La frode per testamento ai creditori del legittimario: sulla c.d. volontà testamentaria negativa e tecniche di tutela dei creditori
La frode per testamento ai creditori del legittimario: sulla c.d. volontà testamentaria negativa e tecniche di tutela dei creditori
di Stefano Pagliantini
Ordinario di Diritto privato, Università di Siena
Curatore fallimentare v. legittimario pretermesso rinunziante all’azione di riduzione
Quid per il caso in cui un legittimario totalmente pretermesso rinunci all’azione di riduzione epperò, al tempo di apertura della successione, costui versi in una situazione di insolvenza poi tradottasi in una sentenza dichiarativa di fallimento: dunque una rinuncia pre-fallimentare?(1). Si tratta, in particolare, di appurare a) se il curatore fallimentare abbia la legittimazione ad esperire l’azione di riduzione, onde poi agire esecutivamente sulla quota di riserva del rinunciante e, se nulla al riguardo osta, b) con quale titolo potrà però essere domandata la reintegra della suddetta quota, sul presupposto che, se il legittimario non fosse stato pretermesso, i beni acquistati mortis causa sarebbero andati a comporre la massa fallimentare in quanto cespiti sopravvenuti ex art. 42 cpv. L.fall.
Per la stringente correlazione che li contraddistingue, pare opportuno riunire i due quesiti e trattarli, anche nell’ottica di una migliore linearità espositiva, congiuntamente. Nella pratica, per inciso, fattispecie come quella sunteggiata, nelle quali la scheda testamentaria presenta un assetto devolutivo improntato ad una tutela del compendio ereditario in danno dei creditori personali del legittimario, sono sempre più frequenti. La fantasia dei testatori, notoriamente difficile da imbrigliare, può affidarsi ad una clausola di pura preterizione ovvero, nell’ottica di una ragione di favor per il legittimario privato della quota e per ciò stesso escluso de iure dall’eredità, tradursi in un legato a tacitazione della legittima. Non è per nulla detto infatti, lo si vedrà nelle prossime pagine, che il legato sostitutivo ex art. 551, comma 1 c.c. e di importo inferiore alla riserva sia sempre concepito dal de cuius per penalizzare il consanguineo escluso(2): così come non è affatto improbabile che il legittimario acquiescente, il quale «non tanto rinunzia all’azione di riduzione…, quanto se ne preclude l’acquisto»(3), persegua nel farlo un interesse tutt’altro che meritevole di tutela. Sullo sfondo, per altro, si intravede in filigrana la cifra che accomuna queste due fattispecie, se è vero che il legittimario che aderisca al lascito «perde la qualità» di successibile necessario e «diventa un estraneo»(4). Un’estraneità che serve - rectius dovrebbe servire- però ad evitare la dispersione del patrimonio esposto altrimenti all’esecuzione dei creditori.
Il curatore che agisce per la reintegra della quota di riserva nel prisma degli artt. 524, 557 c.c., 42 e 64 L.fall. In nota la vicenda fraudatoria (in danno dei creditori ereditari) decisa da Cass. 1902/2015
In premessa va chiarito che, stando almeno alla dottrina ed alla giurisprudenza prevalenti(5), dubbia non è tanto la legittimazione del curatore, il quale si attivi per neutralizzare un atto abdicativo senz’altro pregiudicante le ragioni dei creditori insinuati al passivo quanto e piuttosto la disposizione utilmente invocabile rispetto ad una fattispecie che si discosta dall’ipotesi, più sperimentata nella pratica, di un curatore o di un creditore che di solito intendono esperire l’azione di riduzione in via surrogatoria perché il legittimario leso è rimasto inerte(6). In prima battuta potrebbe infatti pensarsi ad una rosa di norme che, muovendo dall’art. 524 c.c. e, passando per l’art. 557 c.c., approdano all’art. 42 L.fall., non senza però, a ragionare così, incorrere nell’equivoco di coniare forse più dubbi di quanti in concreto se ne risolva.
Già da subito infatti l’utilizzo dell’art. 524, supponendo così un’azione del curatore che mima l’impugnabilità della rinunzia all’eredità, sembrerebbe messa tra parentesi dalla circostanza che il legittimario (totalmente) pretermesso e rinunciante difetta per il vero della vocazione all’eredità: più esattamente si tratta di un legittimario, mancante della propria quota di riserva, perché ha disposto abdicativamente del proprio diritto ad ottenere la vocatio, non già per aver rinunziato alla stessa(7). Di conseguenza, almeno prima facie, manca il presupposto perché il curatore possa farsi autorizzare, in nome ed in luogo del rinunziante, ad accettare l’eredità allo specifico fine di avocare i beni al fallimento, nei limiti s’intende di quanto occorrente all’integrale soddisfazione dei creditori insinuatisi al passivo(8). Nella specie neanche l’art. 557 può però essere di maggiore ausilio per l’interprete. Vero infatti che i creditori del legittimario, pure a non volerli annoverare tra gli “aventi causa” testualmente ammessi dall’art. 557 ad agire iure et nomine proprio in riduzione(9), sono legittimati utendo iuribus ex art. 2900 c.c.: epperò la surrogatoria de qua postula un legittimario inerte mentre qui, siccome è intervenuta una valida rinuncia all’azione, si ha per ciò stesso un fatto impeditivo che si frappone all’iniziativa del fallimento. Di qui allora, onde ovviare ad una lacuna sistematica che spoglierebbe i creditori personali del legittimario pretermesso di una qualche tutela, la propensione emersa di recente a pensare che abbia più di un senso utile configurare una legittimazione del curatore direttamente ex art. 42 L.fall. Se non fosse che pure una propensione siffatta finisce per essere altamente sviante. Nulla quaestio invero sulla circostanza che la Cassazione abbia da ultimo sentenziato di un potere del curatore di agire in riduzione quale effetto di quello «spossessamento fallimentare che sottrae al fallito la disponibilità dei suoi beni»(10): e se, com’è d’altronde sostenuto dai più, il diritto patrimoniale e potestativo del legittimario vale come uno di quei beni, non c’è una qualche ragione ostante al reintegro di una quota cui il curatore procederà in forza della sua «legittimazione a stare in giudizio per i rapporti compresi nel fallimento» ex art. 43 L.fall.(11) Gli è però che l’idea di un’impugnativa trovante titolo nelle norme imperative concorsuali pare fondata laddove la rinunzia risulti compiuta quando già il legittimario pretermesso sia fallito, stante allora giust’appunto uno spossessamento involgente per sentenza tanti i beni presenti nel patrimonio quanto quelli in itinere (comma 2): mentre è assai difficile pensare, senza stressare il dato normativo, ad una vis attractiva dell’art. 42 che retroagisca ad una fase pre-fallimentare. Di qui la sensazione, per evitare di impastoiare troppo la questione, che sia più lineare pensare ad un’azione del curatore che procede dall’applicazione analogica del combinato disposto degli artt. 524 e 557 c.c. sulla premessa, come una recente decisione di merito ha statuito, di una strumentalità delle norme citate, nonostante le differenze specifiche di cui sopra, alla «medesima tutela dei crediti»(12). Vero, lo si ripete, che il legittimario acquiescente non è un chiamato all’eredità e vero pure che una valida rinuncia alla riduzione, a differenza di quanto sancito dall’art. 525 c.c. per la revoca della rinunzia all’eredità, è irrevocabile: ma allora, per neutralizzare l’atto dismissivo di un legittimario, che non sia ancora fallito, residua soltanto la variabile di una revoca di legge ex art. 64 L.fall., quale atto a titolo gratuito, privo d’effetto nei riguardi dei creditori, compiuto dal fallito nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento. Il che, però, ha il vistoso difetto, non registrandosi qui gli estremi di un depauperamento diretto del legittimario, di accostare due atti antitetici, quali senza dubbio sono una rinunzia abdicativa/traslativa ed un rifiuto concausa di un mancato acquisto(13). Per inciso l’idea, pur adombrata in dottrina(14), di una rinunzia inefficace ipso iure, suppone poi che il curatore agisca in riduzione per reintegrare la quota riservata al fallito, il che duplica i tempi procedimentali di una tecnica di protezione la quale, come si vedrà nel prossimo paragrafo, più razionalmente è radicabile nell’art. 524, almeno se si assume che la specialità di questa norma finisca laddove termina il perimetro di quel principio base - la tutela del credito - del quale la stessa scopertamente offre una stringente epifania rimediale(15).
Quand’è così, inopponibilità alla massa fallimentare, secondo quello che era il quesito iniziale, della rinunzia ex art. 557 ove sia evidente lo scopo di frode ai creditori dell’atto dismissivo, sulla premessa di un art. 524 che veste congiuntamente i panni di una pauliana/surrogatoria non azionabili nell’ipotesi descritta, a mo’ dunque di un loro surrogato infungibile? Tutti i rilievi, ci sembra, vanno nel senso indicato, non da ultimo la circostanza che, senza l’ibridazione dell’art. 524, il danno è destinato a rimanere là dov’è. E poi, se la libertà testamentaria è provvista di una garanzia costituzionale (art.42, comma 4 Cost.), pure il credito ne può esibire un’altra, per inciso di non minor spessore (art. 47, comma 1). Cass. 1902/2015(16), seppur con riguardo ad una diversa fattispecie ove il negozio fraudolento (ai creditori dell’eredità) era patente, ha trovato modo di evidenziarlo, cercando così di bilanciare virtuosamente un dato costituzionale tutt’altro che a senso unico.
Cass. 4005/2013 e l’adesione del legittimario debitore ad un legato sostitutivo della legittima: primato di una voluntas testantis segregativa o tutela delle ragioni creditorie ? Per un’interpretazione adeguatrice dell’art. 524 c.c.
L’aspetto intrigante che dischiudono queste note va però ben oltre, incistandosi piuttosto nell’immagine che la fattispecie descritta, insieme ad almeno un’altra di cui subito si riferirà, restituisce di una pretermissione finalizzata a programmare un’intangibilità della trasmissione endofamiliare della ricchezza. Sembra infatti pertinente ragionare, se l’obbiettivo dell’esclusione è quello di impedire l’aggressione dei creditori sui beni ereditari, di una pretermissione amica e non nemica del legittimario, privato della sua quota di riserva scientemente in vista di un’integrità minacciata, e per contro da preservare, dell’asse relitto. Gli è invero, almeno nell’ottica di una causa testamentaria quale regolamentazione post mortem del compendio ereditario(17), che quelle schede ove i nipoti sono anteposti ai figli ovvero uno di questi è istituito erede universale coll’altro di rimando prestante subito piena ed integrale acquiescenza alla sua esclusione, non sono - a tutta prima - schede espressione di una volontà negativa punitiva giacché il più delle volte stilizzano in realtà un’esclusione tutt’altro che indotta da un pregresso di rancore (o di dissidio) tra il testatore ed il preterito. Il sottinteso, questo si vuol dire, è ben diverso: testamenti di tal fatta, sebbene col vestimentum di un’istituzione a titolo universale dell’intero patrimonio «in favore esclusivo di altri»(18), trovano in realtà il loro proprium in un potere di conformazione del de cuius, finalizzato a modellare la vicenda successoria non già nel segno del riparto più utile alla continuazione di un’attività d’impresa(19), quanto e piuttosto in funzione di un’essenziale opponibilità subiettiva, quale risultato di un sofisticato progetto devolutivo(20). Detto in un modo ancor più diretto: l’espressa esclusione del legittimario dalla successione non maschera, come si potrebbe pensare, una forma surrettizia di c.d. diseredazione perché il motivo unico e determinante della disposizione testamentaria, pur se non illecito ex art. 626 c.c., è tutt’uno col dare viceversa veste ad una modalità di divisione dell’asse ereditario tale da riperimetrare la responsabilità patrimoniale dell’escluso, legittimario caro e non inviso al testatore, per una qualche ragione versante in condizioni di più o meno grave illiquidità(21). La fattispecie decisa da Cass. 4005/2013, relativa ad un legato in sostituzione di legittima avente ad oggetto il diritto di abitazione di un immobile la cui nuda proprietà era stata invece attribuita ai figli del legatario, debitore di un’ingente somma di denaro(22), è al riguardo emblematica. Al netto invero della circostanza che, dopo le S.U. 13524/2006(23), la differenza tra il valore del legato e la quota di riserva andrà ad incrementare l’asse visto che non si ha l’aumento pro quota a vantaggio degli altri (eventuali) legittimari(24), non ci vuol molto infatti a comprendere che, per effetto di un’espressa rinunzia ad esercitare l’azione di riduzione, il legatario otterrà il doppio risultato utile a) di rendere definitivo l’acquisto del diritto di abitazione e nel contempo b) non esecutabili i beni caduti in successione attribuiti ai suoi figli, dando così piena attuazione ad una volontà testamentaria che ha pur sempre inteso tacitarlo con un legato(25). Di qui l’azione revocatoria promossa dai creditori del legittimario sull’assunto che l’atto abdicativo del loro debitore legatario, in quanto causa di una preclusione definitiva alla rinuncia del legato, sia pregiudizievole non foss’altro perché, com’è facile intuire, ostativo alla chance di un incremento patrimoniale in seguito al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. Epperò una revocatoria, pur prospettata in dottrina come necessaria perché quanto alla legittimazione surrogatoria fa difetto il presupposto essenziale dell’inerzia(26), che la Cassazione tende invece a rigettare dubitando, con pieno costrutto e senza troppe nuances, dell’idoneità dell’atto revocando ad essere oggetto dell’azione ex art. 2901 c.c.(27) Gli è infatti che l’atto di rinunzia, ov’anche venisse fatto oggetto di revoca, non sortirebbe l’effetto vantaggioso di un incremento del patrimonio dell’obbligato, questa utilità ridondando direttamente solo dal positivo esperimento di una seconda azione, ex lege rimessa però ad una valutazione del legittimario. E se la sola rinunzia al legato, com’è ineccepibile, non basta a che sia traslata, nel patrimonio del debitore, «la quota di proprietà dei beni ereditari corrispondenti alla legittima», non c’è ragione di procedere ad una declaratoria di inefficacia che sarebbe inutiliter data. Non a caso, affinché i creditori potessero davvero procedere esecutivamente sulla quota di riserva, dovrebbe nel contempo riconoscersi una loro succedanea legittimazione ad agire surrogativamente in riduzione: il che certifica inequivocabilmente come, contrariamente allo specifico che assiste l’azione revocatoria, l’impugnazione dell’atto revocando non sarebbe qui in alcun modo satisfattiva del credito. Dunque un’inefficacia priva, del che non si avvedono alcune Corti di merito(28), di effettività. Certo, per l’occasione, si potrebbe riqualificare la condizione del legittimario facendone un soggetto che, all’apertura della successione, acquista automaticamente un diritto reale o di credito sui beni componenti la quota di riserva di talché, per effetto della rinunzia all’azione di riduzione, costui dismetterebbe una situazione già tradottasi in un cespite del suo patrimonio, donde lo stilizzarsi di un atto stricto sensu dispositivo in danno dei creditori(29). Il che, per quanto suggestivo, avrebbe però tutta l’aria d’essere un escamotage in quanto, allo stato, quasi più nessuno dubita del fatto che il legittimario acquisti, come si diceva, un diritto sul compendio ereditario soltanto al posterius di un fruttuoso esperimento dell’azione di riduzione(30). Dunque, se la legittima non è una pars bonorum che costituisca oggetto di un diritto(31), nessuna revocatoria potrà darsi perché la rinunzia all’azione di riduzione, se la si modella entro il prisma delle ragioni creditorie, è un atto patrimonialmente neutro.
