L’ordine pubblico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
L’ordine pubblico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
di Giuseppe Salmè
Già Presidente di sezione, Corte di Cassazione

L’ordine pubblico nei rapporti internazionali: origini storiche ed evoluzione normativa

Pur non essendo questa l’occasione più opportuna per ripercorrere diffusamente le vicende storiche dalle quali nascono le esigenze che il concetto di ordine pubblico nelle relazioni internazionali ha cercato di soddisfare - vicende che coinvolgono processi di ampia portata come la crisi dell’impero romano di occidente, la nascita prima dei comuni e delle signorie e poi degli stati nazionali e l’avvento dell’illuminismo, per arrivare alla crisi delle due guerre mondiali e alla nascita delle grandi organizzazioni internazionali e delle convenzioni universali - la lettura consapevole della stretta attualità giurisprudenziale si può certo giovare di un sia pur rapidissimo cenno ad alcune di tali esigenze di fondo.
La rottura dell’unità giuridica del mondo occidentale, con la conseguente crisi della funzione unificante del diritto comune di derivazione romanistica e l’avvento degli statuti di ordinamenti particolari (potestatem superiorem non recognoscentes), anche se non fece venir meno immediatamente la consapevolezza di appartenere a una civiltà giuridica comune, rese difficile trovare risposte alla insuperabile esigenza di uniformità di disciplina giuridica di alcuni istituti nello spazio (G. BARILE). Dunque esigenza di universalità di disciplina, da un lato, ma anche aspirazione alla tutela delle identità giuridiche e istituzionali nascenti, hanno spinto a elaborare regole che, senza impedire la circolazione delle soluzioni giuridiche condivise, evitassero di mettere in pericolo le identità statutarie prima e statuali dopo.
Omettendo allora il richiamo ad alcune più articolate esperienze normative possiamo ricordare che già il Code Napoléon (art. 6) stabiliva che «On ne peut déroger, par des conventions particulières, aux lois qui intéressent l’ordre public et les bonnes moeurs», Analogamente il c.c. del 1865, dopo aver dettato alcune regole di diritto internazionale privato disponeva (art. 12 disp. prel.): «Non ostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi, gli atti e le sentenze di una paese straniero, e le private disposizioni e convenzioni potranno derogare alla leggi proibitive del regno che concernano le persone, i beni o gli atti, né alle legge riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon costume». Si afferma quindi il carattere normativo del limite dell’ordine pubblico, nel senso che tale limite deriva non dalla necessità di garantire indistinte esigenze della coscienza sociale di una determinata comunità statuale, ma da quella di impedire ogni deroga nell’applicazione di norme e principi essenziali.
Di tenore pressoché identico è anche l’art. 31 delle disp. prel. al c.c. del 1940 («Non ostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualsiasi istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume»).
Era pacifica, all’epoca dell’entrata in vigore del codice e negli anni successivi, l’opinione dottrinaria (Ago, Morelli, Balladore Pallieri e più di recente Mosconi e Campiglio) che scopo dell’ordine pubblico, come limite all’applicazione delle norme di Dip, era la tutela dell’identità e della coerenza interna dell’ordinamento, così come ricorrente era la distinzione tra ordine pubblico interno, inteso come complesso di norme non derogabili dalle convenzioni private (ma eventualmente derogabili dalle norme straniere richiamate dalle disposizioni di Dip) e ordine pubblico internazionale, da intendere (non tanto come norme, quanto) come principi inderogabili dalle norme straniere che sarebbero applicabili per effetto del funzionamento delle norme di Dip.
