laberio, illustre giurista e politico genovese, primo italiano a cimentarsi nel commento al nuovo codice, dovette occuparsi del caso di un testamento redatto prima della promulgazione di quest’ultimo e dotato dei requisiti formali richiesti in precedenza, ma insufficienti per la nuova normativa. La questione formale celava naturalmente anche un’importante profilo sostanziale relativo all’applicabilità alla vicenda in oggetto del nuovo trattamento successorio che la legge riservava alla moglie del defunto. Sull’opera di Ambrogio Laberio e su questo aspetto in particolare cfr. R. FERRANTE, op. cit., p. 211- 212.

(42) V.-N. MARCADÉ, op. cit., sub art. 896, p. 303. Anche dopo l’entrata in vigore del Code civil e non solo nel mondo rurale, continuava a manifestarsi una sorta di “cultura della primogenitura” e il contributo che l’inventiva notarile diede per assecondare i desiderata dei clienti non fu affatto secondario. Per l’esperienza francese cfr. J. HILAIRE, op. cit., p. 255-274, 304-305; ID., Vivre sous l’empire du Code civil. Les partages successoraux inégalitaires au XIXe siècle, Bibliothèque de l’École des Chartes (Paris) t. 156, 1998, p. 120-126.

(43) Un panorama della sofferta casistica in tema di sostituzioni ammesse o vietate si ritrova ad esempio in V.- N. MARCADÉ, op. cit., sub art. 896, p. 298-305, e in Les Codes annotés de Sirey, contenant toute la jurisprudence des arrêts et la doctrine des auteurs, Ier Vol., Code Napoléon; par P. Gilbert…; avec le concours, pour la partie criminelle de M. Faustin Hélie… et de M. Cuzon…; Édition entièrement refondue, 6e tirage, conforme au 5e, Paris, Imprimerie et librairie générale de jurisprudence, Cosse et Marchal, Place Dauphine, 27, 1862, annotazioni agli artt. 896-899, p. 381-385.

(44) Con il decreto imperiale del 3 settembre 1807 - in virtù del quale fra l’altro il Code Civil des Français assumeva la specifica denominazione celebrativa di Code Napoléon già affermatasi nella prassi - l’art. 896 veniva novellato con l’aggiunta di un terzo comma a tenore del quale «i beni liberi formanti la dotazione di un titolo ereditario che il capo dello Stato avrà creato in favore di un principe o di un capo di famiglia potranno trasmettersi ereditariamente nel modo che è regolato coll’atto del 30 marzo 1806 e da quello del 14 agosto seguente [istitutivi dei maggioraschi n.d.r.]».

(45) Loi sur les substitutions, 17-18 mai 1826, in Bull. ann., Tome dix-septième, n. 39, p. 26. Gli ampliamenti concessi da tale provvedimento venivano aboliti con legge del 11 maggio 1849.

(46) Sulla riforma attuata in Francia con la legge 23 giugno 2006, n. 2006 - 728, cfr. A. FUSARO, «Uno sguardo comparatistico sui patti successori e sulla distribuzione negoziata della ricchezza d’impresa», in Riv. dir. priv., 2013, 3, p. 391-410, ora anche in ID., Tendenze del diritto privato in prospettiva comparatistica, Torino, 2015, p. 261-275.

(47) L’episodio è riferito in C. ROCCA, op. cit., Section première, 12, p. 9-10.

PUBBLICAZIONE
» Indice

ARTICOLO
» Note