Ecco allora che, per il tramite di un atto composito, perché al tempo stesso abdicativo e acquisitivo, si addiviene però al risultato di sterilizzare le ragioni di creditori per i quali la figura del legato in sostituzione della legittima si candiderebbe a diventare, con una sorprendente eterogenesi dei fini, una forma insidiosa che scherma l’esperimento di un’aggressione esecutiva sul patrimonio del debitore (non fallito). Non più un legato, di specie o di genere, privativo della legittima a guisa di una pena privata ma un legato sostitutivo coniato allo scopo di creare, col concorso volitivo di chi non è stato chiamato in una quota dell’eredità, un quid di fatto assimilabile ad un patrimonio separato. Si prenda il caso di un legato in sostituzione di legittima il cui valore sia sensibilmente inferiore alla quota di riserva con un legittimario che di rimando dichiari prontamente di volerlo preferire(32): è in re ipsa che l’acquiescenza ad una disposizione che lo esclude, siccome «non si può rinunziare alla quota e non rinunziare ad essere eredi»(33), sottende un intento del legittimario quasi insolvente che è di concerto con quello in chiave separativa del testatore. Di talché, della due l’una: o, nell’ottica di un balancing test che vedrebbe prevalente le ragioni di una volontà testamentaria ad effetto segregativo, si ammette un conformarsi della vicenda successoria che premia obliquamente le ragioni del legittimario in difficoltà economica ovvero, siccome non è dato riscontrare un qualche indice di meritevolezza civil-costituzionale giustificante il conculcare le ragioni dei creditori(34), a loro salvaguardia si forza il dato normativo dell’art. 524, immaginandone un’applicazione analogica. Tertium non datur, coll’impressione che il richiamo all’art. 524, per altro col medio necessario di una legittimazione del creditore a proporre l’actio interrogatoria ex art. 481 c.c.(35), rappresenti il solo modo, come intuito dalla migliore dottrina(36), per neutralizzare una destinazione testamentaria - relativa ad uno o più beni singoli - occultante in realtà un assetto degli stessi fuori dalla garanzia patrimoniale del legittimario. Si pensi al testamento col quale venga istituita erede universale la moglie del testatore con pretermissione del figlio, acquiescente solo perché tenuto all’assegno divorzile nei riguardi di quell’ex coniuge che vede così bypassata la tutela imperativa che dovrebbe presidiare il suo credito ex art. 2740, comma 1 c.c. Senza scomodare l’argomento di un’interpretazione costituzionalmente orientata(37), è in re ipsa che un’intangibilità della disposizione testamentaria verrebbe qui a formalizzare una vicenda che è l’esatto opposto di quella «necessità di equa composizione degli interessi in conflitto» che già si legge nella Relazione al codice (n. 254). Nulla quaestio naturalmente sulla circostanza che l’art. 524 rappresenti, come poc’anzi si diceva, una norma singulare dalla quale rampolla un rimedio ibrido: manca tra i suoi presupposti il requisito del consilium fraudis del debitore in quanto è sufficiente la prova del danno e per di più l’impugnativa dei creditori è qui consequenziale ad un rifiuto impeditivo (omissio adquirendi)(38), non già ad un atto dispositivo com’è nella logica dell’art. 2901 c.c.(39). Al tempo stesso, d’altronde, è pacifico che, diversamente da quella all’eredità, la rinunzia all’azione di riduzione è a forma libera e, come si diceva, non produce un incremento della quota degli altri riservatari perché l’accrescimento è un effetto consequenziale della sola rinunzia all’eredità(40). E tuttavia, siccome l’idea di una lacuna impropria, certificante l’inadeguatezza della disciplina vigente, si avviterebbe in un formalismo di maniera(41), neanche è da trascurare il fatto che l’eccezionalità di una disposizione è sì attributo che si declina relazionalmente epperò rispetto alla ratio non già alla struttura della fattispecie normativa. L’eccezionalità di una previsione - notoriamente - «è questione di interpretazione»(42), trattandosi di un qualificativo indicante la «singolare relazione tra regola e principi» che si trova dedotta in una fattispecie, ma col sottinteso che le ipotesi concrete riproducenti la stessa relazione sono dentro e non oltre i casi considerati, per richiamare la lettera dell’art. 14 Preleggi, dalla norma eccezionale(43). Orbene, una volta appurato che l’art. 524 null’altro è che la concretizzazione settoriale del più generale principio di tutela dei creditori avverso un rifiuto impeditivo in loro danno, viene meno in realtà la ragione ostante ad un suo utilizzo analogico rispetto ad una fattispecie che si iscriva a pieno titolo nel sottosistema retto dal suddetto principio di tutela «conservativa del diritto del creditore»(44). Dunque l’art. 524 come una norma eccezionale ma nel contempo non a fattispecie esclusiva(45), operante per analogiam col vantaggio vieppiù di consentire ai (soli) creditori procedenti di aggredire i beni che avrebbero composto la riserva del legittimario rinunziante senza tuttavia che, per effetto di questa inefficacia, costui si trovi ad acquisire (una non voluta) qualità di erede. Una norma sui generis perciò(46), che copre un interstizio destinato altrimenti, per l’impossibilità di procedere cogli artt. 2900 e 2901 c.c., a rimanere franco. Il che evidentemente non può essere, a fortiori nel caso di cui all’art. 551, per l’elementare ragione che difetterebbe allora di una qualche ragione giustificativa una disparità di trattamento, fortemente sospetta di legittimità costituzionale ex art. 2 Cost., tutta interna alla stessa classe dei creditori personali del legittimario(47). Processualmente, poi, l’utilizzo dell’art. 524, quale rimedio cautelare di tipo preparatorio, assicura l’innegabile vantaggio di garantire ai creditori un’esecuzione nella forma dell’espropriazione diretta, dunque «come se» la quota di riserva fosse stata acquistata dal loro debitore rinunziante(48), mentre il combinato disposto di una revocatoria della rinunzia ex art. 2901, seguita da un’azione di riduzione promossa in via surrogatoria con annessa infine esecutibilità del patrimonio relitto nelle forme però di un’espropriazione contro il terzo proprietario ex art. 602 c.p.c., nel suo insieme disegna un trittico articolatamente barocco, contraddistinto da un alto tasso di farraginosità(49). Col dubbio, il rilievo vien da sé, che una strategia processuale del genere, per dei soggetti cave che già scontano il conflitto con i creditori dell’erede istituito o del donatario ove anch’essi, ça va sans dire, intervengano nel processo di esecuzione(50), sia a tal punto defatigante da disincentivare il creditore dall’agire in vista di un’inopponibilità sì formale ma non praticabile in concreto. Questi, invero, sono pur sempre dei creditori, e non è certo un dato di dettaglio, che sono posposti a quelli dell’erede (o del donatario) beneficiati oltre la disponibile nel caso costoro abbiano già avviato l’esecuzione: l’art. 2915, nella parte in cui esclude che l’azione ex art. 524 sia opponibile ai creditori pignoranti, è al riguardo tranchant. Donde la netta sensazione, visto che soltanto una trascrizione della domanda ex art. 524 in data anteriore al pignoramento potrà loro consentire di prevalere sugli altri creditori (art. 2652, n. 1 c.c.), che non si debba ulteriormente opacizzare una tecnica di tutela fin troppo altalenante.
Segue: applicazione analogica dell’art. 524 v. pensiero debole ed un quintetto di altre tecniche fraudatorie. In nota la variante della configurabilità di un patto rinunziativo ex art. 458, 2 cpv
Una libertà testamentaria, dunque, nella quale vengano a sintetizzarsi virtuosamente autodeterminazione volitiva e responsabilità: questa, almeno per chi voglia riscoprire la pagina di Fritz Schulz(51), non può che essere (e valere) da bussola del discorso. Non, per contro, una libertà testamentaria come latissima potestas. Ed allora, a mo’ di (prima) digressione finale.
Chiamando in causa la sperimentata tecnica interpretativa della riduzione teleologica, si potrebbe pensare ad un utilizzo analogico dell’art. 524 selettivamente mirato, differenziando così i creditori del legittimario preterito in ragione della natura del loro credito, coll’evidente preferenza per chi alleghi un titolo riconducibile ad un credito alimentare o comunque dante veste ad un interesse stricto sensu personalistico. Il che però, di là dall’inclinare pericolosamente verso istanze di stampo equitativo, soffre di una corposa controindicazione, traducibile nel rilievo che l’idea di un art. 524 a geometria variabile, in quanto rimessa al medio di una valutazione ex post affidata ad un prudente arbitrium iudicis, apre ad una concretizzazione casistica troppo opacizzante sul piano della circolazione giuridica. E la certezza, lo si è ribadito con dovizia di recente(52), è uno dei valori che innervano il diritto ereditario. Neppure, d’altra parte, potrebbe tornare di una qualche utilità la regola che vuole, allorché il testatore abbia assegnato al legittimario un bene determinato in concorso con un altro soggetto per contro istituito erede nella universalità dei beni, detta clausola interpretabile come un legato fatto, nel dubbio, «in conto, non in luogo, della quota»(53): per l’ovvia ragione che il problema è destinato a permanere allorché non residuino dubbi sul fatto che il de cuius, in luogo di un’istituzione ereditaria ex re certa, ha proprio inteso confezionare un legato in sostituzione di legittima, magari verbalizzando nella scheda la ragione che lo ha indotto a favorire le altre figlie femmine al solo figlio maschio pesantemente indebitato(54). Quanto infine alla circostanza che l’accordo fraudatorio, quand’anche il legittimario gli abbia dato seguito rinunziando a far valere la lesione della sua quota, potrebbe non sortire effetto nel caso in cui il soggetto istituito come erede non possa o non voglia accettare ed il testatore non abbia nel contempo previsto una sostituzione (art. 688, comma 1, c.c.), è senz’altro vero: non a caso, potrebbe aggiungersi, che lo stesso accadrà nel caso in cui detto testamento lesivo dovesse successivamente venire annullato, ad es. per un vizio di forma perché, notoriamente suol dirsi così, rinunziare all’azione di riduzione significa soltanto disporre abdicativamente del diritto (potestativo) a conseguire la quota di legittima, non anche rinunziare all’eredità od al diritto di accettarla(55). Epperò, detto di passata, se quanto espresso è vero, non lo sarebbe di meno far notare che la variabile descritta, in conseguenza della quale il legittimario, non più tacitato e piuttosto da considerare nella sua qualità di successore ab intestato(56), potrà certo rinunziare all’eredità ma questa volta senza impedire ai suoi creditori di impugnare hic et nunc detta rinunzia ex art. 524 c.c., è da catalogare nello specifico pur sempre come una soltanto delle due vicende possibili scaturenti dall’esecuzione del testamento. Dunque un argomento, strettamente correlato all’essere la riserva una quota dell’eredità per cui, se il testatore vuol davvero realizzare un intento segregativo, deve allora necessariamente disporre dell’intero patrimonio residuo a favore di altri soggetti (legittimari e non) perché, in caso contrario, si aprirebbe il concorso di quella successione legittima alla quale il figlio indebitato risulterà chiamato (e per di più in una quota maggiore)(57), che complica indiscutibilmente, senza però sparigliare, al tempo stesso, i termini del discorso. E se non li spariglia, l’immagine di un abuso di un tipo di legato perché, similmente all’ipotesi più sperimentata di abuso di un tipo contrattuale, pure qui si aggira la valutazione di liceità della causa attributiva compiuta dal legislatore, permane intatta.
A disattenderla, per inciso, non varrebbe certo, anzi si tratterebbe di un’obiezione alquanto debole, l’argomento che motivasse la ragione di un’esclusione dell’analogia sul principio dell’affidamento, principio sotteso alla lettera di quell’art. 557, comma 3 che esclude notoriamente la legittimazione attiva all’azione di riduzione dei creditori del defunto allorché il legittimario abbia accettato con beneficio d’inventario. Detta esclusione si spiega infatti pur sempre con la circostanza che soltanto in caso di accettazione pura e semplice si realizza quella confusione patrimoniale in ragione della quale i creditori del defunto divengono creditori del legittimario accettante(58): e, d’altra parte, addurre l’argomento che i creditori personali del legittimario legatario in sostituzione non hanno di che dolersi, in quanto è soltanto sul patrimonio di costui che avevano (o dovevano aver ) fatto affidamento al momento di erogazione del prestito, col risultato per così dire che i beni del de cuius non rientravano nel loro orizzonte di (legittima) aspettativa satisfattoria, ha a tutta prima il corposo limite argomentativo che il principio di universalità della responsabilità patrimoniale sub art. 2740 c.c. non autorizza minimamente una siffatta illazione.
Ed allora, quaestio: incostituzionalità dell’art. 524 perché discrimina i creditori del legittimario in un contesto che vede pur sempre la libertà testamentaria protetta entro le norme ed i limiti stabiliti dalla legge? Forse, ma in un’ottica di pensiero debole, giacché la tecnica dell’ordinanza di manifesta inammissibilità notoriamente nasce e serve proprio per indurre la pratica di un’interpretazione adeguatrice ad opera del giudice a quo. E, vista la condizione «problematica» in cui versano detti creditori(59), il suggerimento di un’applicazione analogica dell’art. 524 si iscrive, non v’è chi non lo veda, esattamente in questo tipo di logica. D’altronde, quando lo stesso problema si è posto in materia societaria, segnatamente nel caso di rinuncia o di mancato esercizio del diritto di opzione relativo all’aumento di capitale sociale, con una preclusione alla revocatoria perché l’effetto della revoca è l’inefficacia dell’atto revocato e il conseguente assoggettamento del bene oggetto di rinuncia all’azione esecutiva, si è giudizialmente escogitata la via di fuga di un art. 2901 c.c. utilmente esperibile quando l’opzione costituisca un bene in sé e sia suscettibile di alienazione (Cass. 10879/2007).
Naturalmente, c’è margine per replicare che l’uso dell’analogia attenta qui, ed in modo macroscopico, al valore di una libertà testamentaria la quale, in quanto giust’appunto atto di autodeterminazione volitiva, è da supporre trovi titolo direttamente nel combinato disposto degli artt. 2 Cost. e 17, comma 1 Cdfue(60), col difetto però, per chi dovesse prendere spunto da questa lettura, di esporsi alla robusta controreplica che, in almeno un quintetto di fattispecie contigue, lo stesso intento fraudatorio è tenuto in non cale ed efficientemente anestetizzato dalle Corti. Che mostrano di saper ben discernere tra uno scopo soggettivo di premialità individuale, volendo una devoluzione «a chi veramente dà prova di meritare»(61), ed uno puramente elusivo, sia pure perseguito in una chiave di continuità devolutiva familiare. Pure a fare del testamento «un’affermazione di pienezza della personalità»(62), non si può sottacere che detta libertà-responsabilità va rettificata quando risulti che, nello specifico, è stata mal esercitata.