Elementi di evoluzione del concetto possono essere evidenziati fin dall’entrata in vigore della Costituzione, la cui ispirazione universalistica e, comunque, aperta ai rapporti con gli ordinamenti internazionali e sovranazionali è resa manifesta dagli artt. 10, 11 e 117, comma 1 (come modificato con l’art. 3 della legge cost. 3/2001), anche se, come si vedrà tra breve, tale evoluzione, colta da una buona parte della dottrina (BARILE), non si traduce in un uniforme e costante orientamento giurisprudenziale ma solo in una dialettica tra aspirazioni identitarie e aspirazioni universalistiche. L’art. 16 della legge n. 218 del 1995 («1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico. 2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana»), abrogando l’art. 31 delle disp. prel. al c.c., consente, innanzi tutto di superare la rilevanza alla tradizionale distinzione tra ordine pubblico interno e internazionale, nel senso che l’inderogabilità di alcune norme di ordine pubblico da parte delle private convenzioni è data per scontata, anche perché espressamente disciplinata dalle norme sui contratti, e non è più contemplata nella stessa disposizione che prevede il limite dell’ordine pubblico all’applicazione delle norme di Dip, Cade pertanto il riferimento anche il limite del buon costume che, come l’ordine pubblico interno, condivideva natura e funzione. La distinzione tra ordine pubblico interno e internazionale non compare neppure negli articoli 64 e 65 della legge n. 218.
Tuttavia una parte della dottrina ritiene che anche nel mutato contesto normativo possa ancora avere un senso la distinzione tra ordine pubblico interno e internazionale per distinguere identificare i limiti all’applicazione del diritto straniero che derivano dalle esigenze di salvaguardia dei valori fondanti dell’ordinamento interno e quelli che invece derivano dalla necessità di far salvi i principi che derivano da fonti sovranazionali. Vengono a tal fine in considerazione i principi della Dichiarazione Onu del 1948 sulla tutela dei diritti inviolabili, la Convenzione del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, e, ovviamente la Convenzione di Roma del 1950 e la Carta di Nizza, ormai parte integrante del Trattato sull’Unione. Si tratta di valori condivisi quindi con la generalità degli ordinamenti statali e che da tale condivisione trovano ragioni per la loro cogenza.
Di recente è stata avanzata la tesi che all’interno dell’Unione europea l’applicazione del limite dell’ordine pubblico nei rapporti tra gli stati membri, che debbono essere ispirati alla reciproca fiducia, rende impossibile o quanto meno estremamente difficile il funzionamento di tale limite. Espressione di tale tendenza è il regolamento 44/2201, sulla competenza, il riconoscimento e esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, il quale prevede che il limite possa essere applicato solo su istanza di parte.
Sulla nozione di ordine pubblico comunitario rinvio alla relazione dell’avv. Barone.
Rimane il problema sul quale la dottrina (ma anche la giurisprudenza) è divisa consistente nel decidere se sussista contrarietà all’ordine pubblico solo quando l’applicazione della norma straniera si ponga in contrasto con la tutela dei diritti fondamentali condivisi dalla generalità degli stati, ovvero se, oltre a tale ipotesi si possa porre comunque un limite all’applicazione del diritto straniero anche a salvaguardia di principi giuridici ritenuta essenziali nell’ordinamento interno, pur se non condivisi dalla generalità degli Stati.
L’art. 16, inoltre, risolve in modo espresso altri due risalenti problemi: a) la contrarietà all’ordine pubblico riguarda gli effetti dell’applicazione delle norme straniere richiamate da quelle di Dip e non l’astratta applicabilità; b) quando la norma straniera applicabile in virtù delle norme di Dip non possa essere applicata per contrarietà all’ordine pubblico, non è immediatamente applicabile la lex fori, come per effetto della forte vocazione identitaria si sosteneva in dottrina, dovendosi prima verificare se sia possibile ricorrere ad altra legge straniera applicabile in virtù di un criterio di collegamento diverso da quello richiamato in prima battuta.
Il limite dell’ordine pubblico è previsto oltre che dalle norme interne richiamate dalle convenzioni e nei regolamenti comunitari sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma 1, art. 21), alle obbligazioni extracontrattuali (Roma 2, art. 26 ), alle obbligazioni alimentari (reg. n. 4/2009 art. 24), al divorzio e alla separazione (reg. n. 1259/2012, art. 12) e in materia successoria (art. 35, reg. n. 650/2012 ), nelle convenzioni sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere (Bruxelles 1 e 1-bis) . In molte convenzioni e regolamenti comunitari si richiede che la contrarietà all’ordine pubblico sia manifesta. La mancata previsione di tale carattere nelle nostre norme interne di Dip viene ritenuta priva di effettivo significato giuridico.