Al riguardo, una prima variabile tecnica, per altro utilmente contrastabile mediante un’azione di riduzione esperita in via surrogatoria, consiste nell’immaginarsi un testatore che simuli il soddisfacimento della legittima, includendo nel testamento delle dichiarazioni mendaci colle quali egli dà atto di aver soddisfatto in vita i legittimari con delle donazioni in realtà mai compiute. Nonostante la finta acquiescenza del legittimario indebitato, in difetto di una prova circa il compimento delle suddette donazioni, ciò che infatti qui rileva è giust’appunto la violazione della riserva. Per inciso, come si legge in Cass. 11737/2013(63), la dichiarazione del testatore di avere già soddisfatto il legittimario con antecedenti donazioni non è che sia idonea a sottrarre allo stesso la quota di riserva garantitagli visto, per di più, che una dichiarazione siffatta neppure è qualificabile alla stregua di una confessione stragiudiziale opponibile al legittimario. Rileva qui, infatti, la ben nota regola (giudiziale) che vuole costui, nell’esercizio dell’azione di riduzione, terzo rispetto al testatore (ed ai suoi eredi). Né, sulla scorta di dette premesse, è dato immaginare che un’eventuale azione di riduzione, promossa in via surrogatoria dai creditori, addossi loro chissà quale onere probatorio, considerato che la prova di un’effettiva tacitazione, in vita e per via donativa, del legittimario, è destinata a ricadere sull’erede, quale soggetto interessato a far mantenere l’efficacia della disposizione(64).
Proseguendo, seconda ipotesi, neanche naturalmente è da escludere che testatore e legittimario simulino delle donazioni (di denaro) ante testamentum, onde così creare l’apparenza di un’attribuzione mortis causa, al terzo istituito ex asse, non eccedente la quota disponibile, ipotesi questa nella quale è l’azione di simulazione (assoluta)(65), com’è facile intuire, che si porrà allora quale medio necessario per dei creditori che intendano poi agire surrogativamente in riduzione. Una simulazione, avente di mira l’accertamento che il bene mai è fuoriuscito dal patrimonio del defunto donde il doverlo intendere come concorrente a costituire il relictum, la quale, per la testé rammentata qualità di terzo del legittimario, non vincolerà d’altra parte i creditori alle limitazioni probatorie di cui all’art. 1417 c.c.(66)
Se invece, terza ipotesi ancor più sofisticata, il testatore preferisse lo schema di una donazione in vita (di uno o più beni) seguita da una scheda che poi disereda espressamente il legittimario verbalizzandone la ragione proprio a motivo dell’avvenuta tacitazione donandi causa, per i creditori ci sarebbe comunque il rimedio di un’azione di nullità (della donazione o della scheda) ovvero, a seguire quell’interpretazione che vuole detta clausola diseredativa valida dovendosi allora piuttosto applicare analogicamente l’art. 551 c.c.(67), di un’azione di riduzione esperibile in via surrogatoria, sembrando in realtà qui più calzante fare questione, a tacer d’altro perché l’art. 552 osta all’idea di un legittimario-legatario munito della facoltà di acconsentire alla diseredazione o di pentirsi della donazione(68), di una liberalità in conto di legittima. Questa infatti, siccome il legittimario-donatario dovrà comunque imputarne il valore alla quota riservatagli dalla legge (art. 564, comma 2 c.c.), abilita ad agire in riduzione per la differenza, ove naturalmente si dia il presupposto della lesione. Cass. 12474/2002(69), al termine di una vicenda complessa che vedeva un legittimario pretermesso totalmente dalla successione perché tacitato in vita con una cospicua donazione di denaro, è tranchant per altro nel sentenziare di una nullità di detta attribuzione ex art. 458 c.c.(70), con poi annesso diritto degli eredi testamentari ad ottenere la restituzione della somma versata in esecuzione dello stesso, a titolo naturalmente di indebito oggettivo. Diritto, va da sé, soggetto a prescrizione (il che, nella specie, era quanto avvenuto). E, quantunque incidenter tantum, più di recente ha ribadito lo stesso assunto Cass. 24450/2009(71), mentre Cass. 26746/2008 può tornare molto utile ai creditori che volessero eccepire il difetto della forma solenne per l’attribuzione di una somma di denaro il cui reimpiego sia risultato estraneo all’intendimento del defunto donante(72). Quarta ipotesi, ma il de cuius avveduto, si dirà, potrebbe pensare ad un assetto devolutivo post mortem che veda dei due figli, che ha avuto dal coniuge premorto, quello in bonis istituito erede per una metà del patrimonio e l’altro, viceversa pesantemente indebitato, farsi invece fideiussore del convivente more uxorio al quale sia stata nel frattempo donata la parte residua dell’asse, esaurita nella specie da un immobile di cospicuo valore. Sennonché lo stratagemma di una garanzia fideiussoria prestata prima dell’apertura della successione, difficilmente garantirebbe al testatore la ragionevole previsione di una tendenziale stabilità dell’effetto segregativo in danno dei creditori personali del legittimario estromesso. Gli è, invero, che costoro saranno pur sempre ammessi ad eccepire, opponendo il collegamento negoziale esistente tra donazione e fideiussione, la frode all’art. 557, comma 2, c.c. sul sottinteso che, col fatto di aver prestato una sua garanzia personale nei riguardi del donatario, costui si è precluso ex ante l’esercizio dell’azione di riduzione, concorrendo così al prodursi di un risultato corrispondente a quello espressamente vietato dalla legge ove l’effetto abdicativo scaturisca da una rinunzia precedente all’apertura della successione. Nullità (della fideiussione), in quanto negozio compiuto in frode della legittima, è la formula (persuasiva) che, di recente, ha suggerito di adottare un’autorevole dottrina(73), pienamente edotta della stringente circostanza che l’astratta esperibilità dell’azione di riduzione sarebbe qui, in realtà, resa inutile proprio dall’aver il legittimario stipulato un atto ad essa contrario(74). Altro naturalmente, ma cave soltanto in termini di itinerario argomentativo, sarebbe il discorso nel caso il testatore, contravvenendo al divieto di cui all’art. 549 c.c., escogitasse piuttosto lo stratagemma di istituire come erede il legittimario in una misura pari alla sua quota di riserva, gravandola nel contempo di oneri o legati che la depauperassero profondamente di valore, sul sottinteso ovviamente che il legittimario esegua poi in maniera spontanea dette obbligazioni rinunziando ad opporre l’eccezione della violazione del divieto di cui all’art. 549 c.c. Si pensi al caso, piuttosto intuitivo per la verità, del legato concepito come onere dell’istituzione del legittimario nella sua quota di riserva. Pure infatti a non volersi riconoscere nell’idea di una nullità, per illiceità sub specie causae o virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c., delle clausole confezionate in contrasto con l’art. 549 c.c.(75), una nullità evidentemente rilevabile d’ufficio e deducibile da chiunque vi abbia interesse, per i creditori del legittimario, che nel frattempo abbia adempiuto, poco invero cambierebbe. Financo infatti, in luogo di una nullità assoluta, dovesse farsi qui questione, di una nullità/inefficacia relativa, perché eccepibile dal solo legittimario e non rilevabile d’ufficio(76), la circostanza che comunque si tratterà di un’inefficacia originaria, e per di più operante ipso iure, fa sì che, non essendo detto adempimento dovuto, si avrà una tutela dei creditori destinata di nuovo ad iscriversi nel perimetro di una legittimazione surrogatoria, nella specie ad agire con la condictio indebiti sine causa nei confronti degli onorati dal gravame ex testamento.
Tornando poi al catalogo, non avrebbe, infine, miglior successo, il congegno che provasse invece ad affidarsi - quinta ipotesi - all’art. 627, comma 2, c.c. immaginando naturalmente che l’istituito ex testamento sia un legittimario indebitato il quale, siccome non può più agire per la ripetizione ove spontaneamente esegua la disposizione fiduciaria, all’atto di trasferire i beni alla persona (asseritamente) voluta dal de cuius, si risolve ad eccepire, a mo’ di scudo, la propria veste di persona interposta. La dottrina è infatti unanime nel riconoscere, in tal caso, la legittimazione dei creditori personali del c.d. interposto ad agire in revocatoria(77).
Se così è, provando adesso a tirare le fila del discorso, c’è margine evidentemente per svolgere una considerazione d’insieme. Assodato infatti che lo scopo di frodare i creditori personali del legittimario non segue uno spartito unico, ecco la domanda che viene fatto di porsi: per quale ragione la fattispecie dell’art. 551, nonostante la sua identità di ratio con le altre testé sunteggiate, dovrebbe costituire la sola ipotesi ove il creditore del legittimario può divenire immune (alle) e sottrarsi alla realizzazione delle pretese creditorie? L’argomento di una meritevolezza dell’interesse dei parenti a mantenere, nell’ambito della cerchia familiare, il patrimonio generazionale del de cuius (bona avita et moiorum in familia debent permanere ut familia per ea conservetur)(78), oltre a scontare le medesime perplessità sopra esposte, incappa nel rilievo che una meritevolezza siffatta sarebbe allora da catalogare come un valore che premialmente sopravanza l’interesse dei creditori. Tra l’altro, il ragionamento che escludesse l’applicazione analogica dell’art. 524 perché, come danno per sottinteso le due letture testé criticate, si verrebbero qui a materializzare due impedimenti alla stessa, manca una lacuna (in senso proprio) e, financo vi fosse, l’eccezionalità dell’art. 524 funge da limite(79), sembra trascurare che la figura della lacuna assiologica o extrasistematica (uneckte Lücke), alla quale sarebbe per conseguenza derubricata la fattispecie in oggetto, è tradizionalmente il terreno di elezione della frode alla legge. Come acutamente si è fatto notare(80), analogia e frode alla legge rappresentano infatti due tecniche «complementari», con la seconda che si dilata quando la prima, per un motivo o per l’altro, non può applicarsi. Semmai il problema, come si vedrà tra breve(81), risiede nella circostanza che la frode, di cui qui si discute, trova il suo dativo (più che nella legge) nei creditori: e le due fattispecie, come dovrebbe lasciar intendere il recente caso di una frode perpetrata ai danni dei legittimari pretermessi sub artt. 1344 e 1549 c.c. per l’ipotesi di una fideiussione prestata dal de cuius a garanzia del finanziamento che il figlio - donatario abbia medio tempore contratto nei confronti della banca mutuante(82), vanno mantenute ben distinte.
All’evidente scopo, il rilievo vien da sé, di evitare il formalizzarsi di una grossolana commistione sistematica.
Gli è che, in realtà, la critica più pertinente, ad un utilizzo extra ordinem dell’art. 524, riposa, a volerla comunque immaginare, non su ragioni di principio ma su di un aspetto inerente alla variabile manifestativa che può piuttosto assumere la rinuncia all’azione di riduzione, essendo assodato che, in luogo di un’accettazione espressa, potrebbe ben aversi il caso di un comportamento concludente rilevante a mo’ di acquiescenza/preferenza: per es., all’indomani della pubblicazione del testamento, l’immissione nel possesso del legittimario o la percezione dei canoni locativi ricavati dall’immobile legato in usufrutto, ipotesi che sub art. 551, comma 2, c.c. valgono, per giurisprudenza pacifica(83), da fatto irretrattabilmente preclusivo a conseguire la quota di riserva giacché ritenuti espressione di un (compiuto) giudizio di scelta tra l’una e l’altra attribuzione. Potrebbe allora combinarsi il discorso nei seguenti termini: siccome preferenza tacita ed accettazione espressa sono effettualmente equivalenti, in quanto l’uno e l’altro qualificabili come un «apposito atto di volontà»(84), quando la rinunzia sia il risultato dedotto da un comportamento concludente, sorgerebbe il problema dell’oggetto dell’impugnativa, diversamente dal caso in cui dovesse invece aversi un’accettazione espressa (del legato), non necessaria per il vero ed infatti provvista di un semplice valore confermativo giusta la regola generale dell’art. 649 c.c.(85), ma volontariamente data. Di qui, pur riconoscendo che soltanto un atto espresso di preferenza varrebbe ad eliminare una situazione di incertezza(86), l’illazione di un’inutilità, quando si faccia questione di un’accettazione tacita, dell’art. 524, quale strumento non acconcio a contrastare un negozio unilaterale di autoesclusione(87). Sennonché un argomentare siffatto(88), per chi non voglia d’embléé ed in presa diretta servirsi di una regola di (in)validità del legato in oggetto, qualificandolo deduttivamente come attuativo di un patto successorio di tipo rinunziativo sub artt. 458, cpv. 2, e 557, comma 2, c.c.(89), porta diritto ad immaginare un’interpretazione estensiva dell’art. 2901 c.c.(90), sostenendo così una revocabilità pure dell’atto abdicativo di una facoltà che non sia causa di un incremento patrimoniale immediato. Come si è cercato di evidenziare, il creditore, visto l’irretrattabilità che ha l’atto di scelta, neanche invero può confidare in un (tardivo) ius poenitendi del legittimario. Il tutto, per altro, al netto del rilievo (d’insieme) che la critica esposta tiene, nel senso che regge, quando il legato tacitativo abbia per oggetto dei beni mobili perché laddove viceversa il bene, attribuito in sostituzione della quota di riserva, sia un immobile, se da un lato non varrà automaticamente da comportamento positivo la semplice acquisizione dell’oggetto del legato (Cass. 26955/2008), non ci si potrà dall’altro neanche esimere dal procedere alla trascrizione dell’acquisto ex art. 2648, comma 4, c.c.(91): non foss’altro, e va da sé, per garantire il principio di continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c. sì da salvaguardare, come evidenziato di recente in sede di legittimità(92), quelle compiute contro il legatario da parte dei suoi aventi causa. E poi, vista l’inesauribile varietà della casistica, non è da escludere l’ipotesi di un’accettazione espressa dell’immobile effettuata prima ancora che si perfezioni la traditio dello stesso.
Postilla: Cass. 1996/2016 e di alcune opzioni (controvertibili) all’uso dell’analogia, nell’ordine, nullità per immeritevolezza ovvero per frode alla legge ed il sospetto di una (pretesa) illegittimità costituzionale degli artt. 551, comma 2 e 2900 c.c.
Se si sta al dictum di Cass. 1996/2016(93), si ha però la nitida percezione di quanto ancora il discorso, abbozzato fino ad ora, fatichi a trovare credito presso la Corte. La massima estratta, che qui si riporta nella sua versione ufficiale, è al riguardo tranchant: in tema di legato in sostituzione di legittima, integrando la mancata rinuncia al lascito un atto di gestione del rapporto successorio da parte del beneficiario, [atto] confermativo ex lege della già realizzata attribuzione patrimoniale, è inammissibile l’azione surrogatoria proposta dal creditore dell’istituito per ottenere la legittima, postulando tale azione l’inerzia del debitore. Tutt’al contrario qui, com’è di tutta evidenza, viene in rilievo un comportamento positivo, “ancorché pregiudizievole per le ragioni creditorie”.
Una massima dunque, nel segno della tradizione, valorizzante la qualificazione dell’omessa rinuncia al legato sostitutivo quale atto - del debitore - di gestione del proprio patrimonio. Anche per la Corte, invero, è ormai pacifica la qualificazione del legato in sostituzione a guisa di un’attribuzione sotto condizione risolutiva(94).