La giurisprudenza di legittimità: dalla tutela dell’identità dell’ordinamento interno alla garanzia dei principi di tutela dei diritti fondamentali e dei valori condivisi dalla comunità internazionale

Si deve innanzi tutto ricordare che la corte costituzionale ha da tempo affermato (sentenza n. 18 del 1982, avente ad oggetto il procedimento per il riconoscimento dell’efficacia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario) la regola dell’indefettibilità, sul piano costituzionale, del controllo giudiziario sulla non contrarietà delle sentenze straniere all’ordine pubblico processuale (che garantisce alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti) e sostanziale.
Nell’individuazione dell’esatta nozione di ordine pubblico può identificarsi un’evoluzione della giurisprudenza di legittimità che accompagna a grandi linee l’evoluzione dottrinale e normativa.
La giurisprudenza più risalente (Cass. n. 818/1962, 3881/1969) era molto più sensibile alle esigenze di tutela dell’identità giuridica nazionale che a quella di uniformità della disciplina giuridica nello spazio e quindi alla circolazione delle discipline di fonte straniera oltre le frontiere nazionali. Affermava che il concetto di ordine pubblico non va inteso in senso internazionale, astratto e universale, ma trova il suo limite nell’ordinamento giuridico nazionale e mira ad assicurare, in ogni caso, il rispetto dei più elevati ed essenziali interessi del predetto ordinamento.
Ma già negli anni duemila si afferma e stabilizza l’orientamento secondo cui i principi di ordine pubblico si identificano nei principi fondamentali della nostra costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale:
- Cass. n. 22332/2004, secondo la quale non si pone in contrasto con l’ordine pubblico un contratto individuale di lavoro che, soggetto alla legislazione straniera secondo le prescrizioni di diritto internazionale privato, non riconosca allo stesso lavoratore la tredicesima mensilità e il Tfr, sempre che lo stesso lavoratore goda di fatto di un trattamento retributivo che globalmente risulti superiore a quello cui avrebbe diritto secondo la legislazione nazionale sulla cui base rivendichi i suddetti emolumenti;
- Cass. n. 4040/2006, che ha escluso la contrarietà a ordine pubblico della disciplina straniera che non preveda la garanzia del divieto di interposizione (peraltro medio tempore abrogata anche nell’ordinamento interno);
- Cass. n. 19405/2013, che ha dichiarato contraria all’ordine pubblico l’applicazione nell’ordinamento italiano dell’art. 1327 ABGB (codice civile austriaco), che limita il risarcimento in favore dei congiunti di persone decedute a seguito di fatto illecito al solo danno patrimoniale ed esclude la risarcibilità del danno cosiddetto parentale, venendo in rilievo l’intangibilità delle relazioni familiari, ossia un valore di rango fondamentale, riconosciuto anche dall’art. 8 Cedu e dall’art. 7 della carta di Nizza, per il quale il risarcimento rappresenta la forma minima ed imprescindibile di tutela;.
- Cass. n. 4545/2013, secondo la quale costituisce principio di ordine pubblico quello secondo cui il licenziamento del lavoratore subordinato è legittimo solo se giustificato; ciò sulla base sia degli art. 4 e 36 Cost., i quali escludono che il diritto al lavoro sia affidato al mero arbitrio del datore di lavoro, sia dell’art. 30, par. 1, della carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea;
- Cass., S.U., n. 16379/2014, che, risolvendo il contrasto insorto all’interno della prima sezione, ha definitivamente chiarito che la convivenza «come coniugi» è elemento essenziale del «matrimonio- rapporto» e pertanto, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di «ordine pubblico italiano», ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per vizio genetico del «matrimonio-atto».
Di recente si va affermando, col dissenso di una parte della dottrina, un ulteriore criterio di accertamento dell’esistenza dei principi di ordine pubblico che valorizza l’intensità del rapporto della fattispecie concreta con la lex fori, nel senso che se tale fattispecie presenta forti elementi di estraneità, perché il rapporto giuridico al quale inerisce è totalmente assoggettato alla disciplina dell’ordinamento straniero nel cui ambito spaziale è sorto e si è interamente svolto, la contrarietà a principi di ordine pubblico (nella specie diritto al trattamento di fine rapporto: Cass. 9067/2013) va accertato con minor rigore rispetto alle fattispecie in cui tali elementi di estraneità siano meno consistenti.

L’ordine pubblico interno e internazionale; sostanziale e processuale; l’ordine pubblico comunitario: rinvio

È orientamento pacifico e costante della Corte di Cassazione che l’ordine pubblico interno, come complesso di norme e principi inderogabili da parte delle private convenzioni, è concetto diverso dall’ordine pubblico internazionale, nel senso che non tutti i principi e le norme inderogabili di diritto interno costituiscono anche limiti all’applicazione del diritto straniero, ma solo se, e nella misura in cui, abbiano le caratteristiche individuate nel paragrafo precedente.
Quanto all’ordine pubblico processuale, si afferma (Cass. n. 17519/2015) che in tema di riconoscimento di sentenze straniere, il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell’ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, con la precisazione che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo, ponendosi in contrasto con l’ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non ove investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie, come è confermato dalla giurisprudenza comunitaria (corte di giustizia 2 aprile 2009, causa C-394/2007) secondo la quale il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo. In particolare, Cass. n. 7613/2015 ha affermato che l’ordine pubblico italiano non osta al riconoscimento delle astreintes previste in altri ordinamenti (nella specie, in quello belga), trattandosi di misure dirette ad attuare una pressione sul debitore perché adempia. Del pari, Cass. n. 13928/1999 ha ritenuto che la mancata assunzione per rogatoria di testi residenti all’estero e l’omessa motivazione sulla mancata ammissione di consulenza tecnica non integrano violazione di principî di ordine pubblico, rimanendo irrilevanti le modalità di regolamentazione del diritto di difesa in relazione ai singoli atti istruttori. E Cass. n. 16978/2006 ha stabilito che non può considerarsi contraria all’ordine pubblico italiano la sentenza resa all’esito di un procedimento nel quale le modalità di notificazione o comunicazione dell’atto introduttivo del giudizio, ancorché difformi da quelle previste dalla legge italiana, siano state effettuate nel rispetto della normativa straniera e non abbiano comportato la violazione dei diritti fondamentali della difesa (nella specie, la comunicazione era avvenuta con plico raccomandato in luogo diverso dalla residenza del destinatario e l’avviso di ricevimento era stato sottoscritto da persone qualificatesi come parenti).
Invece, Cass. n. 17463/2013, ha ritenuto che non è riconoscibile una sentenza dell’alta corte di Asmara di dichiarazione giudiziale della paternità resa in violazione dei principi di ordine pubblico processuale, poiché la conoscenza dell’azione da parte dei soggetti legittimati passivamente era stata perseguita tramite una procedura che, pur rispettosa formalmente delle regole vigenti nel paese in cui il processo è stato celebrato, e consistente unicamente nella pubblicazione della notizia della fissazione dell’udienza in un quotidiano eritreo, non risultava adeguata a consentire che l’atto introduttivo del giudizio entrasse nella sfera di conoscibilità dei suoi destinatari, residenti in Italia.