Eppure, viene fatto di notare, la questione era stata prospettata: il creditore del legittimario chiedeva infatti, alternativamente, di surrogarsi nell’esercizio della facoltà di rinuncia al legato ovvero, stante la (conclamata) inesperibilità della surrogazione, che venisse dichiarata l’inefficacia dell’omessa rinunzia ai sensi dell’art. 2901 c.c., in quanto atto deliberatamente pregiudizievole dell’interesse creditorio. Una strategia processuale, come si può agevolmente dedurre, non impeccabile perciò, ma consapevolmente edotta del fine sottinteso alla confezione di una legittima in forma di legato: essendo di vistosa evidenza che «le aspettative dei creditori del legittimario potrebbero essere vanificate da un testatore particolarmente attento ed avveduto [il quale], sapendo di una pesante situazione debitoria di uno dei suoi [congiunti] legittimari, lo benefici di un legato in sostituzione … irrisorio o comunque inferiore a quanto sarebbe spettato al legittimario stesso, così assicurando a quest’ultimo [la potestatività] di sottrarsi al pagamento dei propri debiti». Ridotto il discorso all’essenziale, è di vistosa evidenza che la fattispecie decidenda mima alla perfezione quella che, compendiosamente, si è inteso qui etichettare come una frode per testamento, strumentalizzando il diritto potestativo dell’art. 551 c.c. Rebus sic stantibus, sorprendono allora, per le stringenti ragioni di contrappunto che gli sono già di primo acchito opponibili, i due motivi che la Cassazione allega per motivare il rigetto della domanda di tutela.
Nel legato in sostituzione di legittima, ecco il primo, la volontà testamentaria sarebbe teleologicamente rivolta a soddisfare il diritto del legittimario alla quota di riserva, legandogli un bene che il de cuius è convinto o presume sia «sufficiente allo scopo», con la legge che di conseguenza «tutela tale presunzione», imputando al legatario l’onere «di rinunciare al legato per agire in riduzione». Il che, giova sottolinearlo, può essere ben vero epperò al netto dell’(ovvia)) circostanza che non si danno appigli lessicali idonei a supportare l’idea che detto intento satisfattivo esaurisca, nel corpo del’art. 551, la gamma dei motivi determinanti del testatore. Il motivo di un’attribuzione satisfattiva, che la Corte si perita di valorizzare, regge invero rapportato al legittimario pretermesso o beneficiato con un legato in conto, due ipotesi nelle quali è manifesto che il testatore non abbia inteso garantire, per lo meno pro parte, la quota indisponibile. Quid iuris però, come nella fattispecie venuta in decisione, quando l’alternativa valoriale non è tra questi due interessi regolamentari? Non è meno claudicante, d’altro canto, il secondo argomento, ipotizzante la “via di fuga” per i creditori, ma evidentemente allora sul presupposto che possa registrarsi un intento elusivo dell’ereditando, di aggredire il bene legato, stante qui l’ovvia considerazione che, se detto bene fosse idoneo a garantire le pretese dei creditori, costoro non avrebbe alcun interesse ad agire ai sensi degli artt. 2900 e 2901 c.c. Delle norme queste che, in termini di strategia processuale, si giustificano proprio, ecco insinuarsi prepotentemente la terza fattispecie che la Corte omette di contemplare, allorquando la res legata abbia un valore marginale, o comunque nettamente inferiore alla quota di riserva, perché scientemente selezionata dal de cuius a mo’ di “ombrello protettivo” finalizzato a costituire una forma di speciale irresponsabilità nei riguardi dei terzi.
Sincopando al massimo il ragionamento, si torna così all’interrogativo sottinteso fin dal’inizio, tutto in realtà dipendendo, a mo’ di alternativa ideologicamente caratterizzata, dalla fisionomia che, nella stagione presente, si vuol offrire di quella libertà testamentaria che, è vero, proprio in tema di legati trova la sua «manifestazione di punta»(95).
Operativamente sono due le idee che si possono far scorrere in parallelo, con la prima sintetizzabile così: se la disposizione testamentaria non è viziata da un motivo illecito ex art. 626 c.c. o che appaia tale perché in fraudem legis (art. 627, comma 3 c.c.)(96), la liceità/meritevolezza del legato in sostituzione non è altrimenti sindacabile ope iudicis, donde una frode, ai creditori personali del legittimario rinunziante, che difetta di una qualche rilevanza ex iure. Puntellano detto assunto, vi sarà senz’altro qualcuno pronto a farlo notare, due fattispecie concorrenti: l’annullabilità assoluta degli artt. 591, comma 3, 606, comma 2 e 624, comma 1, c.c. non annovera tra i legittimati all’azione i creditori e nulla esclude che una frode a costoro si annidi pure nell’omessa impugnativa di una scheda annullabile(97); l’art. 648, comma 1, è poi norma che fa da ideale sponda, se è vero che per l’adempimento dell’onere può sì agire qualsiasi interessato epperò, di nuovo, dell’eventuale risoluzione non potrebbero giovarsi i creditori del legittimario. Due argomenti, come si può agevolmente dedurre, non banali pur se nel contempo andrebbe, per inciso, fatto notare che il creditore del legittimario, al quale non è certo consentito confermare una scheda nulla ex art. 590, può però evidentemente impugnare l’azione di riduzione, nella quale è insita una convalida indiretta della disposizione lesiva al tempo stesso invalida(98), allorché la caducazione in toto del testamento, cui detto legittimario ha implicitamente rinunziato, potesse tornare (ad entrambi, è ovvio) di maggior vantaggio.
Orbene, chiarito che il riflesso a cascata dell’interpretazione esposta è una specialità del testamento il cui surplus assiologico è però tutto da dimostrare(99), l’idea di un’applicazione analogica dell’art. 524 si candida in concreto al ruolo di prospettiva che meglio le si contrappone, pure in virtù di un apparato argomentativo bypassante le opacità interpretative insite, viceversa, in due letture contigue, affini sub specie rationis ma rimedialmente molto diverse: da un lato quella che fosse proclive ad immaginare un’impugnativa del testamento ex art. 1322, comma 2 c.c., facendo così della frode ai creditori (del legittimario) un esempio sintomatico di non meritevolezza della volontà testamentaria, dall’altra, e forse con ancora minor costrutto, quella che si rinserrasse nell’idea di un’illegittimità costituzionale, per contrasto col principio di eguaglianza e di ragionevolezza, degli artt. 551 e 2900 c.c., per il fatto evidentemente che le due previsioni non riconoscono al creditore del legittimario la legittimazione a surrogarsi nella sua facoltà di scelta, variabile pacifica viceversa nei casi di pretermissione e di legato in conto. Se la prima infatti sconta tutte le vischiosità interpretative, largamente note, indotte dall’utilità del richiamo, in sede testamentaria, al combinato disposto degli artt. 1324 e 1322, comma 2, c.c.(100), l’altra, di là dall’ancorare la disparità di trattamento su di un referente normativo tutt’altro che sospetto di incostituzionalità(101), trascura invece quell’interpretazione adeguatrice dell’art. 524 che, come si diceva poc’anzi, sembra ottimizzarne la ragione pratica, in colleganza del resto con un art. 12 delle Preleggi perimetrante il compito del giurista non entro gli angusti confini di una «ricognizione dei verba» bensì nella direzione di una «ricerca della sententia legis»(102). Il che, specialmente in una stagione pervasa da un dilagante giurisdizionalizzarsi dei rimedi, dovrebbe suonare come un ammonimento che serve da preziosa bussola nell’attività di ammodernamento, svolta dal di dentro, dell’ordinamento giuridico.
Il fatto è che, e viene facile constatarlo a chi rifugga da omologazioni svianti, la pratica conta, in realtà, più tipi di legati in sostituzione di legittima, mutevoli quanto al contenuto in ragione ( e per effetto) dell’intento divisato da un testatore spesso animato da finalità, di affectio (per alcuni eredi) o di integrità/efficienza del patrimonio familiare e/o dei beni produttivi componenti l’asse ereditario ovvero ed ancora di avallo ad una preferenza già espressa dal legittimario per una riserva in natura piuttosto che in denaro, magari non verbalizzate nella scheda ma di scoperta evidenza(103). Orbene, quand’è così, pensare che il legato tacitativo di stampo punitivo, com’è per il caso dell’attribuzione immobiliare nei limiti di quella stretta quota di riserva che, ad avviso del testatore, il legittimario «neppure meriterebbe»(104), abbia la medesima pre-comprensione volitiva del legato sostitutivo in frode, fattispecie che, a sua volta, nulla ha a poi che spartire con la diversa ipotesi del legato in sostituzione, con però annesso diritto di credito del legittimario a pretendere (dall’erede) la differenza tra il valore del bene legato e quello della quota riservatagli dalla legge (art. 551, comma 2, 2 cpv.)(105), tutto pare fuorché un esempio riuscito di buona tecnica giuridica. Alla diversità di intento, spesso rivelato da un contenuto economico della disposizione alquanto variabile(106), potendo di fatto basculare tra un legato di specie ed uno di quantità passando per il medio di una rendita vitalizia, dovrebbe invero accompagnarsi un differente atteggiarsi del correlato trattamento normativo. Se si dà non uno ma una gamma di legati in sostituzione, «disposizioni mortis causa diverse per struttura e funzione»(107), il loro coordinamento non dev’essere evidentemente a senso unico ma ancipite, involgendo tanto il «sistema delle tutele del legittimario» quanto quello delle tutele dei creditori. Almeno per chi si riconosca nell’idea di un interpretare che è davvero tale solo quando intreccia virtuosamente, come la dottrina più avvertita fa notare(108), regole e principi. Ribattere, a mo’ di ultima obiezione, che l’art. 524 non copre il caso dei creditori personali del chiamato, il quale abbia accettato puramente e semplicemente un’eredità damnosa, notoriamente postergati ai creditori del defunto giacché l’accettazione beneficiata «riflette una scelta personale [di un] chiamato [magari indotto da motivi di carattere morale]»(109), non sarebbe melius re perpensa davvero pertinente. Certo, questo si dirà, pure costoro sono danneggiati, segno allora, proseguendo nell’argomento, che la legge non ha inteso immaginare in più casi un sistema di protezione ispirato ad un principio di piena effettività. E tuttavia il discorso non tiene, per almeno due ragioni: intanto perché non manca in dottrina chi, al profilarsi di un’accettazione pura di un’eredità dannosa, visto che ai creditori personali dell’erede difetta pure una legittimazione a domandare la separazione dei beni (art. 512, comma 1 c.c.), quale rimedio di esclusiva pertinenza dei creditori dell’eredità(110), si pronunzia per l’esperibilità di un’azione revocatoria, ammessa dando prova del pregiudizio consapevolmente arrecato dall’accettante ai creditori, un consilium fraudis che non implicherebbe, giova evidenziarlo, la prova aggiuntiva della c.d. partecipatio fraudis dei creditori del defunto(111); e poi, argomento non meno persuasivo, per il fatto, si torna a ripeterlo, che l’art. 524 sunteggia una ratio inequivocamente volta ad a garantire al creditore «un’efficace strumento di difesa nei confronti di qualunque vicenda che impedisca il perfezionarsi della fattispecie acquisitiva a beneficio del debitore»(112). L’analogia, d’altronde, se detta norma si iscrive nel sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, è tutto eccetto che un’appendice espressiva di un paternalismo dell’interprete(113). E poi, affidando l’epilogo ad una chiosa interrogativa, davvero l’immobilizzare dei beni, funzionalizzandoli alla «sequenza concettuale domus - dominus - dominium»(114), è meno paternalistico del consentirne una dispersione che, in conseguenza dell’esecuzione coattiva, li riallochi sul mercato, col vantaggio (prevedibile) di una più spiccata mobilità patrimoniale (e per riflesso) sociale?
(1) Per questo felice qualificativo, seppur riferito alla rinuncia dell’eredità, v. M. MONTANARI, La successione mortis causa nel sistema delle procedure concorsuali, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da G. Bonilini, Milano, 2009, V, p. 135.
(2) Il che, come più avanti si vedrà, implica per ciò stesso un rovesciamento di quell’impostazione tradizionale che trova ancora il suo archetipo ricostruttivo in F. SANTORO PASSARELLI, «Legato privativo di legittima», in Riv. dir. civ., 1935, p. 259 e ss.
(3) Così, limpidamente, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1992, XLIII, t. 2, p. 123.
(4) Cfr. L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., p. 125.
(5) L’opinione contraria, che rimonta a F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Milano, 1962, p. 331, si incontra soprattutto nella pagina di V. E. CANTELMO, Dei legittimari, Padova, 1991, p. 125, ma con un periodare che non persuade giacché, se fosse vero che l’azione di riduzione non ha natura patrimoniale, diventerebbe assai difficile individuare la ragione per cui la legge espressamente riconosce una legittimazione agli aventi causa del legittimario. Per l’opinione dominante v. G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 5, I, Torino, 19972, p. 459 e ss.; A. BUCELLI, Dei legittimari, in Il Codice Civile. Commentario fondato da Piero Schlesinger e diretto da Francesco D. Busnelli, Milano, 2012, sub art. 557, p. 598 e M.C. TATARANO, La successione necessaria, in Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo - G. Perlingieri, Napoli, 20132, I, p. 567 e ss. Negare la legittimazione surrogatoria dei creditori personali del legittimario in virtù, come talora si legge, di un’esclusività della scelta discretiva dovuta, quanto all’an dell’azione, allo status familiae del legittimario, ha d’altronde il vistoso torto di dimenticare che il diritto de quo, seppur trovante titolo mediano nello status familiae, ha un effetto diretto nel patrimonio di terzi. Per inciso poi, siccome argomentando a contrario dal disposto dell’art. 557, comma 3, i creditori del defunto, ove il legittimario abbia accettato puramente e semplicemente, sono ammessi ad esercitare l’azione di riduzione, giacché colla confusione ereditaria si sono trasformati in creditori personali del’erede, non si rinviene un qualche plausibile motivo utile a suffragare l’idea di una mancata legittimazione all’azione dei soli soggetti appartenenti in senso proprio alla classa dei creditori personali del legittimario.
(6) In dottrina il riferimento, evidentemente, è a L. FERRI, Dei legittimari, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna - 1981, p. 199 e ss. ed a F. SANTORO PASSARELLI, Dei legittimari, in Libro delle successioni per causa di morte e donazioni, in Comm. D’Amelio - Finzi, Firenze, 1941, p. 316. In precedenza, per altro, già si erano espressi in tal senso V. POLACCO, Corso delle successioni, II, Roma, 1924, p. 26 e ss. ed E. BETTI, Appunti di diritto civile, Milano, 1928-29, p. 516. Più di recente v. F. FESTI, Sub art. 557, in Delle successioni, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino, 2009, p. 654. Con riguardo alla legittimazione del curatore fallimentare, adesivamente M.C. TATARANO, op. cit., p. 568 e F. PENE VIDARI, La successione legittima e necessaria, in Tratt. dir. civ., diretto da R. Sacco IV, Torino, 2009, p. 273. Per la giurisprudenza v. tra le corti di merito, con un periodare che si ripete in modo costante, in special modo Trib. Venezia, 20 maggio 2005, in Fall., 2006, p. 714, con nota di D. FINARDI, «Legittimazione del curatore fallimentare ad esperire l’azione di riduzione in luogo del fallito pretermesso» e Trib. Como, 3 febbraio 1993, ivi, 1993, II, p. 954 e ss., con nota di E. CAPUTO, «La legittimazione del curatore a sperimentare l’azione di riduzione per la lesione di legittima». In dottrina, per degli utili spunti, v. A. TULLIO, La successione necessaria, Torino, 2012, p. 319 e ss.
(7) V. Cass. 29 luglio 2008, n. 20562, in Rep. Foro it., 2008, Successione ereditaria, n. 144 e, prima ancora, per l’autonomia del rimedio de quo, Cass. 18 gennaio 1982, n. 310, in Riv. not., 1982, p. 308 e ss.
(8) Sul fatto che l’impugnazione ex art. 524 si sostanzi in un’esecuzione operante fino all’estinzione delle passività v. GIU. AZZARITI, La rinunzia all’eredità, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 19972, 5, Successioni, I, p. 204 e ss.