Le norme di applicazione necessaria

Non solo concettualmente diversa dalla nozione di ordine pubblico, ma del tutto estranea alla problematica del funzionamento del sistema di Dip, all’interno del quale la nozione di ordine pubblico si colloca è il concetto di norma di applicazione necessaria, oggi espressamente previsto dall’art. 17 della legge n. 218 del 1995 (1. È fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera.) Cass. n. 3646/2013, definisce norme di applicazione necessaria quelle che escludono l’operare stesso delle norme di conflitto di diritto internazionale privato, in quanto devono essere applicate anche quando, sulla base di queste ultime, dovrebbe essere applicato il diritto straniero. Si potrebbe dire che sono assolutamente inderogabili, ben più di quelle che lo siano per il rispetto dell’ordine pubblico interno. Esse si caratterizzano per essere poste dal legislatore statale al fine di tutelare interessi fondamentali dell’ordinamento sia imponendo espressamente l’applicazione necessaria di regole materiali interne, sia facendo desumere tale applicazione necessaria dal fatto che la norma tutela in via prioritaria valori, volta a volta, ritenuti essenziali ed irrinunciabili dell’ordinamento e della comunità statale. L’art. 17 sottolinea che le norme di applicazione necessaria definiscono direttamente il proprio ambito di applicazione nello spazio in ragione del loro oggetto e del loro scopo, sicché può anche dirsi che siano tali soltanto quelle norme che siano «spazialmente condizionate e funzionalmente autolimitate» (così Cass. S.U. n. 14650/11), cioè che delimitano la loro efficacia nello spazio in ragione dell’oggetto e dello scopo perseguiti.

Applicazioni specifiche del limite dell’ordine pubblico

Diritto di famiglia

È stata già richiamata Cass., S.U., n. 16379/2014, in tema di limiti di ordine pubblico alla delibazione di sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio.
Cass. n. 1739/1999, ha affermato che la circostanza che la legge islamica consenta la poligamia e preveda l’istituto del ripudio non impedisce, sotto il profilo dei limiti dell’ordine pubblico e del buon costume di cui al previgente art. 31 disp. sulla legge in generale, che la cittadina somala, la quale abbia contratto con un italiano matrimonio celebrato in Somalia secondo le forme previste dalla lex loci, faccia valere dinanzi al giudice italiano i diritti successori derivanti dal matrimonio medesimo. In tal caso, infatti, il giudice deve porre in disparte la regola di conflitto competente e fare spazio alla norma di applicazione necessaria nei limiti che essa stabilisce, i quali possono essere esplicitati nella norma medesima oppure risultare dal richiamo di una serie di altre norme del foro cui viene attribuita la precedenza.
In tema di ripudio, Cass. n. 3881/1969 ha ritenuto che, se, a seguito della ratifica della convenzione dell’ Aja, l’istituto del divorzio non può ritenersi contrario ai principi di ordine pubblico, stante la riconosciuta possibilità di dichiarare efficaci in Italia le sentenze straniere di divorzio relative a matrimoni civili contratti da cittadini stranieri, non si concilia, tuttavia, con i principi stessi l’efficacia di una dichiarazione unilaterale di ripudio comunque resa dal marito e comunque ricevuta e certificata dal pubblico ufficiale straniero, in quanto essa conduce allo scioglimento del matrimonio non per cause predeterminate dalla legge ed accertabili nell’effettivo contraddittorio di entrambi i coniugi, ma per mera volontà discrezionale del marito stesso.
Ispirata a una forte esigenza di tutela dell’identità giuridica dell’ordinamento appare la non recente Cass. n. 798/1977 (che non risulta sia stata seguita da altre decisioni conformi) la quale ha affermato che anche dopo il venir meno del principio dell’indissolubilita del matrimonio per effetto della legge n 898 del 1970, sono ancora ravvisabili nel nostro ordinamento altri principi di ordine pubblico che possono limitare l’ambito della delibabilità delle sentenze straniere di divorzio. Tali principi fondamentali e inderogabili si identificano nei valori essenziali che le norme costituzionali e ordinarie tendono a tutelare nel matrimonio, come quello della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, quello della unità familiare, intesa come stabile comunione spirituale e materiale tra i componenti della famiglia e quello della responsabilità dei coniugi in ordine agli impegni liberamente assunti per detta società naturale, impegni che sono soprattutto finalizzati alla formazione e al completamento della personalità dei suoi componenti.
In ordine all’affidamento dei figli Cass. civ. n. 1714/1985, ha affermato che l’art. 1169 c.c. iraniano, secondo cui i figli minori, in caso di separazione dei genitori, devono essere affidati, dall’età di due anni, al padre, contrasta con i principi di ordine pubblico italiano, atteso che, privilegiando solo e aprioristicamente il sesso dell’affidatario, astraendo dalla sua concreta attitudine a prendersi cura della prole, è in palese contrasto con il divieto di discriminazione dei sessi.
In tema di filiazione si può ricordare che Cass., n. 1951/1999, ha affermato che la legge marocchina, che non conosce l’istituto del riconoscimento del rapporto di filiazione naturale (e prevede, all’estremo, come crimine un siffatto concepimento) è contraria all’ordine pubblico, pertanto nel giudizio promosso dalla madre, nell’interesse di minore di nazionalità marocchina, nei confronti del preteso padre cittadino italiano, deve trovare applicazione in via esclusiva la legislazione italiana, senza che quest’ultimo possa opporre l’incapacità della controparte ad una tale domanda, alla luce della sua legge nazionale; analogamente ha deciso Cass. n. 27592/2006, in tema di azione diretta ad ottenere una pronuncia sostitutiva del consenso dell’altro genitore, al fine del riconoscimento di figlio naturale infrasedicenne, nato da relazione adulterina, proposta dal padre, cittadino egiziano, atteso che la legge egiziana è contraria all’ordine pubblico, perché esclude la possibilità del riconoscimento della filiazione naturale.

Diritto delle successioni a causa di morte

Rare sono le pronunce della Cassazione in materia di successioni. Se ne possono segnalare due:
- Cass. n. 5832/1996: poiché la carta costituzionale, all’art. 42, non fa riferimento alcuno ai legittimari, la quota riservata ai medesimi rappresenta un limite della successione legittima, ovvero delle disposizioni testamentarie, che il legislatore ordinario può modificare ed anche sopprimere; pertanto l’istituto non rientra tra quelli che costituiscono l’ordine pubblico, cui si riferisce l’art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale;
- Cass. n. 2215/1984: la sostituzione fedecommissaria, disposta per testamento da uno straniero in conformità alle leggi dello stato di cui era cittadino al momento della morte, non è inefficace in Italia per contrasto con l’ordine pubblico.

Diritto delle obbligazioni

In materia di diritto delle obbligazioni l’orientamento della cassazione è nel complesso molto restrittivo nell’accertamento del limite dell’ordine pubblico.
Infatti:
- Cass. n. 3646/2013 ha affermato che gli effetti della normativa svizzera sul diritto di riempimento della cambiale lasciata in bianco non contrastano con l’ordine pubblico internazionale poiché l’art. 14, comma 2, R.D. n. 1669/1933, pur considerato norma inderogabile nell’ordinamento italiano, non rientra tra i principi fondanti l’ordine pubblico internazionale;
- Cass. n. 14650/2011, ha affermato che la norma di legge inglese che ammetta l’acquisto di un bene in conseguenza di un patto commissorio, non è contraria all’ordine pubblico internazionale, in quanto il relativo divieto non rientra fra i relativi principi fondanti l’ordine pubblico internazionale, come risulta dalla circostanza che il patto commissorio non è conosciuto né vietato in una parte rilevante dell’Unione europea; né l’art. 2744 c.c. costituisce norma di applicazione necessaria, tali essendo quelle spazialmente condizionate e funzionalmente autolimitate;
- Cass. n. 17349/2002, ha ritenuto che non contrasta con l’ordine pubblico internazionale la corresponsione di interessi a tasso particolarmente elevato da parte di debitore italiano nei confronti di una società estera aggiungendo, in punto di fatto, che, comunque, detta corresponsione non costituiva il corrispettivo di un’operazione di natura creditizia - ossia di prestito in denaro, come richiesto dalla normativa nazionale antiusura - risultando per converso dovuta in conseguenza di un accertato inadempimento contrattuale.