(9) È la nota tesi di L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, p. 278.
(10) Così Cass. 15 maggio 2013, n. 11737, in Rep. Foro it., 2013, voce Fallimento, n. 317.
(11) V. Cass. 15 maggio 2013, n. 11737, cit.
(12) V. Trib. Roma, 22 gennaio 2014, in Foro it., 2014, I, c. 1308 e ss., con nota (anepigrafa) di A. Palmieri ed in precedenza Trib. Napoli, 15 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, p. 1646 e ss., con nota di A. BUCELLI, «Rinunzia all’azione di riduzione e fallimento del legittimario».
(13) V., in special modo, M. MONTANARI, op. cit., p. 136. Già per l’esclusione dell’art. 64 L.fall., v. per altro G. RAGUSA MAGGIORE, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, II, diretto da G. Ragusa Maggiore - C. Costa, Torino, 1997, p. 218 e M.E. GALLESIO PIUMA, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Comm. Scialoja - Branca della legge fallimentare, II, 2, Bologna - Roma, 2003, p. 102.
(14) V. in particolare A. BUCELLI, «Rinunzia all’azione di riduzione …», cit. ed in giurisprudenza Trib. Ravenna, 24 luglio 2004, in Arch. civ., 2004, p. 207.
(15) Come si legge nella bella pagina di F. REALMONTE, La tutela dei creditori personali del legittimario, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Diritto civile, Milano, 1995, p. 637, l’estensione «analogica di una norma risulta possibile qualora la stessa possa essere ricondotta ad un principio». Di talché, e proprio con specifico riguardo all’art. 524, fin quando si avrà una fattispecie nella quale il suddetto principio si materializza, «nulla impedi[rà] l’estensione analogica delle norme che ad esso obbediscono».
(16) Cass. 3 febbraio 2015, n. 1902, in Rep. Foro it., 2015, voce Successione ereditaria, n. 112, la cui massima ufficiale suona così: «l’accordo col quale il soggetto istituito erede universale riconosce, in via di transazione, la titolarità di determinati beni ereditari a colui che, non avendo la qualità di legittimario pretermesso, pretende diritti sull’eredità in forza di un testamento anteriore (poi revocato), non determina il riconoscimento della qualità di coerede in capo al destinatario dell’attribuzione patrimoniale, non potendo il chiamato disporre della delazione, sicché solo l’erede istituito è tenuto al pagamento dei debiti ereditari, non configurandosi in tal caso una vendita di eredità». Il che, lo si segnala da subito, riduce sensibilmente l’interesse dell’erede universale a prestare il proprio assenso ad un atto con causa transattiva dal quale, in concreto, non potrà trarre utilità patrimoniali di rilievo, se si eccettuano i costi di un eventuale processo la cui durata è notoriamente destinata a dilatarsi nel tempo. Ora, quanto meno di primo acchito, il ragionamento della Corte non fa una grinza giacché: a) se chi è erede universale dispone di una parte del patrimonio relitto a vantaggio di chi, istituito come coerede in un pregresso testamento, la cui revoca per incompatibilità oggettiva è da ascriversi proprio a quella scheda posteriore di cui detto erede beneficia in totum, va da sé che si è al cospetto di un accordo transattivo perfettamente lecito e valido; b) nel contempo, non è meno esatto però che, se per effetto di detta transazione, il patrimonio residuo non è sufficiente a soddisfare le pretese dei creditori ereditari, è in re ipsa che costoro subiscono un pregiudizio legittimante l’esperimento dell’azione revocatoria ma, qui sta il punto, non per la ragione che, in virtù di detta transazione, qui si abbia una duplicazione dei legittimati passivi e dunque una vicenda patrimoniale modificativa azionante il principio di cui agli artt. 752 e 754 c.c. Detta transazione, infatti, è qualificabile come fraudolenta non per la ragione che, per effetto della sua stipula, le parti possono addurre un titolo che li abilita al pagamento dei debiti ereditari in proporzione alle loro quote, donde un evidente nocumento, se così fosse, per i creditori dell’eredità giacché, se non dovesse risultare che l’istituito in totum ha accettato con beneficio d’inventario, per costoro non si profilerebbe l’utilitas di una responsabilità ultra vires dello stesso. Il tutto per altro già al netto della disutilità innescata automaticamente dal principio debita hereditaria inter heredes ipso iure dividuntur, se è vero che un concorso di azioni subentrerebbe qui al maggior vantaggio di poter agire nei confronti di un unico soggetto, dovendo per conseguenza detti creditori sopportare nel contempo il rischio dell’inadempimento e/o dell’insolvenza sopravvenuta di uno dei due (v., attentamente, S. PATTI, Note sul pagamento dei debiti ereditari: la disciplina italiana a confronto con alcuni modelli europei, in Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di S. Delle Monache, Padova, 2007, p. 262 e ss.). Non è una questione che si associ alla parziarietà di legge dell’obbligazione, motivo di critiche ineccepibili (v. P. SCHLESINGER, Successioni (diritto civile), parte generale, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 762). La ragione della frode risiede altrove. Gli è, infatti, che l’interpretazione sunteggiata dà per ammissibile quanto invece normativamente non risulta affatto consentito: e cioè che, in ragione di un accordo transattivo di cui siano parti chi è stato istituito per testamento ed un terzo non legittimario, possa attribuirsi la qualità di coerede a chi è destinatario dell’attribuzione patrimoniale, venendo così di fatto a disporre della delazione. Correttamente la Corte fa notare che erede, e tenuto come tale «al pagamento verso i creditori dei debiti ereditari, è e rimane il soggetto indicato dal testatore come suo successore nel complesso dei rapporti giuridici già facenti a lui capo e che abbia accettato l’eredità, laddove l’accordo a tacitazione di diritti pretesi da un terzo non è in grado di attribuire a detto terzo la qualità di erede, posto che un tale effetto è materia sottratta alla disponibilità delle parti» (c.vo aggiunto). L’accordo tacitativo dei diritti accampati da un terzo è, insomma, fattispecie costitutiva di una vicenda traslativa inter vivos e non ha una qualche interferenza col riparto successivo dei debiti ereditari. In un contesto siffatto, per altro, la revocabilità si spiega pianamente con la circostanza che, depauperando la transazione l’asse ereditario, se il residuo dei beni caduti in successione è incapiente rispetto all’insieme dei crediti che insistono su di esso, allora ad inverarsi è quella modifica in peius delle ragioni creditizie che, in mancanza di una prova contraria resa dagli stipulanti, mostra lo stigma di un rapporto sostanziale rampollante da un accordo fraudatorio; c) neanche, d’altro canto, parrebbe possibile ricorrere all’escamotage interpretativo di qualificare detto atto transattivo come una vendita dell’eredità o di una sua quota, fattispecie per la quale notoriamente è contemplata la tecnica di un accollo cumulativo ope legis dei debiti ereditari. Il disposto dell’art. 1546 c.c., che vede il compratore, salvo patto contrario, obbligato in solido con il venditore al pagamento delle passività imputabili al de cuius, presuppone infatti, quale che sia la natura dei beni ereditari ceduti, l’onere della forma ad substantiam mentre l’accordo transattivo, di là dalla differentia specifica sub specie causae, consta di una forma scritta ad probationem. V. Cass. 25 maggio 1982, n. 3181, in Rep. Foro it., 1982, voce Successione ereditaria, n. 46. In dottrina, di recente, S. MARTUCCELLI, La vendita di eredità, in Tratt. dir. succ. e don., diretto da Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, p. 1494 e ss. e P. SIRENA, La nozione della vendita: causa e oggetto, in V. ROPPO, Tratt. dei contratti, I, Vendita e vendite, Milano, 2014, p. 48 e ss. Tra l’altro, in linea con un suo precedente (Cass. 12 luglio 2007, n. 15592, in Riv. not., 2008, p. 693 e ss.), Cass. 31 marzo 2015, n. 6431, in Rep. Foro it., 2015, voce Successione ereditaria, n. 113 è categorica nell’evidenziare che l’art. 754 c.c. va inteso nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo pro quota, col risultato, laddove non lo faccia, che detto creditore è legittimato a domandargli il pagamento dell’intero, trattandosi di un’eccezione in senso stretto; d) dopo di che, e qui volendo si annida una criticità dell’arresto, giova rilevare come, ad intendere dette transazioni come una vendita di parte dell’eredità, è plausibile pensare a dei creditori che ne trarrebbero più di un’utilità. E, detto di passata, non soltanto per il favor che i creditori ricaverebbero dal potersi soddisfare su di un unico patrimonio per l’adempimento dell’intera obbligazione. Gli è infatti che il legislatore, nel sancire l’effetto di un accollo cumulativo ex lege, non vi ha abbinato il beneficio ordinis o excussionis che rampollerebbe dalla sussidiarietà ed ogni caso è poi da escludere che sia tenuta in non cale la responsabilità del venditore in virtù del principio (generale) che vuole il debitore originario liberato solo in conseguenza di un consenso espresso del creditore (v. P. RESCIGNO, Studi sull’accollo, Milano, 1958, p. 247). L’inciso di legge perciò, se non vi è patto contrario, parrebbe soltanto significare che sia ammissibile un patto che manlevi il creditore rispetto a qualche debito visto che un accordo di esclusione totale potrebbe esporsi all’azione revocatoria. Il tutto al netto della nullità che colpirebbe, come si diceva, l’esclusione di una responsabilità del venditore, per violazione dell’art.1273, comma 2 c.c. Un’ultima chiosa. Sentenziando che l’ammissione alla revocatoria postula la sola allegazione di un atto dispositivo potenzialmente idoneo a rendere più incerta la soddisfazione del credito, in quanto l’eventus damni funge da fatto negativo di cui è onerato il debitore, Cass. 1902/2015 non ha esplicitato un principio di diritto che stoni: è ius receptum infatti, v. Cass. 14 ottobre 2005, n. 19963, in Rep. Foro it., 2005, voce Revocatoria (azione), n. 19 e Cass. 18 ottobre 2011, n. 21492, in www.dejure. it che la tutela ex art. 2901 si lega all’effettività di un danno, tutt’uno la lesione della garanzia patrimoniale in conseguenza di un atto traslativo, la cui inesistenza è affare del debitore dimostrare, indicando le residualità patrimoniali idonee allo scopo.
(17) Sull’intera questione sia consentito il rinvio a S. PAGLIANTINI, Causa e motivi del regolamento testamentario, Napoli, 2000, p. 22 e ss. e più recente, I vizi della volontà testamentaria: teoria e casistica, in Profili sull’invalidità e la caducità delle disposizioni testamentarie. Saggi, a cura di S. Pagliantini - A. M. Benedetti, Napoli, 2013, p. 3 e ss. Sulle ragioni sottese ad una trasmissione ispirata ad una riscoperta concentrazione dei beni all’interno della famiglia, v. le suggestive considerazioni di P. SCHLESINGER, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza, Padova, 1995, p. 131 e ss.
(18) Così L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit. p. 114 (c. vo aggiunto).
(19) Che l’evento morte potrebbe in effetti compromettere. V. supra
(20) Che non è detto mostri sempre una caratura unilaterale. Non è da escludere infatti, anzi viene fatto di pensare che sia l’ipotesi più ricorrente, che la scelta di istituire un figlio e di pretermettere l’altro (ovvero di preferire i nipoti ex figlio in luogo del loro genitore) avvenga a seguito di una decisione concertata tra il testatore ed il legittimario preterito. Descrittivamente potrebbe ragionarsi di un accordo fraudatorio a monte, documentante l’intento delle parti di strumentalizzare l’art. 551, progettando costoro di conformare «la loro condotta in modo da conseguire lo scopo (elusivo) ulteriore» (così S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in ID., Diritto civile. Metodo Teoria Pratica. Saggi, Milano, 1951, p. 385 nonché nt. 88). Insomma, riprendendo l’idea di una fraus legi come collegamento, almeno descrittivamente lo si ripete, sembra prospettabile l’idea di un intento pratico del testatore che non si esaurisce nell’istituire un terzo legando al figlio prediletto un bene minore, dandosi qui piuttosto uno scopo pratico ulteriore oltrepassante quello (devolutivo) tipico. Il legato in sostituzione diventa così, e forse rebus sic stantibus a pieno titolo, il mezzo per eludere una norma imperativa (l’art. 2740 c.c.), i cui effetti negativi discenderebbero dall’applicazione dell’art. 588 c.c.
(21) Se infatti il testatore volesse anche escludere il legittimario preterito dalla successione legittima, perché non vuole correre il rischio che l’istituito a titolo di erede non possa o non voglia accettare l’eredità e nel contempo ci si prefiguri che possano mancare i presupposti per l’operare in consecutio dei meccanismi di sostituzione, rappresentazione od accrescimento, il solo modo che residua è per l’appunto confezionare una clausola di vera diseredazione: clausola che allora sarebbe espressamente preordinata a spogliare il legittimario della qualifica di successibile ex lege. Come nota acutamente L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit. p. 114, qui l’interprete si troverebbe al cospetto di una volontà testamentaria esprimente «un plus rispetto alla volontà negativa che caratterizza il legato tacitativo». Epperò, immaginando un legittimario legatario ex lege che poi non la impugni, il quadro che allora si profila ci sembra veda dei creditori personali del legittimario che o eccepiranno la validità della clausola o la impugneranno ai fini della riduzione, quale delle due interpretazioni sia in concreto da preferire dipendendo con tutta evidenza dalla vexata quaestio, alla quale qui non si può neanche accennare, sulla nullità od inefficacia (ma ope iudicis) della diseredazione che abbia come soggetto passivo un legittimario.
(22) V. Cass., 18 febbraio 2013, n. 4005, in in Foro it., 2013, I, c. 2245 e ss., con nota anepigrafa di R. Brogi. La decisione di merito era diversamente impostata giacché la revocabilità era stata esclusa per difetto dell’eventus damni sul presupposto che il legato avesse un valore superiore alla quota di legittima. La fattispecie de qua non va per altro confusa coll’ipotesi, pure tutt’altro che peregrina, di un legato in sostituzione il cui valore superi quello della legittima, per la quale v. infra nt. 28.
(23) V. Cass., 12 giugno 2006, n. 13524, in Giust. civ., 2007, I, 2859 e ss., con osservazione di M. BULGARELLI, «Il legittimario c’è, ma non si vede».
(24) Donde una riserva avente natura di quota fissa, e non mobile, perché calcolata sulla base della situazione esistente al momento di apertura della successione, senza che rilevino sopravvenienze legate al mancato esperimento, per rinunzia giust’appunto o prescrizione, dell’azione di riduzione. V., in dottrina, U. STEFINI, «Determinazione della quota di riserva in presenza di legittimari rinunzianti all’azione di riduzione», in Corr. giur., 2006, p. 1717 e ss. e M. CEOLIN, «La determinazione della quota riservata e alcune considerazioni in tema di rinunzia all’azione di riduzione, rinunzia all’eredità e accrescimento», in Riv. not., 2008, p. 204 e ss.
(25) Come fa notare L. FERRI, Successioni in generale, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1971, p. 104, e nasce di qui lo spunto per l’immagine di una pretermissione amica del legittimario in stato di default, è la legge e non il testatore che autorizza il legittimario a rifiutare il legato «in evidente contrasto con la volontà [testamentaria]». Ed anche in A. BUCELLI, Dei legittimari, cit. p. 371 serpeggia il problema laddove evidenzia come «nemmeno quando il valore attribuito eccede quella della legittima, il tentativo “sostitutivo” del testatore può darsi per senz’altro riuscito, ritenendone scontata l’effettività giuridica». Il distinguo sta però nel fatto che qui l’esclusione dalla quota di legittima è stata, per così dire, concordata a monte tra il de cuius ed il legittimario.