Diritto della responsabilità civile

Cass. n. 19405/2013, cit. ha ritenuto contraria all’ordine pubblico l’applicazione nell’ordinamento italiano dell’art. 1327 ABGB (codice civile austriaco),che limita il risarcimento in favore dei congiunti di persone decedute a seguito di fatto illecito al solo danno patrimoniale ed esclude la risarcibilità del danno cosiddetto parentale, venendo in rilievo l’intangibilità delle relazioni familiari, ossia un valore di rango fondamentale, riconosciuto anche dall’art. 8 convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 7 della carta di Nizza, per il quale il risarcimento rappresenta la forma minima ed imprescindibile di tutela.
Di recente la prima sezione civile, con un’ordinanza (9978/2016) molto argomentata ha rimesso alle sezioni unite la questione della contrarietà all’ordine pubblico dell’applicazione della disciplina straniera che prevede la possibilità di condanna al risarcimento dei danni punitivi e delle sentenze straniere che in concreto l’abbiano irrogata. Tale questione in precedenza era stata sempre risolta in senso affermativo, e cioè della contrarietà all’ordine pubblico, e tale orientamento aveva di recente ricevuto conferma anche in sede di sezioni unite.

Diritto del lavoro

Molto netta è l’evoluzione della giurisprudenza della Cassazione in materia di diritto del lavoro. Partendo da un orientamento (Cass. n. 1530/1986) di netta chiusura nei confronti di ogni disciplina straniera del rapporto di lavoro subordinato da eseguirsi in Italia diversa e meno favorevole rispetto a quella prevista dalla legge italiana, si perviene a una ragionata distinzione tra le varie differenze di disciplina, tenendo conto non tanto dell’astratta applicazione delle norme quanto degli effetti concreti della loro applicazione.
Infatti, un orientamento formatosi alla fine degli anni novanta ha affermato la contrarietà all’ordine pubblico delle norme straniere che non prevedono alcuna tutela contro i licenziamenti ingiustificati e di tutela della stabilità del rapporto di lavoro (Cass. n. 2622/1998; 15822/2002, 1302/2013 e 4545/2013, in tema di licenziamento ingiustificato) e Cass. n. 10070/2013, secondo la quale non può trovare applicazione nel nostro ordinamento la legge argentina che prevede, in caso di ingiustificato rinnovo, la conversione del contratto a termine alle dipendenze della P.A. (nella specie, il consolato d’Italia a Buenos Aires, articolazione del ministero degli esteri) in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Più articolata è invece la valutazione effettuata da Cass. 16017/2007, la quale, dopo aver affermato che integra la nozione di ordine pubblico il principio fondamentale inerente al diritto dei lavoratori di non essere licenziati senza un valido motivo (soggettivo od oggettivo), ovverosia il principio di necessaria giustificazione del licenziamento (Corte Cost., sent. n. 46 del 2000), ha affermato che tale principio non può dirsi vulnerato nel caso in cui l’ordinamento straniero abbia garantito concretamente un controllo sulla decisione datoriale di recedere dai rapporti di lavoro, giacché alla risoluzione dei rapporti lavorativi si era giunti dopo trattative, mediazioni di organi pubblici e incontri con le organizzazioni sindacali, svoltisi per più anni e diretti a garantire i posti di lavoro ovvero un esodo graduale e meno traumatico, dovendosi inoltre reputare che i differenti livelli di garanzie offerte dalla legislazione statunitense e da quella italiana in tema di licenziamenti collettivi e di ammortizzatori sociali rispondessero a connaturali differenziazioni tra ordinamenti giuridici e travalicassero il minimum di tutela della personalità e dignità dei lavoratori.
Analogamente Cass. n. 4040 del 2006 ha ritenuto non contrastare con l’ordine pubblico la normativa straniera che non preveda la corresponsione della tredicesima mensilità e dell’indennità di fine rapporto (Cass. n. 22332/2014).

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