(26) Specialmente L. FERRI, Dei legittimari, cit. p. 200 e, più recente, M.C. TATARANO, op. cit., p. 572. Sembra dello stesso avviso pure G. MARINARO, La successione necessaria, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da Pietro Perlingieri, Napoli, 2009, p. 290. Sull’esclusione, nella specie della surrogatoria, v. Trib. Cagliari, 14 febbraio 2002, in Riv. giur. sarda, 2003, p. 321 ed ivi i rilievi, non sempre condivisibili, di M. PERRECA, «Considerazioni minime sugli strumenti di tutela dei creditori del legittimario verso la rinuncia tacita alla legittima». Come si legge nel periodare delle Corti, nell’agire del legittimario, che sceglie di conservare il legato in sostituzione, è manifesta una condotta positiva che esprime, a chiare lettere, la sua volontà di conservare nel proprio patrimonio i beni oggetto di legato. Donde un’inesperibilità che ben si amalgama, del resto, con quella che è la funzione propria, rinverdita di recente (v. S. PATTI, Sulla funzione dell’azione surrogatoria, in Rosario Nicolò, a cura di Nicolò Lipari, Napoli, 2011, p. 472) della surrogatoria. V., in luogo di tanti, GIAMPICCOLO, Azione surrogatoria, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 951.
(27) Per un precedente, che la sentenza cita, quanto al distinguo tra atti dismissivi di una situazione acquisita al patrimonio ed atti inidonei a determinare una modificazione peggiorativa delle condizioni patrimoniali del debitore, come tali fuori, diversamente dai primi, dal perimetro dell’art. 2901, v. Cass. 21 luglio 1966, n. 1979, in Rep. Foro it., 1966, voce Frode e simulazione, n. 4, 5.
(28) V., da ultimo, Trib. Novara, 18 marzo 2013, in Notariato, 2013, p. 655 ed in precedenza Trib. Gorizia, 4 agosto 2003, in Familia, 2004, p. 1187 e ss., con nota (parzialmente) adesiva di C. GRASSI, «Rinuncia del legittimario pretermesso all’azione di riduzione e mezzi di tutela dei creditori: revoca della rinuncia ed esercizio in surroga dell’azione di riduzione».
(29) V., notoriamente, L. FERRI, Dei legittimari, cit. p. 157 e p. 200.
(30) Né la giurisprudenza si mostra di un altro avviso: v., tra le tante, Cass. 1 dicembre 1993, n. 11873, in Corr. giur., 1994, p. 342 e, da ultimo, Cass. 13 gennaio 2010, n. 368, in Giust. civ., 2011, I, p. 217. Per la dottrina, in luogo di tanti, v. L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., p. 80 - 85. Adesivamente M.C. TATARANO, op. cit., p. 522 e ss. e F. FESTI, op. cit., p. 653.
(31) Come sostenuto, in passato, da A. CICU, Delle successioni, Milano, 1947, p. 216 e da F.S. AZZARITI - G. MARTINEZ - G. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973, p. 239.
(32) La fattispecie de qua non va confusa, com’è evidente, coll’ipotesi, pure tutt’altro che bizzarra, di un legato in sostituzione il cui valore superi quello della legittima, ma al quale il legittimario fraudolentemente rinunzi chiedendo di conseguenza la quota di riserva, per due evidenti ragioni: da un lato non si può qui parlare di un effetto segregativo in itinere per volontà del testatore, mancando una sua partecipatio fraudis, dall’altro, se il legittimario, al solo scopo di pregiudicare i creditori, rinuncia al legato, va da sé che costoro potranno agire in revocatoria. La rinunzia del legittimario, in quanto legatario ex lege ex art. 649, è infatti revocabile ex art. 2901 c.c. perché atto dispositivo in senso proprio, mentre l’art. 524 non avrebbe una qualche sua ragion d’essere. Se poi dovesse accadere che il legittimario, dopo aver rinunciato al legato, non chieda la legittima, allora per i suoi creditori si aprirà il rimedio della surrogatoria. Per quanto infatti il codice utilizzi la congiunzione “e”, niente evidentemente esclude che i due atti vadano disgiunti, per lo meno nel tempo. V., in luogo di tanti, A. BUCELLI, Legato in sostituzione di legittima e diritto al supplemento, in Successioni per causa di morte. Esperienze e argomenti, a cura di V. Cuffaro, Torino, 2015, p. 283.
(33) Così L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit. p. 117.
(34) È questo ad es. l’avviso di F. FESTI, op. cit., p. 654.
(35) Indispensabile ov’anche il legittimario rinunziasse al legato sostitutivo posto che, com’è intuitivo, il suddetto rifiuto non può valere, rispetto alla legittimazione surrogatoria dei creditori, alla stregua di un’intenzione implicita di voler poi procedere all’azione di riduzione. La rinunzia è un atto interlocutorio ed ambivalente, al quale potrebbe pure seguire la scelta di non agire contro il testamento.
(36) Il riferimento è a L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., p. 243, la cui intuizione è ripresa e sviluppata, come poc’anzi ricordato, dallo scritto di F. REALMONTE, op. cit., p. 629 e ss.
(37) Nel senso che l’estensione analogica dell’art. 524, dunque un canone ermeneutico classico, già basta, questo si vuol dire, a tutelare dei creditori illegittimamente pregiudicati. Semmai l’argomento costituzionale dovrebbe servire in negativo, escludendo in altri termini che sia utilmente praticabile un’interpretazione restrittiva dell’art. 524, sia in senso forte che in quella versione debole, di cui tra breve si dirà, proprio sub artt. 551 e 649 c.c. V. infra testo e nt. 42.
(38) Nitidamente F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 201316, p. 489 e ss.
(39) Lo fa notare, con dovizia di argomenti, L. FERRI, Dei legittimari, cit. p. 201. In giurisprudenza adesivamente, donde poi l’esperibilità dell’art. 2901 c.c., Trib. Gorizia, 4 agosto 2003, cit. Altro sarebbe il discorso se la fattispecie implicasse un legittimario chiamato all’eredità ma con pregiudizio della sua quota. Qui, in effetti, se il legittimario ha accettato con beneficio di inventario e nel contempo ha rinunziato all’azione di riduzione, per i suoi creditori personali non c’è altro rimedio che l’actio pauliana, coll’onere però «di provare la frode del debitore»: così L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit. p. 243.
(40) V., rispettivamente, Cass. 3 dicembre 1996, n. 10775, in Rep. Foro it., 1996, voce Successione ereditaria, n. 83 - 84 e Cass., S.U., 12 giugno 2006, n. 13524, cit.
(41) Su tale nozione, che risale Zitelmann, v. L. MENGONI, Dogmatica giuridica, in ID., Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano, 1996, 53 e ss.
(42) Così P. PERLINGIERI - P. FEMIA, Manuale di diritto civile, Napoli, 20147, p. 11 e ss.
(43) Ecco per quale ragione non persuade il rilievo di F. REALMONTE, op. cit., p. 652, per il quale «nessuna tutela sembrano invece avere», proprio per l’ipotesi di un legato in sostituzione della legittima, i creditori di un legittimario che «non rinunci». E la ragione sta tutta nella notazione che «non è … esperibile l’azione revocatoria dal momento che la mancata rinunzia non è atto di disposizione, né risulta possibile agire ex art. 2900 c.c.». Ergo, il danno non sarebbe allora eliminabile. Per qualche utile spunto, seppur incidenter, v. A. PINO, La tutela dei legittimari, Padova, 1954, p. 68 e ss.
(44) Così F. REALMONTE, op. cit., p. 638 e successivamente A. BIGONI - F. GIOVENZANA, «La tutela del creditore personale del legittimario tra surrogatoria, revocatoria ed art. 524 c.c.», in Notariato, 2013, p. 665, riprendendo però un’espressione che si legge in R. NICOLÒ, Surrogatoria - Revocatoria, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1957, p. 10 e 185.
(45) Cfr. F. REALMONTE, op. cit., p. 637.
(46) Lo fanno opportunamente notare A.C. PELOSI, Sub art. 524, in Delle successioni, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, cit. p. 384 s. e V. SCIARRINO, in V. SCIARRINO - M. RUVOLO, La rinunzia all’eredità, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Piero Schlesinger e diretto da Francesco D. Busnelli, Milano, 2008, sub art. 524, p. 266. In giurisprudenza v. Cass. 29 marzo 2007, n. 7735, in Riv. not., 2008, p. 457 e ss. Il riferimento ad una natura ibrida dell’art. 524 già si incontra, per altro, nelle pagine di A. BURDESE - G. GROSSO, Le successioni. Parte generale, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, Torino, 1977, p. 347 e di L. CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte. Parte generale, rist. Napoli, 2011, p. 494.
(47) E notoriamente, tra due interpretazioni utili, è a quella adeguatrice, perché costituzionalmente orientata, che il giudice deve dare la preferenza ed attenersi.
(48) V., puntualmente, A.C. PELOSI, op. cit., 385 (c.vo nel testo).
(49) Come si è fatto puntualmente notare il ricorso all’art. 524 avrebbe il doppio pregio di una «semplificazione dei procedimenti di realizzazione del credito e [di una] riduzione dei tempi necessari per il soddisfacimento dei diritti vantati dai creditori»: così C. GRASSI, op. cit.
(50) Al riguardo viene da pensare che l’estensione analogica dell’art. 524 si svolga in complexu, nel senso che i creditori personali del legittimario beneficino della stessa preferenza che la legge accorda ai creditori del rinunziante rispetto a quelli di «coloro che abbiano acquistato in suo luogo i beni dell’eredità rinunciata» (così F. REALMONTE, op. cit., p. 655). Un’applicazione analogica pro parte difficilmente, d’altro canto, potrebbe trovare una qualche giustificazione plausibile.
(51) In Prinzipien des römischen Rechts, Berlin, 1934, p. 95 e ss. Ce la ricordano, con grande acutezza, C. CONSOLO - T. DALLA MASSARA, Libertà testamentaria, protezione dei figli e deflazione delle liti, in C. CONSOLO, Passeggiate e passacaglie sul confine tra diritto civile e processuale, Milano, 2015 p. 319.
(52) V. TAMPONI, Certezza del diritto e successioni per causa di morte, Napoli, 2015, p. 7 - 60.
(53) Così, compiutamente, L. MENGONI, Successione necessaria, cit., p. 114 e ss. In giurisprudenza, tra le tante, Cass. 15 novembre 1982, n. 6098, in Giust. civ., 1983, I, p. 55.
(54) Il che potrebbe semmai rilevare, in termini di onere della prova, per i creditori danneggiati in quanto, proprio per effetto della risultanza documentale, costoro più agevolmente potrebbero attestare l’esistenza di un accordo fraudatorio diversamente, in carenza cioè di una qualche presunzione, financo iuris tantum, affidata ad una probatio diabolica. Una possibile “via di fuga”, come si vedrà, è costituita dall’immaginare che il legato tacitativo sia esecutivo di un patto successorio, rinunziativo come parrebbe preferibile od obbligatorio ex art. 458 c.c. Sennonché, a tal riguardo, un corposo ostacolo sicuramente rampollerebbe dalla circostanza che, per una giurisprudenza di Cassazione consolidata (v. ex professo Cass., 29 maggio 1972, n. 1702, in Giur. it., 1973, I, 1, c. 1594 e ss., con nota anepigrafa di M. V. De Giorgi), gli estremi del patto ricorrono solo allorquando l’intesa sia idonea a far sorgere un vero e proprio vinculum iuris. E nella specie, ad. es., potrebbe venir facile all’erede opporre che il pregresso della scheda nulla più era che una vaga promessa del testatore di istituirlo legando tacitativamente il legittimario.
(55) V., esemplificativamente, trattandosi di ius receptum, Cass. 22 febbraio 2016, n. 3389 e Cass. 3 dicembre
1996, n. 10775, in Mass. Giust. civ., 1996, p. 1662. Anche qui, insomma, si avrebbe pur sempre un legittimario indebitato che conserva la qualità di chiamato a succedere. Coll’optimum, per i suoi creditori, di vedersi, in entrambe le ipotesi, protetti ex iure.
(56) Giacché, se si sta all’insegnamento della migliore dottrina (v. L. MENGONI, Successione necessaria, cit.), lo status di legittimario, quando la disposizione a titolo universale difetti o cada, viene ad essere assorbita dalla qualità di successibile avente il diritto di conseguire tutta (o una parte) di eredità. Nello stesso senso G. CATTANEO, La vocazione necessaria …, cit., p. 407. In giurisprudenza v. Trib. Cagliari, 18 aprile 1986, in Riv. giur. sarda, 1987, p. 757 e ss., con perspicua nota di A. LUMINOSO, «In tema di legato in sostituzione di legittima». L’interpretazione che contemplasse, nella suddetta ipotesi, un persistere del legato tacitativo unitamente ad una devoluzione dei beni agli altri parenti legittimi, palesemente difetterebbe di un qualche argomento ragionevolmente asseverativo.
(57) V. la fattispecie decisa da Cass., 15 giugno 1999, n. 5918, in Foro it., 2000, I, c. 3295 e ss. Il tutto per la ragione che la rinunzia, in conseguenza della preferenza per il legato, non comporta, come si è cercato di evidenziare, la perdita definitiva dei diritti successori.
(58) V. Cass. 23 febbraio 1982, n. 1114, in Foro it., 1982, I, c. 2545. In dottrina L. MENGONI, Successione necessaria, cit. 246 e S. VOCATURO, «L’azione di riduzione e i creditori del de cuius», in Riv. not., 2001, p. 1244 e ss.
(59) L’aggettivo significativamente si legge in Corte Suprema di Cassazione. Ufficio del Massimario. Rassegna della giurisprudenza di legittimità, 2013, 67.
(60) La valorizzazione della norma costituzionale è marcata nel pensiero di G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2014
(7) . Ancor più scopertamente, per la verità, l’art. 17 della Carta di Nizza statuisce di un diritto dell’individuo di “lasciare [i beni] in eredità”. In giurisprudenza v. Cass. 20 ottobre 2014, n. 22195, in Rep. Foro it., 2014, voce Successione ereditaria, n. 129 e 134, più incline a ritenere che il potere di disporre per via testamentaria soddisfi un’esigenza incentivante la produzione e l’accumulo di ricchezze, destinate altrimenti al mero consumo.
(61) Così C. CONSOLO - T. DALLA MASSARA, op. cit., p. 318.
(62) Cfr. C. CONSOLO - T. DALLA MASSARA, op. cit., p. 324 ed amplius G. PERLINGIERI, «La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva», in Rass. dir. civ., 2013, p. 762 e ss. e V. BARBA, «La nozione di disposizione testamentaria», in Rass. dir. civ., 2013, p. 963 e ss.
(63) Cass. 15 maggio 2013, n. 11737, in Dir. fam. e pers., 2014, 567 e ss., con nota (informativa) di REN. MARINI, «In tema di asserita tacitazione delle ragioni del legittimario».
(64) Né, sempre sotto l’aspetto probatorio, il quadro muta ove la dichiarazione del testatore, come spesso accade, sia affidata ad una forma notarile. La querela di falso si riferirà, infatti, alla provenienza di detta enunciativa dal testatore, mentre rimane libera la prova sulla veridicità del contenuto di quanto dichiarato (art. 2700 c.c.).
(65) Evocativa, è intuitivo, di un conflitto di interessi molto diverso da quello abitualmente sotteso all’azione di simulazione (relativa), di un contratto di scambio oneroso dissimulante un atto di liberalità donativa, solitamente promossa dai legittimari lesi o pretermessi. E non è un caso, come in dottrina si è fatto rilevare, che l’ipotesi stilizzata nel testo «non risulta esser stata presa in considerazione da parte della dottrina»: così V. BARBA, «Azione di simulazione proposta dai legittimari», in Fam., pers. e succ., 2010, p. 440, nt. 12.
(66) V., a tal riguardo, ex multis, Cass. 25 giugno 2010, n. 15346, in Vita not., 2010, I, p. 1497 e ss.
(67) È l’avviso sostenuto da L. V. MOSCARINI, «La donazione tacitativa di legittima», in Vita not., 2000, p. 701 e ss. Contra G. CATTANEO, Imputazione del legittimario, in Dig., disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 357.
(68) Lo fanno correttamente notare, sulla scorta di una preziosa intuizione che, per la verità, è da ascrivere a L. CARIOTA FERRARA, op. cit., p. 555, C.M. MAZZONI, «Accordi successori, donazioni in conto di legittima e successione necessaria», in Riv. dir. priv., 1997, p. 762 e p. 766 e A. BUCELLI, Dei legittimari, artt. 536 - 564, in Il Codice Civile. Commentario Schlesinger-Busnelli, Milano, 2012, p. 403.
(69) Cass. 26 agosto 2002, n. 12474, in Giur. it., 2003, I, p. 1580 e ss., con nota di M. D’AURIA, «Nullità della donazione privativa di legittima e prescrizione dell’azione di ripetizione: effetti sulla formazione e sulla tutela della quota di riserva».
(70) Dal che lo scoperto avallo all’opzione interpretativa che vi vede un patto successorio c.d. rinunziativo.
(71) Cass. 19 novembre 2009, n. 24450, in Dir. fam e pers., 2010, p. 1158 e ss.
(72) Cass. 6 novembre 2008, n. 26746, in Giust. civ., 2009, I, 2384 e ss.
(73) Così C.M. BIANCA, Diritto civile. 2.2. Le successioni
(5) , Milano, 2015, p. 232.
(74) Nello stesso senso, con un periodare per larghi tratti convincente, S. NARDI, Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006, p. 128 e D. ACHILLE, Limiti alla circolazione dei beni di provenienza donativa e rimedi negoziali, in Successioni per causa di morte. Esperienze e argomenti, cit. p. 370.
(75) Per la prima prospettiva si è pronunciato L. FERRI, Dei legittimari, cit., p. 103, mentre la seconda qualificazione è stata coltivata, di recente, da B. CARPINO, «Considerazioni su “nullità” e “non opposizione” in tema di intangibilità della legittima», in Vita not., 1998, p. 5 e ss.
(76) Secondo la (ben nota) sistemazione preferita da L. MENGONI, Successione necessaria, cit., p. 95, differenziante detta inefficacia da quella delle disposizioni lesive in ragione, ecco il plus di tutela, di una sua automaticità escludente l’esigenza di un accertamento giudiziale di tipo costitutivo. Quell’azione di riduzione che rimane necessaria nel caso di legati, ad efficacia reale od obbligatoria, confezionati a carico dell’eredità.
(77) Lo evidenziano, in special modo, G. GAZZARA, Fiducia testamentaria, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1968, p.434; G.F. BASINI, La disposizione fiduciaria, in Tratt. dir. succ. e don., II, La successione testamentaria, Milano, 2009, p. 295 e ss. e B. TOTI, «Disposizione fiduciaria e simulazione testamentaria», in Riv. not., 2010, p. 365.
(78) Sul convincimento che «un ceppo di beni propres meriti di sopravvivere alle generazioni»: così C. CONSOLO - T. DALLA MASSARA, op. cit., p. 322.
(79) Scopertamente per l’eccezionalità si pronunzia L. CARIOTA FERRARA, op. cit., p. 494.
(80) Il riferimento è al contributo di G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, Milano, 1992, p. 41.
(81) V. Postilla, nt. 74.
(82) Il riferimento è alla discussa decisione di Trib. Mantova, 24 febbraio 2011, n. 228, in Giur. it., 2011, p. 2300 (con nota adesiva di G. SGOBBO, «La nullità della fideiussione prestata a garanzia di obbligazioni assunte dal donatario)» ed in Vita not., 2011, p. 735 e ss., ed ivi nota (critica) di P. CASTELLANO, «La presunta invalidità della fideiussione prestata dal donante per l’inadempimento di obbligazioni contratte dal donatario e garantite sui beni donati», il cui recitativo tuttavia, perché possa condividersi, suppone in realtà il corredo di due utili caveat: ci sarà frode infatti, per il vistoso disincentivo dei legittimari pretermessi ad agire in riduzione, quando la fideiussione risulti negoziata sì indemnitatis causa ma non per un qualsiasi inadempimento del donatario-mutuatario nei confronti dell’istituto di credito e senza, dunque, che sia immediatamente azionabile; nel contempo, frode ci sarà se la garanzia ipotecaria involge soltanto beni di provenienza donativa. Difficilmente perciò, allorché si decampi da questo perimetro, il recitativo della corte mantovana potrà mostrarsi persuasivo, per l’elementare ma decisiva ragione che il qualificare come prestata in frode una fideiussione che non copra unicamente il rischio derivante dall’inefficacia dell’iscrizione ipotecaria sul bene donato ex art. 561 c.c., in conseguenza evidentemente dell’esercizio fruttuoso di un’azione di restituzione, avrebbe il significato di ammettere che si pratichi un vulnus molto invasivo alla libertà negoziale. Il tutto senza poi dimenticare che detta pronunzia tiene in non cale una serie (nutrita) di contrappunti normativi: intanto il divieto di pesi e condizioni di cui all’art. 549 suppone una lesione arrecata dal defunto per mezzo di un testamento e, nel contempo, quando risulti che detti pesi gravano sulla quota dei legittimari. Due presupposti che, nella decisione mantovana, non si avevano, in quanto il pregiudizio derivava da un atto inter vivos ed andava piuttosto a conculcare il complesso dei diritti riservati ai legittimari. Donde la sensazione, per evitare il pregiudizio agli (altri) legittimari, che andrebbe preferita una soluzione interpretativa basculante tra una nullità per motivo illecito comune e determinante, ravvisabile nello scopo di dissuadere i legittimari dall’agire in riduzione (così D’AMICO, «La rinunzia all’azione di restituzione nei confronti dei terzo acquirente di bene di provenienza donativa», in Riv. not., 2011, p. 1291, e nt. 54) ed una causa concreta illecita (così D. ACHILLE, Limiti alla circolazione dei beni di provenienza donativa e rimedi negoziali, cit. 369).
(83) Si segnalano, in special modo, Cass. 13 novembre 1979, n. 5893, in Riv. not., 1980, p. 575 e Trib. Napoli, 24 giugno 1998, in Giur. nap., 1998, p. 356 nonché Cass. 16 maggio 2007, n. 11288, in Riv. not., 2008, p. 1152 e ss., con nota di F. ROMOLI, «Brevi cenni sul legato in sostituzione di legittima». Nella giurisprudenza più antica, di particolare interesse è App. Messina, 7 luglio 1955, in Foro it., 1956, I, c. 1969. In dottrina, attentamente, S. PATTI, «La rinunzia al legato in sostituzione di legittima», in Fam., pers. succ., 2006, p. 65 e ss.
(84) Così G. CRISCUOLI, Le obbligazioni testamentarie, Milano, 1985, p. 492 e ss.
(85) Una puntuale disamina dell’annosa querelle, indotta da una formulazione tutt’altro che impeccabile dell’art. 551, si incontra, da ultimo, nella pagina di D. ACHILLE, Legato in sostituzione di legittima e forma della denunzia (in presenza di diritti reali immobiliari), in Studi in onore di Antonino Cataudella, a cura di E. Del Prato, Napoli, 2013, I, p. 9 e ss., al quale si rinvia pure per le copiose note bibliografiche.
(86) V., con serrata argomentazione, U. MORELLO, «Accettazione o preferenza del legato in sostituzione di legittima al coniuge», in Foro it., 1964, I, p. 1210 e ss.
(87) Per inciso, nella controversia decisa da Cass., 18 febbraio 2013, n. 4005, cit., l’accettazione però era stata resa in maniera espressa.
(88) Che, seppur prevalente in dottrina, sconta tuttavia il contrappunto di avallare casi dubbi documentanti un ius poenitendi surrettizio del legittimario, donde la preferenza per un’accettazione che sia espressa: così A. CICU, «Legato in conto o in sostituzione della legittima al coniuge superstite», in Foro pad., 1953, I, c. 137 e ss.; Cass., 11 giugno 1955, n. 1788, in Giust. civ., 1955, I, p. 853 e ss., con nota di G. CASSISA, «Sui limiti del jus poenitendi dell’onorato nel legato in sostituzione di legittima» ed App. Palermo, 30 maggio 1981, in Rass. dir. civ., 1983, p. 533 e ss., con nota di G. D’ASARO, «Acquisto di eredità o di legato ed impugnazione di testamento nullo ovvero, iscrivendolo nella categoria dei negozi di scelta, per un atto giust’appunto di preferenza: v. A. TRABUCCHI, «Forma necessaria per la rinuncia al legato immobiliare e rinuncia al legato sostitutivo», in Giur. it., 1954, I, 1, c. 914 e ss. Per inciso, la mancanza della rinunzia al legato, in quanto condizione dell’azione, si reputa che sia rilevabile officiosamente: v. Cass. 26 gennaio 1990, n. 459, in Giur. it., 1990, I, p. 1252 e ss.
(89) Dando così per esistente un patto col quale il legittimario ha già rinunziato alla maggior frazione della quota di riserva spettantegli ovvero ad agire in riduzione e proprio sul presupposto di un disegno estromissivo c.d. amico, patto questo che “annulla” il rischio di un ripensamento rispetto ad una disposizione testamentaria che, almeno formalmente, ha pur sempre la veste di una «offerta» (così, in modo calzante, App. Milano, 8 luglio 1932, in Mon. trib., 1932, p. 792) del testatore. L’una e l’altra, invero, sono fattispecie iscrivibili a pieno titolo nel disposto dell’art. 458, cpv. 2 c.c. in quanto il legittimario tacitato non è, giova ripeterlo, un chiamato e, onde acquistare la qualità di erede, deve procedere in riduzione. Orbene, se così stanno le cose, è indiscutibilmente vero che la rinunzia preventiva all’azione di riduzione, ovvero alla maggior quota di patrimonio che gli spetterebbe, quoad effectum rileva alla stregua di una rinunzia all’eredità in quanto dismette il diritto del legittimario ad opporre la propria qualità di erede. V. C. CACCAVALE, Contratto e successioni, in Tratt. contr. Roppo, VI, Interferenze, a cura di V. Roppo, Milano, 2006, p. 452. Dunque si avrebbe un legittimario che rinunzia a dei “diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta”, seguita da una liquidazione testamentaria della quota di riserva. Deve, per altro, al riguardo segnalarsi che l’idea di un patto rinunziativo a monte sembrerebbe lasciarsi preferire ad una qualificazione che insistesse viceversa sul modello di un patto successorio obbligatorio. Essenzialmente, di là da tutte le altre perplessità che questa idea pone e di cui tra breve si dirà (v. nt. 74), per due ragioni. Intanto, e da un lato, come un’attenta dottrina ha di recente messo in evidenza, quando la rinunzia preventiva all’azione di riduzione sia confezionata al deliberato ed unico fine di spogliarsi del diritto a divenire erede, «non v’ha dubbio che l’atto debba considerarsi vietato per contrarietà all’art. 458» (così V. BARBA, I patti successori e il divieto di disposizione della delazione, Napoli, 2015, p. 137 e ss.). Poi, e dall’altro, c’è l’argomento che patto successorio obbligatorio e frode non sembrano, almeno prima facie, termini che possano davvero stare insieme. Tutto, in special modo, ruota intorno alla differentia specifica che la nullità del testamento esecutivo di un siffatto patto non si avrà ogni qual volta si riesca a dimostrare che, nonostante il patto, la scheda è stata confezionata spontaneamente a favore della persona designata ex contractu. Dottrina e giurisprudenza sono, al riguardo, concordi su di una validità dedotta dalla circostanza che il patto, in tal caso, non ha vincolato l’ereditando e non ha perciò condizionato la sua libertà di testare. Ora, nell’ipotesi di frode, il legato tacitativo rappresenta uno sciente adempimento dell’intesa la quale, più che come titolo di una valida ed irrevocabile fonte di obbligazione, rileva a mo’ di mezzo per evitare l’aggressione (e la dispersione) del patrimonio relitto. La ratio dell’invalidità/inefficacia si palesa, in altri termini, alquanto diversa perché la disposizione testamentaria attuativa non coarta quanto e piuttosto soddisfa l’intento di un de cuius che spontaneamente ebbe a confezionarla in ragione di un antefatto (il default del legittimario), motivo determinante dell’accordo in frode, in assenza del quale non si sarebbe disposto in quel modo.
(90) Per la quale sembra propendere M. V. MACCARI, «Accettazione del legato in sostituzione di legittima e tutela dei creditori: è possibile esperire l’azione revocatoria ? », in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, spec. p. 834. E v. Trib. Lucca, 2 luglio 2007, in Giur. mer., 2008, p. 738.
(91) V., in luogo di tanti, A. TRABUCCHI, Legato (diritto civile), in Noviss. Dig. it., IX, Torino, 1963, p. 619 e A. CIATTI, La trascrizione degli atti di acquisto a causa di morte, in Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo - G. Perlingieri, Napoli, 20152, II, p. 909.
(92) V. Cass. 25 febbraio 2014, n. 4485, in Foro it., 2014, I, c. 1083 e ss.
(93) V. Cass. 2 febbraio 2016, n. 1996, in Rep. Foro it., 2016, voce Successione ereditaria, n. 8.
(94) V. Cass. 27 giugno 2013, n. 15346, in Vita not., 2010, I, p. 1497 e ss., con nota (informativa) di R.M. PICCOLO, «La rinuncia al legato “tacitativo”», ove poi la statuizione che il legittimario rinunziante ha diritto a domandare in natura la sua parte dei beni mobili ed immobili componenti l’eredità ex art. 718 c.c. E, già prima, Cass., S.U., 29 marzo 2011, n. 7098, in Vita not., 2011, p. 986 e ss.
(95) Così G. IUDICA, «Il legato in conto di legittima nel sistema dei legati in favore del legittimario», in Familia, 2003, p. 288.
(96) V., per un’applicazione in tema di data falsa (per ragioni che esulano dal disposto dell’art. 602, comma 3, c.c.), G. BRANCA, Dei testamenti ordinari, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1986, p. 88.
(97) Le norme sull’annullabilità assoluta, è l’assunto abituale in dottrina (v., per tutti, G. GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, p. 204 e ss.), non è che abbiano un oggetto diverso da quello che è proprio dell’annullabilità nella sua veste normale: è che, si fa notare, con la morte del testatore, viene a mancare la sola persona che potrebbe decidere discrezionalmente se caducare o conservare una scheda formatasi in modo anomalo. Donde il conferimento del potere di impugnare a chi, con l’attuare il proprio interesse si fa pure strumento indiretto per [la tutela] della voluntas testantis. Nel dettaglio, soltanto: i successibili ex lege, non esclusi i legittimari in quanto interessati a vedersi riconoscere una quota maggiore loro spettante per effetto di una successione ab intestato, nonché gli eredi testamentari successivamente pretermessi o che potrebbero ottenere di più dall’operare di una successione legittima, con l’aggiunta - volendo - degli enti, pubblici o privati, chiamati a curare la devoluzione dei beni ex art. 630 nonché del terzo contraente quando il contratto stipulato col testatore - es. una locazione - ammetta il subingresso dell’erede nel rapporto obbligatorio. Nulla esclude, d’altra parte, una legittimazione degli stessi istituiti nel testamento invalido ove una delle clausole risultasse inficiata per vizio della volontà (erede v. legatario e viceversa). Sono tutte persone, vien fatto rilevare, che si possono ben dire titolari, nel segno di una formula consolidata, di quell’interesse «derivante da un diritto che sorgerebbe per effetto dell’annullamento» (così, notoriamente, A. CICU, Il testamento, Milano, 1951, p. 100. In giurisprudenza si veda App. Bari, 14 gennaio 1948, in Dir. giur., 1949, p. 315 e, a seguire, R. TOMMASINI, voce Annullabilità e annullamento, II (diritto privato), in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1991, p. 10 nonché M. FRANZONI, Dell’annullabilità del contratto, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1997, p. 19). Quell’interesse, si chiosa, che non possono certo dire di vantare i creditori: che, vien evidenziato, per realizzare la loro pretesa patrimoniale necessitano comunque del successivo concorso di altre vicende (l’accettazione dell’eredità ed il difetto medio tempore di atti dispositivi). Il ragionamento non cambia, sia detto per inciso, quando si mette in rilievo che la titolarità plurima all’impugnativa soddisfa «solo in via mediata» l’interesse, patrimoniale e non, della persona cui il potere di domandare l’annullamento è riconosciuto: perché, si faccia ben attenzione, in tanto è sostenibile che l’interesse subiettivo del terzo impugnante abbia una natura ancillare in quanto si connoti l’annullabilità assoluta nei termini di una tecnica remediale servente ad un interesse oggettivo superiore (cfr., e pure per le citazioni che seguono, G. PIAZZA, «Giudicato di rigetto dell’annullamento di testamento per incapacità naturale e decorrenza del termine di prescrizione per altro legittimato alla stessa azione», in Dir. giur., 1982, p. 984 e ss., spec. 990):da un lato, infatti, questo interesse si dice che ha di mira il caducare una scheda confezionatasi «in condizioni di anormalità»; dall’altra, nel selezionare i soggetti legittimati all’impugnativa, si fa menzione solo di coloro che, dal caducarsi della scheda, possono ricavare un risultato (successorio) apprezzabile. E se, per usare il lessico di questa dottrina, è solo un risultato siffatto che traccia e delimita la «direzione soggettiva di efficacia» della fattispecie costitutiva del diritto di impugnare, non v’è modo di immaginare una legittimazione assoluta che non si declini nei termini di una tipicità enumerativa di stampo restrittivo. Se non altro, si fa notare, ragionare così assicura l’(innegabile) vantaggio sistematico di estrapolare, dal dato edittale, un sicuro elemento di demarcazione tra nullità ed annullabilità anche nel testamento. Per altro, si è provato ad evidenziare la problematicità/ opacità di detta impostazione, per chi lo voglia, in S. PAGLIANTINI, Gli statuti normativi del testamento annullabile, in Diritto delle successioni e delle donazioni, cit. p. 1006 e ss.
(98) V., con l’abituale lucidità, G. GABRIELLI, «L’oggetto della conferma ex art. 590 c.c.», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, I, p. 1420.
(99) Un’attenta disamina, in chiave sistematica, sensibile alle molteplici problematicità di un dato costituzionale da vedersi nel suo insieme, si legge, di recente, in G. PERLINGIERI, «Invalidità delle disposizioni “mortis causa” e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia», Dir. succ e fam., 2016, p. 119 e ss.
(100) Per le due contrapposte letture, d’obbligo è il richiamo a due coppie di interpreti, rispettivamente P. RESCIGNO, Introduzione al codice civile, Roma-Bari, 19922, p. 93 s. e M. BIN, La diseredazione. Contributo allo studio del testamento, Torino, 1966, p. 254 e ss., A. TRABUCCHI, «L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative», in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 45 e ss. e L. BIGLIAZZI GERI, Successioni testamentarie, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, p. 124 e ss. Per di più, a volersi porre nella prospettiva di un sindacato di validità, perché allora non adombrare l’idea di un testamento nullo per illiceità della causa, ma non in via diretta bensì attraverso il medio della frode alla legge (art. 1344), nella specie il disposto dell’art. 458 c.c., sul sottinteso che si tratti di una scheda confezionata in esecuzione di un accordo fraudatorio avente lo stigma di un patto successorio obbligatorio? Se dovesse infatti convenirsi sull’idea che la ratio dell’art. 1344 si risolve in un «allargamento, nella materia negoziale, del tradizionale istituto dell’analogia» (così G. D’AMICO, Libertà di scelta del tipo contrattuale e frode alla legge, cit., p. 90, c. vo nel testo), perché non ammettere che l’accordo fraudatorio tra testatore e legittimario estenda il perimetro della norma elusa, l’art. 458 c.c., ad una fattispecie che questa non contempla espressamente? Sarebbe, insomma, come se la frode innescasse un’ipotesi di concorso apparente di norme (v. U. MORELLO, Frode alla legge, Milano, 1969, p. 279 e ss.): e dunque riduzione teleologica della portata applicativa della norma permissiva (art. 551, comma 2 c.c.) ed estensione di quella limitativa (art. 458). L’eventuale replica, l’art. 1344 è disposizione di esclusiva pertinenza della materia contrattuale e l’espansione dell’art. 458 avverrebbe in deroga al principio che vuole le norme proibitive applicabili alle sole fattispecie che espressamente includono, dovrebbe fare i conti col contrappunto: a) che l’art. 1324 è sistemicamente idoneo a vincere la lettera preclusiva dell’art. 1344 e b) che il proprium della frode come allargamento dell’analogia è stilizzato, da chi lo ha suggerito (G. D’AMICO, op. ult. cit., p. 63 e ss.), a guisa di una tecnica che è sì in deroga ma non al disposto dell’art. 14 delle Preleggi quanto e piuttosto all’idea che possa darsi un’integrazione analogica nei soli casi di una lacuna. Lacuna che, soccorrendo l’enunciato dell’art. 551, comma 2 c.c., qui non vi sarebbe epperò, sul presupposto che, quando il legislatore vieti un certo risultato, individua soltanto «la forma più immediata e tipica», e ciò non foss’altro per la ragione di una fungibilità manifestativa che può darsi per qualsiasi volontà negoziale, quel che qui operativamente verrebbe a profilarsi sarebbe una vis attractiva del risultato vietato legittimante il giudice a «”superare” la forma (negoziale) posta in essere» (c. vo nel testo). Cioè un art. 458 che prende il posto dell’art. 551, comma 2 c.c. atteggiandosi la frode alla legge come una clausola generale che funge da norma di chiusura, assorbendo i casi che sfuggono ad una diretta contrarietà alla legge. Con un però, per la verità, tutt’altro che di complemento. Premesso infatti che la nullità, di cui si farebbe qui questione, andrebbe annoverata nel genus della c.d. nullità sospesa (v. art. 1349, comma 2 c.c.), visto che l’illiceità si perfezionerebbe soltanto al mancato verificarsi della condizione risolutiva della mancata rinunzia, va chiarito che l’immagine rifratta da un art. 458 ultrattivo incoccia in almeno due obiezioni: che la frode di cui qui si dibatte è, ed in senso proprio, in danno dei creditori, il che dovrebbe preludere al rimedio di un’inefficacia successiva, la quale, come si sa, è vicenda che tendenzialmente suppone una piena validità della clausola cui accede. Inoltre potrebbe porsi il problema di una coerenza rimediale del dato normativo. Sub art. 626 c.c. la nullità è normativamente subordinata alla doppia circostanza che il motivo illecito sia l’unico e risulti dalla scheda, con l’effetto che, laddove uno dei due presupposti concorrenti difetti, la disposizione, sebbene indotta da una ragione illecita, rimane giudizialmente insindacabile. V., a mo’ di exemplum, Cass., 6 aprile 1992, n. 2695, in Rass. dir. civ., 1994, p. 806 e ss. In dottrina si è, da ultimo, prospettato il caso dell’istituzione dei figli di un amico, limitatamente ai tre di orientamento eterossessuale mentre non si fa menzione nella scheda del quarto, la cui omosessualità sia conclamata. Ove il testatore non abbia affidato tale preterizione ad una clausola condizionale ovvero non abbia motivato per iscritto la ragione sottostante all’istituzione dei primi tre, difficilmente un’eventuale impugnativa ex art. 626 potrà sortire un qualche risultato utile. Ergo, si fa notare, la libertà di autodeterminazione del testatore «potrà avere la certezza di sottrarre il processo formativo delle proprie scelte alla valutazione del giudice semplicemente non motivandole nel testamento stesso» (così A. G. CIANCI, Diritto privato e libertà costituzionali, Napoli, 2016, p. 174). Ebbene, servendosi del disposto dell’art. 1344, accadrebbe il contrario nell’ipotesi di frode ai creditori dove, perfezionatosi il solo presupposto che il legittimario indebitato aderisca al legato, si avrebbe una nullità che opera automaticamente. Il che, non foss’altro per il differente grado di antigiuridicità predicante le due fattispecie, non sembra un esito interpretativo che soddisfi quanto meno il canone della ragionevolezza. Di qui, si torna a ribadirlo, la preferenza per un’applicazione analogica dell’art. 524 c.c.
(101) Per la differenza tra i due tipi di legati, da ultimo, v. A. ZACCARIA, Legati “in conto” e “in sostituzione” di legittima, in Studi in onore di Giovanni Iudica, Milano, 2014, p. 1477 e ss.
(102) Così S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, cit. p. 362.
(103) Per un caso nel quale detta motivazione risulta invece apertamente verbalizzata v. Cass. 18 aprile 2000, n. 4971, in Giur. it., 2001, 1, p. 32 e ss. («essendo evidente l’intenzione di Grossi Ugo di nominare erede universale il solo figlio Manlio Enrico, in considerazione della dichiarata ragione che era il solo che l’aveva sempre curato ed assistito, lasciando, quindi, in netta contrapposizione con questa prima e sola disposizione a titolo universale, alle figlie Caterina e Annamaria il solo legato della casa sempre occupata e goduta (senza curarsi di lui), a tacitazione di ogni altra loro ragione, censurandone il comportamento anche per non aver mai pagato alcunché per l’affitto», c. vo aggiunto). Di questa mutevolezza ne avevano piena contezza, sotto il codice previgente, C. GANGI, I legati nel diritto civile italiano. Parte generale, Padova, 1933, I, p. 394 e ss. e L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 19473, p. 261, la cui disamina è puntualmente ripresa ed aggiornata adesso da A. BUCELLI, Dei legittimari, cit. p. 370.
(104) Come si legge nella scheda che ha occasionato Cass. 16 gennaio 2014, n. 824, in Rep. Foro it., 2014, voce Successione ereditaria, n. 133 e 140. Per inciso, allorché il legato tacitativo sia pari o di poco inferiore alla quota di legittima, tendenzialmente il conflitto che si instaura non è tanto tra il legittimario ed i suoi creditori quanto e piuttosto tra costui e gli istituiti ex testamento (ed i donatari): per la banale ragione che, minacciando una rinunzia prodromica all’esercizio della domanda di riduzione, siccome questa è trascrivibile ai sensi degli artt. 2652, comma 1, n. 8 e 2690, comma 1, n. 5, c.c., costui può confidare sulla possibile utilità di conseguire transattivamente un surplus rispetto alla quota di riserva. Gli è infatti che, proprio in ragione di detta trascrivibilità, gli istituiti (ed i donatari) rischiano di ritrovarsi proprietari di beni che, potendo il relativo titolo divenire inefficace giudizialmente, risulteranno di fatto incommerciabili per un cospicuo lasso di tempo.
(105) Secondo una lettura mengoniana (v. Successione necessaria, cit. p. 128) dell’art. 551, comma 2 che intende il “non si applica” di legge come una facoltà (il quod deest), riconosciuta dal testatore, da soddisfarsi con lo stesso tipo di beni che sono oggetto del legato. Il tutto sulla scorta della premessa che il legittimario avvantaggiato dalla c.d. clausola suppletoria, diversamente dall’erede, non diviene parte della comunione ereditaria: e non ha, per ciò stesso, diritto ad una quota composta da una frazione di tutti i beni componenti l’asse ereditario. Sulla questione v. da ultimo, in termini adesivi, A. ZACCARIA, Legati “in conto” e “in sostituzione” di legittima, cit. p. 1481 e ss. Per la verità, e qui il discorso si fa oltremodo sofisticato, quando il testatore voglia ovviare al rischio di un legittimario che rinunzi al legato, potrà, se del caso, confezionare la scheda prevedendo nel contempo un assegno divisionale qualificato ex art. 734 c.c. Col passaggio in giudicato della sentenza che accoglie la domanda di riduzione, si avrà infatti che il legittimario rinunziante otterrà pur sempre lo stesso bene, con inoltre la (possibile) variabile di un conguaglio a suo vantaggio (od a suo carico).
(106) Ed è sintomatica al riguardo Cass. 20 luglio 1954, n. 2599, in Giust. civ., 1954, I, p. 1802
(107) Così, pure per la citazione che segue, A. BUCELLI, Legato in sostituzione di legittima e diritto al supplemento, cit. p. 300.
(108) V., per tutti, N. LIPARI, «Intorno ai “principi generali del diritto”», in Riv. dir. civ., 2016, p. 28 e ss.
(109) Così V. CUFFARO, Le regole della successione, in Successioni per causa di morte. Esperienze e argomenti, cit. p. 114, ove poi la (corretta) notazione che i creditori personali dell’erede neanche potrebbero sostituirsi al chiamato invocando l’art. 2900 c.c.
(110) E dei legatari: v. Cass. 23 febbraio 2004, n. 3546, in Riv. not., 2004, p. 1579 e e ss. ed in Foro it., 2004, I, c. 1422 e ss. (ove altri richiami redazionali).
(111) Lo si legge, seppure con una differenza di accenti e toni, in A. CICU, L’obbligazione nel patrimonio del debitore, Milano, 1948, p. 61, intuendo un discorso su cui si diffonde poi L. COVIELLO JR, Diritto successorio. Corso di lezioni, Bari, 1962, p. 515 e nt. 44. Di contrario avviso è G. PERLINGIERI, L’acquisto dell’eredità, in Diritto delle succesioni e donazioni, cit., p. 384
(112) Così G. PERLINGIERI, op. ult. cit., p. 384, cui mostra di aderire V. VERDICCHIO, Rinunzia all’eredità e diritti dei creditori, in Successioni per causa di morte. Esperienze e argomenti, cit. 181.
(113) Notoriamente uno dei Leit motiv della ricerca di F. COSENTINO, «Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazione dell’autonomia dei privati», in Quadrimestre, 1993, p. 119 e ss.
(114) Così C. CONSOLO - T. DALLA MASSARA, op. cit., p. 322.
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